La crociera della Tuonante - Emilio Salgari 6 стр.


Tosto un grido solo si alzò fra i marinai schierati lungo le murate:

«Grazia, capitano, grazia!»

Interrotta la passeggiata, il Corsaro aveva dato uno sguardo sulla tolda della corvetta, e veduto quel briccon di Bretone che, senza aspettar lordine, si portava via lAssiano, aiutato da Piccolo Flocco.

«Grazia per quelluomo!» ripeté lequipaggio.

«Sia!» rispose il Corsaro dopo un momento.

Intanto gli altri tre disgraziati continuavano a tirar calci al vento. Ma dopo poco, e a breve distanza luno dallaltro, penzolarono immobili. Facevano paura. Il primo aveva i suoi occhi azzurri spalancati, naufragati in mezzo a qualche orribile visione; il secondo, con uno sforzo disperato, era riuscito a spezzare i legami ed era morto colle mani tese, rigidamente allontanate dal corpo, e il volto levato verso il cielo, colla testa un po reclinata sulla spalla sinistra; il terzo, quello che aveva fissata ostinatamente la bandiera della corvetta, dava ancora qualche segno di vita. Le sue gambe si allungavano scricchiolando, poi si contraevano con un movimento che andava diminuendo rapidamente. Il nodo scorsoio gli era passato dietro un orecchio, e perciò aveva potuto sopravvivere qualche pò ai compagni. Anche gli occhi suoi erano orribilmente spalancati. Forse quello strano soldato aveva fissata fino allultimo istante la bandiera della corvetta, perché quel rosso gli ricordava altri stemmi di principi germanici. Era quello che faceva più impressione. La sua testa era piegata sopra la spalla destra, e la lingua gli usciva nera dalle labbra, tra un fiotto di bava sanguigna.

Il Corsaro attese qualche minuto, poi volgendosi al secondo, gli disse:

«Signor Howard, sbarazzate la corvetta. Tre amache con tre palle di cannone: ecco la tomba del marinaio.»

«E laltro non lo fate riappiccare, sir William?»

«Per ora no,» rispose asciutto il Corsaro. «Eseguite.»

6. La flotta fantasma

Due giorni dopo quella triplice esecuzione, la piccola squadra, giunta di fronte alle coste virginiane, quasi allaltezza di Norfolk, veniva assalita dalle prime onde, che da un paio di settimane mettevano sossopra lAtlantico settentrionale. Il cielo era diventato oscurissimo verso levante, e larghi nuvoloni, gravidi di pioggia o di tempesta, si stendevano sotto i soffi del vento, mentre nel loro seno brillavano vivissimi i lampi e brontolava quasi senza riposo il tuono. Anche le acque delloceano avevano assunto una tinta grigiastra come se si fossero mescolate alla vicina grande corrente del Gulf-Stream, che rimontava, costeggiando lAmerica orientale, verso il gran banco di Terranova. Si vedevano immensi stormi di uccelli marini, formati per lo più da rincopi, disgraziati volatili che, avendo il becco inferiore assai più corto del superiore, sono frequentemente esposti a dei lunghi digiuni. Fuggivano tutti verso ponente schiamazzando, per cercare un asilo più sicuro nelle scogliere della Virginia.

Qualunque altra nave, vedendo quel temporale ingrossare e scendere ormai furiosamente verso il sud, si sarebbe affrettata a seguire lesempio di quei prudenti volatili. Il Corsaro invece aveva segnalato a tutta la squadra di far fronte alla tempesta.

Il giorno innanzi un piccolo legno corsaro che, prevedendo mare grosso, scappava in cerca dun rifugio, aveva avvertito il Baronetto e i comandanti americani che la squadra di lord Dunmore, già sgominata dalle continue tempeste che lavevano assalita durante la traversata dellAtlantico, veleggiava verso il sud per cercare un punto di sbarco, che le era mancato sulle coste della Virginia per il valore di quegli stanziali e di quei piantatori. Or sapendo che la fregata del Marchese, rimasta assai indietro alle navi di Howe, per riparare forse i danni subiti nel combattimento colla Tuonante, si era imbrancata con quella squadra che gli Americani chiamavano fantasma, aveva deciso di tentare un colpo disperato, quantunque la tempesta rumoreggiasse spaventosamente.

Tutte le precauzioni erano state prese per resistere ai grandi colpi di mare e per tentare un fulmineo abbordaggio contro la fregata: le imbarcazioni saldamente assicurate ai paranchi, i pezzi delle batterie strettamente frenati perché non prendessero la corsa, i grappini tesi sulle griselle basse, pronti a essere lanciati. Anche le quattro navi americane, che erano montate da intrepidi marinai, avevano prese le medesime precauzioni, e ridotta la velatura ai minimi termini, per non farsi subissare da qualche improvviso ed irresistibile salto di vento.

Testa di Pietra e Piccolo Flocco, sempre insieme, osservavano dallalto del castello di prora, mentre a pochi passi da loro stava seduto su una matassa di funi lAssiano, ormai completamente rimessosi dalla semimpiccagione.

«Uhm!» brontolò il Bretone, scotendo la testa e stringendo le pugna. «Questo si chiama veramente mare cattivo. E quando anche gli uccelli marini, che nulla hanno da temere, fuggono, le navi dovrebbero fare altrettanto.»

«La Tuonante è stata costruita per le battaglie e le tempeste,» rispose il giovine gabbiere.

«Per tutti i campanili della Bretagna! a me lo dici? Sì, salda, robusta, magnifica veliera; ma quando lAtlantico infuria, vè da pensarci due volte a sfidarne le onde.»

«E assaliremo la squadra Dunmore in piena tempesta?»

«Pare sia questa lidea del nostro terribile comandante. Non daremo addosso che alla fregata, se è vero che si trova tra la squadra fantasma. Le navi americane sincaricheranno del resto, se lo potranno.»

«Vi è pericolo, Testa di Pietra, che questa volta si vada a dormire sottacqua?»

Il Bretone corrugò la fronte, poi disse:

«Forse che i marinai non sono nati per finire, presto o tardi, in bocca ai pesci? Anche mio nonno fu divorato da un pescecane.»

«E poi riuscì vivo per salvare la storica pipa.»

«Sì, monello,» rispose Testa di Pietra.

«E tu credi che avremo tempesta grossa?»

«Vedrai fra un paio dore come la squadra ballerà disperatamente. Avremo spaventevoli colpi di vento e grandi colpi di mare. Bà, siamo i figli delloceano e corazzati contro le bufere.»

Una raffica impetuosa si rovesciò in quel momento sulla corvetta, abbattendola bruscamente sul tribordo fino allaltezza degli ombrinali. Tutti i marinai balzarono ai bracci delle manovre, in attesa di ordini. Nessuno appariva impressionato dalla tempesta che stava per coglierli proprio sul cadere del giorno. Difatti il sole, dopo aver forato per qualche istante una gran nube nera galoppante per il cielo, era scomparso, e le tenebre piombavano, rotte solamente dai lampi, che si succedevano in gran numero.

Il Corsaro ed il signor Howard, muniti ciascuno dun portavoce, lanciavano con voce poderosa i comandi, i quali venivano seguiti dal fischietto di Testa di Pietra.

Alle 8 loscurità era profondissima, tanto che lequipaggio della Tuonante stentava a seguire le quattro navi americane, esse pure alle prese colla bufera. Sopra le tempestose nubi passavano di tratto in tratto dei rombi assordanti, che parevano prodotti da grossi carri pieni di lamiere di ferro lanciati a gran corsa. Lelettricità era intensa. Delle fiammelle si erano già mostrate sulle punte degli alberi, guizzando poi lungo le sartie e rimontando di quando in quando verso i pennoni di contrappappafico. La corvetta cominciava a rollare e a beccheggiare spaventosamente, tuffando impetuosamente il suo bompresso nelle onde insieme coi fiocchi che non erano stati chiusi per poter bordare più rapidamente al momento opportuno. Né le quattro navi americane soffrivano meno: tuttavia, secondo gli ordini ricevuti dallintrepido Corsaro, seguivano la Tuonante quasi sulla sua scia, facendo fronte alluragano.

Verso le 10 lo stato delloceano era diventato veramente terribile. Colpi di mare, sollevati da furiosi colpi di vento, si abbattevano sulle navi, scompaginandole, nonostante le manovre dei marinai. Il fuoco di santElmo guizzava sempre sulle cime degli alberi, accompagnato di quando in quando da certe palle fiammeggianti, grosse come aranci, che scoppiavano con gran fracasso come se fossero delle vere bombe. Testa di Pietra, come al solito, aveva preso posto sul castello di prora, tenendo molto a essere il primo ad avvistare la squadra inglese. Aveva un segreto rancore contro il puntatore della fregata, che aveva messo fuori di combattimento la corvetta, e non voleva lasciarsi sorprendere.

Che mi passi solamente dinanzi, e scateno tutti e due i pezzi da caccia del castello!» disse Testa di Pietra. «Voglio la mia rivincita.»

«Con questa tempesta? Come potrai puntare?»

«Lascia pensare a me, monello! Sono di Batz io!»

A mezzanotte la squadra si trovava allaltezza della baia di Chesapeake, ottimo rifugio per qualunque nave, essendo molto profonda e ben riparata. Il Corsaro invece intraprese risolutamente la lotta contro luragano che lassaliva da oriente. Cercava la squadra inglese, ben deciso a piombarci in mezzo e sgominarla, checché dovesse succedere, pur di correre allabbordaggio della fregata. Alle due del mattino, nel momento in cui la luna faceva capolino fra due gigantesche nubi, si udì Testa di Pietra gridare:

«Navi dinanzi a noi! In batteria gli artiglieri!»

Il Corsaro ed il signor Howard erano saliti sul castello di prora, dove il Bretone continuava a sbracciarsi ed a lanciare comandi. Parecchi punti luminosi danzavano sulle creste altissime dellAtlantico, formando un gruppo, il quale peraltro di quando in quando si scioglieva sotto le furiose raffiche di levante.

«Non può essere che la squadra di lord Dunmore,» disse il Baronetto al signor Howard.

«Quella di Howe ormai devessersi rifugiata nei porti del nord,» rispose il secondo.

Che cosa mi consigliate, voi?» domandò Mac-Lellan.

«Io, sir, segnalerei alle navi americane di lasciar passare la squadra e di mettersi poi in caccia. Si dice che quelle navi siano rovinate, che vi siano a bordo più malati che combattenti; tuttavia io penso che cacciarsi là dentro con questa tempesta, la quale non ci permetterebbe di montare allabbordaggio, sarebbe una grave imprudenza. E poi come scoprire la fregata con questa oscurità?»

«Vi sono i lampi.»

«Non insistete, sir William: lasciamola passare e perseguitiamola in coda. Tenteremo disolare la nave del Marchese e di catturarla. Le combinazioni non mancano.»

«Avete ragione, signor Howard,» rispose il Baronetto con un sospiro. «Testa di Pietra!» chiamò. «Segnala coi fanali alle navi americane di lasciar passare quelle inglesi e di mettersi poi in caccia.»

«Non si menano le mani dunque stanotte?»

«No, vecchio mio.»

«Peccato! Ero proprio in vena di montare allabbordaggio.»

«Con questo pò pò di mare?» osservò il signor Howard.

«Oh, a noi Bretoni fonda alta non fa scappare il piede!»

«Segnala, Testa di Pietra,» comandò il Baronetto. «Fanali rossi, azzurri, gialli e bianchi a suo tempo.»

Scambiò alcune parole ancora col suo secondo, che era stato incaricato della sorveglianza dei timonieri, poi passò rapidamente in rassegna gli uomini della tolda. Tutti, malgrado le furiose scrollate che subiva la Tuonante, erano al loro posto: i gabbieri a riva, i fucilieri dietro le brande arrotolate sulle murate, gli uomini di manovra ai bracci delle vele, gli artiglieri dietro ai pezzi da caccia. E giù nelle batterie, tutto era pure pronto per impegnare la battaglia.

Testa di Pietra segnalò alle quattro navi americane lordine del Corsaro, poi raggiunse il suo pezzo favorito a babordo di prua, dove già Piccolo Flocco lo aspettava. La squadra inglese intanto, travolta dalla tempesta, savvicinava nel massimo disordine. Gli Americani lavevano chiamata la flotta fantasma e non si erano ingannati. Era partita due mesi prima dai porti dellIrlanda carica di diecimila mercenari che lord Dunmore sperava di condurre per tempo dinanzi a Boston e metterli a disposizione di lord Howe, ignorando ancora che la piazza era già caduta. Tempeste terribili lavevano assalita in mezzo allAtlantico, e giunta finalmente in America, ed appreso da alcune navi inglesi che Boston era stata presa, lord Dunmore si era rivolto verso la Virginia per tentarne la conquista. Ma una cattiva stella perseguitava quella disgraziata squadra. Ancoratasi alle foci dei fiumi, trasudanti il vomito prieto, ossia la febbre gialla, il terribile male era scoppiato a bordo, poi giunta ai forti virginiani, questi lavevano respinta a colpi di fucile e di cannone. Priva di rifugio, piena di malati, coi viveri e le provviste di acqua guasti, sorpresa novamente dalle tempeste, aveva dovuto ricacciarsi nellAtlantico senza una meta fissa.

Gli uomini morivano a centinaia; le navi deperivano di giorno in giorno; tutto mancava a quella disgraziata flotta destinata a fare una fine disastrosa, come vedremo in seguito.

Se il mare fosse stato tranquillo e il sole ancora alto, per la squadra dei corsari sarebbe stata la migliore occasione per precipitarsi su quella flotta disorganizzata e montata più da moribondi che da sani; ma con quella tempesta, sarebbe stata una imperdonabile imprudenza. Unica cosa da farsi era perseguitarla tenacemente, distruggendo o catturando le retroguardie formate da legni sottili per lo più.

«Corpo dun campanile alto come la torre di Babele!» esclamò Testa di Pietra. «Ci rovinano addosso.»

«Chi? Babele?»

«Tu, Piccolo Flocco, hai avuto per maestro un asino.»

«Non ne ho mai avuti, camerata. Preferivo andare alla pesca dei granchi e delle ostriche. Bisognava aiutare la famiglia in qualche modo; e i pani, diceva mio nonno, non nascono sui banchi della scuola pei futuri marinai.»

Testa di Pietra si mise le mani sui fianchi, poi scoppiando in una risata, disse:

«Ed io preferivo dandarmene alla pesca delle dorate e dei granchi. Nemmeno mio padre aveva fatto fortuna sul mare; era molto se si viveva e assai stentatamente. Tu devi sapere, monello, che nei nostri villaggi la miseria regna sovrana, perché il pesce non rende abbastanza Corpo della torre di Babele! Ci sorpassano.»

«Era un campanile quella torre?»

«Che ne so io?» rispose il mastro. «Mi ricordo che un giorno il vecchio parroco ci narrò la storia di una grandiosa torre che avrebbe dovuto toccare il cielo. Dove si trovi poi, và a cercarla tu, perché io non lo so davvero. Ma ora bastano le chiacchiere, Piccolo Flocco! A me, artiglieri!»

Sei uomini si precipitarono sul suo pezzo favorito, armati di scoponi e muniti di mastelli dacqua. La squadra inglese, travolta dalluragano, sfilava in pieno disordine a meno di due miglia sottovento. Loscurità era diventata così profonda in quel momento, che non si potevano scorgere altro che i fanali, i quali subivano di quando in quando dei balzi spaventevoli. Se le grosse ondate dellAtlantico tribolavano la disgraziata squadra fantasma, facevano passare dei brutti momenti anche alla corvetta ed alle quattro navi americane, le quali, essendo meno maneggevoli, od avendo equipaggi non completi, faticavano assai a tenersi un pò unite. Loceano rumoreggiava sinistramente. Mille ruggiti e mille fischi uscivano dagli avvallamenti delle pareti, ripercotendosi con intensità strana, impressionante.

La corvetta e le quattro navi americane lasciarono sfilare le navi inglesi; poi si misero in caccia, cercando di mantenersi in gruppo; caccia terribile ed estremamente pericolosa, poiché la squadra di lord Dunmore non contava meno di venti navi fra grosse e leggiere, ed un incontro era da temersi.

Назад Дальше