«Come sto?» chiese.
«Sei ridicolo.»
«Ridicolo?»
«Fesso, se preferisci.»
«Mmm. Ridicolo e fesso. Molto bene.» Sorrise. I paraorecchi gli davano un’aria che era insieme rassicurante, spiritosa e, in fondo in fondo, amabile. Attraversò la strada con un’andatura dinoccolata e percorse l’isolato in cui sorgeva il palazzo della banca, mentre Shadow entrava nell’ingresso del supermercato e restava a guardare.
Wednesday attaccò sullo sportello del bancomat e della cassa continua un grosso cartello con la scritta FUORI SERVIZIO. Coprì l’apertura con una fotocopia tenuta da una striscia di nastro adesivo rosso. Shadow lesse divertito.
CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO. STIAMO LAVORANDO PER MIGLIORARE IL SERVIZIO.
Poi Wednesday si voltò verso la strada. Aveva un’aria infreddolita e stanca.
Una giovane donna si avvicinò allo sportello. Scuotendo la testa Wednesday le spiegò che non funzionava. Lei imprecò, si scusò per aver imprecato e scappò via.
Accostò un’automobile e ne scese un uomo con un piccolo sacco grigio e una chiave. Shadow restò a guardare Wednesday che si scusava, gli faceva firmare un foglio del suo blocco, controllava il modulo del versamento e scrupolosamente gli scriveva la ricevuta, aveva un attimo di perplessità nel decidere quale fosse la copia che doveva tenere per sé e infine apriva la grossa cassetta di metallo per mettere al sicuro il sacco grigio del cliente.
L’uomo intanto batteva i piedi rabbrividendo per il freddo, aspettando impaziente che il vecchio agente la finisse con quelle stupidaggini burocratiche e non lo trattenesse sotto la neve, poi prese la ricevuta, risalì sulla sua automobile ben riscaldata e si allontanò.
Wednesday attraversò la strada trascinandosi la cassa di metallo ammanettata al polso e nel bar del supermercato ordinò un caffè.
«Buonasera, giovanotto» disse ridacchiando come un vecchio zio quando passò accanto a Shadow. «Freddino, eh?»
Poi ritornò dall’altra parte dove continuò a ritirare sacchi grigi e buste da quelli che venivano a depositare gli incassi o gli stipendi del sabato pomeriggio, un bel vecchio agente di sicurezza con un buffo paraorecchi rosa.
Shadow comperò qualcosa da leggere — "Turkey Hunting", "People" e, per via della foto accattivante di Bigfoot in copertina, anche il "Weekly World News" — e rimase a fissare fuori dalla finestra.
«Posso fare qualcosa?» chiese un nero di mezza età con i baffi bianchi. Sembrava il direttore.
«Grazie, amico, non ho bisogno di niente. Sto aspettando una telefonata dalla mia fidanzata che è rimasta in panne.»
«Sarà la batteria» rispose l’altro. «Si dimenticano tutti che le batterie non durano più di tre o quattro anni. Per fortuna non costano un capitale.»
«Non lo dica a me» rispose Shadow.
«Aspetta pure qui, giovanotto» disse il direttore, e rientrò nel negozio.
La neve aveva trasformato la strada in una di quelle palle di vetro in cui cadono i fiocchi, se le si capovolge, perfetta in ogni dettaglio.
Shadow guardava ammirato. Non riusciva a sentire le conversazioni che si svolgevano dall’altra parte e aveva l’impressione di assistere a un film muto, tutto smorfie e pantomime: il vecchio agente era burbero, onesto, magari un po’ pasticcione, ma pieno di buona volontà. Tutti quelli che gli affidavano i loro soldi se ne andavano un po’ più contenti, dopo averlo incontrato.
E poi una macchina della polizia si fermò davanti alla banca e anche il cuore di Shadow si fermò. Wednesday salutò toccandosi la visiera del berretto e si avvicinò lentamente. Strinse la mano ai poliziotti dal finestrino, poi rovistò nelle tasche in cerca di un biglietto da visita e di una lettera che fece passare sempre dal finestrino. Quindi finì di bere il caffè.
Quando squillò il telefono Shadow alzò il ricevitore e fece del suo meglio per sembrare annoiato. «Al Security Services» disse.
«Posso parlare con A. Haddock?» domandò il poliziotto seduto nella macchina ferma dall’altra parte della strada.
«Sono io» disse Shadow.
«Sì, signor Haddock, siamo della polizia» disse il poliziotto. «Avete un uomo alla First Illinois Bank all’angolo tra Market Street e la Second?»
«Ehm… sì, è esatto. Jimmy O’Gorman. C’è qualche problema, agente? Jim si comporta bene? Non ha bevuto, per caso?»
«Nessun problema. Il vostro uomo è a posto. Volevamo solo controllare che fosse tutto regolare.»
«Dica a Jim che se lo becchiamo un’altra volta a bere è licenziato. Ha capito? Lo sbattiamo per strada. Sotto un ponte. Alla Al la parola d’ordine è tolleranza zero.»
«Non credo di dover essere io a dirgli una cosa simile. Comunque sta facendo un ottimo lavoro. Ci siamo preoccupati perché un servizio di questo genere dovrebbe essere svolto da due agenti, secondo noi. E rischioso lasciare un uomo solo e per di più disarmato con grandi quantità di soldi.»
«Non me ne parli. Anzi, vada a parlarne direttamente con quei taccagni della First Illinois. Perché sono i miei uomini che mando a rischiare il collo. Uomini a posto. Gente come voi.» Shadow cominciava ad appassionarsi al ruolo. Stava diventando Andy Haddock con un sigaro da due soldi nel portacenere e un mucchio di cartacce da smaltire entro sera, una casetta a Schaumburg e l’amante in un appartamentino di Lake Shore Drive. «A proposito, lei mi sembra un agente sveglio, come ha detto che si…»
«Myerson.»
«Agente Myerson. Se le facesse comodo lavorare nei fine settimana, o se per caso lasciasse il corpo di polizia, per qualsiasi motivo, ci faccia una telefonata. Siamo sempre in cerca di uomini a posto. Ha il mio biglietto?»
«Sì.»
«Non lo perda» disse Andy Haddock. «E mi telefoni.»
La macchina della polizia si allontanò e Wednesday ripercorse lentamente il tratto di strada coperto di neve per tornare dalla piccola fila di gente che lo stava aspettando per versare i soldi.
«Tutto a posto?» chiese il direttore del supermercato facendo capolino dalla porta. «La fidanzata, voglio dire?»
«Era proprio la batteria» rispose Shadow. «Adesso devo solo aspettare.»
«Le donne» esclamò l’altro. «Spero che la tua meriti l’attesa.»
Il buio invernale arrivò trasformando piano piano in notte il grigio pomeriggio. Si accesero le luci. Altre persone vennero a consegnare i loro soldi a Wednesday. All’improvviso, come reagendo a un segnale che Shadow non aveva colto, il vecchio agente O’Gorman si avvicinò allo sportello, staccò i cartelli e faticosamente cominciò ad attraversare la strada fangosa diretto verso il parcheggio. Shadow aspettò un momento e poi lo raggiunse.
Wednesday era seduto sul sedile posteriore. Aveva aperto la cassetta di metallo e stava sistemando ordinatamente i mucchietti di denaro.
«Metti in moto» disse. «Andiamo alla First Illinois Bank sulla State Street.»
«Ripetiamo la scena? Non è un po’ troppo sfidare la sorte?»
«Per niente» rispose Wednesday. «Adesso facciamo un versamento.»
Mentre Shadow guidava, l’altro, sul sedile posteriore, eliminava dai sacchi gli assegni e le ricevute delle carte di credito e sfilava i contanti dalle buste, ma non da tutte. Mise il denaro nella cassetta. Shadow si fermò davanti alla banca, a una cinquantina di metri dall’ingresso, ben lontano dalla telecamera. Wednesday scese e infilò le buste dentro la fessura della cassa continua. Poi aprì lo sportello grande e vi infilò anche i sacchetti. Lo richiuse.
Tornò in macchina, questa volta accanto al posto di guida. «Prendiamo la I-90» disse. «Segui le indicazioni per Madison, in direzione ovest.»
Shadow ripartì.
Wednesday si voltò a guardare la banca da cui si stavano allontanando. «Ecco fatto» disse tutto allegro, «questo confonderà le acque. In effetti per fare davvero un bel gruzzolo bisogna piazzarsi davanti allo sportello alle quattro e mezzo di domenica mattina, quando i bar e i locali notturni vanno a depositare gli incassi della notte. Se ti fai trovare davanti alla banca giusta, e incontri gli uomini giusti — cercano di prenderli grandi e grossi ma con l’aria onesta, e qualche volta sono accompagnati da un paio di buttafuori del locale, ma non sono necessariamente furbi — dopo poche ore puoi tornare a casa anche con duecentocinquantamila dollari.»
«Perché non lo fanno tutti, se è così facile?»
«Non è un’attività del tutto priva di rischi» rispose Wednesday, «specialmente alle quattro e mezzo del mattino.»
«Vuoi dire che alle quattro e mezzo i poliziotti sono più sospettosi?»
«Per niente. Però i buttafuori sì. E le cose si possono mettere male.»
Prese una mazzetta di banconote da cinquanta, ne aggiunse un mucchietto più piccolo da venti, le soppesò in mano e poi le passò a Shadow. «Tieni» disse. «Il salario della tua prima settimana di lavoro.»
Shadow infilò i soldi in tasca senza contarli. «Allora è questo che fai per guadagnarti da vivere?»
«Di rado. Solo quando ho bisogno di tirare su un mucchio di soldi in poco tempo. In genere me li faccio dare da gente che non si accorge nemmeno di avermeli dati, che non va a lamentarsi e che quando torno dalle loro parti si rimette quasi sempre in fila per darmene ancora un po’.»
«Quel tipo, Sweeney, ha detto che sei un imbroglione.»
«Aveva ragione. Ma imbrogliare è l’ultima delle mie specialità. E anche l’ultima delle cose che voglio da te, Shadow.»
La neve continuò a scendere illuminata dai fari e spazzata dai tergicristallo, mentre procedevano nella notte. L’effetto era quasi ipnotico.
«Questo è l’unico paese al mondo che si domanda chi è» disse Wednesday.
«In che senso?»
«Tutti gli altri sanno chi sono. Nessuno ha bisogno di andare a cercare il cuore della Norvegia. O l’anima del Mozambico. Sanno chi sono.»
«E poi…»
«Niente, pensavo a voce alta.»
«Sei stato in molti paesi, sembrerebbe.»
Wednesday non parlò. Shadow si girò a dargli un’occhiata. «No» disse infine il vecchio con un sospiro. «No. Non sono mai stato da nessuna parte.»
Si fermarono a fare benzina e Wednesday, ancora vestito da guardia giurata, andò in bagno con la valigia e ne uscì con un abito chiaro e un paio di scarpe marroni sotto un cappotto marrone lungo fino alle ginocchia che sembrava di fattura italiana.
«Quando arriviamo a Madison che cosa succede?»
«Prendi la Highway Fourteen a ovest per Spring Green. Dobbiamo incontrarci con gli altri in un posto che si chiama House on the Rock. Ci sei mai stato?»
«No» rispose Shadow. «Però ho visto i cartelli.»
Le segnalazioni per la House on the Rock erano ovunque, in quella parte del mondo: indicazioni ambigue e misteriose ovunque nell’Illinois e nel Minnesota e nel Wisconsin, probabilmente anche fin nell’Iowa, sospettava Shadow, cartelli che informavano dell’esistenza della casa sulla roccia. Li aveva notati e si era chiesto di cosa si trattasse. Forse la casa era pericolosamente in bilico sulla roccia? Che cos’aveva quella roccia di tanto interessante? E la casa? Ci aveva pensato e poi se n’era dimenticato subito. Visitare le mete turistiche non era nelle sue abitudini.
Lasciarono l’Interstate a Madison, superarono la cupola del palazzo del governo, un’altra scena perfetta per la palla con la neve che cade, e imboccarono la provinciale. Dopo quasi un’ora di attraversamenti di cittadine con nomi come Black Earth, svoltarono in un sentiero fiancheggiato da alcuni enormi vasi di fiori innevati avviluppati nelle spire di draghi che somigliavano a lucertole. Il parcheggio alberato era quasi vuoto.
«Stanno per chiudere» annunciò Wednesday.
«È questo, il famoso posto?» chiese Shadow mentre attraversavano il parco per entrare in un anonimo edificio di legno.
«È una meta turistica» disse Wednesday. «Una delle più belle. Il che significa che è un luogo di potere.»
«Come, prego?»
«Semplice. Negli altri paesi, nel corso del tempo, la gente si è accorta dei luoghi di potere. A volte si tratta di una formazione naturale, altre volte di un posto in qualche modo speciale. Sapevano che lì succedeva qualcosa di importante, che c’era una concentrazione di energia, un canale di comunicazione, una finestra aperta nell’Immanenza. E perciò vi costruivano templi e cattedrali, oppure erigevano cerchi di pietra, oppure… be’, hai capito il concetto.»
«Sì, però l’America è piena di chiese» disse Shadow.
«Ce n’è una in ogni città. O addirittura in ogni quartiere. E nel contesto attuale non rivestono più significato di uno studio dentistico. No, negli Stati Uniti d’America capita ancora che la gente si senta chiamata, perlomeno qualcuno, attirata dal vuoto trascendente, una chiamata a cui rispondono costruendo qualcosa di ispirato alle bottiglie di birra di posti dove non sono mai stati, o erigendo una voliera gigantesca per pipistrelli in una zona del paese dove i pipistrelli non si sono mai visti. Mete turistiche: la gente si sente attirata da luoghi dove in altre zone del mondo verrebbe in contatto con la parte autenticamente trascendente di sé, e invece va lì, si compera un panino col wurstel e fa quattro passi sperimentando un senso di soddisfazione che non riesce a descrivere bene e, a un livello più profondo, un estremo senso di insoddisfazione.»
«Hai delle teorie piuttosto pazzesche» disse Shadow.
«Non c’è niente di teorico in quello che dico, giovanotto» ribatté Wednesday. «Ormai dovresti averlo capito.»
C’era un unico sportello aperto. «Smettiamo di vendere i biglietti tra mezz’ora» disse la ragazza. «La visita dura minimo due ore.»
Wednesday pagò in contanti.
«Dov’è la roccia?» chiese Shadow.
«Sotto la casa» rispose Wednesday.
«Dov’è la casa?»
Wednesday si portò un dito alle labbra e si avviarono. Dentro c’era un pianista che si sforzava di suonare il Bolero di Ravel. Sembrava il pied-à-terre di uno scapolo degli anni Sessanta riconfigurato in maniera geometrica, con pietra a vista, una spessa moquette e lampade di vetro colorato a forma di fungo simpaticamente orrende. In cima a una scala a chiocciola c’era un’altra stanza zeppa di cianfrusaglie.
«Dicono che sia stata costruita dal gemello malvagio di Frank Lloyd Wright» disse Wednesday. «Frank Lloyd Wrong.» E ridacchiò della battuta.
«L’ho visto scritto su una maglietta» disse Shadow.
Su e giù per altre scale e adesso erano finiti in una stanza lunga, molto lunga, tutta di vetro, che si sporgeva a picco sopra la campagna spoglia, bianca e nera. Shadow rimase a osservare i fiocchi di neve che cadevano vorticando.
«È questa, la House on the Rock?» domandò perplesso.
«Più o meno. Questa è la Sala dell’Infinito, che fa parte della casa, anche se si tratta di un’aggiunta tardiva. Comunque no, giovane amico, non ci siamo nemmeno avvicinati alla superficie di ciò che la casa ha da offrire.»
«Secondo la tua teoria» disse Shadow «Disney World sarebbe il luogo più sacro d’America.»
Wednesday aggrottò la fronte e si accarezzò la barba. «Walt Disney ha comperato un aranceto in mezzo alla Florida e ci ha costruito sopra una grande meta turistica. Non c’è niente di magico. Credo che nella Disneyland originale ci fosse qualcosa di vero, una specie di potere, magari perverso, e difficilmente accessibile. Ma in Florida ci sono posti pieni di autentica magia. Basta tenere gli occhi aperti. Ah, in quanto alle ondine di Weeki Wachee… Seguimi da questa parte.»
C’era musica dappertutto: una musica stridula, strana, spesso leggermente stonata. Wednesday infilò una banconota da cinque dollari in un distributore e ne ritirò una manciata di gettoni di metallo giallo ottone. Ne lanciò uno a Shadow che lo prese al volo e, siccome c’era un bambino che lo stava osservando, lo tenne per un istante tra pollice e indice e lo fece sparire. Il bambino corse dalla madre, intenta a studiare una delle innumerevoli raffigurazioni di Santa Claus — OLTRE SEIMILA ESEMPLARI IN MOSTRA! diceva il cartello — e la strattonò con urgenza per l’orlo del cappotto.
Shadow seguì Wednesday fuori per qualche istante, poi presero la direzione per le Strade di Ieri.
«Quarant’anni fa» attaccò Wednesday «Alex Jordan — sul gettone che hai fatto sparire nella mano destra c’è la sua faccia — ha cominciato a costruire una casa su una sporgenza rocciosa in un terreno che non era di sua proprietà, e lui stesso non avrebbe saputo dire perché. E la gente veniva a vederlo costruire: i curiosi e i perplessi, e quelli che non erano né curiosi né perplessi e che in tutta onestà non ti avrebbero saputo dire perché erano venuti. Quindi fece quello che avrebbe fatto qualsiasi ragionevole maschio americano della sua generazione: cominciò a chiedere ai visitatori di pagare un biglietto, non molto, cinque centesimi, forse. O venticinque. Continuò a costruire e la gente continuava a venire a vedere.