Signore, disse la contessa al giovine, come fu giunto vicino a lei, ho ardito chiamarvi da me come si usa con un vecchio amico. È però giusto che, come ad un vecchio amico, vi stringa la mano, mentre vi ringrazio della vostra sollecitudine.
Che cosa rispose Lorenzo Salvani a quelle cortesie, a quella stretta di mano e a quel lungo sorriso che accompagnava gli atti e le parole? Qualche cosa egli balbettò di certo; ma nè ella l'intese, nè egli avrebbe saputo ripetere. Questo avviene pur sempre nei primi incontri, ed ognuno dei nostri lettori lo saprà per sua particolare esperienza.
Comunque sia, non è qui il caso di stare a cercare che cosa avesse detto. Egli strinse, o piuttosto si lasciò stringere la mano dalla contessa, arrossì un pochino e prese il posto che la signora gli offriva su d'una sedia a bracciuoli, accanto al sofà. Quell'atmosfera (se la donna è un corpo celeste, perchè non avrebb'ella pure la sua atmosfera?) quell'atmosfera, pregna di tutti i profumi della bellezza, lo aveva inebbriato.
Ahimè, povero uomo! Egli è sempre così che tu cominci i tuoi romanzi, senza sapere dove ti condurrà la catastrofe!
Cionondimeno, se Lorenzo Salvani avesse vissuto un po' meno tra i libri e alquanto più nel consorzio dei vivi, egli non sarebbe rimasto sopraffatto a quel modo, e in quella atmosfera ci avrebbe trovato più quintessenza di violette, che non arcano profumo di donna gentile. Ma che farci oramai? Era quello di Lorenzo Salvani il primo segno, il barlume de' suoi primi ardori per una donna vera. Egli non aveva fino a quel punto messo il suo cuore fuor che in quelli amori di sedici anni, così candidi, così vaporosi, per una donna di cui non s'è mai udita la voce; che si vede soltanto per le vie a diporto, e nemmeno tutti i giorni; della quale si vorrebbe essere casigliani, entrare in dimestichezza coi parenti, e financo, Dio ci perdoni, col ciabattino che le adorna il portone di casa; e alla quale nondimeno non si sente la fiera bramosia di stringere la persona tra le braccia, per ricevere la scossa elettrica di quel condensatore vivente.
Lorenzo non aveva ancora amato davvero. Non erano certo mancate le follie della prima giovinezza; ma le ali del pensiero non v'erano punto rimaste impaniate. Però quella entrata nel salotto della contessa Matilde era come l'apparizione di un nuovo mondo per lui; era il pianeta di Venere, nel quale egli si vedeva sbalzato, come per effetto d'incantesimo. Era egli Astolfo nella Luna, o Rinaldo nella dimora di Alcina, o Ruggero nei giardini d'Armida? Tutti questi eroi avevano perduta in ugual modo la bussola; però il lettore può scegliere.
A Lorenzo mille pensieri ed immagini di questa fatta passarono, come un baleno, nella mente, e insieme un desiderio prepotente di essere amato da quella graziosa donna dai capelli biondi e dalla lunga veste di color pavonazzo, che gli stava mollemente seduta di rincontro.
Era quella forse la donna della veglia mascherata, alla quale il marchese di Montalto aveva detto parole scortesi? Era quella la signora di cui si parlava tanto, per le sue acconciature, per le sue fogge di vestire, per la sua vita brillante? Era un angelo, o una sirena? Poteva amarlo, lo amava di già, o non l'avrebbe amato mai? Tutti questi pensieri erano e ad un tempo non erano nell'animo suo; si aggirava in una regione fantastica, e gli mancava il tempo di coglierne distintamente i contorni.
Signor Salvani, diss'ella, voi dunque mi perdonate il fastidio che ho dovuto recarvi?
Che dite mai, signora contessa? rispose Lorenzo. Io ringrazio anzitutto la buona ventura che mi ha fatto salire in questo paradiso.
Per un esordio di conversazione non c'era male. La contessa fece un grazioso cenno del capo, e giovandosi dell'ultima parola di Lorenzo, proseguì:
Un paradiso, dite benissimo, quantunque non vi siano angeli, nè santi.
Lorenzo aveva già fatto il gesto di chi vuole rispondere qualche cosa; ma la contessa non gliene diede il tempo.
Oh, non mi state a dir altro in contrario! soggiunse ella. Io so bene che voi, signori, non patite penuria di complimenti.
Complimenti, signora contessa! È una brutta sentenza, e soprattutto pronunziata senza ascoltare le parti, quella che voi infliggete ad un uomo il quale non si disponeva a dir altro che la verità. A me infatti sembra che gli angioli almeno ci siano.
E questo, ripiccò sorridendo la contessa Matilde, non è forse un complimento?
Lorenzo stette un tratto silenzioso e raccolto in sè medesimo, a guisa di chi vuole si ascolti attentamente quello che sta per dire; quindi si fece a parlare in tal modo:
Signora contessa, abbiatemi per iscusato, ve ne prego, se appunto la prima volta che ho la fortuna di parlare con voi, comincio a disputare come un accanito dialettico. Ma che cos'è infine un complimento?
Voi saprete assai meglio di me la definizione del vocabolo, signor Salvani; ma qualunque cosa esso sia, non potrete levargli il carattere di una frase esagerata.
E sia pure; proseguì Lorenzo, ma perchè si dice, questa frase esagerata? Una cagione riposta ci ha pure da essere. E che cosa sono, di grazia, le immagini e le metafore nello scrivere, se non modi svariati ed efficaci a colorire meglio un pensiero? Certamente non si potrà dir bella ad una brutta; ma si dicesse pure, non sarebbe esorbitanza di frase, sibbene una bugia addirittura, e l'uomo che la dicesse dovrebbe arrossire, temendo che fosse giustamente tolta in mala parte. Ora ditemi, signora contessa, arrossisco io forse per timore, nel dirvi, come faccio, che gli angioli ci sono, in questo vostro paradiso?
Qui cominciò tra quelle due persone che non si erano mai vedute, l'una delle quali non sapeva ancora per qual ragione fosse chiamata al cospetto dell'altra, una di quelle conversazioni, tessute a ghirigori fantastici, nelle quali non si dice nulla, o quasi, e tuttavia si lasciano intendere tante cose.
Matilde ragionò di molto con lui; della sua solitaria dimora, fino a cui non giungeva il frastuono della città; del Leopardi, che ella leggeva con affetto indicibile, e di cui ella intendeva i concetti assai meglio che pel passato, quando l'animo suo non s'era anche educato alla scuola dei patimenti; del vivere ristretto e fastidioso di Genova; dei sereni piaceri della campagna, e di mille altre cose, vere o false, ma dette sempre con molta grazia e con un'aria di schietta semplicità da innamorare ognuno che fosse stato a sentirla.
Potete dunque argomentare quale prova facesse sull'animo di Lorenzo. Assorto come era in una ebbrezza profonda, non le chiese, anzi dimenticò affatto di chiederle la cagione per cui essa lo aveva chiamato in casa sua, e si lasciava andare a discorrere di mille cose, come il marinaio addormentato che sogna la sua innamorata si lascia cullare nel suo burchiello, confidato alla cura delle onde tranquille.
La contessa poi sapeva toccar quelle corde che gli andassero più a genio, e, come è virtù di molte donne, s'innalzava agevolmente al pari di lui, faceva suoi i pensieri del giovine e li metteva fuori in tal modo da far sembrare che ella non avesse mai pensato diverso.
Erano le quattro dopo il meriggio, e quella benedetta conversazione non era anche finita. I quattro tocchi della campana si fecero udire in mezzo ad una di quelle tali pause che si riscontrano nel dialogo più vivo, come una radura che lascia veder l'orizzonte, nel fitto di una boscaglia.
Dio mio! le quattro! esclamò la contessa. Si dimentica il tempo in vostra compagnia, signor Salvani; e veramente mi duole di non avervi ancora parlato di quella tal faccenda per la quale vi avevo pregato di venire da me. Oggi intanto non sarebbe più tempo. Venite domani?
Se così vi aggrada, rispose Lorenzo sollecito.
E se così aggrada a voi, soggiunse la contessa.
Oh, di questo potete esser certa, signora. Non si parte da casa vostra senza portar via qualche cosa
Qualche cosa?
Eh, sicuro; il desiderio di ritornarvi.
Se è così, tanto meglio; portatene via molto, signor Salvani; io non me ne lagnerò certamente.
Il nostro Lorenzo se ne tornò a casa col cervello scombussolato, senza pensare, senza intendere cosa alcuna, ma leggiero, leggiero come un uomo felice. I tristi pensieri lo assalsero dopo l'arco dell'Acquasola, quando fu per discendere in città. Gli risovvenne allora della sua vita senza speranza, della povertà che lo stringeva ai lati, cose tutte che egli sentiva doppiamente acerbe, poichè egli aveva veduto la donna da cui gli sarebbe stato dolce l'essere amato.
IX
Come Ercole filasse alla conocchia di Onfale, e come tutti gli uomini possono somigliare ad Ercole.
La dimane il giovine fu puntuale al ritrovo, come potete argomentar di leggieri. Nella notte il suo letto solitario era stato visitato dagli alati messaggeri di Morfeo, i quali erano tutti intenti a raffigurargli una bionda, con la veste di color pavonazzo e la gorgieretta di mussolina a cannoncini insaldati. Il più bizzarro ricambio di pensieri, il più veloce viaggio nei giardini di Amatunta era stato fatto dal dormente, in compagnia della bionda consolatrice del suo sogno. Però non è a dire con quanta sollecitudine ansiosa egli facesse, all'ora istessa del giorno innanzi, la salita della palazzina Cisneri.
Allorquando egli entrò nel salotto verde, vide la contessa Matilde seduta presso la finestra, con la matita tra le mani, che stava disegnando un fiore sopra un foglio di carta. Ella non indossava più la veste di color pavonazzo, ma un'altra di seta nera, con la vita foggiata per modo da lasciar le spalle nude ed il sommo del petto, su cui scendeva un camicino di mussolina ugualmente nera, lieve impedimento agli occhi di un profano riguardante. Intorno al collo si ravvolgeva, venendo ad incrociarsi sul petto, uno di que' tali arnesi di pelo di martora che hanno pigliato presso le donne il nome pauroso di un serpente, forse in omaggio a quella bestia che venne a capo di infinocchiare la loro progenitrice degnissima.
La contessa poteva rimanere scollata, perchè il fuoco acceso nel camino manteneva nel salotto una tiepida temperatura. Acconciata in quel modo, aspettava la seconda visita di Lorenzo Salvani.
Appena egli comparve, la contessa alzò il capo, piegandolo leggiadramente verso la spalla in modo da saettare il giovine con uno sguardo ad occhi semichiusi, e, con la muta eloquenza del più cortese sorriso, gli porse la mano.
Lorenzo corse a stringere quella mano, e non contento di stringerla, chinò il capo a baciarla.
Ella non fece alcun atto di meraviglia. È così poca cosa, ed ha una scusa così ragionevole nelle antiche consuetudini il baciare una mano, che la contessa Matilde poteva lasciarlo fare a suo modo, senza mestieri di simulare un atto di corruccio.
Siete venuto! diss'ella, così per cominciare il discorso.
Potevate credere, signora contessa, rispose Lorenzo, che avessi tardato pure di un minuto?
Oh no! Voi siete un cortese cavaliere, e questo si sa. Pensavo anzitutto che le vostre faccende avrebbero potuto forse trattenervi, e quasi mi doleva di avervi costretto a regalarmi un'altra delle vostre ore preziose.
Un'ora! La contessa avrebbe potuto dir tre o quattro a dirittura, chè tante ne aveva passato accanto a lei, il giorno innanzi, il nostro Lorenzo. Ma questo era forse un modo di dire della contessa Matilde.
Non v'è negozio che tenga, rispose il giovine, innanzi ad un vostro invito, e mi pare di avervi già detto con che animo si parta da casa vostra. Ma che cosa stavate voi facendo, signora?
Oh, una cosa da nulla. Mio Dio! Temo che non m'abbiate a trovare un po' troppo leggiera, con queste frivolezze.
Che dite, signora? Per me non è nulla di frivolo in quello che fate, sia pure un ricamo.
Ed è appunto un disegno per ricamo; disse la contessa. L'ultimo venuto da Parigi non mi garbava molto, e volevo farne uno di mio capo per metterlo sul telaio. Sapete pure, signor Salvani, che lunghe ore di tedio passiamo noi in casa, quando manchi l'argomento affettuoso delle cure domestiche. Un ricamo, od altra cosa qualsiasi, che a prima giunta pare, e considerata in se stessa è certamente assai frivola, ci offre una occupazione materiale in cui riposare la mente, per farci poi cavar più diletto da una bella lettura, o da una passeggiata all'aperto.
Non vi scusate, signora contessa! soggiunse Lorenzo. Voi disegnate un fiore, e sta bene. Il fiore non è egli forse una delle più belle opere di Dio? Anzi, per dimostrarvi che siffatte occupazioni si addicono agli uomini come alle donne, con vostra licenza, voglio metterci anch'io queste mani profane.
Fate pure, signor Salvani, e il mio fiore riuscirà certamente più bello.
Lorenzo prese con fanciullesca sollecitudine, il posto della contessa Matilde, e tolta in mano la matita, si diede con artistica gravità ad abbozzare un elegante mazzolino di que' fiori che nascono soltanto negli orti della fantasia cinese. Imperocchè l'uomo si è fitto in capo di abbellir la natura, e dove non si mette a dirigere e ad educare gli amori delle piante per mutarne le forme e temperarne a sua posta i colori, inventa nuove fogge senz'altro; queste però sulla carta, perchè la natura non è disposta a seguirlo in tutti i suoi capricciosi vaneggiamenti.
Non faccia le meraviglie il lettore se Lorenzo Salvani, il giovine severo, il soldato di Roma, s'è posto a disegnare un mazzolino di fiori pel telaio della bionda contessa. Gli antichi, nostri maestri in tante cose, non isdegnarono rappresentarci Ercole, il figlio di Giove e il domatore dell'idra di Lerna, seduto presso ad Onfale, in quella positura che finse più tardi lo Shakespeare per il suo Amleto a' piedi di Ofelia (leggete a questo proposito il testo inglese), e intento a trarre il filo dalla conocchia di lei. Ora tutti gli uomini sono figli in cotesto del dio della Forza, che lo imitano a puntino nelle sue debolezze.
Che faceva intanto la contessa Matilde? Con una mano poggiata sulla spalliera della scranna, e la testa curva accanto a Lorenzo, ella stava seguendo degli occhi i giri della matita che egli maneggiava con facile sprezzatura. Le guance della donna erano presso alle sue, e i segni della sua ammirazione, tradotti in parole, gli accarezzavano il volto, chiamando il sangue in tutti i meati più sottili di quella superficie, di consueto così pallida.
Lorenzo disegnava, ma il suo sangue ardeva; e in quella guisa che un terreno arsiccio beve avidamente uno spruzzo d'acqua e ne fa sparire in breve ogni traccia, il suo sangue si beveva quel soffio delicato, e riardeva sempre più forte. Ma presto venne il punto che egli non potè più durarla, e alzando il capo verso la contessa, ne disse una delle sue, la più grossa che le avesse ancor detta.
Oh perchè non posso io dar loro la vita, a questi poveri fiori, e inspirar loro nelle aperte corolle quel dolce effluvio che si spande dalla vostra persona!
Non era questa la prima avvisaglia, ma certamente la più forte, e la contessa non potè simulare di non averla notata. Risollevò il capo con aria turbata, si volse indietro due passi e si lasciò cadere sul sofà, dove stette silenziosa col viso nascosto nelle palme.
Era graziosa, molto graziosa in quella postura, la contessa Matilde. Le sue mani sottili e delicate che il Bartolini, adoratore di belle mani, avrebbe modellate assai volentieri, non giungevano a coprirle tutto il viso; però la fronte e una parte delle guance lasciavano scorgere quel leggiero incarnato che si dipinge così facilmente sul volto delle donne, quando mette loro più conto.