American Gods - Neil Gaiman 40 стр.


Pensò a quello che era appena successo. Era stato come guardare dentro la mente di un altro da una finestra. E poi ripensò. Il signor World: ero io che trovavo familiare la sua voce. Quello era un pensiero mio, non di Town. Perciò sembrava strano. Provò a identificare la voce, a metterla nella categoria alla quale apparteneva, ma continuava a sfuggirgli.

Mi verrà in mente, pensò. Prima o poi mi verrà in mente.

Le luci verdi diventarono azzurre, poi rosse, sbiadirono in un pallido porpora e il ragno si afflosciò sulle zampe metalliche. Wednesday, solitaria figura sotto le stelle, riprese a caminare con il suo cappello a tesa larga, il logoro mantello scuro agitato dal vento di quel non luogo, appoggiando il bastone sulla roccia cristallina.

Quando il ragno metallico fu solo un bagliore lontano nella notte stellata, molto distante nella pianura, Wednesday disse: «Adesso possiamo parlare».

«Dove siamo?»

«Dietro le quinte.»

«Come?»

«Pensa alle quinte di un teatro e immagina di esserci dietro. Ho appena tirato fuori noi due dalla platea e stiamo camminando nella parte posteriore del palcoscenico. È una scorciatoia.»

«Quando ho toccato l’osso sono entrato nella mente di un tale che si chiama Town. È uno spione anche lui. Ci odia.»

«Sì.»

«Ha un capo che si chiama World. Mi ricorda qualcuno, ma non so chi. Guardavo nella mente di Town, o forse c’ero dentro. Non so bene.»

«Sanno dove stiamo andando?»

«Credo che abbiano deciso di sospendere la caccia, per il momento. Non volevano seguirci alla riserva. Stiamo andando in una riserva?»

«Può darsi.» Wednesday si appoggiò un istante al bastone, poi riprese a camminare.

«Che cos’era quella specie di ragno?»

«Una manifestazione diagrammatica. Un motore di ricerca.»

«Sono pericolosi?»

«Si arriva alla mia età solo aspettandosi il peggio.»

Shadow sorrise. «E quale sarebbe l’età?»

«Quella della mia lingua» rispose l’altro. «Poco più vecchia di quella dei miei denti.»

«Tieni le carte così nascoste» disse Shadow «da farmi dubitare della loro esistenza.»

Wednesday si limitò a un grugnito.

Ogni collina era più ripida della precedente.

Shadow cominciava ad avere mal di testa. C’era una pulsazione nella luce stellare, qualcosa che risuonava all’unisono con il battito nelle tempie e nel petto. In fondo all’altura successiva incespicò, aprì la bocca per dire qualcosa e senza preavviso vomitò.

Wednesday prese una fiaschetta dalla tasca. «Bevine un sorso» disse. «Un sorso solo.»

Il liquido era aspro ed evaporò come un buon brandy, anche se non sembrava alcolico. Wednesday si riprese subito la fiaschetta e la infilò nella tasca. «Al pubblico non fa bene camminare dietro le quinte. È per questo che ti senti così. Dobbiamo uscire in fretta.»

Accelerarono il passo, Wednesday arrancava spedito, Shadow incespicando di tanto in tanto ma più in forma, dopo la bevanda che gli aveva lasciato in bocca un gusto di scorza d’arancia, olio di rosmarino, menta e chiodi di garofano.

L’altro lo afferrò per un braccio. «Là» disse indicando due identici monticelli di roccia cristallina alla loro sinistra. «Cammina tra quei monticelli. Restami accanto.»

Camminarono, e Shadow fu colpito sulla faccia contemporaneamente dall’aria fredda e dalla luce del giorno.

Erano fermi a metà salita di una dolce collina. La foschia era scomparsa rivelando un giorno freddo e assolato, con il cielo di un azzurro perfetto. A fondovalle si vedeva una strada sterrata su cui procedeva una station wagon rossa che sembrava un’automobilina giocattolo, a quella distanza. Da una roulotte usciva del fumo. Era come se qualcuno, una trentina d’anni prima, l’avesse fatta ruzzolare sul pendio collinare. La roulotte aveva subito riparazioni di ogni tipo e, in alcuni punti, era anche rattoppata.

La porta si spalancò non appena si avvicinarono, e un uomo di mezza età con uno sguardo penetrante e una bocca che sembrava una ferita da coltello li guardò dall’alto in basso dicendo: «Ehi, avevo sentito che due bianchi mi stavano venendo a trovare. Due bianchi in un Winnebago. E ho saputo che si sono persi, come succede sempre ai bianchi, se non piazzano indicazioni dappertutto. Ecco qui due poveri diavoli alla mia porta. Lo sapete che siete in terra lakota?». L’uomo aveva i capelli lunghi e grigi.

«Da quando in qua sei un lakota, vecchio imbroglione?» disse Wednesday. Adesso indossava una giacca e un berretto con i paraorecchi, e a Shadow cominciava già a sembrare impossibile che fino a pochi minuti prima, sotto le stelle, portasse un cappello a tesa larga e un logoro mantello. «Allora, Whiskey Jack? Io sto morendo di fame e il mio amico qui ha appena vomitato la colazione. Ci fai entrare?»

Whiskey Jack si grattò un’ascella. Era vestito con un paio di jeans e una maglietta grigia come i suoi capelli. Ai piedi calzava dei mocassini e non sembrava rendersi conto del freddo. Poi disse: «Mi piace questo posto. Venite dentro, uomini bianchi che hanno perso il loro Winnebago».

Dentro la roulotte c’era molto fumo e, seduto al tavolo, un altro uomo, con un paio di calzoni di pelle scamosciata e i piedi scalzi. La sua pelle aveva il colore della corteccia.

Wednesday sorrideva felice. «Bene» disse, «ma guarda che caso. Whiskey Jack e Apple Johnny. Due piccioni con una fava.»

L’uomo seduto, Apple Johnny, lo guardò fisso, poi si portò una mano sui genitali e disse: «Ti sbagli un’altra volta. Sono appena arrivato e la mia fava è al suo posto.» Poi guardò Shadow e alzò la mano mostrando il palmo. «Sono John Chapman. Non credere a niente di quello che dice il tuo capo sul mio conto. È uno stronzo. È sempre stato stronzo e sempre lo sarà. Certa gente nasce così, non ci si può fare niente.»

«Sono Mike Ainsel» disse Shadow.

Chapman si grattò il mento ispido. «Ainsel» ripeté. «Non è un nome. Ma in certi casi può funzionare. Come ti chiamano?»

«Shadow.»

«Ti chiamerò Shadow, allora. Ehi, Whiskey Jack» gridò, però non disse proprio così, ci mise molte più sillabe. «Si mangia?»

Whiskey Jack usò un cucchiaio di legno per sollevare il coperchio di una pentola di ferro nero che borbottava sulla cucina economica. «È pronto.»

Prese quattro scodelle di plastica e le riempì, poi le mise sul tavolo. Aprì la porta, uscì nella neve e da un cumulo prese una tanica di plastica da cinque litri. La portò dentro e ne versò il liquido, di colore giallo-marrone torbido, in quattro grossi bicchieri che sistemò accanto alle scodelle. Infine trovò quattro cucchiai e sedette con gli altri al tavolo.

Wednesday alzò il bicchiere con aria sospettosa. «Sembra piscio» disse.

«Bevi ancora quella roba?» gli chiese Whiskey Jack. «Voi bianchi siete matti. Questo è molto meglio.» Poi, rivolgendosi a Shadow: «Lo stufato è soprattutto di tacchino selvatico. John ha portato il brandy di mele».

«È un sidro leggero» spiegò John Chapman. «Non mi sono mai piaciuti i liquori forti. Fanno diventare matti.»

Lo stufato era delizioso, e il sidro squisito. Shadow si costrinse a mangiare lentamente, a masticare, anziché ingoiare tutto subito, ma aveva più fame di quanto sospettasse. Si servì una seconda porzione di tacchino e un secondo bicchiere di sidro.

«Corre voce che sei andato in giro a parlare con tutti, e che hai proposto di tutto. Che vuoi portare i vecchi sul sentiero di guerra» disse John Chapman. Shadow e Whiskey Jack stavano lavando i piatti e mettendo lo stufato avanzato in un contenitore. Poi Whiskey Jack sistemò le scodelle in un cumulo di neve davanti alla porta con una cassetta del latte sopra per riconoscerlo.

«Mi sembra una sintesi equa e assennata» rispose Wednesday.

«Vinceranno loro» disse Whiskey Jack senza mezzi termini. «Hanno già vinto. Tu hai già perso. Come l’uomo bianco e la mia gente. Hanno vinto quasi sempre i bianchi. E quando perdevano firmavano un trattato. Poi lo rompevano. Così vìncevano di nuovo. Io non combatto per un’altra causa persa.»

«È inutile che guardi me» disse John Chapman, «perché anche se combattessi per te — cosa che non farei mai — non potrei esserti di nessun aiuto. Quei luridi bastardi mi hanno spremuto tutto quello che c’era da spremere.» Si interruppe. Poi riprese: «Paul Bunyan». Scosse lentamente la testa e lo ripeté. «Paul Bunyan.» Shadow non aveva mai sentito nessuno pronunciare un nome in modo così minaccioso.

«Paul Bunyan?» chiese. «Che cosa ha fatto?»

«Ha occupato spazio mentale» rispose Whiskey Jack. Si fece dare una sigaretta da Wednesday, fumarono insieme.

«E come quei cretini che pensano che i colibrì si preoccupino della linea o dei denti cariati o scemenze del genere, o forse vogliono soltanto risparmiare ai colibrì i danni dello zucchero» spiegò Wednesday «e riempiono i beccatoi di schifoso dolcificante. Gli uccelli vengono, se lo mangiano e muoiono, perché si rimpinzano di cibo che non contiene calorie ma li sazia. Questo è Paul Bunyan. Nessuno ha mai raccontato le sue storie. Nessuno ci ha mai creduto. È saltato fuori da un’agenzia di pubblicità di New York nel 1910 e ha riempito la mitica pancia della nazione di calorie inutili.»

«A me piace Paul Bunyan» disse Whiskey Jack. «Sono andato sulla sua giostra al Mall of America, qualche anno fa. Quando precipiti giù vedi il vecchio Paul in cima. Splash! A me sta bene. Non mi dà fastidio che non sia mai esistito, vuol dire che non ha mai tagliato un albero. E non li ha nemmeno piantati. Che è molto meglio.»

«Hai detto giusto» disse Johnny Chapman.

Wednesday soffiò un anello di fumo che rimase sospeso nell’aria e si dissipò lentamente in riccioli e volute. «Maledizione, Whiskey Jack; il punto non è questo e lo sai.»

«Io non ti aiuterò» gli rispose l’altro. «Quando ti ritroverai con il culo per terra potrai tornare qua, e se ci sarò ti darò ancora da mangiare. Il cibo migliore lo trovi in autunno.»

«Tutte le alternative sono peggiori» disse Wednesday.

«Non hai nessuna idea delle alternative» ribatté Whiskey Jack. Poi guardò Shadow: «Tu sei a caccia» disse. La sigaretta gli aveva arrochito la voce.

«Lavoro» rispose Shadow.

Whiskey Jack scosse la testa. «Sei anche a caccia di qualcosa. Hai un debito in sospeso.»

Shadow pensò alle labbra violacee di Laura, alle sue mani coperte di sangue. Annuì.

«Sta’ a sentire; prima c’era la Volpe, e il Lupo era suo fratello. La Volpe disse: gli uomini vivranno qui per sempre. Se moriranno non resteranno morti a lungo. Il Lupo disse: no, la gente morirà, deve morire, tutte le cose che sono vive devono morire, altrimenti si diffonderanno e invaderanno la terra, mangeranno tutti i salmoni e i caribù e i bufali, mangeranno tutte le zucche e tutto il granturco. Allora un giorno il Lupo morì, e disse alla Volpe: "Svelta, riportami in vita". E la Volpe rispose: "No, i morti devono rimanere morti, mi hai convinto". E piangeva, mentre lo diceva. Ma l’aveva detto, era deciso. Adesso il Lupo regna sul mondo dei morti e la Volpe vive per sempre sotto il sole e la luna, e ancora piange suo fratello.»

«Se non ci stai, non ci stai. Noi però ce ne andiamo» disse Wednesday.

Whiskey Jack era impassibile. «Sto parlando con questo giovanotto. Per te non posso fare niente. Per lui sì.» Si rivolse a Shadow: «Parlami dei tuoi sogni».

«Mi stavo arrampicando su una torre di teschi. C’erano degli uccelli enormi che volavano intorno alla torre. Nelle ali avevano lampi. Mi hanno attaccato. La torre è caduta.»

«Tutti sognano» disse Wednesday. «Ci rimettiamo in strada?»

«Non tutti sognano il Wakinyau, l’uccello del tuono» disse Whiskey Jack. «Ne abbiamo sentito l’eco fin qui.»

«Te l’avevo detto» disse Wednesday. «Cazzo.»

«In West Virginia ce n’è un gruppo» riprese Chapman in tono pigro. «Almeno un paio di femmine e un vecchio maschio. Nella terra che chiamavano lo Stato di Franklin ce n’è una coppia da riproduzione, ma il vecchio Ben non è mai arrivato nel suo stato, tra il Kentucky e il Tennessee. Certo non sono mai stati tanti, nemmeno ai bei tempi.»

Whiskey Jack tese una mano che aveva il colore dell’argilla scura e toccò con delicatezza Shadow sulla faccia. «Ehi, è vero. Se dai la caccia all’uccello del tuono puoi riportare in vita la tua donna. Ma lei appartiene al Lupo, al regno dei morti, non deve più calpestare la terra.»

«Come fai a saperlo?» domandò Shadow.

Whiskey Jack non mosse le labbra. «Cosa ti ha detto il bufalo?»

«Di credere.»

«Un buon consiglio. Pensi di seguirlo?»

«Più o meno. Sì.» Stavano parlando senza pronunciare parole, senza l’ausilio della bocca, del suono. Shadow si chiese se per i due uomini presenti nella roulotte loro fossero rimasti immobili per un secondo o una frazione di secondo.

«Quando avrai trovato la tua tribù torna a trovarmi» disse Whiskey Jack. «Ti posso aiutare.»

«Lo farò.»

Whiskey Jack abbassò la mano. Poi si rivolse a Wednesday. «Vuoi andare a riprenderti il tuo Ho Chunk?»

«E cos’è?»

«Ho Chunk. È così che i Winnebago si riferiscono a se stessi.»

L’altro fece di no con la testa. «Troppo rischioso. Recuperarlo potrebbe rivelarsi problematico. Lo staranno cercando.»

«È rubato?»

Wednesday fece un’aria offesa. «Nemmeno per sogno. I documenti sono nello scomparto del cruscotto.»

«E le chiavi?»

«Ce le ho io» disse Shadow.

«Mio nipote, Harry Bluejay, ha una Buick dell’81. Perché non mi date le chiavi del camper? Potete prendervi la sua macchina.»

Wednesday arruffò il pelo. «Che razza di affare sarebbe?»

Whiskey Jack scrollò le spalle. «Ti rendi conto di come sarà difficile riprendere il camper dal punto in cui l’avete abbandonato? Ti sto facendo un favore. Prendere o lasciare. A me non interessa.» Chiuse la bocca sottile come una ferita di coltello.

Wednesday aveva un’aria arrabbiata, poi la rabbia si stemperò in rammarico. «Shadow, dagli le chiavi del Winnebago» ordinò. Shadow obbedì.

«Johnny» disse Whiskey Jack, «puoi portare questi uomini da Harry Bluejay? Digli da parte mia che deve dargli la macchina.»

«Volentieri» rispose John Chapman.

Si alzò, prese un piccolo sacco di tela appoggiato accanto alla porta e uscì. Shadow e Wednesday lo seguirono. Whiskey Jack rimase sulla soglia. «Ehi» disse a Wednesday, «tu non tornare. Non sei il benvenuto.»

L’altro alzò il dito medio verso il cielo e in tono affabile rispose: «Fottiti».

Scesero a valle nella neve, aprendosi un varco dov’era più alta. Chapman li precedeva a piedi nudi, rossi sulla crosta di neve dura. «Non hai freddo?» gli chiese Shadow.

«Mia moglie era choctaw».

«E ti ha insegnato dei sistemi magici per non sentire il freddo?»

«No, credeva che fossi matto. Diceva sempre: "Ma perché non ti infili gli stivali, Johnny?".» Il pendio divenne più ripido e dovettero smettere di parlare. Incespicavano e scivolavano, si afferravano ai tronchi delle betulle per non cadere. Quando il terreno diventò un po’ più piano Chapman riprese: «Adesso è morta, ovviamente. Quando è morta credo di essere andato un po’ fuori di testa. Può succedere a tutti. Può succedere anche a te». Gli batté una pacca sul braccio. «Per Gesù e Giosafat, sei grande e grosso.»

«Così dicono» rispose Shadow.

Camminarono lungo quella ripida discesa per circa mezz’ora e quando arrivarono a fondovalle imboccarono la strada sterrata diretti al gruppo di case che avevano già visto dall’alto.

Un’automobile rallentò, si fermò. La donna al volante abbassò il finestrino e disse: «Avete bisogno di un passaggio, voi tre ubriaconi?».

«Molto cortese da parte sua, signora» rispose Wednesday. «Stiamo cercando un certo Harry Bluejay.»

«Sarà alla sala giochi» rispose lei. Shadow pensò che fosse sulla quarantina. «Salite.»

Salirono tutti: Wednesday accanto al posto di guida, Shadow e John Chapman sul sedile posteriore. Le gambe di Shadow erano troppo lunghe per lo spazio tra i due sedili, ma cercò di sistemarsi alla meglio. L’auto ripartì e procedette sobbalzando sul fondo stradale sconnesso.

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