Questa spiegazione degli indizi ingannatori apparve così chiara, che fu creduta a breve andare da tutti. No, non più avanti, per contentare il capriccio dell'avventuriere, del pazzo. Quell'uomo voleva trovar terra a ponente, o morire; proposito da disperati! Ma egli poteva farlo, egli che non aveva famiglia; non potevano essi, che a Palos, a Huelva, a Moguer, lasciavano occhi per piangerli. Bisognava dunque ricusargli obbedienza, forzarlo a ritornare indietro. Chi li avrebbe biasimati? chi li avrebbe accusati di viltà? Si erano spinti quattrocento e più leghe sull'Oceano, sul mare tenebroso, spavento di tutti i naviganti del mondo. Che si voleva di più? che morissero tutti di fame, errando inutilmente sopra un mare senza sponde? o che nei gorghi di quel mare trovassero il sepolcro?
Le coscienze più timorate si davano pensiero di ciò che avrebbero detto i sovrani, vedendo ritornare le caravelle in Europa. Ma che cosa potevano dire i sovrani? Essi medesimi non si erano risoluti di concedere al marinaio genovese gli uomini e le navi, se non per levarsi d'attorno quel molesto supplicante, e a loro malgrado, come in troppe occasioni era stato dimostrato. Vedendo ritornare uomini e navi, la regina, forse, si sarebbe addolorata, poichè il Genovese aveva saputo ammaliarla col suoi racconti del Cataio e di Ofir; ma poi avrebbe capito che quel cercare il levante a ponente era una stravaganza, una pazzia; e buona com'era avrebbe finito con rallegrarsi di veder salve tante vite di bravi spagnuoli. Quanto al re Ferdinando, egli aveva detto di sì per contentare la moglie; ma che fosse contrario nel profondo dell'anima alla impresa di Cristoforo Colombo non era mai stato un mistero per nessuno. Il ritorno della spedizione, senza aver nulla ritrovato della terra promessa, neanche uno scoglio fuor d'acqua, sarebbe stato un vero trionfo per lui.
Sì, dunque, ritornare indietro, ricusando obbedienza all'almirante, obbligandolo ad accettare la legge da loro. Ma se non avesse voluto persuadersi con le buone, era egli conveniente di passare alle cattive? Non sarebbe sempre rimasto a carico loro il fatto della disobbedienza e delle conseguenti offese alla sua persona? Da senno, o da burla, era almirante, era vicerè, era governatore; e tutto ciò per decreto reale.
Il modo di superare quella piccola difficoltà alcuni dei più audaci lo avevano trovato, e ne avevano già discorso lungamente tra loro. Ma non se ne aprivano ancora liberamente nei crocchi più numerosi; stavano a bocca chiusa, o parlavano a monosillabi, a interiezioni, quando erano presenti marinai di altre nazioni; specie quando c'erano i due genovesi. E i due genovesi avevano capito; e si erano lungamente consultati tra di loro, per venire ad una risoluzione che di giorno in giorno si faceva più urgente. Finalmente uno di quei capiscarichi che quando è stato lor confidato un segreto, credono di averlo colto a volo, non istanno più nella pelle se non lo consegnano altrui, si lasciò sfuggire qualche parola coi due.
Ah sì? il vostro Genovese non vuol saperne di tornare indietro? aveva egli detto. Ebbene, ci resti lui, a naufragare per tutti. Un'ondata che spazzi la coperta, e si prenda quel matto ostinato, non è poi tanto difficile a trovare.
Trovare sinonimo d'inventare, non è vero? aveva risposto Damiano.
Eh sicuramente! Capirete bene, voi altri, che quando la pazienza scappa E il vostro Genovese la farebbe perdere ai santi.
Damiano non volle sentirne più altro. Quella sera dormì male. A mezzanotte doveva andar egli di guardia alla vela, e Cosma gli teneva compagnia. Era l'uso, tra loro, di non separarsi mai; tanto che i piloti avevano finito col mandarli sempre insieme a far le quattro ore di guardia.
Senti; disse Damiano al compagno, quando furono soli sul ponte; io, per me, non ho più pace, fino a tanto che non ho detto ogni cosa all'almirante. E tu, che cosa ne pensi?
Io penso, rispose Cosma, che avremmo fatto bene a parlare anche prima. Finalmente, qui non si tratta di riferire i discorsi della gente; si tratta d'impedire un delitto. L'almirante dev'essere posto in grado di custodirsi da un colpo di mano.
Giustissimo! ripigliò Damiano. Eccolo là, per esempio, che esce dal gavone di poppa, come fa tutte le notti, per invigilare la guardia. Egli infatti non dorme che da un occhio. Ma per la sua persona egli non ha nessuna vigilanza. Due uomini risoluti potrebbero gittarglisi addosso, afferrarlo per la vita, levarlo di peso, e una, due, tre, buttarmelo a mare come un sacco di cenci.
Che infamia! e sarebbero capaci di farlo.
Dunque, si dice tutto?
Si dica.
Mentre i due si confortavano scambievolmente a parlare, l'almirante veniva a passo lento da poppa, per vigilare le guardie, che non si lasciassero prendere dal sonno.
Buona notte, signor almirante; disse Cosma, appena quell'altro gli fu vicino. Iddio vi guardi.
Ed anche voi, ragazzi; rispose a bassa voce Cristoforo Colombo. Buona guardia.
E san Giorgio valente vi conceda vittoria sui vostri nemici; disse Damiano, parlando nel vernacolo della sua città natale.
Ah! esclamò l'almirante, fermandosi. I miei genovesi?
Sì, messere, e desiderosi di parlarvi. Se non era questa occasione, avremmo chiesto domattina di essere ammessi alla vostra presenza.
Cose gravi, dunque? e da non potersi confidare al pilota?
Gravissime, e vorremmo che non le sapesse neanche l'aria. Guardatevi, messere! C'è del torbido, a bordo.
Lo so, ragazzi, lo so. Da più giorni ho dovuto avvedermene. Gente ignorante ed ingrata! che ci volete fare? Un giorno i più lievi segni del mare e del cielo, segni che non persuadono me, offrono a loro una certezza maravigliosa di approdo imminente. Un altro giorno una cosa da nulla, mettete anche la costanza del buon tempo, me li sbigottisce come i bambini un racconto della balia, quando non ardiscono più spiccarsi dalle sue ginocchia per andare nel fondo della stanza. In verità, figliuoli miei, non avrei mai creduto così debole la fibra umana. E voi, come fate a non seguire l'esempio degli altri?
Noi? noi è un'altra cosa! rispose Damiano. Noi abbiamo fede nel nostro Genovese.
Abbiatela in Dio; rispose l'almirante. Da lui vengono le grandi idee alla mente; da lui i forti propositi al cuore dell'uomo.
E dal demonio i cattivi, signor almirante; rispose Cosma. Si guardi, Vostra Eccellenza. Da certe parole che abbiamo colte per aria, alcuni tristi avrebbero intenzione
Di che cosa?
Veramente balbettò Cosma. È così nero, il disegno!..
Di uccidermi, non è vero?
No, mio signore o piuttosto, sì, perchè infatti, uccidere e far sparire è tutt'uno.
Già! soggiunse Damiano, venendo in aiuto al compagno. Si comincia a parlare di un'ondata furiosa, che spazzi opportunamente la coperta, trascinando con sè fuori del capo di banda il comandante supremo.
L'almirante rimase alquanto sovra pensiero.
Si pensa a questo? diss'egli poscia. Per fortuna non c'è l'occasione. Il mare è così costantemente tranquillo!
Certo, ed è ciò che li annoia. Questi marinai son venuti a desiderar le burrasche, e mi fanno ricordare quel che si dice dei nostri villani del Bisagno e della Polcevera, che si scorticano i polpacci con le calze di seta. Ma Vostra Eccellenza capirà che non c'è bisogno di un temporale, per fare un colpo di mano. L'essenziale è d'inventarne la notizia, per quando si sarà ritornati in Ispagna, e bisognerà render conto della vostra sparizione al governo.
È un disegno infernale! esclamò l'almirante, più inorridito che spaventato dall'annunzio. E siete certi che abbiano pensato di giungere a tanto?
Oh, per questo, non dubiti Vostra Eccellenza; coi nostri orecchi medesimi abbiamo sentito il discorso.
Pazienza! replicò l'almirante. Sebbene questo non dovessi aspettarmi, vedrò di fare buona guardia.
E la faremo anche noi; disse Cosma. Così conoscessimo i buoni, quelli in cui confidate di più, per metterci d'accordo, e vegliar tutti sulla vostra preziosa persona!
Amici miei, rispose Cristoforo Colombo, traendo un sospiro, conosco voi da pochi momenti. Quanto agli altri, non so nulla di loro. Eravate a Palos; potete ricordare in che modo si è formato il nostro equipaggio.
Pur troppo, mio signore! Metà per forza, l'altra metà per caso; tutta gente raccogliticcia. I buoni ci saranno di sicuro, e si vedranno alla prova. Per intanto
Per intanto, è buio pesto; conchiuse Damiano. Ma Vostra Eccellenza potrà confidarsi di queste cose co' suoi ufficiali.
Sì, sì, figliuoli, lo farò; rispose l'almirante. Ma non è questo, che importa. La mia speranza è altrove. Siete voi marinai?
Noi? sì, come vede Vostra Eccellenza.
Infatti, la vostra condizione è tale, per ora. Ma dal primo momento che ho dovuto guardarvi in faccia, mi è parso che non ne aveste l'aria.
Le nostre mani, signore
Sì, capisco, le vostre mani saranno tinte di pece. Ma non è la pece che fa il marinaio, come non è l'abito che fa il monaco. Le mani del marinaio possono essere anche pulite, ma si riconoscono egualmente; specie nella palma, che par foderata con pelle di squalo. Ora, le vostre mani, che sono lieto di stringere
Si faranno ruvide quanto è necessario; rispose Cosma, inorgoglito da quella dimostrazione di benevolenza, ma anche un pochettino turbato.
Sta bene; disse l'almirante, sorridendo. Quantunque, io non domandi ciò come una qualità necessaria a mani di cavalieri.
Messere mormorò quell'altro, più turbato che mai.
Oh, non temete, non voglio andare più in là, rispose l'almirante. I vostri nomi, se ben ricordo, sono
Cosma e Damiano; si affrettò a rispondere Cosma.
E Cosma è lui, e Damiano son io; soggiunse Damiano.
Benissimo. Due nomi di fratelli!
Noi non siamo che amici; ma come fratelli ci amiamo.
E perciò avete preso il nome da due santi fratelli, che erano anche colleghi di professione; replicò l'almirante. Erano infatti due medici, e del primo di loro mi pare di aver letto in un certo libro, che si conservi ancora una ricetta.
Sono anche i santi protettori dei pellegrini; disse Cosma, che pareva poco desideroso di stare sull'argomento della medicina.
Siano dei pellegrini o dei medici, son sempre due benefattori; conchiuse l'almirante. E voi certamente avete assunti i lor nomi per adempimento di un voto.
Vostra Eccellenza legge nei cuori come nei libri; disse Damiano. Siamo infatti legati da un voto.
Per il quale, probabilmente, avrete lasciati gli agi della vita, venendo partecipi alle fatiche, ai pericoli di questo viaggio: non è così?
I due marinai non risposero parola. Ma per essi rispondeva la sapienza dei popoli, stillata in proverbi: chi tace acconsente.
Non voglio chiedervi ciò che non potete dirmi; riprese Cristoforo Colombo. Siete genovesi, e basta ciò, perchè io v'abbia in conto di fratelli. Ricordate soltanto che bisogna amarla, amarla molto, la terra dove si è nati; amarla tanto più, quanto essa è più sventurata. Sapete quanto abbiano fatta dolente la nostra povera patria, le discordie maledette dei suoi figliuoli!..
Voi dite bene, messere, rispose Cosma. E noi lo abbiamo ricordato già molte volte, pensando a voi.
A me?
Certamente. Ecco un uomo insigne, dicevamo tra noi, un uomo che ha fatto un disegno sublime, e potrebbe e vorrebbe darne la gloria e il profitto alla patria; ma perchè la patria non è in condizione d'intenderlo, egli deve rivolgersi ad altre nazioni, dando ad altri il profitto e la gloria delle opere sue.
Ah! gridò l'almirante. Lo intendete anche voi che dolore sia questo? e come profondo? Io non lo dico a nessuno, perchè nessuno lo intenderebbe. Pazienza, miei giovani amici! E lasciamo questo argomento tristissimo. Intanto, le vostre parole mi han detto assai più che non dicessero le vostre mani. Vorrei fare qualche cosa per voi; chiamarvi almeno tra i miei ufficiali. Ma quante invidie si desterebbero! Non per ora, adunque. Il giorno che avremo toccata la terra promessa, io sarò davvero vicerè e governatore; e quel giorno, vedremo.
Guardatevi intanto, messere. Noi non abbiamo mestieri che di una cosa: di vedervi incolume, trionfante su tutti i vostri nemici. Laggiù avete avuto da lottare coll'invidia; qui avete da lottare coll'ignoranza.
E sempre con la malvagità; conchiuse Cristoforo Colombo. Ma le vostre parole mi fanno ricordare ciò che volevo dire poc'anzi. Vi chiedevo se eravate marinai, per raccontarvi del primo capitano con cui ho imparata l'arte del navigare. Eravamo nelle acque dell'antica Cartagine, atterrati, con un vento che non si potrebbe immaginare di peggio. Non si poteva reggere al mare, bisognava ormeggiarsi e tener fermo ad ogni costo. Ma le áncore aravano, per la forza della corrente, e si temeva di andare da un momento all'altro a battere negli scogli.
Un guaio; dei grossi esclamò Damiano.
Certamente; rispose Cristoforo Colombo e non c'era tempo da perdere. Il comandante ordinò di mettere mano all'áncora della speranza. «Credete diss'io che ci farà buon servizio?» Domandavo troppo, più ch'egli non potesse sapere. Ma ad ogni modo, me la trovò lui, la risposta: «Getta l'áncora e spera in Dio!» E così, come mi fu consigliato nella mia prima navigazione, ho fatto io in tutte le altre che seguirono.
Confidiamo nel suo alto volere; disse Cosma, inchinandosi.
Ma pensiamo ancora, soggiunse Damiano, che chi s'aiuta Iddio l'aiuta.
Oh, sicuramente! rispose Cristoforo Colombo, non potendo trattenersi dal ridere, alla pratica ammonizione. Vi ho già detto che farò buona guardia alla mia vita, se occorrerà; non aspetterò che mi assalgano; andrò io contro ai loro disegni. Non si compiace di sfidare i bassi pericoli, chi ha cuor d'affrontare i maggiori. Ma se è necessario di entrare in lizza coi rivoltosi, anche questo farò. Voi, frattanto abbiate per certa una cosa: che presto, con l'aiuto di Dio, saluteremo la terra.
Con questa fede siamo venuti; disse Cosma.
E ci sia pure da navigare altrettanto, non ci lagneremo, noi altri; soggiunse Damiano. Voi dite, messere, che si serve a Dio, con questo viaggio.
È la mia opinione.
E bisogna dunque servirlo allegramente. Lo raccomanda perfino il Salmista.
L'almirante sorrise e battè amorevolmente della destra sulla spalla di Damiano.
Ottimamente, giovanotto! esclamò. E che Iddio vi guardi ambedue. Ma domandiamogli ancora una grazia; soggiunse. A persuadere questa gente che ha il furore della paura, un buon vento gagliardo, e da ponente, farebbe meglio di tutti i nostri discorsi.
Capitolo III.
Di una bella sconosciuta che mandò a Cristoforo Colombo un ramo di spino fiorito
Cristoforo Colombo era stimato un gran dotto in materia geografica, cosmografica ed astronomica, quando non era stimato un impostore, od un pazzo. Per lui, si sa, erano stranamente mutevoli i giudizi del volgo, nobile o plebeo che si fosse; e saltavano da un estremo all'altro, come qualche volta usano saltare i venti, dal primo al terzo, o dal secondo al quarto quadrante. Si può dire, dopo aver letto attentamente la storia della sua vita fortunosa, che gli storti giudizi, i sospetti, le animosità contro di lui non posassero mai intieramente finchè egli visse, da prima volendo regalare per forza un nuovo mondo alla Spagna, poi disputando ai suoi grandi una corona di vicerè nelle terre scoperte, e da ultimo combattendo virilmente per la propria fama, per il proprio onore, per il proprio decoro, contro le invidie e le ingratitudini congiurate. Ma ci furono anche nella sua vita, e frequenti, i giorni della lode e della reverenza universale. Ci furono anche i giorni in cui egli era tenuto per un gran mago, padrone di alti segreti naturali, e capace di comandare agli elementi coll'autorità di misteriose parole. E per un negromante, di sicuro, lo avrebbero tenuto i marinai della Santa Maria, il giorno 22 settembre del 1492, se dieci o dodici ore prima, cioè nel cuor della notte che fu sopra a quel giorno, lo avessero udito domandare al cielo un vento gagliardo di ponente.