Poi affrontò un trucco ancora più inutile: la trasformazione di mezzo dollaro in un penny con una mano sola, usando le due monete da venticinque centesimi che venivano via via mostrate e nascoste: cominciò con una moneta in vista e l’altra nascosta. Avvicinò la mano alla bocca e soffiò eseguendo un palmaggio classico, mentre con pollice e indice prendeva la moneta nascosta e la mostrava. Il trucco consisteva nel mostrare una moneta nella mano, portare la mano alla bocca, soffiarci sopra, abbassare la mano e mostrare di nuovo la stessa moneta.
Continuò a ripetere l’esercizio all’infinito.
Quando si chiese se lo avrebbero ucciso la mano gli tremò, solo un breve tremito, e una delle due monete da venticinque centesimi sfuggì al polpastrello e cadde sul panno verde che ricopriva il tavolino.
E poi, quando ormai non ne poteva più, infilò in tasca le due monete e tirò fuori il dollaro con la Libertà che Polunochnaja Zarja gli aveva dato, lo strinse forte nella mano e restò ad aspettare.
Alle tre di notte, secondo il suo orologio, gli spioni tornarono per interrogarlo. Due uomini vestiti di scuro, con i capelli scuri e le scarpe nere e lucide. Uno aveva la mascella quadrata, le spalle larghe, una gran massa di capelli e tutta l’aria di aver giocato a football alle scuole superiori, e si mangiava le unghie fino all’osso; l’altro aveva un principio di calvizie, portava un paio di occhiali rotondi con la montatura di metallo e aveva le unghie ben curate. Benché non si somigliassero per niente, Shadow sospettò che a qualche livello, cellulare, forse, i due fossero identici. In piedi ai lati del tavolino, gli spioni lo guardarono.
«Da quanto tempo lavora per Cargo, signore?» gli chiese uno di loro.
«Non so nemmeno chi sia» rispose Shadow.
«Si fa chiamare Wednesday. Grimm. Olfather. Vecchio. Siete stati visti insieme.»
«Lavoro per lui da un paio di giorni.»
«Non menta, signore» disse lo spione con gli occhiali.
«Va bene» rispose Shadow. «Non mentirò. Ma restano lo stesso due giorni.»
Lo spione con la mascella quadrata si abbassò e torse un orecchio a Shadow con due dita. Stringeva con indice e pollice, mentre torceva. Il dolore era intenso. «Le abbiamo detto di non raccontarci bugie, signore» disse dolcemente. Poi lasciò la presa.
I due spioni avevano entrambi un rigonfiamento nella giacca, dove portavano la pistola. Shadow non cercò di reagire. Finse di essere di nuovo in carcere. Tieni duro, si disse. Non raccontare niente che non sappiano già. Non fare domande.
«È gente pericolosa, quella con cui va in giro, signore» disse lo spione con gli occhiali. «Se si pente renderà un servizio al paese.» Sorrise amichevole: Sono il poliziotto buono, diceva il sorriso.
«Capisco» rispose Shadow.
«Ma se non ci aiuterà» disse lo spione con la mascella quadrata «vedrà di che cosa siamo capaci, quando ci fanno arrabbiare.» Colpì Shadow con un pugno nello stomaco così violento da togliergli il respiro. Non voleva torturarlo, pensò Shadow, soltanto puntualizzare: Io sono quello cattivo. Ebbe un conato di vomito.
«Mi piacerebbe farvi contenti» disse non appena riuscì di nuovo a parlare.
«Le chiediamo semplicemente di cooperare.»
«Posso sapere…» ansimò Shadow (non fare domande, pensò, ma ormai era troppo tardi, le parole gli erano sfuggite), «posso sapere con chi dovrei cooperare?»
«Vuole sapere come ci chiamiamo?» chiese lo spione con la mascella quadrata. «Dev’essere matto.»
«No, ha ragione» disse quello con gli occhiali. «Forse gli riuscirebbe più facile entrare in rapporto con noi.» Guardò Shadow e gli sorrise come l’attore di una pubblicità di un dentifricio. «Piacere. Io sono il signor Stone, signore. Il mio collega si chiama Wood.»
«In realtà, volevo sapere se siete della Cia o dell’Fbi.»
Stone scrollò la testa. «Cavoli. Non è più facile come una volta. Le cose non sono più così lineari.»
«Settore privato» intervenne Wood «e settore pubblico. Sa com’è, di questi tempi interagiscono.»
«Comunque le posso assicurare» disse Stone con un altro dei suoi sorrisi tutti denti «che noi siamo dalla parte giusta. Ha forse fame, signore?» Da una tasca della giacca tirò fuori una merendina Snicker. «Tenga. Gliela regalo.»
«Grazie» disse Shadow. Tolse l’involucro alla barretta e la mangiò.
«Le piacerebbe bere qualcosa? Un caffè? Una birra?»
«Acqua, per favore.»
Storie si avvicinò alla porta e bussò. Disse qualcosa alla guardia dall’altra parte che annuì e tornò dopo un momento con un bicchiere di plastica pieno d’acqua fredda.
«Cia» disse Wood. Poi scosse la testa con aria afflitta. «Quegli ubriaconi. Ehi, Stone, ho sentito una barzelletta. Allora, come facciamo a essere sicuri che la Cia non fosse coinvolta nell’assassinio di Kennedy?»
«Non so» rispose Stone. «Come facciamo?»
«È morto, no?» disse Wood.
Risero tutti e due.
«Si sente meglio, adesso?» chiese Stone.
«Mi pare di sì.»
«Allora perché non ci racconta quello che è successo stasera?»
«Abbiamo fatto i turisti. Siamo andati alla House on the Rock. Poi al ristorante. Il resto lo sapete.»
Stone fece un grosso sospiro. Wood scosse la testa come se fosse deluso e sferrò un calcio a Shadow sulla rotula. Il dolore era atroce. Poi gli appoggiò lentamente un pugno nella schiena, proprio sopra il rene destro, e spinse con le nocche, forte, e il dolore fu molto peggio di quello al ginocchio.
Sono più grosso di loro, pensò. Potrei farcela. Però loro erano armati; e anche se fosse riuscito — chissà come — a ucciderli o a immobilizzarli, sarebbe pur sempre rimasto chiuso con loro nella cella. Però avrei una pistola. Anzi due. (No.)
Wood non lo colpiva mai in faccia. Non volevano lasciare segni. Nessun danno permanente: solo pugni e calci sul tronco e le ginocchia. Faceva male, e Shadow strinse più forte il dollaro della Libertà nella mano e aspettò che il pestaggio finisse.
E dopo molto tempo finì.
«Ci vediamo tra un paio d’ore, signore» disse Stone. «Lo sa che a Woody dispiace veramente dover fare queste cose? Noi siamo persone ragionevoli. Come ho detto, stiamo dalla parte giusta. È lei che è dalla parte sbagliata. Nel frattempo perché non prova a dormire un po’?»
«Farà meglio a parlare sul serio» disse Wood.
«Woody ha ragione» disse Stone. «Ci pensi su.»
La porta si chiuse alle loro spalle con un tonfo. Shadow si chiese se avrebbero spento la luce, ma non la spensero e la lampadina rimase a illuminare la stanza come un occhio abbagliante. Strisciò fino alla gommapiuma gialla e si sdraiò coprendosi con la copertina sottile, chiuse gli occhi aggrappandosi al nulla, aggrappandosi ai sogni.
Il tempo passò.
Aveva quindici anni, e sua madre stava morendo, e cercava di dirgli qualcosa di molto importante che lui non riusciva a capire. Nel sonno si agitò e una fitta di dolore lo portò dallo stato di sonno inquieto a quello di veglia inquieta e trasalì.
Rabbrividiva, sotto la copertina. Con il braccio destro si coprì gli occhi per ripararsi dalla luce. Si domandò se Wednesday e gli altri fossero ancora liberi, se fossero ancora vivi. Si augurava di sì.
Il dollaro d’argento restava freddo nella sua mano sinistra. Ne sentiva la presenza, come l’aveva sentita durante il pestaggio. Si chiese come mai non si riscaldasse a contatto con il corpo. Poiché era mezzo addormentato, adesso, e un po’ delirante, il dollaro, l’idea della libertà, la luna e Polunochnaja Zarja in qualche modo si mescolarono trasformandosi in un raggio tessuto di luce argentea che brillava dalle profondità della terra alla volta celeste e lui vi si arrampicò cominciando ad allontanarsi dal dolore e dall’infelicità e dalla paura, via dal dolore e di nuovo dentro il sogno benedetto…
Da lontano gli giungeva una specie di rumore, ma era troppo tardi per pensarci: ormai apparteneva al sonno.
Un pensiero a metà: sperava che non stessero venendo a svegliarlo, a picchiarlo o a gridargli nelle orecchie. E poi, notò con piacere, stava davvero dormendo e non aveva più freddo.
Qualcuno nel suo sogno oppure fuori stava chiedendo aiuto a gran voce.
Dormendo rotolò sul materassino e nel muoversi si accorse di altri punti dolenti del corpo.
Lo stavano scrollando per una spalla.
Avrebbe voluto chiedere di non essere svegliato, che lo lasciassero dormire in pace, ma tutto quello che gli uscì di bocca fu un grugnito.
«Cucciolo?» chiamò Laura. «Ti devi svegliare. Ti prego, svegliati, caro.»
Fu un momento di leggero sollievo. Aveva fatto un sogno così strano, con la prigione e i detenuti e gli dèi male in arnese e adesso Laura lo stava svegliando per dirgli che era ora di andare a lavorare, e forse prima di uscire ci sarebbe stato tempo per una tazza di caffè e un bacio, o magari qualcosa di più di un bacio, e allungò una mano per toccarla.
Era fredda come il ghiaccio e la sua pelle era appiccicosa.
Aprì gli occhi.
«Da dove viene tutto questo sangue?» chiese.
«È di altra gente» rispose lei. «Non è mio. Io sono piena di formaldeide mista a glicerina e lanolina.»
«Quale altra gente?»
«Le guardie. E tutto a posto. Li ho ammazzati. Ma è meglio sbrigarsi. Credo di non aver lasciato a nessuno il tempo di dare l’allarme. Prendi un cappotto, altrimenti ti si congela il sedere.»
«Li hai ammazzati?»
Laura scrollò le spalle e fece un mezzo sorriso impacciato. Sembrava che avesse dipinto con le dita un’opera interamente rossa; aveva macchie rosse sul viso e sui vestiti (lo stesso tailleur blu con cui era stata sepolta) e a Shadow fece venire in mente Jackson Pollock, perché era meno problematico pensare a Pollock che accettare l’alternativa.
«Da morti, uccidere diventa più facile» gli spiegò. «Non è poi tutta questa tragedia, voglio dire. Non si hanno più tanti pregiudizi.»
«Per me è ancora una tragedia» disse Shadow.
«Vuoi stare qui ad aspettare che arrivino quelli del turno di giorno?» gli chiese lei. «Puoi farlo, se vuoi. Credevo che volessi scappare.»
«Penseranno che sia stato io» disse lui, stupidamente.
«Può darsi. Adesso mettiti un cappotto, caro. Altrimenti gelerai.»
Shadow imboccò il corridoio e in fondo vide una stanza. Dentro c’erano quattro cadaveri: tre guardie e l’uomo che aveva detto di chiamarsi Stone. Il suo amico Wood non era nei paraggi. Dalle strisce di sangue sul pavimento due uomini erano stati trascinati nella stanza e lasciati cadere per terra.
All’attaccapanni era appeso anche il suo cappotto. Il portafogli era ancora nella tasca interna, apparentemente intatto. Laura aprì un paio di scatole piene di merendine.
Le guardie, adesso Shadow riusciva a vederle bene, indossavano tute mimetiche scure ma prive di targhette ufficiali, niente che rivelasse per chi lavoravano. Avrebbero perfino potuto essere cacciatori di anatre, vestiti per la battuta domenicale.
Laura tese una mano gelida e strinse quella di Shadow. Portava intorno al collo la moneta d’oro che lui le aveva regalato, infilata in una catenina.
«Ti sta bene» le disse.
«Grazie.» Laura sorrise con garbo.
«Che ne è stato degli altri, Wednesday, e tutti quanti? Dove sono?» Laura gli porse una manciata di merendine e lui se ne riempì le tasche.
«Qui non c’era nessun altro. Un mucchio di celle vuote e una con dentro te. Oh, e uno degli uomini era andato a farsi una sega in una cella là in fondo portandosi una rivista. Gli è preso un colpo.»
«Lo hai ammazzato mentre si stava masturbando?»
Laura scrollò le spalle. «Credo di sì» disse, a disagio. «Avevo paura che ti facessero del male. Qualcuno ti deve pur proteggere, e ti avevo detto che lo avrei fatto io, giusto? Tieni, prendi questi.» Erano scaldini chimici: cuscinetti sottili, rompevi il sigillo e si riscaldavano e restavano caldi per ore. Shadow infilò in tasca anche quelli.
«Proteggermi? Sì» disse, «lo hai fatto.»
Lei lo accarezzò con un dito sul sopracciglio sinistro. «Sei ferito.»
«Niente di grave.»
Aprì una porta di metallo. Il battente si mosse lentamente. C’era un salto di più di un metro fino a terra e Shadow cadde su una superficie che sembrava ghiaiosa. Afferrò Laura alla vita, la fece volteggiare come faceva un tempo, con facilità, senza riflettere…
La luna spuntò dietro una nuvola densa. Era bassa all’orizzonte, pronta a sorgere, ma la luce che gettava sulla neve era sufficiente per vedere.
Erano saltati giù dalla carrozza dipinta di nero di un lungo treno merci parcheggiato o abbandonato su un binario di raccordo in un terreno boscoso. Le carrozze si perdevano a vista d’occhio in mezzo agli alberi. Lo avevano imprigionato in un treno. Ci sarebbe dovuto arrivare prima.
«Come diavolo hai fatto a trovarmi?» chiese alla sua defunta moglie.
Laura scosse la testa divertita. «Brilli come una stella nell’oscurità. Non è stato difficile. Adesso vai. Va’ il più lontano e il più in fretta possibile. Se non usi le carte di credito andrà tutto bene.»
«E dove dovrei andare?»
Lei si passò una mano tra i capelli sporchi di sangue, per allontanarli dagli occhi. «La strada è da quella parte» disse. «Fai del tuo meglio. Ruba una macchina, se è necessario. Vai verso sud.»
«Laura» cominciò Shadow, poi ebbe un attimo di esitazione prima di riprendere. «Ma tu sai che cosa sta succedendo? Sai chi è questa gente? Sai chi hai ucciso?»
«Sì. Credo di saperlo.»
«Ti devo la vita» disse lui. «Se non fossi venuta tu sarei ancora lì dentro. E non penso che avessero in serbo qualcosa di buono, per me.»
«No. Non credo proprio.»
Si allontanarono dai vagoni vuoti e Shadow pensò a tutti i treni che aveva visto passare, altri vagoni di metallo senza finestre che correvano solitari nella notte, preceduti, chilometro dopo chilometro, dal grido della sirena. Strinse il dollaro della Libertà che teneva in tasca e ripensò a Polunochnaja Zarja, al modo in cui lo aveva guardato, al chiaro di luna. Le hai chiesto che cosa voleva? È la cosa più saggia da chiedere ai morti. A volte te lo dicono.
«Laura… Che cosa vuoi?» chiese.
«Davvero lo vuoi sapere?»
«Sì. Ti prego.»
Lei lo guardò con i suoi occhi azzurri e morti. «Voglio tornare a vivere» disse. «Non voglio questa mezza vita. Voglio essere viva per davvero. Voglio sentire il cuore che mi batte nel petto, il sangue che mi scorre nelle vene, caldo, salato e reale. È strano, uno non crede di sentirlo scorrere, il sangue, ma quando smette te ne accorgi.» Si strofinò gli occhi imbrattandosi la faccia con le mani sporche di sangue. «Credimi, è dura. Sai perché i morti escono soltanto di notte, cucciolo? Perché è più facile spacciarsi per vivi, al buio. E io non voglio dovermi spacciare. Voglio essere viva per davvero.»
«Non capisco che cosa vuoi da me.»
«Fallo succedere, caro. Trova il modo. So che ce la farai.»
«Va bene. Ci proverò. E se trovassi il modo come farò a trovare te?»
Ma Laura se n’era andata e nel bosco era rimasto soltanto il grigio chiarore del cielo a indicargli dov’era l’oriente e, portato dal pungente vento dicembrino, un lamento solitario che forse era il grido dell’ultimo uccello notturno o il richiamo del primo uccello dell’alba.
Shadow si voltò con la faccia verso sud e cominciò a camminare.