Sutty tornò indietro, dirigendosi verso uno dei negozi che aveva visto prima nella parte alta della città. Se aveva compreso bene le scritte attorno alla porta, quel negozio vendeva lozioni, unguenti, aromi e fertilizzante. Comprando una crema per le mani, magari avrebbe avuto il tempo di leggere alcune delle scritte che coprivano ogni muro dal pavimento al soffitto, tutte nei vecchi caratteri illegali. Sulla facciata del negozio, le scritte erano state imbiancate e cancellate con nuove scritte nell’alfabeto moderno, ma queste ultime erano ormai abbastanza sbiadite da permettere di distinguere alcune delle parole nascoste sotto. Era là che Sutty aveva scorto "aromi e fertilizzante". Probabilmente profumi e… cosa? Fecondità? Medicine contro la sterilità, forse? Entrò.
Fu subito sommersa dagli aromi… forti, dolci, penetranti, strani. Un ambiente fioco e acre. Sutty ebbe la singolare sensazione che i pittogrammi e gli ideogrammi dalle forme nere e blu scuro che coprivano le pareti stessero muovendosi, non a scatti come caratteri intravisti di sfuggita, ma in modo uniforme, regolare, espandendosi e contraendosi adagio, come se stessero respirando.
La stanza era alta, illuminata dalle solite finestrelle appena sotto il soffitto, e rivestita di armadietti pieni di cassettini. Quando i suoi occhi si abituarono alla penombra, vide un vecchio esile in piedi dietro un banco sulla sinistra. Dietro la testa del vecchio, due caratteri spiccavano nitidi sulla parete. Sutty li Lesse d’impulso, alcuni dei loro vari significati le vennero in mente quasi subito: eminente / cima / cappello di feltro / guardare giù / balzare su… e poi: due / dualità / lati / lombi / unire / separare.
«Yoz e deyberienduin, posso esserti utile?»
Lei chiese se avesse un unguento o una lozione per la pelle secca. Il proprietario annuì affabile e cominciò a rovistare nei mille cassettini con un’aria di tranquilla sicurezza, certo di trovare alla fine ciò che cercava, esattamente come Iziezi coi cassettini della scrivania.
Mentre si svolgeva la ricerca, Sutty ebbe il tempo di leggere le pareti, ma la sconcertante illusione di movimento continuò, e lei non riuscì a capire granché delle scritte. A quanto pareva, non si trattava di scritte pubblicitarie, come aveva immaginato, bensì di ricette, o formule magiche, o citazioni. Si parlava molto di rami e di radici. C’era un carattere che Sutty conosceva come "sangue", ma scritto con un qualificativo elementare diverso, che avrebbe potuto mutare il significato in "linfa" o "succo". C’erano formule come "il cinque dal tre, il tre dal cinque". Alchimia? Medicina, ricette, incantesimi? Sutty sapeva solo che erano vecchie parole, vecchi significati, che per la prima volta stava leggendo il passato di Aka. E non aveva alcun senso.
A giudicare dall’espressione, il proprietario aveva trovato un cassetto di suo gradimento. Guardò all’interno per un po’ con aria soddisfatta, prima di estrarre un vaso di terracotta opaco e posarlo sul banco. Poi ricominciò a cercare pacifico tra le file di cassetti privi di qualsiasi etichetta finché non ne trovò un altro che riscuoteva la sua approvazione. Lo aprì e guardò dentro, e poco dopo tirò fuori una scatola di carta clorata. La prese e sparì in una stanza interna. Alcuni istanti più tardi tornò con la scatola, un vasetto smaltato e un cucchiaio. Posò tutti gli oggetti sul banco, in fila. Con il cucchiaio, prese qualcosa dal vaso opaco e lo mise nel vasetto smaltato, pulì il cucchiaio con un panno rosso che teneva sotto il banco, versò nel vasetto smaltato due cucchiai di una fine polvere bianca simile a talco presa dalla scatola dorata, e cominciò a mescolare la miscela con la stessa pazienza infinita. «Renderà ben liscia la corteccia» disse sottovoce.
«La corteccia» ripeté Sutty.
Il vecchio sorrise e, posando il cucchiaio, si passò una mano sul dorso dell’altra.
«Il corpo è come un albero?»
«Ah» disse il vecchio, esattamente come Akidan aveva detto "Ah". Era un suono di assenso, ma con riserva. Era un sì, ma non proprio sì. Oppure, sì, ma non usiamo quella parola. O ancora, sì, ma non occorre parlarne. Un sì con una scappatoia.
«Nella nuvola scura che scende dal cielo… il forcuto… il biforcuto…?» disse Sutty, provando a leggere un’iscrizione sbiadita ma scritta in modo magnifico nella parte superiore della parete.
Il vecchio batté forte una mano sul banco e portò l’altra alla bocca.
Sutty sussultò.
Si fissarono. Il vecchio abbassò la mano. Sembrava tranquillo, nonostante la reazione sorprendente. Forse stava sorridendo. «Non a voce alta, yoz» mormorò.
Sutty continuò a fissare per un attimo, poi chiuse la bocca.
«Sono solo vecchie decorazioni» disse il proprietario. «Tappezzeria antiquata. Linee e punti senza senso. Da queste parti vive gente antiquata, che lascia in giro queste decorazioni sorpassate invece di pulire i muri, dipingendoli, perché siano bianchi e silenziosi. Il silenzio è una nevicata. Ora, yoz e onorevole cliente, questo unguento permette alla pelle di respirare un poco. Vuoi provarlo?»
Sutty mise un dito nel vasetto e spalmò una piccola quantità di crema chiara sulle mani. «Oh, che sollievo! E che odore gradevole! Come si chiama?»
«Il profumo è l’erba chiamata immimi, l’unguento è un mio segreto, e il prezzo è zero.»
Sutty aveva preso il vasetto e lo stava ammirando; era sicuramente un oggetto antico, vetro massiccio smaltato, con un coperchio elegante, un gioiellino. «Oh, no, no, no» disse, ma il vecchio alzò le mani giunte come aveva fatto Iziezi e piegò il capo con tale dignità che era impossibile insistere. Sutty imitò il suo gesto. Poi gli sorrise e disse: «Perché?».
«… l’albero-lampo biforcuto cresce dalla terra» mormorò il vecchio, in un sussurro quasi impercettibile.
Dopo un istante, lei tornò a guardare l’iscrizione e vide che terminava con le parole pronunciate dal vecchio. I loro occhi s’incontrarono di nuovo. Poi il vegliardo sparì nella penombra in fondo alla stanza, e Sutty uscì in strada, battendo le palpebre nel chiarore intenso e stringendo il dono.
Mentre ripercorreva il dedalo di vie ripide, diretta alla locanda, rifletté. A quanto pareva, prima il Mobile, poi il Controllore, e adesso il Fecondatore, o qualunque cosa fosse, l’avevano prontamente cooptata, in modo indolore, coinvolgendola nei loro disegni senza dirle quali fossero. «Va’ a cercare le persone che conoscono le storie e riferisci a me quello che scopri» aveva detto Tong. «Evita i reazionari dissidenti e riferisci a me quello che scopri» aveva detto il Controllore. Quanto al Fecondatore, l’aveva corrotta perché tacesse o ricompensata per aver parlato? La seconda ipotesi, secondo lei. Ma l’unica cosa di cui avesse la certezza era di essere troppo ignorante per fare quello che stava facendo senza mettere in pericolo se stessa o gli altri.
Per conquistare il potere tecnologico e la libertà intellettuale, il governo di quel mondo, aveva messo al bando il passato. Lei non sottovalutava l’ostilità dello Stato Azienda akano nei confronti delle "decorazioni sorpassate" e del loro significato. Per quel governo, che aveva dichiarato di volersi sbarazzare della tradizione, delle consuetudini e della storia, tutte le vecchie usanze, le vecchie pratiche, i vecchi metodi, le vecchie idee, le vecchie devozioni, erano fonti di sovversione contagiosa, cadaveri putrefatti da bruciare o seppellire. La scrittura che li aveva conservati andava cancellata.
Se i nastri didattici e i drammi storici dei quasiveri che aveva studiato nella capitale si basavano su fatti reali, e secondo lei quel materiale si basava almeno in parte su eventi realmente accaduti nella vita di persone ancora al mondo, ciò significava che uomini e donne erano stati schiacciati dai muri dei templi abbattuti, erano bruciati vivi con i libri che cercavano di salvare, avevano subito il carcere a vita per avere insegnato sedizione anacronistica e ideologia reazionaria. I nastri e i drammi esaltavano quella guerra contro il passato presentando i bombardamenti, gli incendi, le demolizioni in termini severamente eroici. Giovani coraggiosi che si liberavano di genitori stupidi, preti conniventi, insegnanti di superstizione, fomentatori della reazione, e che inflessibili bruciavano le foreste pestilenziali dell’errore, piantando al loro posto frutteti sani… giovani coraggiosi nel denunciare il professore malvagio che aveva nascosto un dizionario di ideogrammi sotto il letto… giovani coraggiosi che facevano saltare gli alveari mostruosi dov’era immagazzinato il veleno dell’ignoranza… giovani coraggiosi che demolivano con le ruspe i fragili rituali della superstizione… e che poi, mano nella mano, guidavano i loro compagni produttori-consumatori perché si unissero alla Marcia verso le Stelle.
Dietro la facile ed eccessiva retorica, c’erano sofferenza autentica, vera passione. Da ambo le parti. Sutty lo sapeva. Era figlia della violenza, come aveva detto Tong Ov. Eppure stentava a tenere presente un particolare amaro e ironico: lì avveniva l’esatto contrario della situazione che aveva conosciuto lei, il negativo; lì, i credenti non erano i persecutori ma i perseguitati.
Ma erano tutti veri credenti, da entrambe le parti. Terroristi laici o terroristi santi… che differenza c’era?
L’unica cosa che le era parsa insolita nell’incessante propaganda dei Ministeri dell’Informazione e della Poesia era che gli eroi delle storie esemplari in genere agissero in coppia… un fratello e una sorella o una coppia di fidanzati o di sposi. Se si trattava di una coppia con un legame sessuale, l’unione era sempre eterosessuale. Il governo akano nutriva un odio ossessivo per la devianza. Tong l’aveva avvertita subito quando era giunta su Aka: «Dobbiamo adeguarci. Non sono ammesse obiezioni, discussioni. Tutto quello che può essere visto e denunciato come un’avance sessuale a una persona dello stesso sesso costituisce un reato gravissimo. Che fastidio, che tristezza! Questa povera gente!» E aveva sospirato per le sofferenze dei fanatici e dei puritani, per le sofferenze e le crudeltà.
Sutty non aveva bisogno di quell’avvertimento, dato che aveva pochissimi contatti con le persone come individui, ma naturalmente ne aveva tenuto conto, ed era stato un fattore della sua grande delusione iniziale, del suo sconforto. Le vecchie usanze e la vecchia lingua akana che aveva imparato sulla Terra l’avevano indotta a pensare che l’attendesse una società sessualmente aperta, priva o quasi di sessismo. La società del suo paese d’origine sulla Terra era ancora inibita da discriminazioni sociali e sessuali, aggravate dalla misoginia e dall’intolleranza degli Unisti. Sulla Terra, nessun posto era del tutto libero da tale macchia, nemmeno le Riserve. Tra l’altro, si era specializzata in Aka, aveva imparato quelle lingue, anche perché lei e Pao avevano letto nei rapporti dei Primi Osservatori che nella società akana non vigevano discriminazioni sessuali e che l’eterosessualità non era né obbligatoria né privilegiata. Però era cambiato tutto, dalle fondamenta, durante gli anni del suo viaggio dalla Terra ad Aka. Una volta arrivata, Sutty era stata costretta a tornare alla circospezione, alla cautela, alla repressione di se stessa. E al pericolo.
Ma allora, perché tutti cercavano così prontamente di reclutarla, di servirsi di lei? Non era certo il fiore all’occhiello di nessuno.
Le ragioni di Tong erano abbastanza evidenti: Tong aveva colto al volo l’occasione di inviare qualcuno da solo nell’entroterra, e aveva scelto lei perché conosceva la vecchia scrittura e la vecchia lingua e avrebbe capito cos’aveva scoperto quando l’avesse scoperto. Ma se avesse scoperto qualcosa, cos’avrebbe dovuto fare? Sarebbe stato materiale di contrabbando. Illegale. Sedizione contro l’Azienda. Tong le aveva detto che aveva fatto bene a cancellare i frammenti dei vecchi libri recuperati dalla trasmissione sabotata. Eppure, adesso voleva che lei registrasse materiale del genere?
Quanto al Controllore, be’, lui si stava divertendo a fare sfoggio della propria autorità. Doveva essere eccitante per un modesto tutore della correttezza culturale trovare un vero straniero, un autentico Osservatore dell’Ekumene, al quale dare ordini: "Non parlare con i parassiti della società… non lasciare la città senza la mia autorizzazione… fa’ rapporto al capo, cioè al sottoscritto".
E il Fecondatore? Sutty era convinta che il vecchio sapesse chi era, e che il suo dono non fosse un semplice gesto di cortesia nei confronti di una straniera, ma significasse qualcosa. Chissà cosa, però.
Data la sua ignoranza, se Sutty avesse permesso a qualcuno di loro di controllarla, avrebbe potuto fare del male. Se però avesse cercato di fare qualcosa di ardito e di decisivo da sola, il danno l’avrebbe causato quasi di sicuro. Doveva procedere passo passo, aspettare, osservare, imparare.
Tong le aveva dato una parola in codice da inserire in un messaggio in caso di guai: "devolvere". Ma Tong in realtà non si aspettava che potessero sorgere problemi. Gli akani amavano i loro ospiti stranieri, le mucche da cui mungevano il latte della tecnologia avanzata. Non avrebbero permesso che lei si cacciasse in qualche situazione pericolosa. Sutty non doveva lasciarsi paralizzare da una prudenza eccessiva.
L’avvertimento del Controllore a proposito degli indigeni brutali era soltanto una frottola per spaventarla. Okzat-Ozkat era un luogo sicuro dove vivere, sicuro in modo patetico. Era una povera cittadina di provincia, trascinata nella scia tumultuosa del progresso akano, ma abbastanza arretrata da conservare ancora resti sbrindellati del vecchio modo di vivere, dell’antica civiltà. Probabilmente l’Azienda aveva consentito a un extraplanetario di andare lì perché era un posto così fuori mano, una località sperduta, pittoresca e innocua. Tong ce l’aveva mandata seguendo un’intuizione, nella speranza di trovare, sotto la strepitosa, univoca, monolitica vicenda moderna di Aka, qualche traccia di quello che all’Ekumene interessava tanto: il carattere singolare di un popolo, il suo modo di essere, la sua storia. Lo Stato Azienda akano voleva dimenticare, nascondere, bandire, seppellire tutto ciò, e se lì Sutty avesse scoperto qualcosa l’Azienda non sarebbe stata contenta. Ma i giorni della gente schiacciata dalle macerie e bruciata viva erano finiti. O no? Il Controllore intimidiva e faceva il prepotente, ma cosa poteva fare?
Non molto, a lei. Parecchio, forse, a quelli che parlavano con lei.
"Sta’ ferma" si disse. "Ascolta. Ascolta quello che hanno da dire."
L’aria era secca a quell’altezza, fredda all’ombra, calda al sole. Si fermò in una tavola calda vicino al Magistero per comprare una bottiglia di succo di frutta e si sedette a bere a un tavolino all’aperto. Musica allegra, esortazioni, notizie sul raccolto, statistiche sulla produzione, programmi sanitari, diffusi in rutta la piazza dagli onnipresenti altoparlanti. In qualche modo, Sutty doveva imparare ad ascoltare in mezzo a quel rumore, cogliere quello che nascondeva, il significato nascosto.
Il suo significato era per caso la sua continuità? Gli akani avevano paura del silenzio?
Nessuno, attorno a lei, sembrava avere paura di nulla. Erano studenti, con le uniformi verdi e ruggine dell’Istruzione. Molti avevano gli zigomi prominenti e l’ossatura delicata dei vecchi del posto, ma erano lustri e floridi, sprizzavano giovinezza e sicurezza, chiacchieravano e gridavano intorno a lei senza vederla. Per loro, qualunque donna oltre la trentina era un’aliena.
Stavano mangiando il tipo di cibo che lei aveva mangiato nella capitale, roba trattata ad alto contenuto proteico, e bevevano akakafi, una bevanda calda locale ribattezzata con un nome semiterrestre. La marca di akakafi dell’Azienda si chiamava Stardrink ed era onnipresente. L’akakafi era agrodolce, nero, conteneva uno straordinario miscuglio di alcaloidi, stimolanti e sostanze depressive. Sutty ne detestava il sapore, le impastava la lingua, ma aveva imparato a ingoiarlo, dato che bere insieme l’akakafi era uno dei pochi rituali di rapporto sociale che gli abitanti di Dovza City si concedessero, e dunque molto importante per loro. «Un akakafi?» strillavano non appena uno arrivava in casa, in ufficio, a una riunione. Rifiutare era maleducazione, addirittura un affronto. Molte chiacchiere avevano come argomento l’akakafi: dove trovare quello migliore (non lo Stardrink, naturalmente), dov’era coltivato e trattato, come prepararlo. La gente si vantava del numero di tazze che ne beveva ogni giorno, come se una leggera dipendenza fosse, chissà perché, lodevole. Quei giovani ne bevevano litri.
Sutty li ascoltò attenta, sentì parlare di esami, premiazioni, vacanze. Nessuno parlava di corsi o di materie di studio, tranne due studenti vicini a lei che stavano discutendo su come insegnare ai bambini dell’asilo l’uso del gabinetto. Il ragazzo insisteva che il migliore incentivo era la vergogna. La ragazza replicò: «Meglio pulire e sorridere». Al che il ragazzo, seccato, attaccò con un predicozzo, tirando in ballo l’adattamento, gli obiettivi etici e il lassismo igienico.