Nancy Kress
— Già — disse lui. — Giusto. Io sono il Sognatore Lucido.
L’olo-palco si scurì ed egli tornò a truccarsi per lo spettacolo.
PARTE PRIMA
Luglio 2114
La preoccupazione per l’uomo stesso e il suo destino devono sempre costituire l’interesse primario di ogni sforzo tecnico, la preoccupazione per i grandi problemi irrisolti riguardanti l’organizzazione del lavoro e la distribuzione dei beni, così che le creazioni della nostra mente rappresentino per l’umanità una benedizione e non una maledizione.
Albert Einstein
1
Diana Covington — San Francisco
Per alcuni di noi, ovviamente, niente è abbastanza.
Questa frase può essere presa in due modi diversi, no? Non voglio dire con questo che è vero il contrario. Non è vero nemmeno per i Vivi, indipendentemente dalle loro patetiche pretese di una "aristocratica vita di ozio". Già. Non esiste uno solo di noi che non sappia che è così. Noi Muli siamo sempre stati in grado di riconoscere la ribollente insoddisfazione. La vediamo quotidianamente nello specchio.
"Il mio QI non è stato potenziato come quello di Paul."
"I miei genitori non si sono potuti permettere le modificazioni genetiche che ha Aaron."
"La mia ditta non è diventata famosa come quella di Karen."
"La mia pelle non ha la grana fine come quella di Gina."
"Il mio collegio elettorale ha più pretese di quello di Luke. Quelle sanguisughe di votanti pensano forse che io sia una miniera inesauribile?"
"Il mio cane è meno all’avanguardia nelle modificazioni genetiche rispetto a quello di Stephanie."
Fu, in effetti, il cane di Stephanie che mi fece decidere di cambiar vita. So che effetto possono avere le mie parole. Non c’è nulla che riguardi l’inizio del mio servizio per l’Ente governativo di controllo degli Standard Genetici che non suoni ridicolo. Perché non cominciare proprio dal cane di Stephanie? Esso conferisce alla storia un certo brio satirico. Potrei parlarne a pranzo e a cena per interi mesi.
Sempre, ovviamente, che qualcuno vada ancora a pranzo o a cena.
Il brio satirico è una merce così deperibile!
Stephanie portò il suo cane nel mio appartamento nell’Enclave di Sicurezza di Bayview una domenica mattina di luglio. Il giorno prima avevo acquistato alcuni cesti di fiori alla BioForms di Oakland ed essi si riversavano a cascata fuori dalla ringhiera del terrazzo, un tumulto di azzurri dalle sfumature più varie, da superare quelle della Baia di San Francisco, sei piani sotto: cobalto, celeste, acquamarina, azzurro, grigio-azzurro, turchese, ceruleo. Io ero stesa sulla sdraio in terrazzo, mangiando biscotti all’anice e studiando i miei fiori. I geni modificati avevano modellato ogni bocciolo in un tubo che vibrava dolcemente, dotato di una estremità a cupola. I boccioli erano abbastanza lunghi. In verità, la mia terrazza spumeggiava di flaccidi e azzurri peni vegetali. David se n’era andato una settimana prima.
— Diana — disse Stephanie attraverso lo scudo a energia-Y che si estendeva nello spazio fra i battenti della portafinestra aperta. — Toc, toc.
— Come hai fatto a entrare nell’appartamento? — le chiesi, un po’ seccata. Non avevo dato a Stephanie il mio codice di sicurezza. Non mi piaceva a sufficienza.
— Il tuo codice è infranto. È sulla rete della polizia. Pensavo che avresti gradito saperlo. — Stephanie era un poliziotto. Non era nella polizia distrettuale, lavoro duro e sporco da effettuare giù fra i Vivi. Non la nostra Stephanie. Possedeva una ditta che forniva robot di pattuglia per la sicurezza nelle enclavi. Aveva progettato i robot personalmente. La sua impresa, che godeva di un successo stupefacente, aveva firmato contratti con un ragguardevole numero di enclavi di San Francisco, anche se non con la mia. Dirmi che il mio codice si trovava nella rete dei robot rappresentava il suo sgradevole modo di provocarmi poiché la mia enclave utilizzava una diversa forza di polizia.
Mi stesi nuovamente sulla sdraio e allungai una mano per prendere un drink. I fiori azzurri più vicini si spinsero verso la mia mano.
— Stai facendo avere loro un’erezione — disse Stephanie attraversando la portafinestra. — Oh, biscotti all’anice! Ti dispiace se ne do uno a Katous?
Il cane la seguì dalla fresca oscurità del mio appartamento, si bloccò, strizzando gli occhi nella splendente luce del sole, e annusò l’aria sospettoso. Era chiaramente, aggressivamente, illegalmente modificato a livello genetico. L’Ente governativo per il controllo degli Standard Genetici poteva consentire qualche aggiustamento alla moda sui fiori, ma non con i tipi animali superiori ai pesci. Le regole erano chiarissime, sottolineate da cause legali, dalle durissime sanzioni pecuniarie, che le rendevano ancora più chiare. Nessuna modificazione genetica che causi dolore. Nessuna modificazione genetica che crei un armamento, nella più ampia delle definizioni. Nessuna modificazione genetica che "muti l’aspetto fisico o fondamentali attività interne tali da creare alterazioni che deviino in modo significativo, la creatura dagli altri membri, non soltanto della sua specie, ma anche della sua razza". Un collie poteva essere addestrato a correre su una sola zampa, ma avrebbe fatto bene ad assomigliare ancora a Lassie.
E, in nessun caso, una qualsiasi modificazione genetica che fosse ereditaria. Nessuno voleva un altro fiasco come quello degli Insonni. Perfino i miei fiori "penili" erano sterili. Gli esseri umani modificati geneticamente, noi Muli, sono stati tutti creati individualmente, oggetti da collezione unici creati "in vitro". Così viene mantenuto l’ordine nel nostro mondo ordinato. Così afferma il giudice capo della Corte Suprema, Richard J. Milano, scrivendo la sentenza nella causa per LINBECKER CONTRO ENTE GOVERNATIVO PER IL CONTROLLO DEGLI STANDARD GENETICI. "L’umanità non deve essere alterata al di là della riconoscibilità, perché vorrebbe dire perdere ciò che significa essere umani. Due mani, una testa, due occhi, due gambe, un cuore funzionante, la necessità di respirare, mangiare e defecare, questa è l’umanità nella sua continuità. Noi siamo ’gli’ esseri umani."
O, in questo caso, "i" cani. Eppure ecco lì Stephanie, teoricamente una rappresentante della legge, in piedi sulla mia terrazza affiancata da una vivente violazione da galera della ECGS, dal pelo rosa. Katous aveva quattro adorabili orecchie rosa, diritte in modo identico, auricolari Rockettes. Aveva un simpatico codino da coniglio in pelo rosa. Aveva immensi occhi marroni, di una dimensione tre volte maggiore a qualsiasi occhio da cane che il giudice Milano avrebbe approvato, che gli conferivano uno sguardo languido e afflitto. Era talmente adorabile e dall’aria così vulnerabile che avevo voglia di prenderlo a calci.
— Ho sentito che David se n’è andato — disse Stephanie, chinandosi per dare da mangiare il biscotto all’anice a quell’ammasso di pelo tremante. Mi chiesi se Stephanie sapesse che
"La gelosia" aveva sempre detto David "corrode l’anima."
Io gli avevo sempre risposto che Stephanie era priva di anima. Aveva ventotto anni, sette meno di me, il che significava sette anni di progresso nell’evoluzione tecnologica disponibile dell’