Il tesoro della montagna azzurra - Emilio Salgari 2 стр.


 Va male, mormorò. Questi salti di vento non mi soddisfano. Sono soltanto lavanguardia.

Non si ingannava, il vecchio Reton. Alle nove, quando la nuvola nera cominciava a tingersi di strane luci prodotte senza dubbio da lampi intensissimi, che davano alle onde un aspetto livido, i grossi williwawns cominciarono a giungere, scendendo con furia dalle montagne della Nuova Caledonia. Si annunciavano con una specie di fremito sonoro che ingigantiva rapidamente fino a diventare un lungo ruggito, poi sabbattevano sulloceano, schiacciando di colpo i cavalloni che, passato quel soffio poderoso, infuriavano con maggior furore, come per vendicarsi di essere stati per un momento sopraffatti. Chi ne risentiva era lAndalusia. Quantunque fosse stato fabbricato a prova di scoglio, il povero veliero subiva dei salti terribili. Si alzava sulle creste come una baleniera vuota, tanto era equilibrato il suo carico, tuffando le altissime cime della sua alberatura negli strati inferiori dellimmensa nuvola nera, poi piombava nei baratri con una velocità così fulminea da pare non una discesa, ma una vera caduta, e tale era la sensazione che provava lintero equipaggio. E non cera da stupirsene, poiché le ondate più gigantesche non si incontrano che nelloceano Pacifico. In nessun altro luogo del mondo, nemmeno nei pressi del Capo di Buona Speranza o delle coste meridionali dallAustralia, le tempeste sono così tremende come quelle che si abbattono sulle coste della Nuova Caledonia.

In quei paraggi i venti raggiungono una velocità spaventosa e non hanno una direzione costante, poiché soffiano da tutti i punti dellorizzonte. Quando cominciano la ridda è un vero disastro per quei disgraziati abitanti, perché sollevano o sfondano le capanne, abbattono le piante più colossali e, cosa strana, inaridiscono la maggior parte dei rami degli alberi, compromettendo gravemente i raccolti dellannata. A un tratto però, con grande stupore dellequipaggio, ma non del capitano, si manifestò una calma improvvisa. Le raffiche, poco prima furiose, erano cessate improvvisamente e non si udivano più che i cupi muggiti delle onde e il rumoreggiare del tuono dentro la grande nube nera. Pedro, non meno sorpreso degli altri per quello strano cambiamento, aveva lasciato il castello di prora raggiungendo don Josè che si trovava sempre sul casseretto col bosmano.

 Che cosa avviene, signor Ulloa? chiese. Questa calma improvvisa mi fa più paura di cento colpi di vento.

 Avete ragione, don Pedro, rispose il capitano la cui fronte si era oscurata. Fortunatamente conosco troppo bene questi mari per lasciarmi ingannare. Un altro forse ne approfitterebbe per spiegare un po di tela e fuggire: io non commetterò una simile imprudenza. Questo è il tradimento del vento A quanto è sceso il barometro?

 A settecentodiciotto, rispose uno dei timonieri che usciva in quel momento dal quadro.

 È terribile, disse il capitano. Altro che calma!

Cominciava a piovere, o meglio a diluviare, e la gran nube si spezzava mostrando qua e là qualche stella. Non era pioggia, era un vero turbine dacqua che si rovesciava sullAndalusia. Gli ombrinali non bastavano a sfogarla quantunque ce ne fosse un buon numero sotto le murate. Qualunque altro, non pratico di quei luoghi, si sarebbe convinto che la bufera stava per finire. Persino la luna cominciava a far capolino fra gli strappi del nuvolone. Le preoccupazioni di don Josè e anche del bosmano invece aumentavano. LAndalusia era rimasta quasi immobile, perché non soffiava più il vento. Solo le onde sempre altissime, la scuotevano fortemente, percotendone, con furia e scrosci assordanti, i solidi fianchi. A bordo tutti tacevano, come se avessero avuto paura che leco delle loro voci turbasse quella calma. Dimprovviso la voce squillante di don Josè si fece sentire, dominando per un momento i fragori dellOceano.

 Attenti al salto di vento! Giù tutti i fiocchi!

Aveva appena pronunciate quelle parole, quando lequipaggio vide la nube raccogliere, con rapidità fantastica, i suoi lembi e ripiegarsi come su se stessa, mentre lampi sinistri, quasi ininterrotti, guizzavano in tutte le direzioni, illuminando la notte di riflessi lividi. Quasi subito si udì in lontananza un rumore strano, stridente, che savvicinava con spaventosa rapidità. Era la grande raffica che piombava sullAndalusia. I marinai avevano calati i fiocchi, appena in tempo. La terribile folata di vento sabbatté con mille urla sulla nave scotendola come una piuma. I quattro alberi, quantunque solo il trinchetto avesse le due vele basse, si piegarono scricchiolando sotto limmane urto, spezzando qualche sartia e qualche paterazzo, però, contrariamente alle previsioni di tutti, ressero allimpeto del ciclone. Le vele di trinchetto e di parrocchetto furono tuttavia sventrate di colpo e i loro lembi scomparvero lontano come grossi gabbiani.

 Issate una vela! urlò don Josè.

LAndalusia, che non aveva più alcuna stabilità, rollava e beccheggiava spaventosamente; guai se la zavorra si fosse spostata! Fortunatamente si componeva, invece di sabbia, di grosse piastre di ghisa, sovrapposte in modo da non potersi muovere. Don Pedro, pallido, si era accostato al capitano.

 Che il tesoro del vecchio capo dei kanaki se ne vada? gli chiese, non senza una certa emozione.

 Speriamo di no, rispose don Josè.

 Che cosa succederà ora?

 Solo Dio lo sa, don Pedro.

 Dubito di poter raccogliere quella famosa eredità.

 Eh! I cicloni non ragionano!

 Quanto tempo dovremo impiegare per arrivare alla baia?

 Chi può dirlo? Possiamo venir cacciati molto al largo.

 Quale fortuna per don Ramirez!

 Non occupatevi di costui in questo momento. Il tesoro della Montagna Azzurra non è ancora in sua mano.

 E se fosse già arrivato?

Il capitano non rispose. Guardava attentamente loceano che si spianava dinanzi a alla nave.

 Valgame Dios! mormorò, torcendosi nervosamente i baffi. Sta formandosi, ne sono sicuro.

 Che cosa, don Josè?

 Una tromba, rispose il capitano con voce rauca. Guardate là, dinanzi a noi, dove le onde invece dalzarsi si abbassano. Questa brutta sorpresa non me laspettavo. Poi alzando la voce comandò:

 Il cannone dei segnali in coperta. Presto, caricatelo!

A duecento passi dallAndalusia lacqua cominciava a girare vorticosamente come se il mare fosse agitato da una convulsione interna. Era la tromba marina che stava formandosi.

II. IL TESORO DELLA MONTAGNA AZZURRA

Sette settimane prima degli avvenimenti narrati, durante una mattinata limpida e tranquilla, un giovane, accompagnato da una bellissima ragazza, saliva a bordo dellAndalusia, che era ancorata al Callao in attesa di trovare qualche carico per i porti della Cina o del Giappone, chiedendo di parlare subito al capitano Josè Ulloa, proprietario della splendida goletta che formava lammirazione di tutti i marinai della costa cilena. Erano Pedro de Belgrano e sua sorella Mina, figli di uno dei più noti armatori e uomini di mare di Valparaiso, scomparso misteriosamente quattro anni prima nelloceano Pacifico, dopo aver accumulato un bel patrimonio per i suoi eredi. Don Josè Ulloa stava fumando in quel momento la pipa nel salotto del quadro, seduto davanti ad una bottiglia di vecchia caña, e contava di finirla prima di sera. Quando seppe dal mozzo di bordo, che cera anche una señorita insieme al giovane sconosciuto, aveva dato ordine di farli subito scendere nel quadro e di preparare un buon caffè. Don Pedro e Mina erano, piuttosto esitanti, entrati nel comodo salottino del comandante, accolti con quella ruvida ma franca cordialità degli uomini di mare.

 Il cannone dei segnali in coperta. Presto, caricatelo!

A duecento passi dallAndalusia lacqua cominciava a girare vorticosamente come se il mare fosse agitato da una convulsione interna. Era la tromba marina che stava formandosi.

II. IL TESORO DELLA MONTAGNA AZZURRA

Sette settimane prima degli avvenimenti narrati, durante una mattinata limpida e tranquilla, un giovane, accompagnato da una bellissima ragazza, saliva a bordo dellAndalusia, che era ancorata al Callao in attesa di trovare qualche carico per i porti della Cina o del Giappone, chiedendo di parlare subito al capitano Josè Ulloa, proprietario della splendida goletta che formava lammirazione di tutti i marinai della costa cilena. Erano Pedro de Belgrano e sua sorella Mina, figli di uno dei più noti armatori e uomini di mare di Valparaiso, scomparso misteriosamente quattro anni prima nelloceano Pacifico, dopo aver accumulato un bel patrimonio per i suoi eredi. Don Josè Ulloa stava fumando in quel momento la pipa nel salotto del quadro, seduto davanti ad una bottiglia di vecchia caña, e contava di finirla prima di sera. Quando seppe dal mozzo di bordo, che cera anche una señorita insieme al giovane sconosciuto, aveva dato ordine di farli subito scendere nel quadro e di preparare un buon caffè. Don Pedro e Mina erano, piuttosto esitanti, entrati nel comodo salottino del comandante, accolti con quella ruvida ma franca cordialità degli uomini di mare.

 Consideratevi come a casa vostra disse don Josè alzandosi. E voi, señorita, fatemi lonore di accomodarvi.

 Siete don Josè Ulloa, vero? chiese subito il giovane.

 In persona, señor

 Allora voi ci conoscete?

Il lupo di mare guardò attentamente il giovane, poi la señorita, quindi scosse il capo.

 Non mi pare di avervi mai visto disse E poi tocco il Callao così di rado, poiché la mia nave è impegnata sempre in lunghe navigazioni

 Oh, di nome! esclamò il giovane. Nostro padre era luomo di mare più conosciuto sulle coste cilene e peruviane.

 Come si chiamava?

 Fernando de Belgrano.

Il capitano batté un formidabile pugno sulla tavola, poi vuotò di un sol colpo un bicchiere di caña.

 Rayo de Dios! esclamò poi gettando via il berretto che gli copriva il capo. E perché non me lo avete detto prima, giovanotto? Ho fatto dei viaggi attraverso il Pacifico sul suo Sarmento, come secondo di bordo. Grande marinaio, il capitano Fernando! Nessun uomo di mare poteva guidare una nave meglio di luiE voi siete i suoi figli?

 Sì, capitano, rispose don Pedro.

 Poveri ragazzi! Mare traditore che insidia sempre gli onesti naviganti! È stato divorato dagli isolani della Polinesia, è vero?

 Ma no, capitano Ulloa.

Un altro pugno formidabile che fece oscillare la bottiglia di caña e saltellare il bicchiere, piombò sulla tavola.

 Mil diables! esclamò non è stato divorato dai neozelandesi e dai canaki della Nuova Caledonia o delle isole Salomone? Eppure lo affermano tutti!

 Su quali documenti? chiese don Pedro.

 Señor, disse il capitano voi avete giurato di farmi perdere la pazienza, a quanto pare. Vi prego di spiegarvi. È morto quel bravo capitano o è ancora vivo? Non dimenticate che era il mio migliore amico.

 A questora deve aver resa lanima a Dio, rispose il giovane con voce triste. Almeno così risulterebbe dallo scritto trovato in un barile, dal capitano Ramirez.

 Ramirez! esclamò luomo di mare, corrugando la fronte. Un pessimo soggetto che si è arricchito massacrando o facendo morire di fame quei disgraziati di cinesi che si lasciano arruolare per venire qui a scavare le miniere di guano. Conosco quel pirata che disonora gli onesti marinaiAvanti señor: mi avete parlato di un barile e di un documento: che cosa volevate dire?

 Che mio padre, dopo quattro anni, ha dato sue notizie. rispose don Pedro.

 Quali? gridò il capitano.

 Abbiate la compiacenza di ascoltarmi, don Josè Ulloa, disse il giovane.

 Sono a vostra disposizione, señor, rispose il comandante dellAndalusia ricaricando e riaccendendo la pipa. Ho tempo da perdere finché vorrete. Questo racconto, che riguarda uno dei miei migliori amici e che forse chiarirà un mistero che ha suo tempo ha molto impressionato tutti i marinai cileni, mi interessa straordinariamente.

 Quindici o venti giorni or sono, il capitano Ramirez che tornava da Canton con un carico di arruolati cinesi

 I suoi schiavi, che quel miserabile si diverte a tormentare, lo interruppe il comandante dellAndalusia con disprezzo profondo. Vi prego continuate, don Pedro de Belgrano.

 incontrava nei paraggi dellisola Lifu, una delle maggiori della Caledonia, un barilotto galleggiante sul mare.

 E che cosa conteneva?

 Un documento scritto in doppio originale, in inglese ed in spagnolo, e due pezzi di scorza dalbero sui quali ci sono dei segni misteriosi che invano ho cercato di decifrare.

 Avete quella corteccia?

 Sì, capitano.

 Fatemela vedere, prima di tutto. Conosco la Nuova Caledonia. Brutta isola, dove non si può fare una passeggiata o una partita di caccia, senza correre il rischio di venire mangiati.

Don Pedro si frugò in una delle ampie tasche del soprabito ed estrasse un involto.

 Ecco, capitano, disse esaminate pure questa corteccia; poi continuerò il mio racconto.

Aprì la carta che avvolgeva il talismano e mise davanti al capitano un pezzo di corteccia biancastra che portava incisi e coloriti in rosso tre figure che rassomigliavano a dei grossi piccioni.

 I notù! esclamò il capitano. Sebbene malamente incisi li riconosco benissimo.

 Che cosa sono? chiesero ad una voce don Pedro e Mina con una certa ansietà.

 Ecco, rispose il capitano i notù che io ho già cacciato sulle coste della Nuova Caledonia, sono dei bellissimi colombi e posso dire anche molto buoni, grossi quanto una delle nostre galline, con le penne color bronzo, che vivono di preferenza nel più fitto dei boschi, sicché e molto difficile distinguerli. Il loro grido è così forte che rassomiglia al muggito di un bufalo. Quello che vi posso dire, ragazzi miei, è che sono tenuti in molta considerazione dai canaki della Nuova Caledonia, non saprei se per la bellezza delle loro penne, se per la delicatezza delle loro carni o per qualche altro motivo a me ignoto.

 E questa corteccia? chiese don Pedro.

 È un pezzo di niaulis, rispose il capitano dopo averla osservata attentamente. La corteccia di un albero che si stacca facilmente a lunghe strisce.

 Insomma nulla di straordinario in tutto questo, disse Mina.

 Adagio, señorita, rispose il comandante. Questo disegno che rappresenta tre notù può avere il suo valore. Ditemi, prima che mi pronunci definitivamente, che cosa diceva il documento contenuto nel barile trovato da quel briccone di Ramirez?

 Volete leggerlo?

 Lavete con voi?

 Sì, una copia, quella scritta in lingua spagnola.

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