— Allora vai là e guarda nella buca.
— Perché?
— Così potrai dire a Padre Cheroki che c'è davvero.
Fingo si fermò, con una gamba già a cavalcioni del somaro. — Ah! — E ritirò la gamba. — Benissimo. E se non c'è, lo dirò a te!
Francis osservò per un momento, mentre Fingo si allontanava a grandi passi, scomparendo fra i monticelli; poi si voltò per percorrere, a passi strascicati, la lunga pista polverosa verso l'abbazia, mangiucchiando a intermittenza un po' di grano e bevendo qualche sorso dall'otre. Ogni tanto si voltava a guardare indietro. Fingo era scomparso da più di due minuti. Frate Francis aveva smesso di aspettarne la ricomparsa quando udì un grido lontano levarsi dalle rovine, dietro di lui. Si voltò. Riuscì a distinguere la figura dello scultore ritta su uno dei monticelli. Fingo agitava le braccia e annuiva vigorosamente con il capo in segno affermativo. Francis agitò le braccia a sua volta, poi proseguì fiaccamente il suo cammino.
Due settimane di inedia quasi totale avevano preteso il loro tributo. Dopo due o tre miglia cominciò a barcollare. Quando distava ancora un miglio dall'abbazia, svenne accanto alla strada. Era pomeriggio inoltrato quando Cheroki, di ritorno dalle sue visite, lo vide lì disteso, smontò in fretta e bagnò il viso del giovane fino a che lo fece gradualmente rinvenire. Cheroki aveva incontrato gli asinelli del rifornimento durante il cammino di ritorno, e si era fermato ad ascoltare il racconto di Fingo, che confermava la scoperta di frate Francis. Sebbene non fosse disposto a credere che Francis avesse scoperto qualcosa di veramente importante, il prete si pentì della sua impazienza di poco prima nei confronti del giovane. Quando ebbe notato la cassetta che giaceva, lì accanto, con il suo contenuto parzialmente sparso al suolo, e quando ebbe lanciato un breve sguardo al foglietto incollato al coperchio, mentre Francis sedeva, stordito e confuso, sul ciglio della pista, Cheroki cominciò a considerare i balbettamenti del ragazzo come il risultato di una immaginazione romantica piuttosto che del delirio o della pazzia. Non aveva visitato la cripta e non aveva esaminato attentamente il contenuto della cassetta, ma era evidente, per lo meno, che il ragazzo aveva interpretato erroneamente alcuni eventi reali, invece di confessare delle allucinazioni.
— Puoi finire la tua confessione non appena saremo arrivati — disse sottovoce al novizio, aiutandolo a salire dietro la sella della giumenta. — Credo di poterti assolvere se non insisti nell'affermare d'aver ricevuto messaggi personali dai santi. Eh?
Per il momento, frate Francis era troppo debole per insistere in qualsiasi cosa.
4
— Avete fatto bene — brontolò alla fine l'abate. Aveva camminato lentamente avanti e indietro nel suo studio per circa cinque minuti; la sua larga faccia da contadino aveva un serrato cipiglio muscolare, mentre Padre Cheroki se ne stava seduto nervosamente sull'orlo della sedia. L'abate non aveva pronunciato parola da quando Cheroki era entrato nella stanza, in risposta al suo invito; Cheroki sussultò lievemente quando l'Abate Arkos brontolò finalmente quelle parole.
— Avete fatto bene — disse ancora l'abate, fermandosi in mezzo alla stanza e guardando a occhi socchiusi il priore, che finalmente cominciò a rilassarsi. Era quasi mezzanotte e Arkos era stato sul punto di ritirarsi per dormire un paio d'ore prima del Mattutino e delle Laudi. Ancora umido e spettinato dopo una recente immersione nel barile che costituiva la sua vasca da bagno, a Cheroki sembrava un orso mannaro solo parzialmente trasformato in uomo. Indossava una veste di pelli di coyote, e l'unico segno del suo ufficio era la croce pettorale che riposava sul suo petto tra il pelo nero e lampeggiava, alla luce delle candele, ogni volta che l'abate si voltava verso la scrivania. I capelli umidi gli spiovevano sulla fronte; con la corta barbetta appuntita e le pelli di coyote sembrava, in quel momento, non tanto un prete quanto un comandante militare, pieno di repressa furia di battaglia dopo un recente combattimento. Padre Cheroki, che veniva da una schiatta baronale di Denver, aveva la tendenza a reagire formalmente alle facoltà ufficiali dell'altro, a parlare con cortesia davanti al simbolo del potere, senza permettersi di vedere l'uomo che lo portava, seguendo in questo le usanze di Corte in auge in molte epoche. Così, Padre Cheroki aveva sempre mantenuto rapporti formalmente cordiali con l'anello e la croce pettorale, con l'ufficio del suo abate, ma si permetteva di vedere il meno possibile di Arkos in quanto uomo. Questo era piuttosto difficile nelle circostanze attuali, poiché il Reverendo Padre Abate era uscito di fresco dal bagno e zampettava nello studio a piedi nudi. A quanto pareva, si era appena tagliato un callo, e aveva inciso troppo profondamente: uno degli alluci sanguinava. Cheroki cercava di non notarlo, ma si sentiva molto imbarazzato.
— Sapete di che cosa sto parlando? — grugnì impaziente Arkos.
Cheroki esitò. — Vi dispiacerebbe, Padre Abate, essere più specifico… nel caso che sia connesso con qualcosa che io posso avere udito soltanto in confessione?
— Ah? Oh! Bene, sono veramente sconvolto! Voi avete udito la sua confessione, l'avevo dimenticato. Bene, inducetelo a raccontarvi tutto di nuovo, in modo che possiate parlare… sebbene, lo sa il Cielo, ormai la voce si sia sparsa in tutta l'abbazia. No, non andate subito da lui. Parlerò con voi, e voi non rispondete se tocco un argomento coperto dal segreto della confessione. Avete visto quella roba? — L'Abate Arkos fece un cenno in direzione della scrivania su cui il contenuto della cassetta di frate Francis era stato rovesciato per essere esaminato.
Cheroki annuì, lentamente. — L'aveva lasciata cadere vicino alla strada, quando è svenuto. Io l'ho aiutato a raccogliere tutto, ma non l'ho guardata con molta attenzione.
— Bene, sapete che cosa pretende che sia?
Padre Cheroki distolse lo sguardo e mostrò di non aver udito la domanda.
— Sta bene, sta bene — grugnì l'abate. — Non importa che cosa lui sostiene che sia. Andate a guardare voi stesso attentamente e decidete che cos'è, secondo voi.
Cheroki andò a curvarsi sulla scrivania ed esaminò con cura le carte, una alla volta, mentre l'abate camminava avanti e indietro e continuava a parlare, apparentemente al prete ma in realtà quasi a se stesso.
— È impossibile! Voi avete fatto bene a rimandarlo qui prima che scoprisse altra roba. Ma naturalmente questo non è il peggio. Il peggio è il vecchio di cui va blaterando. È grave. Non c'è niente che potrebbe danneggiare la causa più di un fiume di improbabili "miracoli". Qualche vera coincidenza, certamente! Si deve stabilire che l'intercessione del Beato ha prodotto fatti miracolosi… prima che sia possibile la canonizzazione. Ma questo può essere troppo! Pensate al Beato Chang, beatificato due secoli fa, e mai canonizzato… fino ad ora. E perché? Il suo Ordine divenne troppo impaziente, ecco perché. Ogni volta che qualcuno guariva da una tosse, era un intervento miracoloso del Beato. Visioni in cantina, evocazioni sul campanile: sembrava più una raccolta di storie di fantasmi che un elenco di casi miracolosi. Forse due o tre casi erano veramente validi, ma quando c'è troppa paglia… ebbene?
Padre Cheroki alzò la testa. Le nocche delle sue mani erano divenute bianche per la pressione esercitata sull'orlo della scrivania, e il suo viso sembrava teso. Pareva non avesse ascoltato. — Scusatemi, Padre Abate.
— Ebbene, la stessa cosa può capitare qui, ecco — disse l'abate, e ricominciò a camminare lentamente avanti e indietro. — L'anno scorso c'è stato frate Noyon e il suo miracoloso cappio del carnefice. Ah! E l'anno prima, frate Smirnov fu misteriosamente guarito della gotta… come? toccando una probabile reliquia del nostro Beato Leibowitz, dicevano quei giovani zotici. E adesso Francis incontra un pellegrino… che indossa che cosa?… indossa come gonnellino la stessa tela di sacco con cui incappucciarono il Beato Leibowitz prima di impiccarlo. E cosa ha per cintura? Una corda. Che corda? Ah, la stessa… — Si fermò, volgendosi a Cheroki. — Posso capire dalla vostra espressione sorpresa che questa non l'avevate ancora saputa. No? Benissimo, non potete dirlo. No, no, Francis non ha detto questo. Tutto quello che ha detto è… — L'Abate Arkos cercò di iniettare un lieve tono di falsetto nella sua voce normalmente burbera. — Tutto ciò che ha detto frate Francis è: «Ho incontrato un vecchietto, e ho pensato che fosse un pellegrino diretto all'abbazia perché andava da quella parte e portava un vecchio sacco stretto attorno ai fianchi da un pezzo di corda. Ha fatto un segno sulla pietra, e il segno era così».
Arkos tolse un pezzo di pergamena dalla tasca della veste di pelliccia e lo tenne alto davanti al viso di Cheroki nella luce della candela. Poi continuò, con poco successo, il tentativo di imitare frate Francis: — "Non sono riuscito a capire cosa significasse voi lo sapete?"
Cheroki fissò i simboli e scosse il capo.
— Non lo chiedevo a voi - brontolò Arkos con voce normale. — È quello che ha detto Francis. Non lo sapevo neanch'io.
— E adesso lo sapete?
— Adesso lo so. Qualcuno è andato a controllare. Questa è una lamedh, e quella è una sadhe. Lettere ebraiche.
— Sadhe lamedh?
— No. Da destra a sinistra. Lamedh sadhe. Una elle e un suono tra la ti e la esse. Se vi fossero segni di vocali, potrebbe essere "loots", "lots", "lets", "latz", "litz"… qualunque cosa di questo genere. Se vi fosse qualche lettera in mezzo a queste due, potrebbe suonare come Llll… indovinate chi.
— Leibo… Oh, no!
— Oh, sì! Frate Francis non ci ha pensato. Ci ha pensato qualcun altro. Frate Francis non ha pensato al cappuccio di tela da sacco e alla corda del carnefice; ci ha pensato uno dei suoi confratelli. Così, cosa succede? Prima di notte, l'intero noviziato stava già ronzando per la dolce favoletta che Francis ha incontrato là fuori lo stesso Beato, e il Beato ha accompagnato il nostro ragazzo fino al punto in cui era questa roba e gli ha detto che avrebbe trovato la vocazione.
Un cipiglio di perplessità contrasse per un attimo il viso di Cheroki. — Frate Francis ha detto questo?
— Noo! — ruggì Arkos. — Non avete ascoltato? Francis non ha detto una cosa simile. Vorrei che l'avesse fatto, per la miseria; allora l'avrei colto in fallo, il birbante! Ma lui la racconta in modo dolce e semplice, piuttosto stupido, in realtà e lascia che siano gli altri a interpretarne il significato. Io non gli ho parlato, personalmente. Ho mandato il Rettore dei Memorabilia a farsi raccontare la sua versione.
— Credo che farei meglio a parlare a frate Francis — mormorò Cheroki.
— Fatelo! Quando siete entrato, non sapevate ancora se dovevo arrostirvi vivo o no. Per averlo fatto ritornare, voglio dire. Se l'aveste lasciato fuori nel deserto, non ci troveremmo alle prese con questa fantastica tiritera. Ma, d'altra parte, se fosse rimasto là fuori, non si può sapere che altro avrebbe tirato fuori da quel sotterraneo. Io credo che abbiate fatto bene a mandarlo qui.
Cheroki, che aveva preso la decisione su basi molto diverse, giudicò che la politica più appropriata fosse il silenzio.
— Parlategli — ringhiò l'abate. — Poi mandatelo da me.
Erano circa le nove di un luminoso lunedì mattina quando frate Francis bussò timidamente alla porta dello studio dell'abate. Una buona notte di sonno sul duro pagliericcio, nella sua vecchia, solita cella, più un'insolita colazione non avevano forse fatto prodigi per i suoi tessuti esausti e non avevano spezzato via completamente il riverbero del sole dal suo cervello, ma quei lussi relativi lo avevano per lo meno restituito a una chiarezza di mente sufficiente a consentirgli di intuire che aveva motivo di essere spaventato. Infatti era terrorizzato, così che il suo primo tocco alla porta dell'abate non si udì affatto. Neppure Francis poté udirlo. Dopo parecchi minuti, riuscì a raccogliere il coraggio necessario per bussare ancora.
— Benedicamus Domino.
— Deo gratias? - chiese Francis.
— Entra, figliolo entra! — chiamò una voce affabile che Francis, dopo qualche secondo di perplessità, riconobbe, sbalordito, per quella del suo abate.
— Gira la maniglia, figlio mio — disse la stessa voce amichevole dopo che frate Francis si era fermato irrigidito per parecchi secondi, con le nocche ancora nella posizione di bussare.
— S-s-sì… — Francis toccò appena la maniglia, ma parve che quella maledetta porta si aprisse comunque; aveva sperato che sarebbe rimasta saldamente bloccata.
— Monsignore l'Abate ha m-m-m-andato a chiamare… me? — squittì il novizio.
L'abate Arkos sporse le labbra e annuì lentamente. — Uhm-sì, l'Abate ha mandato a chiamare… te. Entra e chiudi la porta.
Frate Francis chiuse la porta e rimase ritto, rabbrividendo, nel centro della stanza. L'abate giocherellava con qualcuno degli oggetti dai baffi di filo metallico tolti dall'antica cassetta.
— O forse sarebbe stato più conveniente — disse l'Abate Arkos — se il Reverendo Padre Abate fosse stato chiamato da te. Ora che tu sei stato così favorito dalla Provvidenza e sei diventato così famoso, eh? — E sorrise in modo accattivante.
— Eh? Eh? — Frate Francis rise con aria interrogativa. — Oh, n-n-no, Monsignore.
— Non contesti di aver acquisito fama molto rapidamente? Di essere stato eletto dalla Provvidenza per scoprire questo… — E indicò con un gesto le reliquie sparse sulla scrivania — … questa cassetta di cianfrusaglie come il suo precedente proprietario la chiamava giustamente?
Il novizio balbettò, impotente, e in qualche modo riuscì ad esibire una specie di sogghigno.
— Tu hai diciassette anni e sei evidentemente un idiota, non è così?
— Questo è indubbiamente vero, Monsignore Abate.
— Che scusa adduci per crederti chiamato alla Religione?
— Nessuna scusa, magister meus.
— Ah? È così? Allora senti di non avere vocazione per l'Ordine?
— Oh, io l'ho! — ansimò il novizio.
— Ma non adduci alcuna giustificazione?
— Nessuna.
— Piccolo cretino, ti sto chiedendo quali ragioni hai. Poiché dichiari di non averne, ne deduco che sei pronto a negare di aver incontrato qualcuno nel deserto, l'altro giorno, che sei inciampato in questa cassetta di cianfrusaglie senza alcun aiuto, e che ciò che io ho udito dagli altri è soltanto… un delirio febbrile?
— Oh, no, Don Arkos!
— Oh, no che cosa?
— Non posso negare ciò che ho visto con i miei occhi, Reverendo Padre.
— Quindi, tu hai incontrato un angelo… o era un santo?… forse non ancora un santo?… e ti ha indicato dove cercare?
— Non ho mai detto che era…
— E questa è la giustificazione per credere di avere una sincera vocazione, non è così? Questa… questa… dobbiamo chiamarla una "creatura"?… ti ha augurato di trovare una voce, e ha segnato una pietra con le sue iniziali, e ti ha detto che era ciò che cercavi, e quando tu hai guardato sotto la pietra… c'era questo. Eh?
— Sì, Don Arkos.
— Cosa ne pensi della tua esecrabile vanità?
— La mia esecrabile vanità è imperdonabile, mio Signore e Maestro.
— Immaginarti tanto importante da essere imperdonabile, è una vanità ancora più grande — ruggì il superiore dell'abbazia.
— Monsignore, io sono veramente un verme.
— Benissimo, è solo necessario che tu neghi la parte relativa al pellegrino. Nessun altro ha visto quella persona, sai. Mi pare di aver capito che avrebbe dovuto venire in questa direzione. Ha detto persino che si sarebbe fermato qui. E si è informato sull'abbazia. Sì? E dove sarebbe sparito, se mai è esistito? Nessuna persona di quel genere è passata di qui. Il fratello che era di turno alla torre di guardia non l'ha visto. Eh? Adesso sei disposto ad ammettere che te lo sei immaginato?
— Se non vi fossero veramente quei due segni sulla pietra dove lui… allora forse potrei…
L'abate chiuse gli occhi e sospirò, stancamente. — I segni ci sono… molto deboli — ammise. — Avresti potuto farli tu.
— No, Monsignore.
— Ammetti di avere immaginato quella vecchia creatura?
— No, Monsignore.
— Benissimo, sai cosa ti capiterà, adesso?
— Sì, Reverendo Padre.
— Allora preparati a ricevere la punizione.
Tremando, il novizio si raccolse l'abito attorno alla cintura e si piegò sulla scrivania. L'abate prese dal cassetto una robusta riga di quercia, la provò sulla palma, poi diede a Francis un abile colpo trasversale sulle natiche.