Terenzio Mamiami, che era a Firenze nel 1827 quando vi andò il Manzoni, racconta: «io l'ho veduto impacciato fuor modo degli encomii infiniti che gli suonavano intorno. Rispondeva con parole poche ed avviluppate e arrossiva tuttavia a somiglianza di fanciulla. Spesso il Leopardi assisteva a codeste apoteosi. Ed io, vedutolo una sera rincantucciato e solo, mentre il fiore de' letterari e degli studiosi affollavasi intorno al Manzoni, lo incitai a manifestare quello che gliene paresse. Me ne pare assai bene, rispose, e godo che i Fiorentini non si dimentichino della gentilezza antica e dell'essere stati maravigliosi nel culto dell'arte». Aggiunge: «Pochi anni dopo io l'udivo in Firenze esprimere intorno al Manzoni questa riservata sentenza. Che l'avere eletto pel suo romanzo una dell'epoche più sventurate e servili delle storie italiane dee nascondere molte ragioni ed assai poderose23; ma certo non appariscono, e sembra invece uscire dal suo racconto la deplorevole conseguenza che del presente non bisogna zittire, dacchè gl'Italiani altre volte si trovarono molto peggio e l'Austriaco vale un oro a petto del Castigliano»24.
In due lettere, tutte e due dell'8 settembre '27, il Leopardi aprì l'animo suo al padre e allo Stella. A quest'ultimo scriveva: «Io qui ho avuto il bene di conoscere personalmente il signor Manzoni, e di trattenermi seco a lungo: uomo pieno di amabilità, e degno della sua fama». E al padre: «Tra' forestieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta l'Italia parla». Di nuovo al padre: «Ho piacere che ella abbia veduto e gustato il Romanzo cristiano del Manzoni. È veramente una bell'opera; e Manzoni è un bellissimo animo e un caro uomo». E al conte Antonio Papadopoli: «Ho veduto il romanzo del Manzoni, il quale, non ostante molti difetti, mi piace assai, ed è certamente opera di un grande ingegno; e tale ho conosciuto il Manzoni in parecchi colloqui che ho avuto seco a Firenze. È uomo veramente amabile e rispettabile».
Il barone Giuseppe Sardagna, il 25 febbraio del '28, dava questi ragguagli all'Acerbi, allora console austriaco in Egitto: «Manzoni scrisse un romanzo storico, I Promessi Sposi, di cui certamente avrete letto qualche cosa anche in Alessandria, giacchè suppongo che i giornali francesi almeno vi arrivino. Questo libro ebbe un successo universale in Italia. L'autore vendette unicamente mille copie della sua edizione originale, e se ne fecero già più di sei ristampe. In tutt'altro paese questa produzione bastava per far la sua fortuna: in Italia il suo profitto fu di lire seimila a stento»25. Col Sardagna si accorda il consigliere Federigo De Müller, che nel descrivere nelle proprie Memorie26 una visita fatta al Manzoni nell'agosto del '29, piglia a dire: «Gaetano Cattaneo mi raccontò che i Promessi Sposi non hanno reso al Manzoni più di 5000 franchi, mentre i librai ne hanno guadagnato centomila; che il Manzoni non volle mai decidersi a fare una seconda edizione per il suo editore, essendo d'opinione che vi sarebbe stato molto da migliorare, e in tal modo dovette essere spettatore che in tutte le più grandi città d'Italia si pubblicassero nuove edizioni e ristampe, tutte travisate». Infatti nel 1827 l'anno stesso della prima comparsa de' Promessi Sposi furono subito ristampati a Livorno da G.P. Pozzolini, col ritratto dell'autore; a Firenze da Gaetano Ducci; a Lugano dal Veladini; a Napoli co' torchi del Tramater. In Torino ne fece due edizioni Giuseppe Pomba; a Parigi li riprodusse due volte in italiano il Baudry; a Berlino vennero tradotti in tedesco dal Lessman. Nel '28 il Del Majno li ristampò a Piacenza, il Batelli a Firenze; il Pomba ne fece una terza edizione a Torino; il Baudry mise in vendita due altre sue edizioni a Parigi; dove furono pur pubblicate le due traduzioni in francese del Rey Dusseuil27 e del Gosselin; a Lipsia uscì alla luce la traduzione in tedesco del Büllow, a Pisa quella in inglese di Carlo Seven. In diciotto mesi si hanno dunque tredici ristampe, delle quali nove fatte in Italia, quattro a Parigi; e cinque traduzioni, due in francese, due in tedesco e una in inglese.
L'Elena, lo Zucchi e Gallo Gallina incominciarono a illustrare il Romanzo con tavole litografiche28. Nella festa da ballo in costume, data a Milano nel carnevale del '28 dal conte Bathiany, la quadriglia che destò maggiore entusiasmo fu quella di Don Rodrigo e dei bravi, anch'essa, insieme con gli altri costumi, riprodotta in litografia29. La Minerva Ticinese annunziava: «Quanto prima, con musica del maestro Caraffa, deve comparire sulle scene del Teatro italiano di Parigi un'opera tratta dal sì applaudito romanzo I Promessi Sposi»30.
II
Non senza il suo perchè il barone Sardagna si lusingava che l'Acerbi avesse avuto notizia dei Promessi Sposi dai «giornali francesi», quasi tutti concordi nel lodare il nuovo romanzo, a cominciar dal Mèmorial catholique, dove ne parlò il conte O'Mahony31, a venire alla Gazette de France. Quest'ultima tornò a discorrerne anche nel '32, quando uscì alla luce la bella traduzione in francese del Montgrand. «Ben mille romanzi ci furon regalati da due anni in qua» (son parole della Gazette) «ed è anche troppo se di tutta questa farraggine resterà un solo volume. Qual povera abbondanza mai! E sarà vero che fra tanti scrittori, pieni d'estro, di fantasia, di perizia nell'arte dello scrivere, non se ne trovi neppur uno che pigli scrupolosamente a investigare la feconda miniera de' nostri fatti domestici? E noi rimarremo così, noi la nazione più letterata del mondo, senza avere il nostro Walter Scott e il nostro Manzoni?» È un giudizio, come notava giustamente l'Eco di Milano, (che lo riportò traducendolo), «da fare insuperbire l'Italia, la quale ha dato i natali al Manzoni, e da convincerla che anche in paese straniero e rivale si rende giustizia ai geni della sua nazione ed ai loro capolavori»32. Proseguiva il giornale francese: «Vedete qua il Manzoni; si è impossessato degli annali del suo paese, e le rozze pietre son divenute diamanti sotto le sue mani Non altro che col mettere in azione i più reconditi segreti del cuore umano seppe trarre da un fondo semplicissimo le scene sue più drammatiche e più care I Promessi Sposi ebbero fortuna infinita in Europa; e pure, questo romanzo è tutto quanto appoggiato a un pensiero affatto religioso, anzi, si potrebbe dire, affatto cattolico».
Fino dal 1827 la Revue encyclopèdique, annunziando la comparsa de' Promessi Sposi, aveva scritto: «Une multitude d'aventures et de caractères remplissent le cadre de cet ingénieux roman. Des incidens habilement disposés, une peinture fidèle et animée des moeurs de cette époque, un style toujours approprié aux situations, une grande variété de tons, telles sont les qualités qui ont mérité à ce bel ouvrage le succès éclatant qu'il vient d'obtenir en Italie, et qu'il va sans doute obtenir en France». La Revue promise di riparlare di questa «production littéraire aussi distinguée, et de payer un nouveau tribut d'estime à l'auteur, déjà célèbre en Italie comme écrivain dramatique et comme poète»33. Disgraziatamente ne tornò a parlare per bocca d'uno de' nostri esuli, Francesco Salfi, che raggiunse addirittura il grottesco; pigliando perfino come buona moneta il brano del «dilavato e graffiato autografo» che il Manzoni riporta sul bel principio; brano che è una contrafazione perfetta non solo dello stile e della lingua, ma della stessa ortografia del Secento. Infatti, dopo aver detto, che «le sujet du roman est tiré d'une histoire, peu connue, du chanoine Joseph Ripamonti, et rédigée dans le style prétentieux et ridicule du Secento», soggiunge, che il Manzoni «débute par un fragment du manuscrit de Ripamonti et fait ainsi mieux sentir la nécessité d'en réformer le style, à fin d'en rendre la lecture supportable à ses contemporains». Il Ripamonti che diventa l'autore dell'immaginario «scartafaccio»! È grossa, ma non è la più grossa che il critico sballi. Nei Promessi Sposi trova mancanza di coerenza organica e d'intreccio, bassezza ne' personaggi. «Ce qui rend cette histoire plus repoussante encore» (seguita a scrivere) «c'est l'intervention des fossoyeurs, que l'auteur fait agir et parler trop longuement. Shakespeare s'était permis de nous présenter pour quelques instants ces dignes personnages s'entretenant entre eux. D'après son exemple, M. Manzoni est allé bien avant: il nous apprend leurs occupations, leurs friponneries, leurs bassesses. Ces détails, quelles que soient les beautés qui s'y mêlent, sont trop hideux»34 E così, per la prima volta, nel 1828, la «modestia manzoniana» dovette ricevere da un critico ostile35 la suprema delle lodi per un poeta: quella di sentirsi nominare accanto a Shakespeare.
Il Mamiani in un colloquio che ebbe a Parigi col Sismondi, ragionando della Morale cattolica, l'udì concludere con queste parole: «il vostro Manzoni argomenta bene, ma i vostri preti lavorano male; e poniamo pure che il regolo non sia distorto, la Curia lo storce ella al bisogno e avvezza gli occhi del volgo a falsar le misure. Oltrechè, non è buona quella forma di culto che accarezza le pericolose tendenze d'una stirpe di uomini piuttosto che di combatterle Ad ogni modo, proseguiva il Sismondi, se nella Morale cattolica si ammira un convincimento profondo, una rara potenza dialettica e certo sentimento finissimo e delicatissimo dell'indole umana e del bene etico, non manca qua e là qualche sforzo di apologista e qualche amplificazione acconcia al proposito36. Invece ne' Promessi Sposi il Manzoni è scrittore stupendo e non superabile. Con che arte ti pone innanzi le istituzioni cattoliche, i frati, le monache, i voti non revocabili, la confessione e che so io? scegliendo i punti più favorevoli di prospettiva e combinando in maniera gli avvenimenti che ogni colpa sia solo degli uomini, e nessuna delle dottrine! Il fatto sta che un altro romanzo non c'è in Europa, il qual goda forse di uguale celebrità. Nè il Manzoni è inventore del genere. Nemmanco è inventore di quei «metodi compendiosi e vivi, o di entrar nel racconto ex abrupto per via di dialoghi brevi e animati, o di abbellirlo e farlo evidente mediante le spesse descrizioni: e queste condurre con maestria veramente pittorica e qual direbbesi del genere fiammingo, non intralasciando particolare nessuno ancorchè minutissimo, qualora aiuti l'intendere bene un carattere, un'azione, una costumanza. Ma ciò ch'è novissimo e farà immortale il vostro Poeta per ogni tempo fu il tessere una epopea così casta e nobile, governata da sì eletta moralità, spirante un aroma sì puro di religione, che ogni madre consegna senza paura nessuna alla sua fanciulla quel libro, e ogni direttor di collegio e di scuola fa il simile agli alunni suoi. Che dirò dell'aver posto con nuovo esempio sul dinanzi della scena due umili popolani, e nell'ultimo sfondo gli uomini e le cose accattate dalla storia? Qual concetto è più cristiano dello sparger di luce la probità rassegnata della plebe lavoratrice e raffrontarla con le colpe, le violenze, gl'inganni che gli ordini superiori civili esercitavano impunemente sugl'inferiori, i quali invece erano e sono il pupillo naturale e perpetuo consegnato all'umanità e sapienza educativa dei primi; e vedersi oggi quel che significa l'aver trasandato le obbigazioni e le cure della indeclinabile tutela»37.
Intorno ai Promessi Sposi il Sismondi espresse il proprio pensiero anche in una lettera che, da Ginevra, scrisse a Camillo Ugoni l'11 settembre del '29. Gli dice: «Je suis enchanté d'apprendre que vous préparez une nouvelle édition de ses oeuvres38: c'est un homme d'un beau talent et d'un noble caractère. J'apprends avec bien de chagrin qu'au lieu de préparer quelque nouvel ouvrage dans le genre du roman historique dont il a fait un prèsent à l'Italie, il écrit au contraire un grand livre contre ce genre d'ouvrages. Il y avait du génie dans ses Promessi Sposi, il y avait en même tems l'exemple du genre de lecture, qui peut, en dépit de la censure, faire l'impression la plus générale et la plus utile sur le public italien». A Fulvia, figlia di Pietro Verri, che fu moglie del colonnello Jacopetti, uno de' prodi di Napoleone, scriveva il 22 luglio del '30: «Si vous voyez quelque fois Manzoni, parlez lui de moi, dites lui mon admiration pour son talent, mon regret si vif, mon regret partagé par toute l'Europe, de ce qu'il ne continue pas à marcher dans la carrière où il est si glorieusement entré. Dites lui que jamais il n'avait servi, que jamais il ne pouvait servir si puissamment la cause à la quelle il me reproche de ne point m'accorder avec lui, que par le portrait du P. Cristoforo. Il y a dans ses Promessi Sposi bien plus qu'un bel ouvrage littéraire, bien plus même qu'un genre nouveau donné à l'Italie, il y a une bonne action. Pourquoi ne pas la répéter quisqu'il le peut? Par des livres sérieux on ne répand les pensées sérieuses que parmi ceux qui les ont déjà: mais lui il les a introduites dans un monde nouveau, qui n'avait jamais réfléchi, qui n'avait jamais mêlé les meilleures émotions du coeur à ses amusements».
Tra i giornali italiani, de' primi a parlare de' Promessi Sposi fu Il Nuovo Ricoglitore, di Milano. «S'è finalmente veduto questo romanzo del Manzoni, che aspettavasi da sì gran tempo; ma le temps ne fait rien à l'affaire, direbbe anche qui opportunamente l'Alceste di Molière: non si badi dunque all'aspettazione, ma vediamone l'argomento, discorriamone la tessitura». Dopo averne esposto «l'argomento» e «la tessitura», prosegue: «Non sarà già qui tutta la storia compresa ne' tre volumi? sento domandarsi da molti. Signori miei, l'è proprio qui tutta intera, salvo certi tratti accessorii, che son parte, ma non essenziale, del romanzo, e son molti, a dir vero: ma non vogliate inferirne però che il romanzo abbia ad essere una seccaggine, un sonnifero, una morte: leggete prima e sentenziate poi, che ne avrete allora acquistato il diritto: ma voi dite che non volete comperare questo diritto a un cotal prezzo; ebbene, udite adunque, non mica una sentenza, ma quattro chiacchiere d'uno che ha già letto. Che le arti abbiano un codice di leggi giustissime, chiarissime, opportunissime, dalle quali uno non può discostarsi senza rendersi ipso facto reo di oltracotata prevaricazione, è questo un teorema così evidente ch'io non so quello che mi direi o farei per sostenerlo; mi pare che per difenderlo terrei di battermi ad occhi chiusi; che poi sempre l'effetto d'un lavoro d'arte risponda alla bontà delle leggi e alla diligenza con cui furono seguitate, gli è questo un fatto rinnovatosi tante volte, che non vuoi essere recato in dubbio: or dalle generali venendo, come l'ordine prescrive, a' particolari, dico che l'arte dello scrivere romanzi ha sue leggi, le quali vi comandano di scegliere a dovere argomento e personaggi, che hanno ad essere o cose famose per le storie, ovvero imprese (se le create) d'un conio di grandezza e di perfezione ideale, che le renda interessanti e cospicue: v'ingiungono le leggi del romanzo d'annodare i fili della favola, e come gli abbiate intricati quanto bisogna a destare interesse e un soave stringicuore in chi legge, avete poi a progredire senza posa verso il disviluppo, e quanto più difilato correrete a quello, tanto maggiore riuscirà il diletto che il vostro romanzo procaccerà; son poi vietati dalle prefate leggi i lunghi episodi, i parlari dell'autore, quand'anche sien posti in bocca de' personaggi, i brani di morale, e siffatte cose, sotto pena che il romanzo cada di mano al lettore addormentato: questo prescrivono le leggi del romanzo, piene d'equità, ma contro a quelle stanno molti fatti dove elle non ebbero alcun potere, e, per tacere d'altri esempi, parlerò adesso dei Promessi Sposi. Il romanzo del Manzoni va contro tutti gli ordinamenti prefati; lascio stare l'oscurità de' personaggi che fanno da protagonisti, e dico degli episodi, che son tanti e sì lunghi, che in essi la storia de' Promessi Sposi si perde, e per poco non diventa una cosa accessoria: che è mai infatti la storia, che sopra ho descritta, rispetto alle tante altre cose che ingrossano questo libro; in cui troviamo trattati di economia pubblica, disquisizioni storiche, tirate di morale, omelie di vescovi, prediche di cappuccini, ecc.? Per le quali cose, che altro dovrebbe accadere, stando alle leggi dell'arte, se non istanchezza infinita nel lettore, sbadigli, sonno; eppure la faccenda cammina diversamente, e ognun può vedere che il romanzo del Manzoni corre rapidamente per tutte le mani ed è letto con avidità. Qual cosa concludano poi tanti leggitori come son giunti in fine, io non lo so, ma per il fatto mio affermo che questa lettura m'ha trattenuto piacevolmente assai, e che m'è doluto quando col libro vidi toccare il termine il mio diletto. Fenomeni! casi strani! Ma vediamo un po' se ne venisse fatto di porre innanzi alcuna ragione ad intendere il caso strano. Non togliamo più a ragionare delle leggi onde si governa il romanzo, nè vogliasi inquisire se il Manzoni le abbia osservate, e se questo sia quindi vero romanzo, o che altro sia; da chi volesse contendere su questo punto io mi spiccerei con dire: amico, se nol vuoi romanzo, sarà storia, sarà trattato, sarà un saggio, qualcosa sarà: e per isfuggire anzi affatto ogni questione di titolo, lo chiamo libro. Ora, in questo libro, l'autore deviando ad ogni tratto dalla storia de' Promessi Sposi, scorre, come sopra io diceva, a ragionare d'altre cose, che hanno bensì una relazione stretta col soggetto principale, ma non era forse mestiere che vi si spendessero tante parole. Pur non ostante, tutte coteste cose, che sembrano scucite, le stanno bene insieme, e non mandano suoni discordi, e non isviano punto l'animo del leggitore. Da qual movente può egli derivar questo? Sarebbe egli mai che la condotta e il legame dell'affetto suppliscono a quella condotta e a quel legame che mancano apparentemente nell'opera? Veggo di vero che essa è tutta intuonata a un modo. L'ingegno sommo e il cuor candido di chi dettò son le corde che risuonano da per tutto, son quelle che mantengono una soave consonanza, che formano una reale unità, una verace condotta; quella condotta appunto e quell'unità che ammiriamo nelle odi di Pindaro, le quali pur toccano tante corde e così disparate da parer cose strambe chi non sentisse che le stanno tutte come a dire entro lo stesso accordo: e appunto d'un sì fatto genere sono le opere del Manzoni; ma non ci discostiamo dai Promessi Sposi. In questo libro l'A. ci dispiega un bel tratto di storia patria con accurata fedeltà, con nitido ordine, con sottile e sana critica. In questo libro abbiamo una viva pittura de' costumi del secolo XVII. In questo libro troviamo rappresentati colle vere loro tinte caratteri d'ogni maniera, d'ogni cognizione, d'ogni stato. Abbiamo dipinte orrende scelleratezze, che son toccate con pennello sì gagliardo da scuotere il cinico più gelato; poi t'imbatti in certe scene gioconde, dove la forza comica è accompagnata ad una morale che ti consola; poi siam trasportati in situazioni pietose, commoventissime. Il pensiero dell'A. scorre leggerissimo sui vari soggetti, nè il seguirlo riesce cosa grave alla nostra mente, poichè o penetri acutissimo, e sul fare di Sterne, fin ne' più profondi recessi del cuore umano, o si levi sublime con alti e luminosi concetti, o rapido voli a raggiungere idee lontanissime e disparate onde farne ingegnoso ed inaspettato confronto, tu travedi sempre la mente dell'A. tutta intesa con costante perseveranza a dei casi veri, interamente, liberamente, e non con altro animo, tranne quello che ne abbia l'umanità giovamento e diletto. Io potrei avvalorare le cose sopraddette, trascrivendo qui dal libro alcuni luoghi, belli in sommo grado e immaginosi. I vari quadri della pestilenza; certi gruppi del sollevamento popolare; i passi drammatici dove fa sì bello spicco quella grande anima di fra Cristoforo; il sogno di Don Rodrigo, che pare uscito dal cervello di Shakespeare, tanto è cosa caldamente immaginata; potrei trascrivere la descrizione dei dintorni di Lecco, che la è felice e magnifica quanto un quadro del Lorenese, e molti altri passi potrei allegare (se la legge della brevità me lo concedesse) per li quali si verrebbe a mostrare quanta energia, quale elevatezza, qual fonte d'affetto e di voluttà squisita si contenga nel libro dei Promessi Sposi, comunque alcuni abbiano affermato, nè io vo' negarlo, ch'e' sappia d'ascetico Sì, signori, d'ascetico: e ne tornerà per questo meno piacevole la lettura? Ma siamo anime forti, e queste debolezze, che ponno intertenere i pusilli, non entrano punto nei nostri spassi, se non quando le divengono soggetto d'allegro ed ingegnoso motteggio nelle amene brigate. V'intendo, o signori, e capisco che vorrete per conseguente essere anche persone di carattere, n'è vero? In questo caso v'è sicuramente interdetto il gusto di questa lettura. Poichè fra le vostre mani un libro mezzo ascetico potrebbe farvi scadere da quella reputazione di gagliardia pensava per la soddisfazion vostra a un ripiego Uditemi; e se vi procacciaste questo libro di cheto e ve lo leggeste segretamente?»39.