La notte del Commendatore - Anton Barrili 2 стр.


Ah sì, senza rimedio, pur troppo! E il petto del povero Commendatore ansimava, gravido di sospiri. Quello scherno della fantasia era per lui la cosa più molesta del mondo. Certo, se non fosse stato un uomo per bene, sarebbe uscito in qualche grossa maledizione. Ma queste cosacce non erano il fatto suo; grazie al cielo, il signor Commendatore rispettava sè stesso, e se pure gli venne il momento che la rabbia traboccasse, il pensiero assunse tuttavia una veste conforme al decoro.

In fede mia,esclamò egli parlando a sè stesso, che, pur di ricominciare la vita, farei un patto col diavolo. Sì,soggiunse poscia, ridendo con un tal po' d'amarezza,se l'amico ci fosse! Ma anche questo ci ha distrutto la scienza moderna, anche questo!

Davvero? e chi glielo dice?

Queste parole, che fecero sobbalzare il signor Commendatore nella sua nicchia, gli parve che venissero a lui da un armadio di rimpetto, anzi proprio da un'ampia spera che vi stava incastrata, riflettendo la luce raccolta della sua lucerna, e, tra questa e la penombra in cui egli stava mezzo nascosto, i capricciosi giri del fumo che mandava fuori il vaso del tè. Sbarrati gli occhi, come per guardar meglio davanti a sè, vide dall'immagine riflessa di quelle mobili spire formarsi alcun che di nuovo, indi balzar fuori d'un colpo, a guisa di pantomimo da un quadro mobile, quel famoso personaggio dal viso sarcastico e dalla svelta persona, che si dipinge vestito di rosso dal capo alle piante e con una berretta sormontata da una penna di gallo; insomma «un giovine gentiluomo» come quello veduto dal dottor Fausto di Goethe, o «un bel cavaliero» come quello veduto dal suo omonimo di Gounod.

Qui sarebbe il caso di indagare, poichè siamo nel secolo della incredulità, se si trattasse pel signor Commendatore d'una visione drammatica o melodrammatica, letteraria o musicale. Ma siccome io credo al fatto che narro, non è mestieri di cedere a queste pretensioni degli uomini di poca fede. Dopo tutto, apparenza o realtà che fosse, fatto sta che parlarono a lungo. Ma, di grazia, rifacciamoci dalle mosse.

E chi glielo dice?gridò l'inatteso ospite del signor Commendatore, con una voce impressa di malizia e di buon umore.Io son più vivo che mai. Sappia, signor Commendatore degnissimo, che non si uccidono così facilmente le vecchie forme del pensiero umano. La scienza ha un bel fare; ma, spinte o sponte, dovrà lasciarci la nostra parte di sole. Ella avrà scoperto il mito, non dico di no, e ci avrà tolto qualcosa; ma anche scemati un pochino del nostro avere, ricompariremo, torneremo a far casa. Non sa Lei quel che avviene delle vecchie lune? Le logorano i naviganti e gl'innamorati a guardarle, come i cani ad abbaiarvi dietro; senza contare che si logorano anche molto da sè, a vedere le debolezze degli uomini. Poi, quando son giunte all'ultimo quarto, buona notte, spariscono, vanno in zecca a farsi rifondere; e quindici giorni dopo, le ricompaiono più tonde di prima.

A questa intemerata dello strano personaggio, il signor Commendatore non potè trattenersi dal ridere. Così il ghiaccio era rotto; e siccome il signor Commendatore era un uomo di garbo, si ricordò appunto allora che non aveva anche fatto i suoi convenevoli all'ospite.

La prego,diss'egli,si accomodi e quantunque io non sappia con chi ho l'onore. a che cosa io debba attribuire.

O come?interruppe l'altro ghignando.Non mi conosce Ella? E non le pare di avermi veduto mai, neanco in qualche vignetta? Ah, vede?soggiunse, come leggendo nell'animo del suo interlocutore.Ella mi conosce benissimo, e non occorre che io le declini il mio riverito nome e cognome. Quanto all'attribuire, mi scusi; o non m'ha chiamato Lei? Non ha formato in cuor suo un certo desiderio?.

E come sa?chiese il vecchio gentiluomo, interdetto.

So tutto; ed ella mi fa torto, signor Commendatore garbato, a dubitarne. Non debbo io sapere tutto ciò che avviene ogni giorno ed ogni ora nelle anime? È un ufficio noioso, spiacevole, e vorrei dire anche peggio, se me lo consentisse la buona creanza. Le basti di saper questo, e lo creda sull'onor mio, che spesso ci divento rosso dalla vergogna. E quando si pensa che il principale ha creato l'uomo coll'intenzione di fare una gran bella cosa, e quasi per castigare un ribelle par mio. Ma già, dice il proverbio che non tutte le ciambelle riescono col buco; e questa dell'uomo mi sembra una frittata. Dica, o non pare anche a Lei?

Oh, non me ne parli, per carità! Se non fosse per la donna.

Eh, eh!soggiunse l'altro, con un suo risolino asciutto.Non dico di no. C'è del buono. Ma bisogna distinguere saper scegliere Io me n'intendo un pochino.

Sì, davvero, saper scegliere!incalzò il signor Commendatore, che aveva inforcato il suo ippogrifo.E quando si potesse, coll'esperienza che ci è venuta dagli anni..

Averci anche un miccino di gioventù; la capisco, non dubiti, la capisco. Ho inteso il suo desiderio poc'anzi. Stavo per l'appunto ascoltando le vibrazioni dei nervi del dodicesimo paio, al loro uscire dal foro condiloideo anteriore del suo cranio. Ella deve sapere che quando si pensa si formano parole, quantunque alla muta. Gli è come a dire che si lasciano dormire i nervi laringei, non mettendo in moto che gl'ipoglossi. Provi a pensare qualcosa; non ha Lei la coscienza di avere parole formate, quasi segni visibili delle idee? E senza questi segni che sarebbero le idee? Potenza amorfa; impotenza; un quissimile del nulla. Eccole una scoperta con cui potrà farsi onore, se pizzica di scienziato. Io gliela offro di buon grado.

E il sarcastico personaggio, sporgendo il cavo della mano coll'indice e il mignolo stretto, fe' l'atto burlesco di offrirgli una presa.

No, grazie non ne uso.

Ah, tanto meglio! La scienza è un certo albero, che, suda suda, è un miracolo se ne cavi fuori le tavole d'una cassa da morto. Ma torniamo a noi. Vogliamo dunque levarcela, questa vecchia zimarra e questa barba di stoppa? Eh eh! Il concetto è antico, ma è bello. Il signor Volfango Goethe l'ha tirata fuori da una leggenda popolare del quattrocento; ma, di leggenda in leggenda, e d'un ringiovanito in un altro, si potrebbe risalire fino al decrepito Jolao, restituito, per le preghiere d'Ercole, alla prima giovinezza. Sarebbe un dotto lavoro; ma già, fatica erudita, fatica da cani; non mi dà l'animo di proporgliela. Finirebbe, io ne son certo, col trovare il prodigio operato già mill'anni addietro nella terra dei Vedi; e allora le toccherebbe andarsi a perdere tra gli Arii, ed altri siffatti lunarii.

Che il destino me ne scampi!gridò il Commendatore, trattenendo per delicato riguardo al suo ospite, un cielo che già aveva sulla lingua.Ma, quel che più importa, il prodigio è possibile?

Possibilissimo; solo che Vossignoria dica appuntino quel che domanda.

Rivivere, ricominciare, ecco tutto;rispose il signor Commendatore, sospirando.Ho fallito la strada; ho perso il mio tempo; ho studiato quando abbisognava amare; amato quando bisognava studiare; ceduto ai matti consigli dell'ambizione, quando si trattava, pel mio meglio, di rimanere a mezza via, all'insegna della felicità; creduto un gran bene di vincere il punto su Tizio e Caio, e rinunziato, per sciocchi trionfi di vanità, alle più care gioie della vita; fatte le volte del leone su pochi metri di terra, quando avevo davanti a me il mondo dischiuso; infine, che Le dirò? buttato via cinquant'anni, dei cinquantacinque che ho spesi. E vorrei tornare indietro, rimettermi a nuovo; sicuro, per mettere a frutto la mia esperienza, anche a patto di darle poi l'anima.

L'ospite, a quelle parole, diede una scrollatina di spalle.

Eh via!diss'egli,per chi mi piglia? Il patto è largo; ma io non sono già uno strozzino. So bene che loro signori dànno l'anima al diavolo per molto meno. Anzi, a dirla schietta, l'offerta ha fatto calar la domanda. Io del resto non vo' farmi altro da quel che sono, e ammetto quel che si deve. Sì, certo, c'è delle anime che le vorrei, anche a doverle cambiare con tutte l'altre che ci ho, e farei patto di non tenermene pur una di mostra. Ah, quelle là, le so dir io che mi fanno gola; perchè quelle là consolerebbero le mie tenebre ed io potrei formare una brigata di persone a modo. Ella vede, signor Commendatore; io non sono poi brutto come mi dipingono e vado anzi girando maledettamente nel tenero. Una donna è andata lì lì che non m'indovinasse; ed è santa Teresa, la quale ha scritto di me: «un disgraziato, che non può amare». Ma già, si diventa vecchi, ed io non potrei giurarle che un giorno o l'altro non mi farò cappuccino. Via, lasciamola lì; che non vorrei sbottonarmi troppo. Queste anime che so io, vere anime pulite, dubitano spesso, perchè spesso hanno ragione di affliggersi; ma egli vien sempre un giorno che si fermano in qualche loro concetto, vi s'appigliano, come a sterpi o radici d'albero sull'orlo del precipizio, e non sono più mie, vanno lungi da me, dove vanno tutti coloro che hanno bene amato e bene creduto. A me restano gli altri, imbroglioni d'ogni risma, colpevoli d'aver fatto ritornare la maggior parte dei nati di Adamo nel limbo dei bambini. Scusi, sa; parlo per metafora; ma «se' savio e intendi me' ch'io non ragioni». Dunque, tornando al fatto nostro, non vo' contratti, io; le fo servizio e mi basta il piacere di farglielo. Quando sarà vecchio, via, mi darà un ricordo, la sua fotografia, con due righe di dedica. A questo non ci rinunzio, lo tenga a mente. Fo un albo di duecento ritratti, di persone rispettabili, da Noè fino a noi (fra ugioli e barugioli si può ancora metterle insieme) e godrò di avercela Lei, se prima di quel tempo non mi gira nel manico.

Eh via!diss'egli,per chi mi piglia? Il patto è largo; ma io non sono già uno strozzino. So bene che loro signori dànno l'anima al diavolo per molto meno. Anzi, a dirla schietta, l'offerta ha fatto calar la domanda. Io del resto non vo' farmi altro da quel che sono, e ammetto quel che si deve. Sì, certo, c'è delle anime che le vorrei, anche a doverle cambiare con tutte l'altre che ci ho, e farei patto di non tenermene pur una di mostra. Ah, quelle là, le so dir io che mi fanno gola; perchè quelle là consolerebbero le mie tenebre ed io potrei formare una brigata di persone a modo. Ella vede, signor Commendatore; io non sono poi brutto come mi dipingono e vado anzi girando maledettamente nel tenero. Una donna è andata lì lì che non m'indovinasse; ed è santa Teresa, la quale ha scritto di me: «un disgraziato, che non può amare». Ma già, si diventa vecchi, ed io non potrei giurarle che un giorno o l'altro non mi farò cappuccino. Via, lasciamola lì; che non vorrei sbottonarmi troppo. Queste anime che so io, vere anime pulite, dubitano spesso, perchè spesso hanno ragione di affliggersi; ma egli vien sempre un giorno che si fermano in qualche loro concetto, vi s'appigliano, come a sterpi o radici d'albero sull'orlo del precipizio, e non sono più mie, vanno lungi da me, dove vanno tutti coloro che hanno bene amato e bene creduto. A me restano gli altri, imbroglioni d'ogni risma, colpevoli d'aver fatto ritornare la maggior parte dei nati di Adamo nel limbo dei bambini. Scusi, sa; parlo per metafora; ma «se' savio e intendi me' ch'io non ragioni». Dunque, tornando al fatto nostro, non vo' contratti, io; le fo servizio e mi basta il piacere di farglielo. Quando sarà vecchio, via, mi darà un ricordo, la sua fotografia, con due righe di dedica. A questo non ci rinunzio, lo tenga a mente. Fo un albo di duecento ritratti, di persone rispettabili, da Noè fino a noi (fra ugioli e barugioli si può ancora metterle insieme) e godrò di avercela Lei, se prima di quel tempo non mi gira nel manico.

Grazie infinite;rispose il signor Commendatore inchinandosi; che non gli pareva di poter fare di meno, in risposta a tanta cortesia profumata.

A noi, ora;esclamò il gentiluomo della penna di gallo;è in ordine?

Sì; non ho neppur da far testamento. Da dieci anni è scritto e firmato su tutte le facce.

Ottima precauzione! Ogn'uomo per bene dovrebbe fare il suo, appena giunto ai ventuno, anco a non averci che le sue carabattole di studente da lasciare agli amici. Così almeno s'imparerebbe ad essere uomini assegnati e si piglierebbe la consuetudine salutare di guardar bene addentro nel cuore della gente. Ogni anno, poi, se ne potrebbe fare un altro, e creda a me, si riderebbe molto a vedere le cantonate che si fossero prese l'anno addietro, nel giudicare di questo e di quello.

Così dicendo, il sarcastico personaggio si accostò al tavolino, e, tolto dal vassoio il vaso del tè, ne versò quanto bisognava nella chicchera; indi vi dette un soffio, come per diradarne il fumo e presentò la tazza al signor Commendatore.

Ed orasoggiunse cantarellando,ed or, signore, il cenno mio la invita a libar questo nappo ove fumando sta non più il suo tè la vita!

Il signor Commendatore non potè in quel punto trattenersi dal ridere sotto i baffi, parendogli che nella cadenza il suo Mefistofele avesse una stecca falsa.

C'è un po' di ruggine in gola; che vuole? non sto in esercizio;ripigliò quell'altro, che notava ogni cosa.Orsù, dunque, e beva caldo.

Il nostro gentiluomo prese la chicchera dalle mani dell'ospite e la guardò, rimanendo un poco perplesso. Ed egli non aveva po' poi tutti i torti; che simili casi non occorrono due volte nella vita d'un uomo. Volse quindi un'occhiata in giro; vide là in fondo alla camera il suo letto a sopraccielo, che lo avrebbe aspettato invano colla rimboccatura tirata in giù sulla proda e colla camicia da notte spiegata; pensò alla signora Zita, che avrebbe fatto le meraviglie a non vederlo la mattina vegnente Ma sì, che cosa avrebbe detto e pensato la signora Zita di lui? E come l'avrebbe rimbrodolata quell'altro? Come avrebbe combinato le cose presenti colle future, per modo

Basta; o non era affar suo? e non doveva pensarci lui?

Così il buon Commendatore mise l'animo in pace, e alzata la chicchera, accostò l'orlo alle labbra, e bevve timidamente il primo sorso. Egli temeva diffatti che la bevanda dovesse scottare. Ma appena era tiepida; di guisa che egli in una seconda sorsata mandò giù il rimanente. Per altro, quella volta il suo tè gli seppe d'amaro. Sfido io; senza zucchero!

Fu quello, dopo tutto, un senso fugace del suo palato. Un gran mutamento si operava frattanto in tutto il suo essere. Il sangue scorreva gagliardo nelle arterie; la persona si ergeva snella sul fianco; il viso era fresco e lucente; gli occhi scintillavano; i muscoli tutti brillavano, come fossero molle di acciaio. Intanto, l'ospite suo, la camera, tutti i muti testimoni della sua triste vecchiaia, erano scomparsi. Aveva diciott'anni nè più nè meno. E, scambio della chicchera (dov'era andata la chicchera?), il signor Commendatore si trovò fra le mani un pezzo di carta, coi fregi sui margini e un bollo largo tanto, in cui si diceva che il signor Niccolò Ariberti aveva superato il giorno addietro con lode la prova d'ammissione agli studi legali nella università di Torino.

To'!diss'egli ammirato.Nell'università di Torino, dove per l'appunto ho fatto i miei studi? Non mi dispiace.

Fu questo l'ultimo anello che congiungesse il signor Commendatore alla sua morta vecchiezza. Da quel punto egli non ebbe più memoria di nulla; entrava a gonfie vele nel mare della sua gioventù. Diciott'anni! L'età dell'oro!

CAPITOLO II

Dove si sente la primavera ad autunno inoltrato.

Il sole, quantunque si fosse a mezzo novembre e sotto le Alpi, amiche degl'inverni precoci, non era mai parso così splendido come quel giorno al nostro adolescente. Egli era allegro, felice, beato, e per due buone ragioni.

Cominciamo dalla prima, e dalla più vicina eziandio. Egli non aveva più, per quell'anno, da pensare agli esami.

Intenda la sua beatitudine chiunque, tra' miei più giovani lettori, ne ha ancora parecchi da mandar giù e griderebbe volentieri: transeat a me calix iste, se nulla nulla sperasse di essere esaudito. In verità, gli è un grosso guaio cotesto, di dover rispondere sì o no intorno ad una materia che non si è studiata, e ad uomini che qualche volta ne sanno quanto noi, cioè a dire pochino, pochino. Aggiungete che qualche volta il sì ed il no, anco a indovinarla, non bastano. Ci sono dei professori assetati, i quali hanno fatto il conto colla statistica alla mano, e pensano che, a questi patti, stando neutrali il diavolo e i santi, il cinquanta per cento dei giovani vi rispondono in tono. Ora questo non va bene; pretendono che l'alunno risponda per filo e per segno; che sostenga il suo sì, o il suo no, corredandolo di documenti e di prove.

Questi, s'intende, sono i professori birboni, che si stimano poi, ed ai quali si manderanno volentieri i propri figli, se ne saranno capitati, e se i professori avranno avuta la pazienza di aspettarli; ma che pel momento si mandano a tutti i settecentomila settecento e settantasette diavoli, nel paternostro della bertuccia.

In simili casi, al povero studente (povero perchè della sua scienza non possedeva neanche gli spiccioli) gli bisognava destreggiarsi come un pilota in burrasca, e in mare seminato di scogli. La reticenza, così lodata una volta dal suo maestro fra tutte le figure retoriche, gli sarebbe rinfacciata come una colpa. Ad altro, ad altro gli conviene far capo; altri spedienti, altri artifizi gli occorrono. Figuratevi che egli ha da diventare anche fisonomista, e cogliere tra le grinze del volto, perfino nel modo di tenere gli occhiali, il segreto dei mutevoli umori del suo Radamanto.

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