Le figlie dei faraoni - Emilio Salgari 2 стр.


Il sacerdote era rimasto muto dinanzi allentusiasmo del giovane, anzi sembrava che quella confessione avesse raddoppiato il suo turbamento. I suoi sguardi erravano smarriti, ripieni di terrore, posandosi ora su Mirinri ed ora sul simbolo di vita e di morte dei Faraoni.

«La vedi ancora?» chiese ad un tratto, con accento quasi brutale.

«Sì, sta dinanzi a me,» rispose il giovane, che teneva sempre le mani sugli occhi. «Mi guarda mi sorride e provo ancora quel fremito intenso che mi scosse quando, strappatala dalle fauci del coccodrillo, la strinsi fra le mie braccia e la portai, col suo capo posato sul mio petto, sulla sponda e la deposi sullerba ancora stillante la rugiada notturna.»

«Così intensamente lami, dunque?»

«Più della mia vita.»

«Disgraziato!»

Mirinri levò le mani e guardò il sacerdote che gli stava ritto dinanzi, collo sguardo fiammeggiante e le braccia tese, come in atto di scagliare una maledizione.

«Se è vero che io sono un Faraone, come tu mi hai detto, perché non potrei amare una fanciulla di stirpe reale?»

«Perché quella giovane deve appartenere a quella razza maledetta che devi, anche se non lo volessi, odiare non solo, bensì anche sterminare. Tu non conosci ancora listoria di tuo padre ed ignori i dolori sopportati da quel re sventurato.»

Mirinri era diventato pallido e si era coperti nuovamente gli occhi.

«Narramela dunque,» disse poi, con voce triste. «Nelle tue parole sta il mio destino, un terribile destino che spezzerà forse la malìa gettatami nel cuore da quella fanciulla.»

«Tu dovrai, al pari di tutti quelli della sua stirpe odiare e uccidere,» aggiunse il sacerdote, con voce cupa. «Odimi dunque.»

CAPITOLO SECONDO. Le tombe di Qobhou

«Tuo padre, il grande Teti, era il capo stipite della VI dinastia. A lui Menfi deve il suo splendore ed a lui lEgitto deve la sua potenza e la sua grandezza e le più grandi piramidi, che sfideranno il tempo e che sussisteranno anche quando forse la nostra razza si sarà spenta.

«Egli ebbe due figli: tu ed una bambina a cui i sacerdoti imposero il nome di Sahuri.»

«Mia sorella!» esclamò Mirinri.

«Sì.»

«Vive ancora?»

«Lo saprai più tardi. Accadde che un giorno si sparse la voce che un esercito caldeo aveva attraversato listmo, che separa il Mediterraneo dal mar Rosso, lAfrica dallAsia e che si avanzava minaccioso per distruggere la potenza della nostra razza.

«Degli eserciti egizî furono mandati contro glinvasori e vennero ad uno ad uno sterminati.

«Tutte le città della costa sono prese e date alle fiamme e gli abitanti passati a fil di spada, senza riguardo né di sesso, né di età. Pareva che lultima ora stesse per suonare pei Faraoni e che perfino la grande Menfi dovesse crollare sotto i colpi dei Caldei.

«Fortunatamente vi era tuo padre.

«Discendente da caste guerriere, forte e valoroso, raccolse un poderoso esercito e disprezzando i consigli dei vili cortigiani e ministri, che non volevano che un re si esponesse a sì grave rischio, ne assunse il comando e mosse risolutamente contro il nemico che già savanzava vittorioso verso Menfi.

«Ad On, là dove comincia il Nilo a diramarsi, le sterminate falangi degli Egizi e dei Caldei surtarono con terribile accanimento.

«Tuo padre combattè come lultimo dei suoi soldati, nelle prime file, onde dare lesempio. Sfidò impavido le freccie incendiarie e le pesanti spade di bronzo degli asiatici e sfondò le linee avversarie.

«La battaglia nondimeno non era ancora vinta. Dallalba al tramonto la strage continuò con perdite enormi dambo le parti. Il Nilo diventò rosso pel gran sangue che vi scorse dentro; tutta la terra fu inzuppata di sangue e monti e monti di cadaveri salzarono dovunque.

«Fu solo allo sparir del sole che i Caldei, sgominati, decimati, scoraggiati, si diedero alla fuga ritornando al di là dellistmo.

«LEgitto era salvo pel valore di tuo padre; Menfi non correva ormai più alcun pericolo, eppure quella vittoria doveva rendere infelice e per sempre il vincitore».

«Cadde combattendo?»

«Ferito da una freccia caldea, che lo aveva colpito in mezzo al petto, quando già sfondava le linee avversarie, era rimasto sul campo, in mezzo ad un cumulo di cadaveri. Nella mischia orrenda, nessuno si era accorto che il re era scomparso, o meglio uno lo aveva veduto; ma aveva quel miserabile troppo interesse per avvertire i generali ed i soldati della disgrazia toccata a tuo padre.»

«Chi?» chiese Mirinri, scattando in piedi, cogli occhi fiammeggianti.

«Suo fratello: lambizioso Mirinri Pepi, che ora regna sullEgitto in vece tua e»

«Il fratello di mio padre mi ha usurpato il trono?»

«Sì, Mirinri, ma lasciami continuare. Listoria non è ancora finita. Tuo padre non era stato ferito mortalmente. Latroce dolore prodottogli dalla punta della freccia uncinata e che egli si era strappata, allargando così la piaga, lo aveva fatto cadere svenuto ed era rimasto come sepolto sotto altri corpi umani, caduti dopo di lui. Che cosa accadde poi? Non me lo seppe mai dire.

«Quando tornò in sé si trovò sotto una tenda di pastori negri, assai lontano dal campo di battaglia.

«Probabilmente quegli uomini erano accorsi durante la notte per depredare i cadaveri, ed essendosi accorti dalle ricche vesti che indossava tuo padre e dal simbolo di vita e di morte che portava fra i capelli, che doveva essere un grande personaggio, forsanche un Faraone, lavevano portato con loro collidea di chiedere più tardi un grosso riscatto.

«Tu sai che i pastori nostri, che vivono sui margini del deserto, sono tutti predoni, quando si presenta loro loccasione.

«Tuo padre non ebbe però a lagnarsi di loro. Fu trattato con molti riguardi, curato affettuosamente. La ferita, dopo venti giorni, si chiuse e la convalescenza cominciò.

«Fu indescrivibile lo stupore dei pastori, quando appresero dalla sua bocca essere egli Teti.

«Per ordine di tuo padre, un pastore partì subito per Menfi, onde avvertire il popolo ed i ministri che il re dellEgitto era ancora vivo e che si recassero a prenderlo colla pompa dovuta ad un Faraone. Luomo partì, e non ritornò più. Tuo padre, temendo che fosse stato assalito lungo la via da qualche banda di predoni, ne mandò un secondo, poi un terzo e anche quelli non si fecero più vedere. Inquieto, molto preoccupato, decise di recarsi lui a Menfi. Formò una piccola scorta di pastori e un mattino si mise in viaggio.

«Quando entrò in Menfi, apprese con angoscia che suo fratello aveva assunto il potere e che il popolo ed i ministri, credendo che Teti realmente fosse morto, lo avevano acclamato re, senza preoccuparsi di te che avevi allora appena due anni.

«Quasi tutti gli amici di tuo padre ed i parenti più prossimi erano stati fatti segretamente uccidere dallusurpatore e forse tu avresti subito legual sorte se la tema di scatenare fra il popolo una improvvisa ribellione non lo avesse trattenuto».

«E mio padre che cosa fece allora?» chiese Mirinri, con impeto selvaggio.

«Che cosa volevi che facesse quasi solo, senza alcuna forza tra le mani? Tentò di persuadere i ministri, ma quei vili ebbero laudacia di dirgli che era un pazzo, un furfante e che dello spento re non aveva che qualche vaga rassomiglianza. Per persuaderlo meglio o piuttosto per rassicurare vieppiù il popolo che egli realmente era un mentecatto fu condotto nella piramide da lui stesso fatta innalzare e gli mostrarono la bara dove riposava il corpo di Teti I.»

«Chi vi avevano messo dentro?»

«Qualcuno che forse gli rassomigliava o che avevan reso irriconoscibile dopo daverlo vestito da sovrano e di avergli puntato fra i capelli il simbolo di vita e di morte.»

«Chi vi avevano messo dentro?»

«Qualcuno che forse gli rassomigliava o che avevan reso irriconoscibile dopo daverlo vestito da sovrano e di avergli puntato fra i capelli il simbolo di vita e di morte.»

«E come mi trovo qui, mentre dovrei essere nella reggia di Menfi?» chiese Mirinri.

«Tuo padre, temendo che Mirinri Pepi ti facesse un dì o laltro assassinare, ti fece rapire da alcuni devoti amici, che lusurpatore aveva risparmiati, e ti affidò a me onde mincaricassi di allevarti. Fuggii da Menfi, durante una notte oscura, risalendo il Nilo ed in questi luoghi presi dimora, attendendo pazientemente che tu avessi compiuto letà che permette, secondo le nostre leggi, di regnare.»

Successe un lungo silenzio. Mirinri era tornato a sedersi e pareva si fosse immerso in profondi pensieri. Il sacerdote, sempre in piedi, lo guardava fisso, come se cercasse dindovinare ciò che passava attraverso il cervello del giovane.

Ad un tratto, questi si alzò bruscamente, col viso trasfigurato, gli occhi animati da una collera terribile.

«Mio padre è morto, è vero, Ounis?»

«Sì, in esilio, sui margini del deserto libico, ove si era rifugiato per non cadere sotto i colpi dei sicari di Pepi. La sua condanna di morte era stata ormai pronunciata dallusurpatore.»

«Che cosa devo fare io, ora?»

«Vendicarlo e riconquistare il trono che per diritto ti spetta.»

«Solo, senza mezzi, senza un esercito?»

«Non solo,» rispose il sacerdote. «Amici di tuo padre ve ne sono ancora a Menfi e aspettano per salutarti re. I mezzi, mi hai detto? Ebbene, vieni.»

«Dove?»

«Nelle tombe di Qobhou, lultimo Faraone della prima dinastia, che tuo padre aveva scoperto nei primi anni del suo regno, senza confidare ad alcuno il segreto. Là troverai ricchezze bastanti per conquistare lintero Egitto ed altre terre ancora, se tu lo vorrai.»

«Dove sono queste tombe?»

«Più vicine di quello che tu creda. Seguimi, Mirinri.»

Il vecchio prese una piccola lampada di terracotta, in forma danfora, riattizzò il lucignolo onde la fiamma si ravvivasse e savviò verso il fondo della caverna, dove scorgevasi una sfinge di marmo roseo di dimensioni gigantesche.

«Sta qui il segreto dellentrata,» disse.

Fece scorrere una mano sul dorso della statua e subito la testa cadde, lasciando vedere un foro abbastanza lungo perché un uomo, anche corpulento, vi potesse entrare senza troppa fatica. Da quellapertura sfuggì una corrente daria quasi calda impregnata dun tanfo poco piacevole.

«Dobbiamo entrare lì?» chiese Mirinri.

«Sì.»

«Perché non mi hai mai detto che esisteva un passaggio in questa caverna.?»

«Io avevo giurato solennemente a tuo padre di non rivelartelo, se non quando tu avessi compiti i diciottanni. Vieni: nessun pericolo ci minaccia e vedrai delle cose che ti faranno stupire.»

Sintrodusse nel foro, avanzandosi carponi e tenendo la lampada dinanzi a sé, e dopo poco si trovò in un ampio corridoio, che era fiancheggiato ai due lati da un numero immenso di statuette di bronzo e di pietra, rappresentanti dei gatti in varie pose.

Ve nerano però moltissimi anche imbalsamati, allineati su un cornicione che sporgeva presso la vôlta del passaggio.

Come si sa, gli antichi egizi tenevano in grande considerazione quei parenti prossimi delle tigri, anzi adoravano, fra le molte divinità, Pakhit la dea dei gatti, che aveva il corpo di una donna e la testa dei felini, anzi ne ponevano nei loro sepolcreti e perfino entro le piramidi ove riposavano le salme dei re.

Che più? Avevano perfino dei cimiteri, esclusivamente destinati ad accogliere i mici e che erano sotto la protezione della dea sopraccennata o del dio Nofirtonmon.

Ultimamente anzi ne venne scoperto uno, al sud degli ipogei di Beni-Hassan, che conteneva la bagatella di 180.000 mummie di gatti colà deposte dai re della XVIII dinastia.

Ounis continuò ad avanzarsi, proteggendo la lampada con una mano, essendovi ancora una forte corrente daria satura di quellodore sgradevole che regna nelle cantine abbandonate, e sbucò finalmente in una sala così immensa da non potersene scorgere lestremità, la cui vôlta era sorretta da un gran numero di colonne massiccie, abbellite di sculture rappresentanti divinità e ibis, luccello venerato dagli antichi egizi e che si vede su tutti i monumenti eretti in quelle lontane epoche.

Lungo le pareti che erano lievemente inclinate, si scorgevano delle statue colossali, simili a quelle che si vedono ancora oggidì sulla facciata del tempio di Abu Simbel, pesanti e tozze, con quella grandiosità di forme colle quali sembrano concepiti tutti i monumenti dellantico Egitto.

Erano statue di uomini e di donne, i primi con berretti monumentali, sormontati da una specie di cocuzzolo, con delle strane barbe quadrate, più larghe verso il fondo che presso le labbra e degli stracci pendenti lungo gli orecchi e ricadenti sulle spalle, e le altre coperte dalla futta, quella specie di sottana che annodavano alle reni e che avvolgeva, come una specie di imbuto, le loro gambe.

Veduti alla vacillante luce della piccola lampada, quei colossi, che stavano seduti gli uni presso gli altri colle braccia abbandonate sul ventre, producevano un effetto strano che impressionava profondamente Mirinri, non abituato altro che a vedere le acque verdeggianti o fangose del Nilo, le sabbie del deserto e le altissime palme ravvivate dallumidità del fiume gigante.

Ounis, che sembrava non sinteressasse né delle statue, né dei colonnati, né delle sculture, continuò ad avanzarsi verso il fondo di quellimmensa, interminabile sala, scavata nel vivo masso da chissà quante migliaia di operai, e si arrestò dinanzi a due statue di grandezza quasi naturale, che alla luce della lampada mandavano dei bagliori acciecanti. Una rappresentava un uomo, con indosso il ricco costume dei Faraoni ed il simbolo di vita e di morte collocato sulla fronte; laltra una donna bellissima, con grandi occhi neri ed il viso dipinto in giallo; ma con un po di rossetto sulle gote, che le dava un aspetto singolarissimo ed insieme una speciale attrattiva.

Entrambi portavano delle pitture di soggetto religioso, ripetizione ortodossa del gran rito etiopico, dove si vede lanima del defunto fare la sua visita e le sue offerte a tutte le divinità, di cui essa deve implorare la protezione.

Invece di chiuderli entro la bara, quellantichissimo monarca e sua moglie, dopo essere stati imbalsamati, li avevano messi in piedi, sorreggendoli con unasta di bronzo passata attraverso le strette fascie che li coprivano dalle anche ai piedi.

Sia luno che laltra, onde si conservassero meglio, erano stati coperti da un leggero strato di vetro, colato probabilmente sul luogo, un vetro traslucido, duna purezza straordinaria, che scintillava vivamente sotto la luce proiettata dalla piccola lampada.

«Chi sono costoro?» chiese Mirinri, che li guardava con vivo interesse.

«Qobhou, lultimo re della prima dinastia e sua moglie,» rispose Ounis. «Guarda: su queste due tavolette di pietra nera sta scritto il loro nome.»

«Ed è per farmi vedere queste due mummie che mi hai condotto qui?»

«Aspetta, giovane impaziente. La nostra esplorazione non è ancora finita. A che cosa potrebbero servire questi morti? Non certo a darti mezzi per conquistare il trono. Seguimi ancora.»

Sinoltrò in quellimmensa sala, che pareva non avesse più fine, passando fra due file di sarcofaghi di pietra, i cui rilievi esterni riproducevano esattamente le forme delle persone che vi stavano dentro. Alcuni erano dorati, altri invece argentati e raffiguravano re e regine.

I primi avevano intorno al capo un disco rosso e portavano sotto il mento una barba intrecciata; le altre avevano unacconciatura a bendoni, con dipinte sopra delle penne davvoltoio e la testa coronata da grosse treccie di capelli adorni con ametiste, crisoliti e smeraldi.

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