Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino - Карло Коллоди 6 стр.


– Spicciatevi, per carità, perché io muoio dal freddo.

– Ragazzo mio, le lumache non hanno mai fretta.

Intanto passò un’ora, ne passarono due, e la porta non si apriva: per cui Pinocchio, che tremava dal freddo, dalla paura, bussò una seconda volta, e bussò più forte.

A quel secondo colpo si aprì una finestra del piano di sotto e si affacciò la solita lumaca.

– Lumachina bella – gridò Pinocchio dalla strada – sono due ore che aspetto! E due ore, a questa serata, diventano più lunghe di due anni. Spicciatevi, per carità.

– Ragazzo mio, – gli rispose dalla finestra tutta pace e tutta flemma – ragazzo mio, le lumache non hanno mai fretta.

E la finestra si richiuse.

Di lì a poco sono la mezzanotte: poi le due dopo mezzanotte, e la porta era sempre chiusa.

Allora Pinocchio, perduta la pazienza, afferrò con rabbia il battente della porta per bussare un colpo da far rintronare tutto il casamento: ma il battente che era di ferro, diventò a un tratto un’anguilla viva, che sparì in un rigagnolo d’acqua che scorreva in mezzo alla strada.

– Ah! sì? – gridò Pinocchio sempre più accecato dalla collera. – Se il battente è sparito, io seguiterò a bussare a furia di[126] calci.

E tiratosi un poco indietro, lasciò andare una solennissima pedata nell’uscio della casa. Il colpo fu così forte, che il piede penetrò nel legno fino a mezzo: e quando il burattino si provò a ricavarlo fuori, fu tutta fatica inutile: perché il piede c’era rimasto conficcato dentro, come un chiodo ribadito.

Figuratevi il povero Pinocchio! Dovè passare tutto il resto della notte con un piede in terra e con quell’altro per aria.

La mattina, sul far del giorno, finalmente la porta si aprì. Quella brava Lumaca, a scendere dal quarto piano fino all’uscio di strada, ci aveva messo solamente nove ore. Bisogna proprio dire che avesse fatto una sudata.

– Che cosa fate con codesto piede conficcato nell’uscio? – domandò ridendo al burattino.

– È stata una disgrazia. Vedete un po’, Lumachina bella, se vi riesce di liberarmi da questo supplizio.

– Ragazzo mio, costì ci vuole un legnaiolo.

– Pregate la Fata da parte mia!..

– La Fata dorme e non vuol essere svegliata.

– Ma che cosa volete che io faccia inchiodato tutto il giorno a questa porta?

– Divertiti a contare le formicole che passano per la strada.

– Portatemi almeno qualche cosa da mangiare.

– Subito! – disse la Lumaca.

Difatti dopo tre ore e mezzo, Pinocchio la vide tornare con un vassoio d’argento in capo. Nel vassoio c’era un pane, un pollastro arrosto e quattro albicocche mature.

– Ecco la colazione che vi manda la Fata – disse la Lumaca.

Il burattino sentì consolarsi tutto. Ma quale fu il suo disinganno, quando incominciando a mangiare, si dovè accorgere che il pane era di gesso, il pollastro di cartone e le quattro albicocche di alabastro, colorite, come se fossero vere.

Voleva piangere, voleva buttar via il vassoio e quel che c’era dentro; ma invece, o fosse il gran dolore o la gran languidezza di stomaco, fatto sta che cadde svenuto.

Quando si riebbe, si trovò disteso sopra un sofà, e la Fata era accanto a lui.

– Anche per questa volta ti perdono – gli disse la Fata – ma guai a te, se me ne fai un’altra delle tue!..

Pinocchio promise e giurò che avrebbe studiato, e che si sarebbe condotto sempre bene. E mantenne la parola per tutto il resto dell’anno. Difatti agli esami delle vacanze, ebbe l’onore di essere il più bravo della scuola; e i suoi portamenti, in generale, furono giudicati così lodevoli e soddisfacenti, che la Fata, tutta contenta, gli disse:

– Domani finalmente il tuo desiderio sarà appagato!

– Cioè?

– Domani finirai di essere un burattino di legno, e diventerai un ragazzo perbene.

Tutti i suoi amici e compagni di scuola dovevano essere invitati per il giorno dopo a una gran colazione in casa della Fata, per festeggiare insieme il grande avvenimento: e la Fata aveva fatto preparare duecento tazze di caffè-e-latte e quattrocento panini imburrati di dentro e di fuori. Quella giornata prometteva di riuscire molto bella e molto allegra: ma…

Disgraziatamente, nella vita dei burattini, c’è sempre un ma, che sciupa ogni cosa.

30. Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo amico Lucignolo per il “Paese dei balocchi”

Com’è naturale, Pinocchio chiese subito alla Fata il permesso di andare in giro per la città a fare gl’inviti: e la Fata gli disse:

– Va’ pure a invitare i tuoi compagni per la colazione di domani: ma ricordati di tornare a casa prima che faccia notte. Hai capito?

– Fra un’ora prometto di esser ritornato – replicò il burattino.

– Bada, Pinocchio! I ragazzi fanno presto a promettere, ma il più delle volte, fanno tardi a mantenere.

– Ma io non sono come gli altri: io, quando dico una cosa, la mantengo.

– Vedremo. Caso poi tu disubbidissi, tanto peggio per te.

– Perché?

– Perché i ragazzi che non danno retta ai consigli di chi ne sa più di loro, vanno sempre incontro a qualche disgrazia.

– E io l’ho provato! – disse Pinocchio. – Ma ora non ci ricasco più!

– Vedremo se dici il vero.

Senza aggiungere altre parole, il burattino salutò la sua buona Fata, e cantando e uscì fuori dalla porta di casa.

In poco più d’un’ora, tutti i suoi amici furono invitati. Alcuni accettarono subito e di gran cuore: altri si fecero un po’ pregare: ma quando seppero che i panini da inzuppare nel caffè-e-latte sarebbero stati imburrati anche dalla parte di fuori, finirono tutti col dire: – “Verremo anche noi, per farti piacere”.

Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici e compagni di scuola, ne aveva uno prediletto e carissimo, il quale si chiamava di nome Romeo: ma tutti lo chiamavano col soprannome di Lucignolo, per via del suo personale asciutto, secco e allampanato.

Lucignolo era il ragazzo più svogliato e più birichino di tutta la scuola: ma Pinocchio gli voleva bene. Difatti andò subito a cercarlo a casa, per invitarlo alla colazione, e non lo trovò.

Dove poterlo ripescare? Cerca di qua, cerca di là, finalmente lo vide nascosto sotto il portico di una casa di contadini.

– Che cosa fai costì? – gli domandò Pinocchio.

– Aspetto di partire…

– Dove vai?

– Lontano, lontano, lontano!

– E io che son venuto a cercarti a casa tre volte!..

– Che cosa volevi da me?

– Non sai il grande avvenimento? Non sai la fortuna che mi è toccata?

– Quale?

– Domani finisco di essere un burattino e divento un ragazzo come te, e come tutti gli altri. Domani ti aspetto a colazione a casa mia.

– Ma se ti dico che parto questa sera.

– A che ora?

– Fra poco.

– E dove vai?

– Vado ad abitare in un paese… che è il più bel paese di questo mondo: una vera cuccagna!..

– E come si chiama?

– Si chiama il “Paese dei balocchi”. Perché non vieni anche tu?

– Io? no davvero!

– Credilo a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi trovare un paese più sano per ragazzi? Lì non vi sono scuole: lì non vi sono maestri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll’ultimo di dicembre. Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili!..

– Ma come si passano le giornate nel “Paese dei balocchi”?

– Si passano divertendosi dalla mattina alla sera. La sera poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo.

– Uhm!.. – fece Pinocchio.

– Dunque, vuoi partire con me? Sì o no?

– No, no e poi no. Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo per bene, e voglio mantenere la promessa. Dunque addio, e buon viaggio.

– Dove corri con tanta furia?

– A casa. La mia buona Fata vuole che ritorni prima di notte.

– Aspetta altri due minuti.

– E se poi la Fata mi grida?

– Lasciala gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà – disse quella birba di Lucignolo.

– E come fai? Parti solo o in compagnia?

– Solo? Saremo più di cento ragazzi.

– E il viaggio lo fate a piedi?

– Fra poco passerà di qui il carro che mi deve prendere e condurre fin dentro ai confini di quel fortunatissimo paese.

– Che cosa pagherei che il carro passasse ora!..

– Perché?

– Per vedervi partire tutti insieme.

– Rimani qui e ci vedrai.

– No, no: voglio ritornare a casa.

– Aspetta altri due minuti.

– Ho indugiato anche troppo. La Fata starà in pensiero per me.

– Povera Fata! Che ha paura forse che ti mangino i pipistrelli?

– Ma dunque – soggiunse Pinocchio – tu sei veramente sicuro che in quel paese non ci sono scuole?…

– Neanche l’ombra.

– E nemmeno i maestri?

– Nemmen uno.

– Che bel paese! – disse Pinocchio. – Io non ci sono stato mai, ma me lo figuro!..

– Perché non vieni anche tu?

– È inutile che tu mi tenti! Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo di giudizio, e non voglio mancare alla parola.

– Dunque addio, e salutami tanto le scuole!

– Addio, Lucignolo: fa’ buon viaggio, divertiti e rammentati qualche volta degli amici. – Ciò detto, il burattino fece due passi in atto di andarsene: ma poi, fermandosi e voltandosi all’amico, gli domandò:

– Ma lo sai di certo che le vacanze abbiano principio col primo di gennaio e finiscano coll’ultimo di dicembre?

– Di certissimo!

– Che bel paese! – ripetè Pinocchio. Poi soggiunse in fretta e furia:

– Dunque, addio davvero: e buon viaggio.

– Addio.

– Fra quanto partirete?

– Fra poco!

– Sarei quasi quasi capace di aspettare.

Intanto si era già fatta notte e notte buia: quando a un tratto videro muoversi in lontananza un lumicino… e sentirono un suono di bubboli.

– Eccolo! – gridò Lucignolo, rizzandosi in piedi.

– Chi è? – domandò sottovoce Pinocchio.

– È il carro che viene a prendermi. Dunque, vuoi venire, sì o no?

– Ma è proprio vero – domandò il burattino – che in quel paese i ragazzi non hanno mai l’obbligo di studiare?

– Mai, mai, mai!

– Che bel paese!.. che bel paese!..

31. Dopo cinque mesi di cuccagna, Pinocchio con sua gran meraviglia, sente spuntarsi un bel paio d’orecchie asinine, e diventa un ciuchino, con la coda e tutto

Finalmente il carro arrivò.

Lo tiravano dodici pariglie di ciuchini, tutti della medesima grandezza, ma di diverso pelame.

Alcuni erano bigi, altri bianchi, altri brizzolati, e altri rigati da grandi strisce gialle e turchine.

Ma la cosa più singolare era questa: che quelle dodici pariglie, invece di esser ferrati, avevano in piedi degli stivaletti da uomo fatti di pelle bianca.

E il conduttore del carro?…

Figuratevi un omino più largo che lungo, untuoso come una palla di burro, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole.

Tutti i ragazzi, appena lo vedevano, ne restavano innamorati e facevano a gara nel montare sul suo carro, per esser condotti da lui in quella vera cuccagna.

Difatti il carro era già tutto pieno di ragazzetti fra gli otto e i dodici anni. Stavano pigiati, non potevano quasi respirare: ma nessuno diceva ohi! nessuno si lamentava. La consolazione di sapere che fra poche ore sarebbero giunti in un paese, dove non c’erano né libri, né scuola, né maestri, li rendeva così contenti, che non sentivano né i disagi, né la fame, né la sete, né il sonno.

Appena che il carro si fu fermato, l’Omino si volse a Lucignolo, e gli domandò sorridendo:

– Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?

– Sicuro che ci voglio venire.

– Ma ti avverto, carino mio, che nel carro non c’è più posto.

– Pazienza! – replicò Lucignolo – se non c’è posto dentro, mi adatterò a star seduto sulle stanghe del carro.

E spiccato un salto, montò a cavalcioni[127] sulle stanghe.

– E tu, amor mio – disse l’Omino volgendosi a Pinocchio – che intendi fare? Vieni con noi?

– Io rimango – rispose Pinocchio. – Io voglio tornarmene a casa mia: voglio studiare e voglio farmi onore alla scuola.

– Pinocchio! – disse allora Lucignolo. – Da’ retta a me: vieni con noi, e staremo allegri.

– No!

– Vieni con noi e staremo allegri – gridarono altre quattro voci di dentro al carro.

– Vieni con noi e staremo allegri – urlarono tutte insieme un centinaio di voci.

– E se vengo con voi, che cosa dirà la mia buona Fata? – disse il burattino che cominciava a intenerirsi.

– Pensa che andiamo in un paese dove saremo padroni di fare il chiasso dalla mattina alla sera!

Pinocchio non rispose, ma fece un sospiro: poi fece un altro sospiro: poi un terzo sospiro: finalmente disse:

– Fatemi un po’ di posto: voglio venire anch’io!..

– I posti son tutti pieni – replicò l’Omino – ma per mostrarti quanto sei gradito, posso cederti il mio posto a cassetta…

– E voi?…

– E io farò la strada a piedi.

– No davvero, che non lo permetto. Preferisco piuttosto di salire in groppa a qualcuno di questi ciuchini! – gridò Pinocchio.

Detto fatto, si avvicinò al ciuchino della prima pariglia, e fece l’atto di volerlo cavalcare: ma la bestiola, voltandosi a secco[128], gli dette una gran musata nello stomaco e lo gettò a gambe all’aria.

Figuratevi la risata impertinente e sgangherata di tutti quei ragazzi presenti alla scena.

Ma l’Omino non rise. Si accostò pieno di amore al ciuchino ribelle, e, facendo finta di dargli un bacio, gli staccò con un morso la metà dell’orecchio destro.

Intanto Pinocchio schizzò con un salto sulla groppa di quel povero animale. E il salto fu così bello, che i ragazzi, smesso di ridere, cominciarono a urlare: viva Pinocchio!

Quand’ecco che all’improvviso il ciuchino alzò tutte e due le gambe di dietro, scaraventò il povero burattino in mezzo alla strada, sopra un monte di ghiaia.

Allora grandi risate daccapo: ma l’Omino, invece di ridere, si sentì preso da tanto amore per quell’irrequieto asinello che, con un bacio, gli portò via di netto[129] la metà di quell’altro orecchio. Poi disse al burattino:

– Rimonta pure a cavallo, e non aver paura. Quel ciuchino aveva qualche grillo per il capo: ma io gli ho detto due paroline negli orecchi.

Pinocchio montò: e il carro cominciò a muoversi: ma nel tempo che i ciuchini galoppavano e che il carro correva sui ciottoli della via maestra, gli parve al burattino di sentire una voce sommessa, che gli disse:

– Povero gonzo! Hai voluto fare a modo tuo, ma te ne pentirai!

– Povero gonzo! Hai voluto fare a modo tuo, ma te ne pentirai!

Pinocchio guardò di qua e di là, per conoscere da qual parte venissero queste parole; ma non vide nessuno.

Fatto un altro mezzo chilometro, Pinocchio sentì la solita vocina fioca che gli disse:

– Tienilo a mente[130], grullo! I ragazzi che smettono di studiare e voltano le spalle ai libri, alle scuole, per darsi interamente ai divertimenti, non possono far altro che una fine disgraziata!.. Io lo so!.. Verrà un giorno che piangerai anche tu, come oggi piango io… ma allora sarà tardi!..

A queste parole bisbigliate, il burattino, spaventato più che mai, saltò giù dalla groppa della cavalcatura, e andò a prendere il suo ciuchino per il muso.

E immaginatevi come restò, quando s’accorse che il suo ciuchino piangeva proprio come un ragazzo!

– Ehi, signor Omino, – gridò allora Pinocchio al padrone del carro – sapete che cosa c’è di nuovo? Questo ciuchino piange.

– Lascialo piangere: riderà quando sarà sposo.

– Ma che forse gli avete insegnato anche a parlare?

– No: ha imparato da sé a borbottare qualche parola.

– Povera bestia!..

– Non perdiamo il nostro tempo a veder piangere un ciuco. Rimonta a cavallo, e andiamo.

Pinocchio obbedì senza rifiatare. Il carro riprese la sua corsa: e la mattina, sul far dell’alba, arrivarono felicemente nel “Paese dei balocchi”.

Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi. I più vecchi avevano 14 anni: i più giovani ne avevano 8 appena. Nelle strade, un’allegria, un chiasso! Branchi di monelli dappertutto: chi giocava alle noci, chi alla palla, chi andava in velocipede: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria: chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi fischiava. Su tutte le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera, e su tutti i muri delle case si leggevano scritte col carbone delle bellissime cose come queste: viva i balocci! (invece di balocchi): non vogliamo più schole (invece di non vogliamo più scuole): abbasso Larin Metica (invece di l’aritmetica).

Pinocchio, Lucignolo e tutti gli altri ragazzi, che avevano fatto il viaggio coll’Omino, appena ebbero messo il piede dentro la città, si ficcarono subito in mezzo alla gran baraonda, e in pochi minuti diventarono gli amici di tutti. Chi più felice, chi più contento di loro?

– Oh! che bella vita! – diceva Pinocchio tutte le volte che per caso s’imbatteva in Lucignolo.

– Vedi, dunque, se avevo ragione? E dire che tu non volevi partire! Se oggi ti sei liberato dalla noia dei libri e delle scuole, lo devi a me, ai miei consigli, alle mie premure?

– È vero, Lucignolo! Se oggi io sono un ragazzo veramente contento, è tutto merito tuo.

Intanto era già da cinque mesi che durava questa bella cuccagna di baloccarsi e di divertirsi le giornate intere, senza mai vedere in faccia né un libro, né una scuola; quando una mattina Pinocchio, svegliandosi, ebbe una gran brutta sorpresa.

Упражнения

1. Выберите правильный вариант:

1. Pinocchio è andato a cavallo del Nibbio.

2. Pinocchio è andato a cavallo del Colombo.

3. Pinocchio è andato a cavallo della Rondine.

4. Pinocchio è andato a cavallo della Farfalla.

2. Подберите синонимы:

dorso ____________

garbatezza ____________

costa ____________

vergogna ____________

babbo ____________

brocca ____________

elemosina ____________

ciuco ____________

3. Выберите нужный глагол:

Non ____ il nostro tempo a veder piangere un ciuco.

1. troviamo

2. cerchiamo.

3. perdiamo

4. diamo

4. Выберите нужный предлог:

per – a – di – in – da

1. Difatti andò subito __ cercarlo __ casa, __ invitarlo __ colazione, e non lo trovò.

2. Tutti i suoi amici e compagni __ scuola dovevano essere invitati __ il giorno dopo __ una gran colazione __ casa __ Fata.

3. Intanto era già __ cinque mesi che durava questa bella cuccagna __ baloccarsi e __ divertirsi le giornate intere.

4. __ queste parole bisbigliate, il burattino, spaventato più che mai, saltò giù __ groppa __ cavalcatura, e andò __ prendere il suo ciuchino __ il muso.

5. Ответьте на вопросы:

1. Perché Pinocchio non ha dato una mano al carbonaio?

2. Perché il burattino ha prestato aiuto a Alidoro?

3. Perché Pinocchio ha diventato ciuchino?

4. Dove sono andati Pinocchio e Lucignolo?

5. Raccontare il testo.

Ответы:

1. Pinocchio è andato a cavallo del Colombo.

3. perdiamo

4. 1. a, a, per, alla. 2. di, per, a, in, della. 3. da, di, di. 4. a, dalla, della, a, per.

32. A Pinocchio gli vengono gli orecchi di ciuco, e poi diventa un ciuchino vero e comincia a ragliare

E questa sorpresa quale fu?

Ve lo dirò io, miei cari e piccoli lettori: la sorpresa fu che a Pinocchio, svegliandosi, gli venne fatto di grattarsi il capo; e nel grattarsi il capo si accorse…

Si accorse con suo stupore, che gli orecchi gli erano cresciuti più d’un palmo.

Voi sapete che il burattino aveva gli orecchi piccini. Immaginatevi dunque come restò, quando dovè toccar con mano che i suoi orecchi, durante la notte, erano allungati.

Andò subito in cerca di uno specchio, per potersi vedere: ma non trovando uno specchio, empì d’acqua la catinella del lavamano e vide quel che non avrebbe mai voluto vedere: vide, cioè, la sua immagine abbellita di un magnifico paio di orecchi asinini.

Cominciò a piangere, a battere la testa nel muro: ma quanto più si disperava, e più i suoi orecchi crescevano, crescevano e diventavano pelosi verso la cima.

Al rumore di quelle grida, entrò nella stanza una bella Marmotta, che abitava al piano di sopra: la quale gli domandò:

– Che cos’hai, mio caro casigliano?

– Sono malato, Marmotta mia, molto malato… e malato d’una malattia che mi fa paura! Te ne intendi tu del polso?

– Un pochino.

– Senti dunque se per caso avessi la febbre.

La Marmotta alzò la zampa destra davanti: e dopo aver tastato il polso a Pinocchio, gli disse sospirando:

– Amico mio, mi dispiace doverti dare una cattiva notizia!..

– Cioè?

– Tu hai una gran brutta febbre!

– E che febbre sarebbe?

– È la febbre del somaro.

– Non la capisco questa febbre! – rispose il burattino.

– Allora te la spiegherò io – soggiunse la Marmotta. – Sappi dunque che fra due o tre ore tu non sarai più né un burattino, né un ragazzo…

– E che cosa sarò?

– Fra due o tre ore, tu diventerai un ciuchino, come quelli che tirano il carretto e che portano i cavoli e l’insalata al mercato.

– Oh! povero me! – gridò Pinocchio pigliandosi con le mani tutt’e due gli orecchi, e tirandoli e strapazzandoli rabbiosamente.

– Caro mio, – replicò la Marmotta per consolarlo – che cosa ci vuoi tu fare? Oramai è destino. Oramai è scritto nei decreti della sapienza, che tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giochi e in divertimenti, debbano finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari.

– Ma davvero è proprio così? – domandò il burattino.

– Pur troppo è così! E ora i pianti sono inutili. Bisognava pensarci prima!

– Ma la colpa non è mia: la colpa è tutta di Lucignolo!..

– E chi è questo Lucignolo?

– Un mio compagno di scuola. Io volevo tornare a casa: io volevo essere ubbidiente: io volevo seguitare a studiare e a farmi onore… ma Lucignolo mi disse: – “Perché vuoi tu annoiarti a studiare? perché vuoi andare alla scuola?… Vieni con me, nel Paese dei balocchi: lì ci divertiremo dalla mattina alla sera e staremo sempre allegri”.

– E perché seguisti il consiglio di quel falso amico? di quel cattivo compagno?

– Perché?… perché io sono un burattino senza giudizio… e senza cuore. Oh! Se avessi avuto un zinzino di cuore, non avrei mai abbandonata quella buona Fata, che mi voleva bene come una mamma e che aveva fatto tanto per me!.. e a quest’ora non sarei più un burattino… ma sarei invece un ragazzino ammodo, come ce n’è tanti! Oh!.. ma se incontro Lucignolo, guai a lui!

E fece l’atto di volere uscire. Ma quando fu sulla porta, si ricordò che aveva gli orecchi d’asino. Prese un gran berretto di cotone, e, ficcatoselo in testa.

Poi uscì: e si dette a cercare Lucignolo. Lo cercò nelle strade, nelle piazze, in ogni luogo: ma non lo trovò. Ne chiese notizia a quanti incontrò per la via, ma nessuno l’aveva veduto.

Allora andò a cercarlo a casa: e arrivato alla porta, bussò.

– Chi è? – domandò Lucignolo di dentro.

– Sono io! – rispose il burattino.

– Aspetta un poco, e ti aprirò.

Dopo mezz’ora la porta si aprì: e figuratevi come restò Pinocchio quando, entrando nella stanza, vide il suo amico Lucignolo con un gran berretto di cotone in testa, che gli scendeva fin sotto il naso.

Alla vista di quel berretto, Pinocchio sentì quasi consolarsi e pensò subito dentro di sé:

– Che l’amico sia malato della mia medesima malattia? Che abbia anche lui la febbre del ciuchino?…

E facendo finta di non essersi accorto di nulla, gli domandò sorridendo:

– Come stai, mio caro Lucignolo?

– Benissimo: come un topo in una forma di cacio parmigiano.

– Lo dici proprio sul serio?

– E perché dovrei dirti una bugia?

– Scusami, amico: e allora perché tieni in capo codesto berretto di cotone che ti copre tutti gli orecchi?

– Me l’ha ordinato il medico, perché mi son fatto male a un ginocchio. E tu, caro Pinocchio, perché porti codesto berretto di cotone?

– Me l’ha ordinato il medico, perché mi sono sbucciato un piede.

– Oh! povero Pinocchio!..

– Oh! povero Lucignolo!..

A queste parole tenne dietro un lunghissimo silenzio, durante il quale i due amici non fecero altro che guardarsi fra loro in atto di canzonatura.

Finalmente il burattino, con una vocina melliflua, disse al suo compagno:

– Mio caro Lucignolo: hai mai sofferto di malattia agli orecchi?

– Mai!.. E tu?

– Mai! Per altro da questa mattina in poi ho un orecchio che mi fa spasimare.

– Ho lo stesso male anch’io.

– Anche tu?… E qual è l’orecchio che ti duole?

– Tutti e due. E tu?

– Tutti e due. Che sia la medesima malattia?

– Ho paura di sì.

– Vuoi farmi un piacere, Lucignolo?

– Volentieri! Con tutto il cuore.

– Mi fai vedere i tuoi orecchi?

– Perché no? Ma prima voglio vedere i tuoi, caro Pinocchio.

– No: il primo devi essere tu.

– No, carino! Prima tu, e dopo io!

– Ebbene, – disse allora il burattino – facciamo un patto da buoni amici.

– Sentiamo il patto.

– Leviamoci tutti e due il berretto nello stesso tempo: accetti?

– Accetto.

– Dunque attenti!

E Pinocchio cominciò a contare a voce alta:

– Uno! Due! Tre!

Alla parola tre! i due ragazzi presero i loro berretti di capo e li gettarono in aria.

E allora avvenne una scena, che parrebbe incredibile, se non fosse vera. Avvenne, cioè, che Pinocchio e Lucignolo, quando si videro colpiti tutti e due dalla medesima disgrazia cominciarono ad ammiccarsi i loro orecchi cresciuti, e dopo mille sguaiataggini finirono col dare in una bella risata.

E risero, risero, risero, poi Lucignolo tutt’a un tratto si chetò, e barcollando e cambiando di colore, disse all’amico:

– Aiuto, aiuto, Pinocchio!

– Che cos’hai?

– Ohimè! non mi riesce più di star ritto sulle gambe.

– Non mi riesce più neanche a me – gridò Pinocchio, piangendo.

E mentre dicevano così, si piegarono tutti e due carponi a terra e, camminando con le mani e coi piedi, cominciarono a girare e a correre per la stanza. E intanto che correvano, i loro bracci diventarono zampe, i loro visi si allungarono e diventarono musi, e le loro schiene si coprirono di un pelame.

Ma il momento più brutto e più umiliante fu quello quando sentirono spuntarsi di dietro la coda. Vinti allora dalla vergogna e dal dolore, si provarono a piangere e a lamentarsi del loro destino.

Non l’avessero mai fatto! Invece di lamenti, mandavano fuori dei ragli asinini, facevano tutti e due in coro: j-a, j-a, j-a.

In quel frattempo fu bussato alla porta, e una voce di fuori disse:

– Aprite! Sono l’Omino, sono il conduttore del carro che vi portò in questo paese. Aprite subito, o guai a voi!

33. Diventato un ciuchino vero, è portato a vendere, e lo compra il Direttore di una compagnia di pagliacci, per insegnargli a ballare e a saltare i cerchi: ma una sera azzoppisce e allora lo ricompra un altro, per far con la sua pelle un tamburo

Vedendo che la porta non si apriva, l’Omino la spalancò con un violentissimo calcio: ed entrato nella stanza, disse col suo solito risolino a Pinocchio e a Lucignolo:

– Bravi ragazzi! Avete ragliato bene, e io vi ho subito riconosciuti alla voce. E per questo eccomi qui.

A tali parole, i due ciuchini rimasero mogi mogi[131], colla testa giù, con gli orecchi bassi e con la coda fra le gambe.

Da principio l’Omino li lisciò, li accarezzò, li palpeggiò: poi, tirata fuori la striglia, cominciò a strigliarli per bene. E quando a furia di strigliarli, li ebbe fatti lustri come due specchi, allora messe loro la cavezza e li condusse sulla piazza del mercato, con la speranza di venderli e di beccarsi un discreto guadagno.

E i compratori, difatti, non si fecero aspettare.

Lucignolo fu comprato da un contadino, e Pinocchio fu venduto al Direttore di una compagnia di pagliacci e di saltatori di corda, il quale lo comprò per ammaestrarlo e per farlo poi saltare e ballare insieme con le altre bestie della compagnia.

E ora avete capito qual era il bel mestiere che faceva l’Omino? Questo brutto mostriciattolo andava con un carro a girare per il mondo: strada facendo raccoglieva con promesse e con moine tutti i ragazzi, che avevano a noia i libri e le scuole: e dopo averli caricati sul suo carro, li conduceva nel “Paese dei balocchi” perché passassero tutto il loro tempo in giochi, in divertimenti. Quando poi quei poveri ragazzi diventavano tanti ciuchini, allora tutto allegro e contento s’impadroniva di loro e li portava a vendere sulle fiere e su i mercati. E così in pochi anni era diventato milionario.

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