Il Libro Nero - Anton Barrili 2 стр.


 È calato,  s'impuntava a dir l'altro  qui siete in errore; è calato.

 Amico,  esclamò mastro Benedicite, dopo aver bene squadrato in viso il famiglio, alla luce di una lanterna che aveva accesa durante quel po' di conversazione,  bibisti quam maxime, a quel che pare.

 Che cosa dite? io non intendo il vostro latino.

 Dico che tu t'impacci de' fatti tuoi, e non mi venga a far l'omo; dico infine che tu se' pazzo, o ubbriaco.

Quell'altro si strinse nelle spalle, facendo con le labbra l'atto di chi alla perfine non ci ha nè sal nè pepe da metter su. E mentre il vecchio, presa la lanterna, esciva dalla falconeria per avviarsi alla porta della rocca, si fece in tal guisa a proseguire il discorso:

 Io non volevo far altro che darvi un cenno della cosa. Per me, poi, stia calato, o si alzi, non me ne importa un frullo. Ad altri, in cambio, può talentare che l'escita sia libera, e non c'è nissun male. Già, chi ha da venire a darci molestia quassù? Nemici molti, si farebbero scorgere troppo tempo prima. Pochi, avrebbero degna accoglienza. E se pure non si ha paura del diavolo il quale del resto non ha bisogno

 Sta zitto là, manigoldo!  gridò Benedicite, e fu ad un pelo di mettergli la palma della mano sui denti.  Tu non sai quel che ti dica, e meno ancora di quello che hai detto poc'anzi del ponte calato.

 Orbene, vedete di per voi; è alzato o calato? Erano allora per l'appunto alla porta, e i buffi dell'aria esterna s'ingolfavano rumorosamente sotto l'androne. Mastro Benedicite non rispose, che non avea tempo da schermire di lingua col famiglio, e con passo deliberato corse da un lato dell'androne a cercare un uscio socchiuso, donde usciva un po' di luce fumosa e un suon di voci avvinazzate.

 Che fate voi qui, pendagli da forca? Giuocate a zara? Avrete tempo a giuocare, quando sarete con Satanasso, che il malanno vi ci porti illico et immediate!Chi ha calato il ponte, che è stato levato pur mo' sotto i miei occhi?

 Mastro Benedicite,  rispose uno degli arcieri, alzandosi dalla panca,  noi non ci siam mossi di qui. Se il ponte era alzato, come voi dite, penso che lo sarà tuttavia.

 No, vi dico; è calato.

 Sarà qualche paggio,  entrò a dire un altro della brigata, in quella che tutti uscivano dalla camera per tener dietro allo strozziere,  sarà qualche paggio randagio, che ne fa qualcuna delle sue.

 Baie! Questi manigoldi si calano giù nel fosso dalle finestre, quando loro metta conto di uscire a far le scorribande nel vicinato. E così si fiaccasse una volta il collo, messer Fiordaliso, che ha introdotto il costume di appendersi alle scale di corda! Ma qui, vivaddio, gatta ci cova, o voi altri avete calato il ponte, ed ora che siete alticci dal vino, non ve ne ricordate più altro.

Gli arcieri, che ben sapevano di non averci messo mano, ma che pure volevano farla finita con le sfuriate di quell'autorevole personaggio, non risposero verbo. Chi tace acconsente; e per tal guisa fu tacitamente ammesso che il ponte di Roccamàla, la sera del 29 novembre, giorno di san Saturnino, dell'anno del Signore 1284, era stato levato e calato.

Ma quel ch'era stato disfatto bisognava rifare. E già si appigliavano alle manovelle per trarre le catene, allorquando si udì dall'altro lato del fosso lo scalpito di un cavallo che risaliva galoppando il pendìo, e, subito dopo, lo squillo di un corno che domandava ospitalità al conte Ugo di Roccamàla.

 Chi diamine giunge a quest'ora?  esclamò uno degli arcieri.

 Proprio a tempo,  soggiunse un altro,  per farci risparmiar la fatica!

 E come ha fretta, il sere! E' suona alla disperata.

 Su, su, tirate, alla croce di Dio, e non mi state a far chiacchiere!  interruppe lo strozziere.

 O perchè volete voi che si alzi il ponte, ora, per calarlo da capo? E l'ospite che giunge, per dove volete che passi?

 Che ospite del malanno! Vada a farsi impiccare per la gola

 Ma e messer lo Conte, se giunge a risaperlo

 Messer lo Conte messer lo Conte vi comando io, e pagherò io per tutti.

E dicendo queste parole, il vecchio strozziere tremava a verghe.

 Poffarbacco!  esclamò uno degli arcieri  si direbbe che avete paura di una visita di messer Satanasso in persona. Basta, sia come vi talenta, o, per parlar latino alla vostra guisa, fiat volontas tua, mastro Benedicite. Orsù, figliuoli, alle manovelle!

 Sì, sì, alle manovelle!  ripetè lo strozziere, più morto che vivo, senza stare a piatire coll'arciere, e mettendosi all'opera egli stesso con le braccia tremanti.

 Ohè! ohè! messeri! In tal guisa si ricevono gli ospiti, dalla gente costumata?

Queste parole, accompagnate da un riso sarcastico, venivano dall'altra banda del fosso. Mastro Benedicite non poteva scorgere chi fosse, essendo egli sotto la luce della lanterna, e il nuovo capitato fermo di là dal ponte nella oscurità della notte; ma tant'è, gli parve di scorgere un paio d'occhiacci fiammeggianti, e per moto naturale si recò le dita alla fronte, per farsi il segno della croce.

 Domine salvum fac Vade retro Satana borbottò egli tra i denti.  Alzate, alzate, in nome di Dio!

Intanto il riso sarcastico si faceva udire da capo, e la voce con esso.

 Ah! ah! grazie, grazie, per mia fe', mastro Benedicite! Un povero romèo è egli dunque un cane tignoso, che gli si chiudano le porte sul muso? In verità ch'io mi facevo più ospitali i signori di Roccamàla.

Tocco nel vivo, lo strozziere si fe' qualche passo innanzi, ma senza por piede sul tavolato del ponte, e tirando intorno a sè tutti gli arcieri, perchè gli facessero buona difesa; quindi, con voce che si provava a far parere sicura, rispose:

 I signori di Roccamàla furono sempre e saranno i più ospitali cavalieri della cristianità, messer pellegrino, e cotesto abbiatevelo per fermo. Appunto in quest'ora c'è corte bandita a tutti i più riputati che portino spada e cappa in questi dintorni, e scorre il vin di Cipro, che alla mensa del serenissimo doge di Venezia non se ne bee del migliore. Ma gli ospiti del magnifico conte Ugo son persone a modo, e non hanno la vostra meschina figura, messer pellegrino, sebbene io la scorgo attraverso questa mezza oscurità.

 Ah, voi giudicate l'uomo dalla apparenza? Io dovrei pigliarvi allora per un otre, se bene vi scorgo a mia volta. Andate là, mastro Benedicite e non vi faccia meraviglia ch'io vi chiami col vostro nome, poichè l'hanno pur mo' gridato gli uomini vostri. Andate là, ed annunziate al magnifico conte Ugo la venuta di un povero pellegrino di Roma.

 Di Roma!  ripetè con piglio d'incredulità lo strozziere, in quella che dentro di sè si raccomandava a tutti i santi del calendario.

 Ne dubitate? Ci ho gusto. L'uomo che dubita è l'uomo che pensa. Ma io ci ho di buone testimonianze a mettervi fuori, che potranno acquetare la vostra timorata coscienza. Vengo da Roma, dove ho visto il Papa e la Santa Madre Chiesa, che fanno insieme una buonissima vita. Peccato che non abbiano figliuoli! Basta, io porto qui, sulla sella del mio magro ronzino, una gerla di coroncine benedette e d'indulgenze plenarie, e poi le più succose dispense che ogni buon cristiano possa desiderare; dispense di sgravarsi senza dolore, checchè sia stato decretato in contrario; dispense di mangiare il proprio simile, quando si abbiano buoni denti, e di bere senza ubriacarsi, mettendo acqua nel vino. Che ve ne pare, mastro Benedicite? son io degno di entrare?

 Su, su, arcieri!  urlò il vecchio strozziere.  Alle catene, alle catene!

 Su, su, arcieri!  urlò il vecchio strozziere.  Alle catene, alle catene!

Ma sì, a persuaderli che gli tenessero bordone! Gli arcieri erano rimasti stregati dalle bizzarrie del pellegrino, e sghignazzavano ereticamente, senza badare alle furie di mastro Benedicite. Ed egli a gridare, a tempestare, a pigliarli pel collo (che la paura gli raddoppiava le forze), fino a tanto non li ebbe ridotti all'obbedienza. Ma, sebbene ci si mettessero tutti, ed egli medesimo si provasse ad aiutarli, le catene non iscorrevano punto.

 Voi non fate il debito vostro, manigoldi; tirate a voi con quanta forza avete!

 Mastro Benedicite le catene hanno la ruggine. Intanto quell'altro continuava a ridere.

 Mastro Benedicite, la ruggine è molto più cortese dama che voi non siate cavaliero. Ora, voi vedete, già venti volte, non una, avrei potuto passare, e nol fo, per non usare villania al vostro signore. Ma se egli non è malnato castellano, udrà i tre squilli di corno che si mandano alle porte della sua rocca.

Così parlò il pellegrino di Roma, e, posto mano al corno che gli pendeva da fianco, suonò con esso tre volte.

 Misericordia!  esclamarono gli arcieri.  Questa è la tromba del giudizio universale.

CAPITOLO II

Dove si legge della felicità di conte Folco, come fosse celebrata dal biondo Fiordaliso

Al primo squillo di corno, quel tale squillo che avea fatti rimanere sospesi con le braccia in aria gli arcieri, conte Ugo stette egli pure sospeso, con la coppa d'oro alle labbra.

 Un ospite!  esclamò egli, voltandosi alla brigata.  Sia il ben venuto a Roccamàla.

E bevuto un sorso, mandò attorno la tazza, quella tazza d'oro lavorato con la quale i suoi antenati, da Ugo il negromante, fino a Ruberto il taciturno, avevano avuto costume di far le loro libazioni ospitali.

 Messere,  disse Fiordaliso,  io mi penso che questo sconosciuto visitatore rimarrà un pezzo alla porta e morrà anche a ghiado, se aspetta che gli apra mastro Benedicite.

Colui che parlava in tal guisa era un giovine sui vent'anni, vestito di un farsetto azzurrognolo listato di bianco e di vermiglio, e con una zazzera bionda le cui ciocche scompigliate scendevano a nascondergli mezza la fronte e le guancie. Il viso roseo e la delicatezza dei contorni lo avrebbero fatto togliere agevolmente per una leggiadra donna travestita da paggio, se certi peli vani che ombreggiavano il labbro superiore e il basso delle guance, non avessero fatto manifesto che egli avea dritto a portare il nome mascolino di Fiordaliso, col quale era chiamato a Roccamàla, e conosciuto da tutte le graziose femmine della contèa, nel giro di venticinque miglia, ed anche più oltre.

Il conte Ugo sorrise con aria affettuosa alle parole dell'adolescente.

 Che vuoi dir tu, Fiordaliso?

 Dico, messere, che con mastro Benedicite non si può uscir mai, quando s'è dentro, nè entrare, quando s'è fuori. Egli è sospettoso come una lepre, e mal per noi se gli somiglia san Pietro, o se va egli un giorno a far da portinaio in sua vece.

 Per ora,  soggiunse il Conte,  e' bisognerà che se la tolga in pace e metta mano alle chiavi. Roccamàla non è un paradiso; ma essa non è mai stata chiusa a nessun viandante che domandasse ospizio per amor di Dio, o del valoroso barone san Giorgio che l'ha in guardia. I miei antichi furono gente melanconica e contegnosa, ma a questo debito non hanno fallito mai, e non lo dimentica di certo il mio vecchio strozziere, che è il cronista della famiglia.

 Ah! gli è dunque un uomo di dottrina, il vostro Benedicite?  chiese Ansaldo di Leuca.

 Altro ci è! Non parlo dei suoi testi latini, che n'ha sempre una serqua tra i denti, parati ad uscirne fuori. Ma e' vi sa dire quando e come fu murato il castello, e poi giù giù una infilzata di storielle, che a udirne la metà v'intronerebbero il capo per un giorno e non vi lascerebbero più dormire la notte. Ma lo so ben io, che da bambino gli ero sempre sulle ginocchia e pendevo dalle sue labbra; lo stuzzicavo sempre a narrarne di nuove, e poi non c'era più verso che potessi pigliar sonno, tante erano le immagini del tempo antico, che scendevano a popolare la solitudine della mia camera. Ma questo ospite non giunge

 Io ve l'ho detto, messere; mastro Benedicite vorrà sapere anzitutto il nome, la patria e la condizione, se scapolo o ammogliato, e Dio sa quant'altre cose di quella fatta.

 Se egli fa ciò, vuol levarmi il mio buon nome, e noi dovremo dargli una strapazzata, appena ei venga quassù. Messeri, questo vin di Cipro Ma che diamine fa egli, quel vecchio scimunito? Ho io ad esser chiamato per cagion sua il più tristo cavaliero d'Italia?

Questa sfuriata del conte Ugo era cagionata, siccome i lettori hanno indovinato per fermo, dai tre squilli di corno che metteva il forastiere, stanco di attendere e di piatire con mastro Benedicite.

 Al nome di Dio!  esclamò Ansaldo di Leuca.  Questi è uomo di vaglia.

 E quel vecchio pazzo non se ne dà per inteso! Suvvia, Fiordaliso, scendi tu alla porta, e vedi che cos'è egli mai che ha intorpidite le gambe al nostro falconiere.

Fiordaliso corse con quella baldanza che è propria de' giovani e che a lui era accresciuta dieci cotanti dalla amorevolezza del suo signore. Ma egli era appena sulle scale, che vide giungere ansante, trafelato, mastro Benedicite; laonde, aspettatolo sul pianerottolo, rientrò con esso lui nella sala, con una curiosità in corpo da lasciarsi indietro una dozzina di femmine. Intendiamoci bene, di femmine e non di donne, poichè tra queste e quelle, sebbene non ammessa dal vocabolario, corre una differenza grandissima.

 Orbene, mastro Benedicite,  gridò conte Ugo, appena ebbe scorto da lunge lo strozziere,  e come va che i forastieri chiedono ospitalità e non l'ottengono, a Roccamàla?

Senonchè, fatto questo rimprovero in forma di domanda, egli vide la faccia dello strozziere, e, buono com'era, tosto raddolcì la sua voce per dirgli:

 Ma che è, Benedicite? Che cosa sono quegli occhi stralunati, e quel viso smorto?

 Egli è, messer lo Conte  balbettò il vecchio  egli è ho calato il ponte cioè, l'avevo alzato e poi lo rinvenni calato Un pellegrino, che afferma giunger da Roma e mi pare che venga piuttosto da casa il diavolo

 Potrebb'esser tutt'uno!  esclamò Ansaldo di Leuca.

 Sarà come voi dite, messere Ansaldo; ma io penso che questo forastiero del malanno insomma, io so quel che mi dico

 Sì, sì!  interruppe ridendo il conte Ugo, dopo aver fatto cenno degli occhi a Fiordaliso, il quale fu sollecito ad uscire da capo.  Ma voi avete a sapere eziandio, mastro Benedicite, che il nostro castello, anco a voler partecipare alle vostre superstizioni, non ha paura del diavolo. Qui c'è stato parecchi giorni il santissimo Bernardo di Chiaravalle, quando Roccamàla era convento del suo ordine, e la benedizione di un tanto uomo non basta ella a raffidarvi?

 Essa, con vostra licenza, messer lo Conte, non ha impedito

 Ah, ah! vecchie storielle da raccontarsi quest'inverno accanto al fuoco. Ma dove lasciate voi, uomo di salda memoria, le benedizioni di due papi? Dove la visita del vescovo Gualberto? Macte animo, generose senex! vi dirò io, imitandovi; noi siamo armati di bolle, d'indulgenze e d'acqua santa, per ricevere anco una visita dello spirito maligno. Portae inferi come dite voi, che io non lo ricordo più, il vostro latino?

 Non praevalebunt, messer lo Conte; e così Dio v'ascolti!  soggiunse mastro Benedicite, che, vedendosi là, al cospetto del suo signore e di tanti allegri cavalieri, incominciava a stupirsi d'avere avuto paura.

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