I rossi e i neri, vol. 1 - Anton Barrili 6 стр.


Un nostro faceto amico, in una sua storia inedita della collina d'Albaro, deriva i tre nomi che la dividono, da tre fratelli che la avevano avuta in retaggio da uno dei soliti Noè dell'antichità; i quali tre fratelli si chiamavano Luca, Martino e Francesco. C'è infatti un San Luca, un San Martino e un San Francesco d'Albaro. Quest'ultimo è il più meridionale di tutti; laonde voi, quando abbiate fatto dieci minuti di strada dopo il ponte della Pila, vi trovate alle falde della collina incerto tra due strade, come l'asino di Buridano tra due misure di fieno. La strada a sinistra risale dolcemente la collina a San Martino, e di là scende a Sturla, a Quarto, a Quinto, a Nervi, e giù, giù, fino in capo al mondo; quella a destra piega un tratto verso mezzogiorno, poi sale faticosamente la collina a San Francesco d'Albaro, per ridiscendere verso San Luca, e andarsi a ricongiungere con la sua sorella di sinistra.

Noi, con licenza dei lettori, non baderemo che a San Francesco d'Albaro, il quale, sempre topograficamente parlando, ci presenta ancora tre viottole, le quali corrono da settentrione a mezzogiorno, tutte perpendicolari alla via maggiore, che taglia la collina precisamente accanto alla villa del Paradiso. La seconda di queste viottole finisce come le altre ad un ciglione che sopraggiudica il mare; ma su questo ciglione essa ci ha il particolare ornamento dell'antica chiesuola di San Nazaro; chiesuola senza tetto e senza lastrico, non più destinata ad altro che a qualche sacrificio cruento. Ed anche questa destinazione arbitraria non doveva durare. Dopo il '60 la chiesuola è scomparsa, tramutandosi in una casa a parecchi quartieri, per uso e dilettazione estiva di villeggianti. Poesia delle rovine, addio; l'utilità ti soverchia. E infine, non ce ne addoloriamo oltre misura; l'istesso San Nazaro, che insieme col suo buon collega San Celso portò primo ai Genovesi il verbo dell'amore e della pace fraterna, non doveva essere troppo contento dei riti sanguinosi a cui le rovine della sua chiesuola erano state consacrate.

Il savio lettore ha già capito che questo era il luogo prefisso al duello del dottor Collini col marchese di Montalto. La posta delle due parti belligeranti era sul ripiano dinanzi alla chiesa; ma i padrini del Collini dovevano, come è già noto, aspettare quest'ultimo, mezz'ora prima, sotto la villa del Paradiso, per accompagnarlo poscia sul terreno.

Appunto in quel luogo la strada di San Francesco d'Albaro fa gomito, per dare agio ai carri e alle vetture d'inerpicarsi lassù. Epperò, sul ciglio della collina, dove fa capo quel giro tortuoso della salita, v'è una specie di terrazzo sporgente, il quale sopraggiudica la via sottoposta; e accanto al terrazzo una scaletta ripida, per comodo dei pedoni che vogliono prendere la scorciatoia.

Su questo terrazzo erano appostati alle quattro e mezzo del mattino tre uomini, Lorenzo Salvani, l'Assereto e il servo Michele. La vettura con la quale erano giunti, l'avevano mandata più innanzi.

Il cielo, ancora buio, stillava un po' di brina, od altro di consimile: l'aria, non ricordandosi più de' tepori del giorno innanzi, era gelida; e l'aspettare di quei tre sul terrazzo non poteva dirsi la cosa più allegra del mondo.

Lorenzo appariva tranquillo; solo l'amico Assereto si faceva lecito di scrollare il capo e di battere de' piedi sul terreno, in guisa da lasciar trapelare che non il freddo soltanto gli recasse molestia.

Così la intese il Salvani, perchè, dopo alquante battute di quella fatta, si voltò all'amico e gli disse:

 Diamine! che impazienza è la tua?..

 Di' piuttosto che disperazione;  soggiunse l'Assereto. Lorenzo non rispose altrimenti a quelle parole dell'amico che con un dispettoso crollar delle spalle.

 Sentimi, Lorenzo;  disse allora l'Assereto.  Io, già lo sai, ho accettato questa seccatura per te, non per altro riguardo al mondo. Ora ci ho in capo che questo signor Collini ce ne voglia fare una delle sue.

 Suvvia!  interruppe Lorenzo.  Tu l'hai sempre con lui, e questo non istà bene.

 Bravo! E tu vedi tutti gli uomini buoni, come un collegiale tutte le donne belle. Figliuolo mio, non si dànno di questi appuntamenti alla gente. Quando si è pronti a battersi, si dice ai padrini: venite a casa mia a svegliarmi. Quando se n'ha una voglia deliberata, si dice loro: dormite pure della grossa; io verrò a cercarvi a casa vostra. E in questo caso ci si arriva un'ora prima. Qui invece, che cosa avviene? Che si dà la posta a mezza strada, e si ritarda per giunta.

 Sia come tu vuoi;  rispose Lorenzo,  ma l'ora non è anche passata. D'altra parte, in questo negozio, siamo andati un po' tutti col capo nel sacco, senza consultare il lunario. Tu vedi che incomincia appena ad albeggiare. Gli avversarii non sono giunti ancora.

 Oh, in quanto a quelli, guardali là in capo alla strada.

 E chi ti dice che non sia invece la carrozza del Collini?

 Vuoi scommettere?

 No, Assereto; non scommetto mai. Spero che quella sia la carrozza del Collini, e non mi curo del rimanente.

 Ed io ti dico che sono gli altri.

 Vedremo.

 Sta bene, vedremo. Ma intanto, se egli non viene, che cosa si fa?

 E che cosa vorresti fare?  chiese Lorenzo.  Già, credilo, il Collini non istarà molto a giungere, e quasi mi pare di fargli villania a darti retta. Ma, dato e non concesso, come dici tu, con eleganza curiale, che egli non venisse, la cosa è chiara come un'operazione aritmetica. Si va sul terreno, e si fa testimonianza dell'accaduto.

 Profferendosi prima ai comandi della parte avversaria,  interruppe l'Assereto.

 S'intende; ma è anche debito di gentiluomini rifiutare la generosa offerta; e i poveri padrini di un vigliacco se le vanno a capo chino e con la coda tra le gambe, come cani bastonati.

 Convieni che sarebbe una brutta cosa

 È verissimo; ma che vorresti tu farci? A certi malanni che capitano tra capo e collo non c'è rimedio che tenga. Ma ecco la carrozza che gira il gomito della salita.

 Ahimè!  esclamò l'Assereto.  Siccome io sono certo che ella porta nel suo grembo i nemici, come il famoso cavallo di Troia, ti propongo di ritirarci nella scaletta, perchè non ci abbiano a vedere in questa disgraziata postura.

 E che c'è di strano,  rispose Lorenzo,  che noi stiamo qui aspettando il Collini? Noi non dobbiamo rendere ad essi altro conto che di una assenza sul terreno, all'ora prefissa. Del resto, ci avranno già veduti.

Intanto che questo dialogo si proseguiva tra i due, la carrozza, girato il gomito della strada, veniva al trotto verso il ciglio della collina. I due amici si fecero per moto naturale a guardarla, e per la portiera, che era aperta, videro il Montalto co' suoi padrini e il chirurgo.

Quei della vettura e quei della strada si scambiarono il saluto con molta freddezza. A Lorenzo il sorriso del marchese di Montalto parve altiero anzi che no. Tuttavia non volle dirne nulla all'Assereto, di cui temeva i commenti sarcastici. Ma all'Assereto non era sfuggito quel sorriso, e siccome egli nella furia del suo malumore non perdonava a nessuna cosa, si affrettò a dire:

 Hai veduto? Ci squadrano dal capo alle piante come bordaglia di strada. Ma riderà bene

 Chi riderà l'ultimo!  gridò Lorenzo, levando le parole di bocca al compagno.  Hai ragione, Assereto. Ora usami questa cortesia, di aspettare un poco in santa pace. Sono le quattro e quaranta minuti, e il ritrovo davanti alla chiesa è fermo per le cinque. Il Collini non vorrà tardare più molto. Forse ha perduto tempo a trovar la carrozza. Aspettiamo dunque fino a tanto che si può.

 In questo caso, ottimo Lorenzo, tu sveglierai me, quando l'eroe sarà giunto, o tu ti sarai stancato di attenderlo.

 In questo caso, ottimo Lorenzo, tu sveglierai me, quando l'eroe sarà giunto, o tu ti sarai stancato di attenderlo.

Così parlò quella buona lana dell'Assereto, e ravvoltosi bene nel suo mantello si sdraiò sul sedile di lavagna che correva intorno ai murelli del terrazzo, cercando di pisolare un tantino.

VI

Nel quale si dimostra che l'Enfisema non è un personaggio greco.

L'aspettare è la più brutta, la più fastidiosa delle occupazioni, anche quando non si abbia altro da aspettare che un amico, per andar di brigata a desinare in campagna; figuriamoci poi quando sia per un così grave negozio, come quello per cui Lorenzo e l'Assereto aspettavano il dottor Collini.

I preliminari di un duello e il tempo che scorre dalla disfida ai colpi, sono la pietra di paragone del coraggio di due avversarii. Ai tempi antichi, quando i gentiluomini portavano tutti la spada al fianco, il combattimento si faceva di sovente appena avvenuta la provocazione. Oggi, in cambio, manca l'uso dell'arma e manca per conseguenza l'occasione di far subito. Bisogna anzitutto mettersi in balìa di due padrini, i quali trattano, e qualche volta anco bistrattano la faccenda. Poi si ha da dormirci su; poi bisogna svegliarsi fuor d'ora, vestirsi, uscire e andar sul terreno, aspettare che i padrini s'intendano su cento minuzie, scelgano il luogo, misurino il campo, dividano, giuochino a sorte il lato migliore, visitino il petto e le braccia, diano le armi, i segnali e via discorrendo. Di questa guisa, un uomo di poco animo ci ha tempo a pentirsi d'essere andato tanto oltre; un uomo di polso ci ha tempo a sbadigliare di molto, come un povero viaggiatore sul disagiato sedile di una carrozza. Ma il Collini non era un uomo di polso, e Lorenzo Salvani lo aspettava inutilmente da un pezzo.

Guardò l'orologio per la ventesima volta; erano le quattro e cinquanta minuti.

 Oh, insomma!  gridò egli allora,  Assereto, levati su!

L'Assereto balzò in piedi tutto confuso, stropicciandosi gli occhi.

 Perchè svegliarmi?  esclamò egli.  Facevo un sogno così bello! Figurati; sognavo che il tuo Collini era venuto, con un cuor da leone, tutto armato di feroci propositi. Ma vedo bene che bisognerà notare di falsità il detto di Omero.

 Qual detto?  chiese Lorenzo, in quella che ambedue, seguiti dal taciturno Michele, si avviavano verso la viottola di San Nazaro.

 Non sai? nel primo libro dell'Iliade, dove Achille dice che «__da Giove anco il sogno procede__». Ora il mio è stato un sogno inspirato da Momo, il Dio dello scherno. Il Collini non è venuto; andiamo noi.

 __Tu dixisti__,  rispose il Salvani, imitando la burlesca gravità di Giorgio Assereto.  Soltanto ti prego di studiare il passo, perchè la viottola è lunga, e mancano appena otto minuti alle cinque.

A mezza strada trovarono la loro vettura, svegliarono il loro medico, che russava beatamente nel fondo; pigliarono le spade, e poi giù a passo di corsa fino a San Nazaro.

Il sole non era anche spuntato dallo scoglio di Portofino, dove i primi Genoati credevano che stesse a dormire; ma i primi colori dell'aurora dipingevano timidamente il cielo e le digradanti costiere ligustiche. Il rancio, il rosato e il verdognolo, magnifici colori che l'alba tiene in serbo nella sua tavolozza d'estate e d'autunno, cedevano qui il luogo ad una tinta pallida, tra turchiniccia e cenerognola, unico segno della mattutina risurrezione del creato.

Sul ripiano davanti alla chiesuola stavano quattro persone aspettando. Il marchese di Montalto, con un lungo pastrano nero abbottonato fino al collo, stava con le mani in tasca appoggiato al muro. Il medico guardava il mare, dando le spalle ai nuovi arrivati. Il marchese Pietrasanta e il conte Nelli di Rovereto, colla sua divisa di capitano e con la sua cappa cenericcia sulle spalle, guardavano verso lo sbocco della viottola.

Lorenzo e l'Assereto si fecero innanzi, salutando con molto garbo, e gli altri risposero del pari. Il Montalto non fece altro che metter la mano al cappello, e stette nella medesima postura di prima.

 Signori,  disse Lorenzo,  io spero che non ci ascriveranno a colpa lo averli fatti aspettare.

 Mai no;  rispose il Pietrasanta,  sono le cinque in punto.

 Questo so bene, signor marchese,  soggiunse il Salvani,  ma a noi duole di essere giunti dopo le Signorie loro al ritrovo.

Gli altri si strinsero nelle spalle, quasi volessero dire: che ci abbiamo a far noi?

Lorenzo intese la mimica, ma finse di non addarsene.

 Signori,  soggiunse egli, con un sorriso malinconico, da cui trapelava l'angustia dell'animo,  aspettavamo il signor Collini. Ma, a quanto sembra, egli è stato trattenuto in città da altre faccende, che avrà reputate più urgenti.

Un altro sorriso, ma di ineffabile disdegno, fu quello che sfiorò le labbra del marchese di Montalto. Gli altri si contentarono di tacere, aspettando la fine del discorso. Infatti Lorenzo, per nulla turbato proseguì:

 Siamo stati ad attenderlo fino all'ultimo. Egli ha mancato alla sua fede, e noi siamo venuti qua, per significare alle Signorie loro tutto il nostro rammarico.

Il marchese di Montalto sorrise da capo. I suoi padrini si volsero a lui per vedere che cosa dicesse; ed egli allora, levatosi con piglio di noncuranza dalla sua prima postura, e cavandosi il cappello, pronunziò queste poche parole:

 Francava la spesa di alzarsi così per tempo, per riuscire a ciò!..

Il sangue si rimescolò tutto nelle vene al Salvani, e una vampa di fuoco gli corse alla fronte; tuttavia si contenne:

 Signori,  ripigliò a dire,  non avevo finito. Io ed il mio onorevole collega Giorgio Assereto significavamo alle Signorie loro il nostro rammarico, perchè questo era debito nostro. Siamo stati a recare un cartello di sfida al marchese Aloise di Montalto da parte del signor Ernesto Collini. Questi mancando al ritrovo, a noi correva obbligo di far loro le nostre scuse. Dopo di che, io, come primo padrino del signor Collini, mi metto a disposizione del marchese di Montalto.

Il Pietrasanta e il Nelli, sebbene prevedessero questa fine, non poterono rattenersi da un senso di meraviglia, cagionato forse dall'accorto e cortese giro di frasi con cui il giovane Salvani l'aveva preparata. Essi lo guardarono in viso; era pallido, ma non del pallore della paura, poichè gli occhi suoi scintillavano per l'interno corruccio che egli durava fatica a frenare. L'Assereto, a cui le ultime parole del Montalto non avevano fatto minor senso, si era posto accanto all'amico, con un cipiglio da vecchio __hidalgo__ spagnuolo.

Michele, fermo a distanza legale, sorrideva ad uno de' suoi baffi, che andava tirando con molta compiacenza.

 Tanto meglio!  riprese il Montalto, rendendo con la superba esclamazione impossibile ogni mezzo di onesto componimento; poi, parlando a voce bassa coi padrini, soggiunse:  in verità, con questa gente non avrei sperato mai più di finirla così.

Lorenzo, che aveva un udito finissimo, non perdette una sillaba di quel discorso fatto in disparte, ma stimò acconcio di tenerlo per sè.

Allora l'Assereto, il quale, per la deliberazione di Lorenzo Salvani, diventava egli il ministro plenipotenziario, fece il muso anche più arcigno di prima, ed invitò, con quella fredda cortesia che è l'arte somma dei padrini, la parte avversaria a misurare il terreno e a metter le condizioni.

Intanto Lorenzo era rimasto a guardare la marina, e si accendeva un sigaro. Aloise di Montalto, poco discosto da lui, ragionava di cose vane col suo medico.

Il terreno, dentro le mura della chiesuola fu in breve ora misurato e diviso. A Lorenzo toccava in sorte di dare le spalle all'ingresso; di guisa che, se il combattimento durava, egli avrebbe finito coll'avere il sole in faccia. Le spade, tratte a sorte, eran quelle di Lorenzo.

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