La notte divenne più buia mentre Selver camminava, finché anche i suoi occhi adatti alla visione notturna non riuscirono a scorgere altro che masse e piani di nero. Cominciò a piovere. Non aveva percorso più di poche miglia da Cadast quando si vide costretto ad accendere una torcia, o a fermarsi. Scelse di fermarsi, e a tentoni trovò un posto fra le radici di un grande castagno. Laggiù si sedette, appoggiando la schiena contro l’ampio, contorto ceppo che pareva ancora trattenere in sé un poco di tepore diurno.
La fine pioggerellina, cadendo invisibile nell’oscurità, tamburellava sulle foglie sopra di lui, sulle sue braccia e il collo e la testa protetti dalla fitta peluria sottile come seta, sulla terra e sulle felci e sulle piante del sottobosco che spuntavano accanto a lui, su tutte le foglie della foresta, vicine e lontane. Selver continuò a sedere, tranquillo al pari del gufo grigio ch’era posato su un ramo sopra di lui, senza dormire, con gli occhi spalancati sull’oscurità piovosa.
3
Lyubov
Il capitano Lyubov aveva mal di testa. Il dolore cominciava piano nei muscoli della spalla destra, e di lì saliva in crescendo, fino a diventare un oppressivo rullo di tamburi al di sopra dell’orecchio destro. I centri della parola sono nella corteccia cerebrale sinistra, pensò; ma non sarebbe stato capace di dirlo a voce alta: non riusciva a parlare, o a leggere, o a dormire, o a ragionare. Emicrania.
Naturalmente l’avevano già guarito dall’emicrania una volta al college e una seconda volta con le sedute obbligatorie di Psicoterapia Profilattica dell’esercito, ma Lyubov si era ugualmente portato le pastiglie di ergotamina, quando aveva lasciato la Terra: non si sa mai. Ne aveva prese due, con un analgesico, un tranquillante, e una pastiglia digestiva per annullare gli effetti della caffeina che annullava quelli dell’ergotamina, ma lo scalpello continuava a colpire dall’interno, proprio sopra l’orecchio destro, al ritmo del grosso tamburo.
Dio! Cosa facevano gli Athshiani, quando gli veniva l’emicrania? Non si sarebbero mai messi in condizione di averla, avrebbero allontanato le tensioni mediante un sogno a occhi aperti, una settimana prima che si sviluppassero. Prova anche tu, prova a sognare a occhi aperti. Fa’ come Selver ti ha insegnato.
Selver, dato che non sapeva nulla di elettricità, non poteva afferrare realmente il principio dell’elettroencefalogramma, ma non appena aveva sentito parlare delle onde alfa e delle condizioni in cui appaiono aveva detto: «Oh, sì, intendi questo» ed erano apparsi gli inconfondibili tracciati alfa sul grafico che registrava ciò che succedeva all’interno della sua testolina verde.
Selver aveva insegnato a Lyubov come "accendere" e "spegnere" i ritmi alfa, in mezz’ora di lezione. In effetti non c’era niente di difficile. Ma non in questo momento, il mondo è troppo presente in noi, sopra l’orecchio destro sento precipitarsi il carro alato del Tempo, poiché gli Athshiani hanno bruciato Campo Smith due giorni fa e hanno ucciso duecento uomini.
Duecento e sette, per la precisione. Ogni anima viva, a eccezione del capitano.
Non c’era da stupirsi che le pillole non riuscissero a giungere al centro della sua emicrania, poiché quel centro era su un’isola, a una distanza di duecento miglia e di due giorni. Al di là dei monti, lontano lontano, come dicono le fiabe. Ceneri, distruzione. E tra le cose ch’erano andate in fumo, tutte le sue conoscenze delle Forme Viventi ad Alta Intelligenza del Pianeta 41.
Tutto polvere, fango, un mucchio di dati sbagliati e di ipotesi sbagliate.
Quasi cinque anni terrestri passati lì, e lui aveva creduto che gli Athshiani fossero incapaci di uccidere un uomo, di qualsiasi razza, la sua come la loro. Aveva scritto lunghi saggi per spiegare come e perché non potessero uccidere altri uomini. Tutto sbagliato. Mortalmente sbagliato.
Che cosa non era riuscito a vedere?
Era quasi ora di recarsi alla riunione del Quartier Generale. Cautamente, Lyubov si alzò in piedi, muovendosi tutto d’un pezzo, in modo che la parte destra della sua testa non cadesse a terra; si avvicinò alla scrivania con il passo di un uomo che cammina sott’acqua, si versò un bicchiere di vodka Standard e lo inghiottì. La vodka lo rovesciò come un guanto; lo estroverti; lo normalizzò. Si sentì meglio. Uscì, e, incapace di sopportare le scosse della motocicletta, si avviò per la lunga, polverosa strada principale di Centralville, in direzione del Quartier Generale. Passando davanti al Luau pensò con desiderio a un’altra vodka; ma il capitano Davidson stava giusto varcando la soglia, e Lyubov andò avanti per la sua strada.
Le persone scese dalla Shackleton erano già nella sala delle conferenze. Il comandante Yung, che lui già conosceva, questa volta aveva portato giù dall’orbita un paio di facce nuove. Non erano in uniforme della Marina; dopo un istante Lyubov li riconobbe, con una piccola scossa: umani non terrestri. Cercò subito di farsi presentare.
Uno dei due, un certo Or, era un Cetiano Peloso, grigio scuro, massiccio e arcigno; l’altro, Lepennon, era alto, bianco e simpatico: un Hainita. Accolsero Lyubov con interesse, e Lepennon disse: — Ho appena letto il suo rapporto sul controllo cosciente del sonno paradosso tra gli Athshiani, dottor Lyubov.
Cosa molto gradevole, come era gradevole l’essere chiamato con il suo titolo, quello che si era guadagnato, di dottore. La loro conversazione indicava che dovevano avere passato alcuni anni sulla Terra e che potevano essere degli specialisti in forme di vita intelligenti o qualcosa del genere; ma il comandante, nel presentarli, non aveva citato il loro stato e la loro posizione.
La sala si stava riempiendo. Gosse, ecologo della colonia, fece il suo ingresso, e così tutti gli alti papaveri; così il capitano Susun, capo del settore Sviluppo Planetario… vale a dire operazioni di abbattimento alberi… il cui grado di capitano, al pari di quello di Lyubov, era un’invenzione necessaria alla pace delle coscienze militari.
Il capitano Davidson entrò da solo, la schiena dritta, bello nel portamento; il suo volto scarno e angoloso era sereno, quasi severo. A tutte le porte si posero delle guardie. Ogni collo dell’esercito era rigido come un palanchino. La riunione era chiaramente un’Investigazione. Di chi è la colpa? La colpa è mia, pensò Lyubov, disperatamente; ma a causa di quella disperazione fissò il capitano Don Davidson, dall’altro lato del tavolo, con avversione e disprezzo.
Il comandante Yung aveva una voce assai pacata: — Come voi saprete, signori, la mia nave si è fermata qui, sul Pianeta 41, per consegnarvi un nuovo carico di coloni, e niente di più; la missione della Shackleton riguarda il Pianeta 88, Prestno, del Gruppo Hainita. Tuttavia questo attacco al vostro campo periferico, essendo occorso durante la settimana da noi passata qui, non può essere semplicemente ignorato; soprattutto alla luce di taluni nuovi sviluppi che dovevano esservi comunicati, nel normale corso degli eventi, in una data futura.
"Il fatto è che la condizione del Pianeta 41 come colonia terrestre è ora soggetta a revisione, e il massacro avvenuto nel vostro campo potrebbe precipitare la decisione dell’Amministrazione su questo caso. Certamente le decisioni che noi dobbiamo prendere devono essere prese rapidamente, poiché io non posso tenere qui troppo a lungo la mia nave. Ora, per prima cosa, vogliamo accertarci che tutte le informazioni pertinenti siano in possesso dei presenti.
"Il rapporto del capitano Davidson sugli eventi di Campo Smith è stato registrato, e tutti noi che eravamo sulla nave lo abbiamo ascoltato; anche coloro che sono qui presenti l’hanno ascoltato? Benissimo. Ora, se qualcuno di voi desidera rivolgere qualche domanda al capitano Davidson, prego rivolgetela. Io stesso ne ho una. «Voi siete ritornato sul luogo del campo, il giorno seguente, capitano Davidson, con un grosso elicottero e con otto soldati; avevate il permesso di un ufficiale superiore, qui alla Centrale, per quel volo?»"
Davidson si alzò in piedi. — L’avevo, signore.
— Eravate autorizzato a toccare terra e appiccare incendi alla foresta nei pressi del campo?
— No, signore.
— Voi, però, avete effettivamente appiccato incendi?
— Sì, signore. Intendevo snidare col fumo i creechie che avevano ucciso i miei uomini.
— Benissimo. Signor Lepennon?
L’alto Hainita si schiarì la gola. — Capitano Davidson — disse — voi ritenete che le persone sotto il vostro comando a Campo Smith fossero soddisfatte?
— Sì, ritengo di sì.
Il comportamento di Davidson era fermo e franco; pareva indifferente al fatto di essere nei pasticci. Naturalmente, quegli ufficiali della Marina e quegli stranieri non avevano alcuna autorità su di lui; solo al suo colonnello lui doveva rispondere del fatto di avere perduto duecento uomini e di avere effettuato una spedizione punitiva non autorizzata. Ma il suo colonnello era davanti a lui, ad ascoltare.
— Erano ben nutriti, ben alloggiati, non sottoposti a carichi di lavoro eccessivi, dunque, nei limiti di ciò che si può ottenere in un accampamento di frontiera?
— Sì.
— La disciplina che veniva mantenuta era troppo severa?
— No, non lo era.
— Che cosa, allora, secondo voi, ha motivato la rivolta?
— Non comprendo.
— Se nessuno era scontento, perché alcuni di loro hanno massacrato gli altri e hanno distrutto il campo?
Cadde un silenzio preoccupato.
— Se posso intervenire con una parola — disse Lyubov — sono stati gli indigeni locali, gli Athshiani impiegati nel campo, a unirsi all’attacco eseguito dal popolo della foresta contro gli umani terrestri. Nel suo rapporto, il capitano Davidson si è riferito agli Athshiani come ai "creechie".
Lepennon parve imbarazzato e preoccupato.
— Grazie, dottor Lyubov. Avevo del tutto frainteso. Anzi pensavo che la parola "creechie" si riferisse a una casta terrestre che eseguiva lavori di tipo servile nei campi dei taglialegna. Poiché credevo, come del resto noi tutti, che gli Athshiani fossero non aggressivi intraspecificamente, non immaginavo che potessero essere il gruppo così indicato.
"Anzi, non avevo compreso che cooperassero con voi nei vostri campi… Comunque, riesco ancora meno di prima a comprendere che cosa abbia provocato l’attacco e l’ammutinamento."
— Non saprei, signore.
— Quando avete detto che le persone sotto il vostro comando erano soddisfatte, capitano, comprendevate fra di esse anche i nativi? — chiese il Cetiano, Or, con un secco brontolio.
L’Hainita raccolse subito la domanda, e chiese a Davidson, nel suo tono di cortese partecipazione: — Gli Athshiani che vivevano nel campo erano soddisfatti, voi pensate?
— Per quanto ne posso sapere.
— Non c’era nulla di inconsueto nella loro posizione laggiù, o nel lavoro che dovevano compiere?
Lyubov percepì l’appesantirsi della tensione, come un giro del torchio, nel colonnello Dongh e nei suoi ufficiali, e anche nel comandante della nave. Ma Davidson rimase calmo e tranquillo. — Nulla d’inconsueto.
In quel momento Lyubov ebbe la certezza che solamente i suoi studi scientifici fossero stati inviati alla Shackleton; le sue proteste, perfino le sue annuali valutazioni dell’Accomodamento dei nativi alla presenza coloniale, richieste dall’Amministrazione, erano rimaste in qualche cassetto, insabbiate nel Quartier Generale. Quei due umani non terrestri non sapevano nulla dello sfruttamento a cui erano sottoposti gli Athshiani.
Il comandante Yung doveva esserne al corrente, certo; era già sceso a terra in precedenza, e aveva probabilmente visto i recinti dei creechie. In ogni caso, un comandante della Marina che faceva le rotte coloniali non poteva ignorare la realtà delle relazioni fra terrestri e Athshiani. Approvasse o no il modo in cui l’Amministrazione Coloniale conduceva i propri affari, ben poco gli sarebbe giunto come una novità.
Ma un Cetiano e un Hainita, fino a che punto potevano conoscere la situazione delle colonie terrestri, a meno che il caso non li portasse a scendere su una di esse, mentre erano in viaggio per qualche altro pianeta?
Lepennon é Or non avevano avuto la minima intenzione di scendere sul pianeta. O forse non ne avevano avuto l’intenzione, ma poi, avuta la notizia della rivolta, avevano chiesto di scendere. E perché il comandante li aveva fatti scendere? Per desiderio suo, o dei due extraterrestri? Chiunque essi fossero, davano un’impressione di autorità, si poteva fiutare in loro un soffio dell’asciutto, inebriante aroma del potere. Il mal di testa di Lyubov era sparito; si sentiva attento ed emozionato, le sue guance erano roventi.
— Capitano Davidson — disse — ho un paio di domande che riguardano il vostro incontro con i nativi due giorni fa. Voi siete certo che uno di essi fosse Sam, ossia Selver Thele?
— Così credo.
— Voi vi rendete conto che Selver ha rancori personali verso di voi?
— Non so.
— Voi non sapete? Poiché la moglie di Selver è morta nelle vostre stanze, capitano, immediatamente dopo un rapporto sessuale con voi, Selver vi ritiene responsabile della sua morte; voi non lo sapevate? Selver vi ha aggredito una volta, capitano, qui a Centralville; ve ne siete dimenticato? Ebbene, il punto è questo: l’odio personale di Selver nei riguardi del capitano Davidson può servire come parziale spiegazione o motivazione di questo attacco che non trova precedenti.
"Gli Athshiani non sono affatto incapaci di violenza personale: questo non è mai stato affermato in nessuno dei miei studi su di loro. Gli adolescenti che non hanno ancora padroneggiato la tecnica del sogno controllato o del canto competitivo lottano e fanno a pugni tra loro molto spesso, e non sempre per gioco.
"Ma Selver è un adulto e un adepto; e il suo primo attacco personale contro il capitano Davidson, attacco cui ho potuto casualmente assistere in parte, era chiaramente un tentativo di uccisione. Così come lo era, detto per inciso, anche il contrattacco del capitano. A quell’epoca io pensai che quell’attacco fosse un incidente isolato, psicotico, causato dal dolore e dalla tensione, e che una sua ripetizione fosse improbabile. Mi sbagliavo. Capitano, quando i quattro Athshiani vi sono saltati addosso in un’imboscata, così come dite nel rapporto, voi siete caduto a terra disteso?"
— Sì.
— In che posizione?
Il viso calmo di Davidson si tese e si irrigidì, e Lyubov provò una punta di rimorso. Desiderava mettere alle corde Davidson per mezzo delle sue stesse bugie, costringerlo a dire almeno una volta la verità, ma non voleva umiliarlo davanti agli altri. Accuse di violenza carnale e di omicidio contribuivano a tenere alta l’immagine che Davidson aveva di se stesso come un uomo totalmente virile, ma ora quell’immagine veniva messa in pericolo: Lyubov aveva richiamato un ritratto di lui, del soldato, del lottatore, dell’uomo freddo e duro, che veniva messo a terra da nemici alti come bambini di sei anni… Quanto costava a Davidson ricordare il momento in cui era steso a terra, e fissava dal disotto i piccoli omini verdi, quella volta, invece di guardarli dall’alto della sua statura?
— Ero sulla schiena.
— La vostra testa era tirata indietro, o voltata di lato?
— Non lo so.
— Sto cercando di appurare un fatto importante, capitano, che potrebbe spiegare perché Selver non vi abbia ucciso, sebbene avesse dei rancori verso di voi e avesse partecipato all’uccisione di duecento uomini poche ore prima. Mi chiedo se voi per caso non siate finito in una delle posizioni che, quando sono assunte da un Athshiano, bloccano nel suo antagonista ogni ulteriore aggressione fisica.
— Non lo so.
Lyubov si guardò intorno, lungo il perimetro del tavolo delle conferenze; ciascuno dei volti mostrava curiosità e un po’ di tensione.
— Queste posizioni che bloccano l’aggressione, questi gesti, possono avere un fondamento innato, possono forse nascere da un meccanismo istintivo di stimolo-risposta che ancora sopravvive, ma si sviluppano e si espandono con la vita sociale, e sono, com’è ovvio, comportamenti appresi.