«Abbiamo passato un giorno a fare lezioni di lingua» disse Reuben rivolto a Mary. «Come può vedere, abbiamo fatto dei progressi.»
«Così pare» disse Mary sbalordita.
«Hak, Ponter, questa è Gillian» disse Reuben.
«Salve» salutò Hak, e Ponter annuì come approvando.
«Salve» rispose Gillian, facendo un evidente sforzo per controllarsi.
«Hak è… be', immagino che computer sia il termine giusto. Un computer portatile parlante» disse Reuben sorridendo, prima di aggiungere: «Altro che il mio palmare.»
«Ma c'è qualcuno che controlla quell'affare?» chiese Gillian.
«Per quanto ne so io, no» rispose il medico. «Ma lei — Hak — sembra avere una memoria perfetta. Basta dirle una sola volta una parola ed è in grado di ricordarla.»
«E quest'uomo, questo Ponter, davvero non parla inglese?» domandò Mary.
«No» rispose Reuben.
«Incredibile» fu il suo commento. «Incredibile.»
L'impianto emise un bip.
«Incredibile» ripeté Reuben rivolgendosi a Ponter «significa inverosimile.» Un altro bip. «Non vero.» Tornò a guardare Mary. «Ha acquisito i concetti di vero e falso impiegando alcune semplici nozioni matematiche, ma come vede dobbiamo ancora lavorarci su. Tanto per dirne una, anche se con la perfetta memoria che si ritrova è più semplice per Hak apprendere l'inglese che per noi imparare la sua lingua, né lei né Ponter riescono a riprodurre il suono della i lunga, e…»
«Davvero?» si stupì Mary con inusitata serietà. Il dottore annuì.
«Ti chiami Mare» disse Hak, dimostrando quanto aveva detto Reuben. «Lei si chiama Gill'an.»
«Ma è… è sbalorditivo.»
«Trova?» disse Reuben. «Perché?»
Mary trasse un profondo respiro. «In tutti questi anni si è molto dibattuto se i Neandertal avessero sviluppato l'uso del linguaggio articolato, e in tal caso, quale gamma di suoni usavano.»
«Ebbene?» la incoraggiò Reuben.
«Alcuni linguisti ritengono che non fossero in grado di pronunciare il fonema della i lunga, a causa della forma della bocca, molto più lunga della nostra.»
«Quindi abbiamo di fronte un Neandertal!» concluse Reuben.
Mary respirò di nuovo a fondo, espirando l'aria lentamente. «Be', sono qui per scoprirlo, no?» Poggiò a terra la piccola borsa che aveva con sé e la apri. Tirò fuori un paio di guanti di lattex e li infilò, quindi prese un vasetto di plastica e ne estrasse un tampone.
Quando fu pronta, disse: «Per favore, gli dica di aprire la bocca.»
Reuben annuì. «Questo non è un problema.» Si girò verso Ponter e gli ordinò: «Ponter, apri la bocca.»
Passò qualche secondo. Reuben aveva ormai capito che Hak traduceva per Ponter quello che gli veniva detto senza che nessuno ne sentisse la voce. Il Neandertal inarcò il lungo sopracciglio che gli attraversava la fronte — fu una visione stupefacente -, evidentemente sorpreso dalla richiesta, ma fece quello che gli era stato chiesto.
Reuben rimase senza parole. Al liceo aveva un amico che riusciva a infilare tutto il pugno della mano nella bocca; ma quella di Ponter era così profonda e capiente che avrebbe potuto infilarci non solo il pugno ma anche un terzo dell'avambraccio.
Mary infilò cautamente il tampone nella bocca, facendolo scorrere all'interno delle grosse guance angolose. «Le cellule della bocca vengono via con facilità» spiegò, forse notando l'espressione interrogativa di Gillian. «È il modo più semplice per prendere un campione di DNA.» Tirò fuori il tampone, e senza indugiare lo depose in un contenitore sterile che sigillò ed etichettò. Quindi disse: «Bene, è tutto quello di cui ho bisogno.»
Reuben sorrise a Gillian, poi a Mary. «Magnifico. Quando saranno pronti i risultati?»
«Be', devo tornare a Toronto, e…»
«Naturalmente, se preferisce così» la interruppe Reuben. «Ma, be', ho contattato un amico al dipartimento di chimica e biochimica dell'università Laurenziana. È una piccola università, ma è dotata di un laboratorio di medicina legale molto attrezzato, che analizza il DNA per conto della polizia. Potrebbe lavorare lì, se vuole.»
«E potrebbe sistemarsi all'hotel Ramada, a spese della Inco» aggiunse Gillian.
Mary fu colta palesemente di sorpresa. «Io…» cominciò, ma poi sembrò ripensarci. «Va bene» disse. «Certo, perché no?»
16
Adesso che aveva convinto Jasmel a parlare in sua difesa, Adikor aveva pensato al passo successivo: portarla fuori dal Centro e mostrarle il cosiddetto luogo del delitto. La pregò di aspettare più o meno un decimo di giorno, perché doveva occuparsi ancora di una faccenda lì nel Centro.
Ricordava con grande affetto la compagna di Ponter, Klast, la cui morte l'aveva molto rattristato. Anche lui aveva una donna. Conosceva l'incantevole Lurt Fradlo dai tempi in cui aveva incontrato Ponter per la prima volta. Aveva avuto un figlio con lei, Dab, un 148. Eppure, malgrado la conoscesse da sempre, non era mai stato nel suo laboratorio chimico. Dopo tutto, il periodo in cui Due diventano Uno erano giorni di festa, e nessuno lavorava. Per fortuna il suo Companion conosceva la strada.
Il laboratorio di Lurt era interamente costruito in pietra. Anche se le possibilità di esplosione dei laboratori chimici erano minime, le norme di sicurezza stabilivano che tali strutture dovessero essere costruite con materiali in grado di limitare i danni delle esplosioni e degli incendi.
Adikor trovò la porta aperta ed entrò.
«Buongiorno» lo salutò una donna, che, pensò Adikor, mascherava con ammirevole abilità la sorpresa di vedere un uomo in quel periodo del mese.
«Buongiorno» rispose Adikor. «Sto cercando Lurt Fradlo.»
«La trova nel suo laboratorio, in fondo al corridoio.»
La ringraziò con un sorriso e si avviò lungo il corridoio. «Buongiorno» disse a voce alta, appena messa la testa nel laboratorio.
Lurt si voltò, e un sorriso le illuminò il volto stupendo. «Adikor!» Gli corse incontro e lo abbracciò. «Che piacevole sorpresa!»
Non ricordava di averla mai vista durante gli Ultimi Cinque. Dava l'impressione di essere perfettamente equilibrata e ragionevole… come anche Jasmel, se era per quello. Forse quella faccenda degli Ultimi Cinque era una montatura messa su dagli uomini…
«Ciao, bellissima» la salutò stringendola a sé. «È molto bello rivederti.»
Ma Lurt conosceva bene il suo uomo. «Uhm, qualcosa non va» disse staccandosi da lui. «Cosa c'è?»
Adikor gettò uno sguardo oltre le sue spalle per sincerarsi che fossero soli, quindi la prese per mano e la condusse dall'altra parte della stanza, accanto alla mappa della tavola periodica, dov'erano sistemate delle sedie. A parte loro, nel laboratorio le uniche entità animate erano una coppia di rachitici robot; il primo versava un liquido su dei rottami, l'altro stava assemblando una struttura con tubi e materiale vetroso. Si accomodarono.
«Sono accusato di aver ucciso Ponter.»
«Ponter è morto?» disse Lurt spalancando gli occhi.
«Non lo so. È scomparso ieri pomeriggio.»
«Ieri sera ero a una festa. Non lo sapevo.»
Le raccontò tutta la storia. Si mostrò comprensiva, e non espresse alcun dubbio sulla sua innocenza. La fiducia di Lurt era una cosa su cui poteva sempre contare.
«Vuoi che sia io a difenderti?» propose.
Adikor distolse lo sguardo. «Be', vedi, l'ho già chiesto a Jasmel.»
Lurt annuì. «La figlia di Ponter. Sì, immagino che la sua testimonianza impressionerebbe favorevolmente un giudice.»
«È quello che ho pensato anch'io. Spero che la cosa non ti offenda.»
Lei sorrise. «No, no, certo che no. Senti, se posso esserti utile in qualche modo…»
«A dire il vero, qualcosa potresti fare» disse subito Adikor. Tirò fuori una fíaletta dal taschino e aggiunse: «Questo è un campione del liquido che ho trovato sul luogo dove Ponter è scomparso. Ce n'era una grossa quantità sul pavimento. Lo puoi analizzare?»
Lurt prese la fialetta e la guardò in controluce. «Certo. E se posso fare qualcos'altro, dimmelo pure.»
Adikor accompagnò Jasmel alla miniera. Voleva mostrarle il punto esatto dove il padre era scomparso, ma davanti agli ascensori la ragazza esitò.
«Qualcosa non va?» le chiese.
«Io… ehm, soffro di claustrofobia.»
Adikor scosse il capo, sconcertato. «Non è vero. Ponter mi ha raccontato che da piccola ti piaceva nasconderti dentro i cubi di dobalak. E so che quando eravate insieme ti portava con lui a esplorare le caverne.»
«Be', ehm…» le si smorzò la voce.
«Ah» intuì Adikor. «Non ti fidi di me, eh?»
«È solo che… insomma, mio padre è stata l'ultima persona a scendere laggiù con te. E non è più tornato.»
Adikor sospirò, ma la capiva. Per dare l'impulso al procedimento penale nei suoi confronti, qualcuno — qualche privato cittadino — doveva sostenere l'accusa. Quindi, se si fosse sbarazzato di Jasmel, di Megamel e di Bolbay, forse nessuno l'avrebbe fatto…
«Potremmo portare qualcuno con noi» le propose.
Jasmel ci aveva già pensato, ma anche lei aveva considerato che in casi del genere le cose assumevano un significato diverso. Certo, poteva chiedere a qualcuno di accompagnarla, una persona fidata. Ma anche questa sarebbe stata chiamata a testimoniare se si fosse arrivati alla fase finale del procedimento, in tribunale. «Sì, vostro onore, lo so che Jasmel parla in difesa di Adikor, eppure quando si è trattato di scendere nella miniera ha avuto paura di rimanere sola con lui. E come biasimarla, sapendo quello che Adikor ha fatto a suo padre?»
Per questo, alla fine, abbozzò un sorriso, così simile a quello del padre. «No» disse «Non ce n'è bisogno. Sono solo un po' nervosa.» Quindi, ridendo, aggiunse: «Dopo tutto, siamo in quel periodo.»
Ma appena si avvicinarono alla cabina dell'ascensore, da dietro saltò fuori un uomo incredibilmente tarchiato, che esclamò: «Fermo dove sei, scienziato Huld!»
Adikor, sicuro di non averlo mai visto prima di allora, disse: «Prego?»
«Hai intenzione di scendere nel tuo laboratorio?»
«Proprio così. Chi sei?»
«Gaskdol Dut. Il mio compito è controllare l'applicazione delle disposizioni del giudice.»
«Quali disposizioni?»
«La sorveglianza speciale disposta nei tuoi confronti. Non ti è permesso scendere laggiù.»
«Sorveglianza speciale?» ripeté Jasmel. «Che cos'è?»
«Le trasmissioni del Companion dello scienziato Huld sono state messe sotto controllo e vengono visionate da un essere umano, nella sede dell'archivio degli alibi, per dieci decimi al giorno, ventinove giorni al mese, fino a quando e se sarà provata la sua innocenza.»
«Non sapevo che fosse permessa una cosa del genere» si stupì Adikor.
«Oh, certo che lo è» rispose Dut. «Dal momento in cui Daklar Bolbay ha inoltrato denuncia contro di te, un giudice ha disposto la sorveglianza speciale.»
«Ma perché?» chiese Adikor controllando a fatica la rabbia che lo assaliva.
«Bolbay non ti ha trasmesso un documento in cui ti spiegava tutto questo?» chiese a sua volta Dut. «Ha sbagliato a non farlo. Comunque, la sorveglianza speciale serve a prevenire tentativi di fuga, inquinamento di prove, e così via.»
«Ma non voglio fare niente del genere» spiegò Adikor. «Perché mi impedisci di entrare nel mio laboratorio?»
Dut lo guardò come se non avesse capito la domanda. «Perché i segnali del tuo Companion da laggiù non sono percepibili, quindi non potrei controllare quello che fai.»
«Smidollato» disse Adikor a voce bassa.
Jasmel incrociò le braccia e cominciò a parlare: «Io sono Jasmel Ket e…»
«Lo so chi sei» la interruppe subito l'agente.
«Bene, allora sai anche che Ponter Boddit è mio padre.»
L'uomo annuì.
«Lui sta cercando le prove per dimostrare la sua innocenza. Non gli puoi impedire di scendere nel suo laboratorio.»
Dut scosse la testa, stupito. «Quest'uomo è accusato di aver ucciso tuo padre.»
«Ma è possibile che non l'abbia fatto. Mio padre potrebbe essere ancora vivo, e l'unico modo per scoprirlo è quello di ripetere l'esperimento con il computer quantistico.»
«Non so niente di esperimenti con i computer quantistici» disse Dut.
«Be', questo non mi stupisce» ironizzò Adikor.
«Perdinci, sei un tipo loquace, eh?» gli disse l'agente squadrandolo. «A ogni modo, gli ordini che ho ricevuto sono chiari: controllare che non lasci Saldak, e che non entri nel tuo laboratorio. E, guarda caso, ho ricevuto una segnalazione dall'archivio che stavi proprio per farlo.»
«Ma io devo scendere laggiù.»
«Spiacente» disse Dut incrociando le braccia muscolose sul petto massiccio. «Laggiù non posso controllarti, e per quanto ne so potresti far sparire delle prove che non sono ancora saltate fuori.»
«Ma io posso scendere nel laboratorio, vero? Non sono sotto sorveglianza speciale.» Be', quella ragazza aveva davvero l'intelligenza del padre.
Dut rifletté sulla cosa, poi disse: «No, suppongo di no.»
«Bene» disse Jasmel voltandosi verso Adikor. «Dimmi cosa bisogna fare per riportare indietro mio padre.»
Adikor scosse la testa. «Non è così semplice. Gli strumenti sono estremamente complessi, e poiché li abbiamo assemblati noi, non è indicato a cosa servono i comandi.»
Jasmel era visibilmente scoraggiata. Guardò l'omone e gli disse: «Be', e se scendessi giù con noi? Potresti vedere con i tuoi occhi quello che fa.»
«Laggiù?» disse Dut ridendo. «Vuoi che scenda in un posto dove il mio Companion non ha collegamento, e per di più con un tipo che proprio lì può aver già commesso un omicidio? Mi stai facendo arrabbiare.»
«Lascialo entrare» lo supplicò Jasmel.
Dut si limitò a scuotere la testa. «No, il mio compito è impedirgli di entrare.»
Adikor serrò la mascella. «E come?» chiese provocatoriamente.
«Cosa… cosa hai detto?» gli fece Dut.
«Come. In che modo mi impedirai di entrare.»
«Con ogni mezzo necessario» rispose Dut piatto.
«Va bene, allora» tagliò corto Adikor. Rimase fermo per un attimo, come riflettendo se farlo davvero. «Va bene, allora» ripeté, e con passo risoluto si diresse verso l'ascensore.
«Fermo!» gli intimò Dut col suo tono piatto.
«Altrimenti?» disse Adikor senza girarsi, sforzandosi di non lasciar trapelare la paura, ma la voce gli si incrinò e non ottenne l'effetto che avrebbe voluto. «Hai intenzione di sfondarmi il cranio?» I muscoli del collo si contrassero, preparandosi al colpo.
«No» rispose Dut. «Ti mando solo a nanna per un po' con questo sedativo.»
Adikor si fermò di scatto e si voltò. «Oh!» Be', non aveva mai infranto la legge fino ad allora, né aveva conosciuto qualcuno che l'avesse fatto. In fondo era giusto che ci fosse un modo per fermare qualcuno senza farle troppo male.
Jasmel si interpose tra lui e la pistola. «Prima dovrai colpire me. Lascialo entrare.»
«Se preferisci. Ma ti devo avvertire: ti sveglierai con un tremendo mal di testa.»
«Ti prego!» lo implorò Jasmel. «Non capisci che sta cercando di salvare mio padre?»
Per la prima volta Dut le parlò gentilmente: «Lo so che è dura da affrontare e che ti stai aggrappando a una flebile speranza, ma bisogna guardare in faccia la realtà.» Con la pistola fece cenno a entrambi di allontanarsi. «Mi dispiace, ma tuo padre è morto.»