— Benissimo — disse Lisa. Aveva chiuso gli occhi e sembrava stanchissima. — Se non ci sono altre obiezioni…
Perché?, si chiese Alec furibondo. Perché votare adesso dopo che sono stati messi sul tappeto degli argomenti così stupidi? Poi notò l'occhiata micidiale che Lisa rivolse a Sylvia Dortman, e capì. Vuole che si passi al voto mentre detiene ancora la maggioranza, pensò. Ha paura che i nostri sostenitori possano cambiare idea.
I Consiglieri votarono premendo un pulsante sui piccoli pannelli inseriti nel tavolo davanti a ognuno di loro. I voti furono registrati dal computer e proiettati sullo schermo a muro. I membri del Consiglio erano quindici. Ne occorrevano otto per ottenere la maggioranza.
Lo schermo si accese e comparve la scritta: VOTO DEL CONSIGLIO. SEI VOTI PER MORGAN. QUATTRO VOTI PER KOBOL. CINQUE ASTENUTI.
Leggendo il risultato, Alec ebbe paura per la prima volta. Cinque astensioni! Potevano decidersi a votare per Kobol. Ne sarebbero bastati solo quattro!
— Dobbiamo ripetere il voto — disse Lisa.
— Signor Presidente!
Era Kobol, che si alzò in piedi lentamente e disse con la sua voce nasale: — Abbiamo discusso abbastanza per convincermi che, continuando di questo passo, rischieremmo di dividere il Consiglio in due fazioni antagoniste, provocando una scissione che potrebbe trascinarsi nel tempo. Credo che sia venuto il momento di scendere a un compromesso, nell'interesse della pace e della concordia.
— Cosa pensi di fare? — gli chiese Lisa.
— Se prendiamo in considerazione solamente gli esami fisici e mentali a cui siamo stati sottoposti tutti — spiegò Kobol — è indubbio che Alec sia l'uomo più qualificato per guidare la spedizione diretta alla Terra. Quello di cui stiamo discutendo qui è una questione di fiducia… o, meglio, di colpa.
Alec non riusciva a distogliere lo sguardo dalla faccia di Kobol, convinto che sotto quella maschera dovesse nascondersi qualcosa.
— Nessuno desidera più di me essere a capo di questa spedizione — continuò Kobol. — Credo che me la caverei egregiamente, nonostante sia zoppo. Sono già stato sulla Terra. So cosa aspettarmi. Sarei preparato a controbattere qualsiasi tipo di opposizione potremmo incontrare… anche se si trattasse di Douglas Morgan e della sua masnada di barbari.
Un mormorio di comprensione si levò dagli astanti.
— Ma so anche se che insistessi nel volere comandare questa spedizione potrei causare dei danni irreparabili qui: amici contro amici, gelosia e odio, invece di armonia e collaborazione.
Dove vuole andare a parare?, si chiese Alec.
— Così ritirerò il mio nome dalla rosa dei candidati…
I Consiglieri trattennero il fiato.
— …a condizione che io sia nominato vice-comandante agli ordini di Alec.
Alec ebbe l'impressione di aver raggiunto una vetta e poi di essere stato fatto precipitare. I Consiglieri erano rimasti sbalorditi, ma si ripresero presto e cominciarono a parlottare, a farsi dei cenni, a scambiarsi impressioni. Kobol si rimise a sedere e non aprì più bocca. Lisa richiamò tutti all'ordine.
LaStrande chiese la parola. — Non ho mai sentito niente di più nobile e generoso — disse. — Propongo che Alexander Morgan venga nominato comandante della spedizione, e Martin Kobol vice-comandante… con voto unanime, alla voce!
Tutti accettarono con entusiasmo, e il voto vero e proprio fu solo una formalità.
Sorridenti, sollevati, felici che la spinosa questione fosse stata risolta, i Consiglieri uscirono, dopo avere stretto la mano ad Alec e a Kobol. Alec stava in piedi accanto alla sedia, con l'animo in tumulto, finché nella stanza non rimasero che lui, sua madre e Kobol.
— È questo che volevi? — chiese Lisa a bassa voce, tenendo la sedia fra sé e Kobol come se fosse uno scudo.
— Non del tutto — rispose lui sorridendo. — Ma è un passo nella direzione giusta.
— Martin, voglio ringraziarti. Ci sono voluti molto buonsenso e una notevole dose di coraggio per proporre questo compromesso.
— Sono sempre stato del parere che è meglio mezza pagnotta quando non si può avere la pagnotta intera.
Alec si portò al fianco di sua madre, senza però distogliere lo sguardo da Kobol.
— Sei ancora deciso a conquistarti la supremazia nel Consiglio, non è vero, Martin? — disse Lisa.
— Non solo nel Consiglio.
Lei sorrise. — E credi che la spedizione possa servire a rafforzare la tua posizione? Anche in qualità di vice-comandante? — Lisa sottolineò il "vice".
— Certamente — rispose lui. — Perché tu desideri tanto che la comandi Alec? Al ritorno sarà candidato al Consiglio, no? Un giorno tu farai in modo che diventi presidente, quando deciderai di ritirarti.
— Perché no?
— Perché allora il presidente sarò io — ribatté Kobol in tono deciso, e con una sfumatura d'ironia.
— Tu sogni, Martin! — esclamò Lisa ridendo.
— Certi sogni si avverano — rispose lui con un'alzata di spalle. — Dio sa se tu non hai fatto sogni grandiosi. E adesso uno di essi si avvera. Tuo figlio sta per vendicare il tradimento di tuo marito. Laverà la macchia che offusca il nome della famiglia. Consoliderà il tuo potere in seno al Consiglio.
Lisa allungò un braccio verso Alec, che le prese la mano, e poi lo attirò a sé.
— È vero — sussurrò con voce sibilante a Kobol. — Alec diventerà famoso, e tu non puoi impedirglielo.
— Impedirglielo io? — sghignazzò Kobol. — Ma se ho intenzione di aiutarlo. Ti sei dimenticata che mi sono spontaneamente offerto come vice-comandante?
— Già — ammise lei. — È quello che hai fatto.
Per un lungo, snervante momento, i tre rimasero immobili: Alec al fianco di sua madre, e Kobol di fronte a loro due. Alec vide che sua madre fissava Kobol, i cui occhi erano insondabili. Ma il fuoco che ardeva in quelli di Lisa era una cosa che Alec non aveva mai visto, qualcosa che trascendeva la paura, la malevolenza, ed era anche più forte dell'odio.
Alla fine, Kobol arretrò di un passo e mormorando: — Se volete scusarmi… — si avviò alla porta.
Quando furono soli, Lisa disse al figlio: — Cercherà di rovinarti, di sovvertire la tua autorità, forse perfino di compromettere la spedizione.
— Lo so — disse Alec. — Cercherà di uccidermi.
Lei gli strinse forte il braccio rabbrividendo. Alec l'attirò a sé facendole appoggiare la testa sulla sua spalla.
— No, no, non lo farà… Martin non arriverebbe mai a tanto. — Ma lo guardò con gli occhi pieni di paura. — Non avrei dovuto spingerti tanto… Non avrei dovuto forzarti…
— Tu non mi hai forzato a fare niente.
— Alec, tu sei ancora un bambino. Non te ne intendi di queste cose. Io posso manovrare te, i membri del Consiglio, tutti… — distolse lo sguardo. — Quasi tutti.
— Mi occuperò io di Kobol.
— Sei in grado di farlo? Saprai cosa fare, quando verrà il momento?
— Sì — adesso era calmissimo. — Quando verrà il momento lo ucciderò.
— No! Non devi arrivare a tanto! Non voglio neanche che tu lo pensi. Se dovrà essere la violenza a decidere, sarà lui a uccidere te. Ti colpirà quando meno te lo aspetti. Anche a migliaia di chilometri di distanza sarebbe ancora capace di raggiungerti. Non bisogna arrivare alla violenza, Alec, perché saresti tu ad avere la peggio.
Alec si staccò da lei. — Posso badare a me. E anche a lui. E a te.
Lisa lo guardò, e la sua espressione andò lentamente cambiando. Ammirava suo figlio.
— E tuo padre? — chiese. — Cosa farai con lui?
— Saprò cavarmela anche con lui — rispose Alec, sentendo rinascere l'odio.
— Verrà a cercarti non appena saprà che è arrivata la spedizione.
— Lascia che venga — disse Alec. — E se non viene, andrò io a cercarlo.
— E quando v'incontrerete…
Alec strinse i pugni così forte con le unghie si conficcarono nel palmo. — Quando c'incontreremo lo ammazzerò.
Lisa Ducharme Morgan sorrise: — Ripetilo — sussurrò.
— Lo ucciderò — ripeté Alec. — Per tutto quello che ti ha fatto, mamma. Lo troverò e lo ucciderò.
8
Era nato in un fosso lungo la strada che serpeggiava attraverso le colline boscose fra Knoxville, distrutta dai bombardamenti, e Oak Ridge, abbandonata dagli abitanti. Sua madre lo aveva abbandonato in una pozza d'acqua piovana sul fondo melmoso del fosso. L'unico gesto misericordioso che aveva compiuto per lui era stato di strappare con un morso il cordone ombelicale e legarlo. Lui non la vide mai.
Sarebbe morto se una coppia di razziatori non fosse passata di lì poche ore dopo. Sarebbe morto se la donna — in realtà una ragazzina in quanto aveva compiuto da poco i quattordici anni — non avesse perso pochi giorni prima il suo bambino di una settimana: e forse fu proprio per questo che lei notò il neonato; e sicuramente fu per questo che lei lo raccolse, nonostante le proteste del suo compagno che le disse: — Lascialo ai vermi!
Ma lei cominciò a piangere, e l'uomo cedette.
I due stavano seguendo una banda di razziatori, una dozzina fra uomini e donne male in arnese che battevano la campagna raccogliendo e rubando tutto quel che di commestibile, indossabile e commerciabile riuscivano a scovare. La banda aveva poche armi, un capo duro e intelligente esperto nel tendere imboscate, e la disperazione della fame. I due avevano cercato di unirsi alla banda, ma erano stati brutalmente scacciati e minacciati di morte se mai si fossero avvicinati troppo. Così si tenevano a distanza, ma seguivano gli spostamenti della banda contentandosi di quello che i banditi lasciavano o dimenticavano. Il che non era molto. Quando la banda assaliva una fattoria o un villaggio, bruciava tutto quello che non riusciva a portare via.
— Sua mamma dev'essere una di loro — disse la ragazza.
— Forse il suo uomo non voleva avere il peso di un neonato, e l'ha costretta ad abbandonarlo.
L'uomo annuì e borbottò qualcosa fra sé. Dare da mangiare a una bocca in più gli pesava. Inoltre il pianto del bambino li obbligava a seguire la banda ancora più da lontano.
Un giorno si allontanò — era passato poco più di un anno — mentre le piogge autunnali cominciavano a spogliare gli alberi. Due settimane dopo la ragazza lo trovò inchiodato a un albero, col ventre squarciato. Dall'espressione della faccia si capiva che l'avevano sottoposto a quella tortura mentre era ancora vivo.
Lei smise di vagabondare e costruì una rozza capanna di sterpi e fango per sé e il bambino. Quell'inverno rischiarono di morire di fame; solo le sue furtive incursioni fra le rovine della periferia di Knoxville li salvarono. La ragazza si arrischiava ad andarci per pura disperazione. Infatti tutti sapevano che case e strade nascondevano insidie mortali. Una morte invisibile aleggiava sulle rovine. Ma lei sgattaiolava nell'ombra, di notte, per prendere le scatolette di cibo sugli scaffali dei negozi abbandonati: cibo che altri non osavano toccare per paura. Una leggenda, forse non creduta ma comunque temuta, diceva che tutto quello che si trovava nelle città era pericoloso, inquinato, "avvelenato". Ma, a volte, la fame e la disperazione la vincono sulle leggende.
Quando il bambino raggiunse i sei anni, lei era già rosa dal cancro. Tirò avanti per altri quattro anni, fra inaudite sofferenze che le deformavano il corpo in modo orribile. Il bambino la seppellì e poi affrontò il mondo con le sue sole forze. Era magro, con la faccia smunta e sapeva solo correre e nascondersi nei boschi.
Dopo avere vissuto per alcuni mesi in completa solitudine, catturando piccoli animali selvatici ed evitando ogni contatto umano, fu catturato da una banda di ragazzi che si era staccata dall'altra, più numerosa, di adulti, e andava in giro a caccia di cibo, divertimento e donne. Quando lo trovarono, aveva un paio di conigli infilati nella cintura dei calzoncini strappati. Il loro primo impulso fu di prendere i conigli e di arrostirlo insieme a loro sul fuoco. Ma il capo, più maturo della sua età, chiese al ragazzetto sparuto come avesse catturato i conigli.
Una volta resisi conto della sua esperienza nel cacciare e sopravvivere nei boschi, lo accolsero nella banda. Fu battezzato "Furetto", in parte per l'aspetto e in parte perché si muoveva furtivamente, ma soprattutto perché uccideva la selvaggina azzannandola alla gola.
E Furetto rimase. A vent'anni era il vicecapo della banda, che ora si componeva di una cinquantina di individui, fra uomini e donne, ed era la banda più temuta delle colline boscose che circondavano Oak Ridge.
La stazione spaziale ruotava in modo da mantenere la gravità a un regolare g. Negli ultimi cinque anni, Alec aveva trascorso almeno un'ora al giorno nella grande centrifuga dell'istallazione lunare, dove il suo peso aumentava sei volte. I muscoli, fatti per la Terra, rispondevano a un g di gravità senza fatica.
Ma qui sulla stazione spaziale, dopo quasi un mese di gravità sei volte superiore a quella della Luna, cominciò a preoccuparsi. La mattina si svegliava stanco e indolenzito. Gli doleva la schiena, il sangue gli rombava nelle orecchie dopo la minima fatica come salire le scale che dal ponte-dormitorio portavano all'osservatorio.
Fortunatamente l'osservatorio si trovava nel mozzo della grande ruota, dove la gravità era zero. Alec si faceva un punto d'onore di restarci il meno possibile: sarebbe stato fin troppo facile consentire al corpo indolenzito di prevalere sulla volontà.
Kobol era già nell'osservatorio quando Alec vi entrò attraverso il portello del pavimento. Stava seduto davanti a un oblò, con la cintura di sicurezza affibbiata in vita, e guardava attraverso un telescopio inserito nella paratia.
L'osservatorio aveva forma circolare ed era dotato di quattro oblò disposti a distanza regolare intorno al perimetro. Il pavimento era quasi interamente occupato da una serie di schermi e di quadri-comando disposti a ferro di cavallo, dove tre tecnici prestavano servizio a turno alle apparecchiature che sorvegliavano la Terra.
Alec risalì fluttuando senza peso e con una spinta del piede richiuse il portello. La spinta lo mandò verso una consolle. Alec ne afferrò il bordo, si diede un'altra spinta e fluttuò verso un oblò.
La vista della Terra così vicina lo lasciò senza fiato. Un'enorme immensità curva, azzurra, striata di bianco abbagliante, in continuo mutamento gli scorreva davanti attraverso gli oblò dell'osservatorio, coi colori che si avvicendavano, e nuove diverse composizioni si offrivano ai suoi occhi attoniti. È così grande!, pensò Alec. E così…viva.
— Quella è la costa orientale del Nordamerica — disse Kobol. La sua voce, simile al suono acuto di un flauto, troppo raffinata per essere sgarbata, aveva però il timbro annoiato di chi deve dare una spiegazione a un ignorante.
— Lo so — ribatté brusco Alec. — È la nostra prima meta.
— Guarda al telescopio, l'ho collegato col mio.
Alec si mise a sedere sul seggiolino girevole e si chinò per guardare dal telescopio alla sua destra.
— Nuvole… — borbottò Kobol.
Attraverso uno squarcio nel biancore, Alec scorse alcune ondulazioni brune e verdi simili a un torrente di lava rappresa sul bordo di una catena montuosa. Ma qui non c'erano crateri. Quelle ondulazioni erano creste impervie alte centinaia di metri. Così almeno gli avevano detto.
— Là… nella spianata…
Alec scorse una specie di X obliqua, grigia.
— Quello è l'aeroporto — disse Kobol mentre le nuvole tornavano a coprire il panorama. Alec si staccò dal telescopio, e si voltò verso di lui. — Il complesso di Oak Ridge — stava spiegando Kobol — dista pochi chilometri dall'aeroporto. Se è ancora intatto troveremo materiali fissili grezzi e raffinati sufficienti per almeno cinquant'anni.
Alec annuì, poi si diede una spinta e arrivò alla consolle. — Attività nella zona? — chiese al tecnico seduto nella sedia di mezzo.