I pazzi: dramma in quattro atti - Roberto Bracco



I pazzi: dramma in quattro atti

PREAMBOLO

Ho voluto graziare questo dramma che gemeva nel prefunerario cassetto delle mie cose inedite e condannate a un rogo piú o meno lontano, perché, leggendolo (evidentemente lo avevo scritto, ma non lo avevo letto mai) ho ritrovate, vive e cospicue, sotto la polvere d'una affrettata negligenza scettica, le ragioni donde mi germinò nella commossa fantasia. Esso è, in vero,  quale che sia il valore estetico che contenga la continuazione, il compimento, la sintesi, il culmine sillogistico di molte opere mie d'indole tragica, forse non pregevoli e tuttavia non spregiate e non ancora a me discare. E mi sembra che ciò debba risultar netto a chiunque abbia avuta la cortesia di guardare al cammino che io, illuso o disilluso, alacre o accidioso, ho percorso fin qui nel campo scenico, tra la volubilità delle platee e quella della ribalta, sempre serbandomi piú tenero dei miei lettori che non delle une e dell'altra, sempre sognando un po' un teatro senza teatro. (È una mia antica e fissa idea che si possa non destinare al teatro cioè alla rappresentazione un'opera a cui si sia data l'impronta della scena. Non è forse presumibile che l'artista abbia prescelta questa impronta soltanto perché è quella piú vicina a una forma di vita?..)

Il costrutto del dramma graziato, che, mediante il salvacondotto della tipografia, potrà liberamente vivere o vivacchiare e morire di morte naturale e che si aderge a compiere la sagoma d'una piramide racchiudente le già vissute opere cui ho accennato, non è da enunciare in una baldanzosa conclusione, né in una sbandierabile sentenza, ma bensí in due interrogazioni, trepide e pur pungenti:

 Dove finisce, nell'animale umano, la saggezza e dove comincia la follia?

 Quali sono, nel nostro mondo, i pazzi e quali sono i savii?

Ecco, nella trama e nella sostanza, il mio dramma, che le due interrogazioni rivolge a me stesso e all'umanità.

L'umanità non risponde. E non rispondo nemmeno io. Quattro volte cala il velario sulla controversa vicenda inscenata. L'ultima volta cala lasciando che le due interrogazioni proseguano, vie piú aguzze, a pungere l'umanità e me, come in una eco perpetua.

L'Arte non offre, non indica, non suscita soluzioni di problemi che anche la Filosofia invano affisa o sviscera o espone scevri di scorie. Al piú al piú, si sforza di tradurli in visioni che parlino alla sensibilità, senza troppo incomodare la mente.

I pazzi del mio dramma sono appunto una visione composta dall'Arte: dalla povera Arte di un pazzo o di un savio.

Roberto Bracco

Febbraio, 1922.

I PERSONAGGI DEL DRAMMA

Sonia Zarowska

Ulrico Nargutta

Francesco Floriani

Agnese Floriani

Il professor Antonio Bernardi

Lorenzo Gemmi

Il Signor Lemms

Un Agente della Polizia

Suora Marta

Il Guardiano d'una Casa di Salute

Le Ricoverate

Una cameriera

PRIMO ATTO

Lo studio del dottor Francesco Floriani.

Nella parete di fondo, una porta che dà in un salotto. Una porta in secondo piano a sinistra. Dallo stesso lato in primo piano uno scrittoio, con la relativa seggiola a bracciuoli, di cui la spalliera è accostata al muro, e un divano che, formando un angolo con lo scrittoio, si stende parallelo alla parete di fondo fin quasi al centro della stanza. Qualche tavolino, qualche seggiola a sdraio, qualche seggiola leggera. Un'altra porta in primo piano a destra. Ampie librerie. Sullo scrittoio, libri, carte, fascicoli, l'apparecchio del telefono, i bottoni della soneria elettrica e una grande fotografia: la fotografia di Agnese Floriani, in una cornice finemente intarsiata.

Una severa signorilità.

I

(Francesco è seduto allo scrittoio. Agnese è seduta sul divano. Tacciono entrambi, cogitabondi, in una greve tristezza.)

(Il tintinnio del telefono risuona indiscreto.)

Francesco

(contrariato avvicina il microfono.) Pronto. (Pausa.) Io sono il dottor Floriani. E lei?.. Chi è lei?.. (Ascolta. Pausa.) Non sento. Un po' piú forte, prego. (Ascolta. Pausa.) Cosa dice?.. (Ascolta. Pausa.) Ah, ho capito finalmente! Dice d'essere una mentecatta. Se desidera di consultarmi, venga pure. Ricevo di solito dalle 15 alle 17. (Ascolta. Pausa.) Non desidera di consultarmi? E che vuole da me? Si sbrighi! Che vuole?.. (Ascolta. Pausa.) Non vuole niente! E allora perché mi ha chiamato?.. (Ascolta. Pausa.) Esattissimo! Ammiro la sua perspicacia. È insensato domandarle il movente dei suoi atti o delle idee che le passano pel capo. Neanche ai savii bisognerebbe rivolgere di simili domande. La ossequio. (Ripone il microfono sul cavalletto.)

(Agnese e Francesco tacciono ancora. Ciascuno dei due è intento al silenzio dell'altro.)

Francesco

E abbiamo, una volta di piú, taciuto abbastanza, dopo di avere, una volta di piú, abbastanza parlato. Torna alle tue occupazioni, tu, come, alla men peggio, io tornerò alle mie. Tant'è: o parlando o tacendo, noi ci aggiriamo in un laberinto: nel piú intricato dei laberinti. Avremmo, forse, potuto uscirne solamente se fosse crollato il tuo ermetico orgoglio. Esso è incrollabile, perché custodito dall'istinto. Non troveremo mai una via di uscita.

Agnese

(con un accento coraggioso che squarcia la tristezza) Io l'ho trovata!

Francesco

Non lo credo.

Agnese

Sí, l'ho trovata.

Francesco

Sei presa da uno sdegno che sempre piú allontana da te e da me la probabilità di trovarla.

Agnese

L'ho trovata, l'ho trovata, Francesco!

Francesco

Ma che stai per propormi, Agnese?! Tu mi fai tremare. Una perfida temerità lampeggia nei tuoi occhi.

Agnese

Perfida, no: astiosa, bensí, e ribelle, come la temerità di chi, all'approssimarsi di un immane pericolo immeritato, insorge con tutte le sue forze per superarlo e per trionfarne!

Francesco

Quale sarebbe la via di uscita che hai trovata?

Agnese

Noi dobbiamo separarci.

Francesco

(in un afflusso d' amarezza) Questo sai volere, raccogliendo le mie angosce e i miei gemiti? Questo sai offrirmi per placarmi, tu che sei stata per me la donna unica e che hai assorbita tutta la mia essenza di uomo? Ah, che desolazione! E che miseria!

Agnese

Io ti ripeto, ogni giorno, ogni giorno, che nulla mi ha mutata, che nulla mi muterà mai. Te lo ripeto a fronte alta e con la voce ferma. E a fronte alta, come una martire cristiana, subisco di essere dilaniata dalla tua diffidenza che non si determina in nessun perché, che non parte da nessuna circostanza visibile, che non denunzia nessun segno di defezione del mio cuore e dei miei sensi nei nostri rapporti coniugali. Somiglia al coltello di un chirurgo capriccioso caparbio audace e inesperto che si ostini a sbrandellare le carni di un corpo sano per cercarvi una rovina che non c'è. È uno scempio inaudito! Io sono stanca! Non ne posso piú! Non ne posso piú! Non resisto piú! E anche tu sei stanco!.. Sei stanco della tua travagliata e vana inchiesta. Sei stanco della tua crudeltà che ti ha logorato non meno di quanto abbia logorato me. Eppure continui a non aver fiducia nella interezza del mio affetto di moglie e d'amante, e quotidianamente la tua diffidenza ricomincia a dilaniare, a sbrandellare No! No! È troppo! Noi ci separeremo, e Dio, se vuole, ci assisterà!

Sta' tranquilla, Agnese. Ci separeremo. (Con apparente calma) Che per molti motivi questa soluzione sia logica non me lo dissimulo. E se non fosse o non mi sembrasse logica?.. A me basterebbe a renderla necessaria il fatto stesso che tu la proponi. Dicendo: «separiamoci», tu schianti i pochi puntelli dell'edificio sconnesso. E non c'è piú modo di sorreggerlo!.. (Svoltando) Fortunatamente, non abbiamo figli. È stata una beffa infame che il destino ha gettata sui bollori della nostra unione. Nondimeno, ora, per noi è una sagace fortuna. Senza figli, il separarci sarà la cosa piú spiccia e piú semplice del mondo: spiccia e semplice come sono, in generale, le grandi tragedie della vita!.. (Si leva, si morde un pugno, cammina per la stanza, sbandato. Poi, si ferma.) E cosí, in due minuti, tutto è accomodato, tutto è definito. Non piú legami, non piú controlli di sentimenti e di pensieri. Non piú lo scempio inaudito!.. Ciascuno di noi due non apparterrà che a sé medesimo. Tu ti porterai via la tua verità salvandola dalle mie intransigenti e cupide investigazioni. E io resterò vedovo, saturandomi d'un rancore innocuo per te e guardando discendere in un baratro, insieme col passato, la mia povera felicità ridotta in frantumi.

Agnese

E non anche la mia, forse?.. Non anche la mia?.. Dillo! Dillo!

IISuora Marta

(dalla sinistra, prima d'entrare) Permesso?

Francesco

(ricomponendosi) Avanti, Suora Marta. Che c'è?

Suora Marta

(entrando) Il professor Bernardi ha quasi terminata la sua visita alle ricoverate.

Francesco

(battendosi la fronte con la mano) Ah già! C'è la visita del professor Bernardi!..

Suora Marta

(comprende di essere involontariamente importuna.) Ma non si scomodi, direttore. Il professor Bernardi mi ha raccomandata di comunicarle che, se lei ha da fare, egli non vuole disturbarla. Ha soggiunto che, dovendo trattenersi ancora in questa città, avrebbe il tempo di ritornare per salutarla.

Francesco

Piú o meno, ho sempre da fare.

Suora Marta

Gli riferirò che lei si scusa per oggi.

Francesco

No, Suora, no. Che penserebbe di me?.. Io non l'ho accompagnato durante la sua ispezione scientifica affinché il contegno delle ricoverate non risentisse della mia presenza, della mia immediata vigilanza. E mi pare che egli abbia apprezzata questa mia scrupolosità. Ma adesso mi è doveroso parlargli, mi è doveroso di stare un po' con lui. Gli direte che io lo aspetto qui o che mi faccia avvertire appena si sarà sbrigato.

Suora Marta

Sta benissimo. (Via.)

Francesco

Ed eccomi assillato, eccomi vessato dai miei doveri e dalle mie responsabilità quando vorrei potermi sottrarre a tutto quello che mi ricorda di essere vivo!

Agnese

(già in piedi) Le tue responsabilità e i tuoi doveri sono provvidenziali oggi e saranno provvidenziali in avvenire. Non lamentartene. Io te l'invidio!.. T'impediranno di abbatterti. Impegneranno le tue ore in un'attività che, per quanto imposta, ti sarà poi di sollievo.

Francesco

(acido, e torvo) Mi condanneranno a uno sforzo di sdoppiamento: a uno sforzo in cui corre il rischio di spezzarsi chi non possegga l'elasticità di coscienza per la quale è facile infingersi o mentire! (Un intervallo.) E siamo intesi.

Agnese

Siamo intesi davvero, Francesco! (Tutta raccolta, esce.)

Francesco

(tra sé scervellandosi) Ghermire quello che è dentro l'involucro che si può toccare, quel che è al di là della fisonomia e dei gesti che si vedono, al di là della voce e della parola che si odono: questo è il problema insolubile!..

IIIBernardi

(nella stanza contigua, a sinistra) Grazie, gentilissima Suora, e non mi dimentichi!

Francesco

(si sforza di assumere un atteggiamento di cordiale cortesia e gli va incontro.) Favorisca, Professore! Favorisca!

Bernardi

(avanzandosi) Sono a lei, collega. (È un uomo sulla cinquantina. Alto. Magro. Adusto. Elegante. Disinvolto. Barbetta a punta, brizzolata. Naso lungo, arcuato. Sopracciglia convergenti. Sguardo fosforescente, penetrante. Ha un po' un'aria da Mefistofele bonario. Il suo sorriso è buono. Parla con aristocratica affabilità e con ricercatezza, ascoltandosi, assaporando la frase fiorita arguta.)

Francesco

Ella mi ha sospettato di tanta indifferenza da rinunziare a mietere súbito le sue impressioni e a darle súbito qualche schiarimento! Mi faceva torto.

Bernardi

Pardon!.. L'indifferenza è spesso un'affermazione di serenità. Mi sarebbe parsa legittima in lei. E anche piú legittima mi sarebbe parsa una piú limitata tolleranza della mia indiscrezione.

Francesco

Un linguaggio cosí umile è paradossale sulla bocca dell'insigne professor Antonio Bernardi.

Bernardi

Una vera indiscrezione è stata la visita che ella mi ha consentita. Ciò che giustifica l'indiscrezione è la speciale fama di cui Ella gode e di cui è circondato questo monastico rifugio della psicopatia femminile. Una attrattiva irresistibile!

Francesco

(con dignitosa modestia) La fama di cui godo?.. Io sono l'ultimo arrivato.

Bernardi

Last not least, come sottilmente dicono gl'inglesi.

Francesco

Ma è certo che questo rifugio non è che l'abbozzo di una Casa di Salute.

Bernardi

Protesto, collega! Molto piú di un abbozzo!

Francesco

Minuscola. Rachitica. Incompleta. E mi cruccio di non avere i mezzi per ampliarne la capacità ospitale, per svilupparne l'efficienza.

Bernardi

Già troppa la sua abnegazione! È notorio che ella giuoca e perde alla roulette dell'altruismo tutte le sue entrate di possidente.

Francesco

Mio padre mi lasciò un titolo di conte che ho seppellito e un po' di proprietà che onoro col dedicarne le non larghe rendite a un'opera di soccorso.

Bernardi

E non trova appoggi finanziarii per una fondazione d'indole cosí filantropica?!

Francesco

Cercandone, forse ne troverei. Ma avendo voluto adottare dei metodi esclusivamente miei, ho dovuto serbare al Ricovero un carattere di personale esperimento e di personale filantropia. Inferme che paghino, difatti, non ne ammetto se non in linea eccezionale, e sempre che io abbia un posto disponibile l'offro a qualche inferma povera o accolgo gratuitamente quella che mi sia portata, come una naufraga, dalla marea delle sue sventure.

Bernardi

Tutto ciò è sublime!

Francesco

No, non è sublime. C'è in me gliel'ho confessato un'ambizione di autonomia, una ostinata insubordinatezza.

Bernardi

Anche questa «insubordinatezza» accede alla sublimità. Nella cura della follia o della semi-follia ella si è proposto di sostituire l'influsso dell'Idealismo ai dettami positivistici. Verso le vie del cielo! Coelum accipere!

Francesco

Mettiamo i punti sugl'i, Professore. Non vorrei che mi si tacciasse di cecità. Secondo me, l'Idealismo è creatore o coefficiente di coesione morale, e, secondo me, coesione morate è sanità della mente, è vigoria dell'anima. Io sostituisco l'influsso dell'Idealismo ai dettami positivistici solamente quando la causa della follia o della semi-follia non permanga nel dominio del clinico e quando, perciò, il positivismo onesto non abbia nulla da fare. Idealista, sí. Cieco, no.

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