Dannato Malloppo! - Mario Micolucci 5 стр.


«Dimmi, Hugg: dove andavate tu e il tuo marmocchio con quella corsa? Ero di ritorno al villaggio. Prima, mi ha sorpassato un pistolero a cavallo che sembrava avere molta fretta, poi, quando ero quasi arrivato, vi ho visto schizzare via come se aveste il diavolo alle calcagna: avevate la stessa fretta del tizio e... anche lo stesso cavallo. Ho provato a seguirvi con il mio carretto, ma eravate così lanciati che vi ho persi di vista. Però, ho scommesso sul fatto che vi avrei trovato qui. Cosa gli avete trovato addosso?» Joe Otthims, che si era accomodato accanto a lui, accompagnò la domanda con un sorrisone complice e una gomitata scherzosa. Luomo era enorme e sfoggiava un pancione oltremodo prominente. Era molto più grosso di Badfinger che, comunque, era assai ben piazzato. Il viso butterato e rubicondo era contornato da barba e capelli neri, incolti e schizzati di bianco. La voce rude, poderosa e il gergo colorito stridevano con il suo accento perfettamente inglese.

«Stai zitto, idiota!» gli sibilò laltro guardandosi intorno allarmato.

«Allora, ci ho preso! A quanto ammonta la refurtiva? Cento? Duecento?» Ci provò, ma non era proprio capace di parlare sottovoce. Così, Hugg si limitò a rivolgergli uno sguardo feroce. Qualcuno si voltò verso di loro interessato.

«Cento bigliettoni e un orologio placcato doro che potrà fruttarmi centocinquanta dollari, almeno spero» sussurrò, in modo volutamente udibile, però. Due-trecento verdoni era la refurtiva più ricorrente dei clienti di Aaron: una discreta somma, ma nulla che potesse indurre qualcuno a fare cretinate. Daltra parte, quel posto brulicava di ruba galline che cercavano di ottenere somme simili dai loro miseri bottini. Anche lui non era mai andato oltre i duecento dollari di guadagno. Fino ad allora, sintende.

«Hai cento verdoni in tasca e speri di cavartela con un solo sorso? Perlomeno, mi devi offrire un quarto di gallone di buon whiskey!»

Badfinger scosse la testa, sbuffò e infine fece un cenno al barista che gli consegnò unintera bottiglia di bourbon. L'afferrò con rabbia e la sbatté sul bancone davanti a Joe, poi saldò il conto e se ne andò senza proferir parola. Si era pure dimenticato del sigaro, ma non importava: gli era passata anche la voglia di fumare. Spero che sarà abbastanza ubriaco da scordarsi della faccenda per il tempo necessario a dileguarmi! Anzi, sarebbe molto meglio che gli scoppi il fegato una volta per tutte a quel dannato impiccione! pensò imboccando l'uscita.

«Amico, stai attento a Mansill! Tira, sempre, a fregare sui prezzi!» gli gridò dietro il Gigante. No, non avrebbe dovuto offrirgli da bere, doveva riempirlo di buchi per vedere se zampillasse fuori dellalcool. A stento, si era trattenuto dal farlo, ma i suoi non erano scrupoli: già così come erano andate le cose, buona parte della discrezione era andata a farsi friggere; se lo avesse affrontato, avrebbe attirato lattenzione di tutto il paese.

Joe non si era ancora tracannato un terzo della sua bottiglia, che Donnola fece irruzione nel saloon. Era trafelato e ansimante.

«Ehi, Moccioso, hai sbagliato porta, qui non servono latte!» lo irrise un ceffo suscitando lilarità degli altri avventori e soprattutto quella dei suoi due compari di bevuta. Il solito spaccone: senza ombra di dubbio, si trattava di una mezza calzetta che probabilmente non avrebbe mai avuto il coraggio di darsi tante arie con un suo pari. Il ragazzo ignorò la provocazione e sincamminò verso il bancone.

«Hai sentito cosa ti ho detto, puzzola, o vuoi che te lo spieghi a calci nel sedere?» Lo sbruffone si alzò per sbarrargli la strada.

Per nulla impressionato, Finn fece per passargli accanto. Luomo decise di dargliene di santa ragione e fece per afferrarlo; tuttavia non ci riuscì, poiché si ritrovo con il braccio torto dietro la schiena da una forza incontrastabile. Immediatamente dopo, un calcio ben assestato lo mandò a schiantarsi contro il tavolo da cui veniva. Questa volta, lilarità della sala era rivolta a lui.

«Il ragazzo è un mio paesano. Tu e i tuoi compari continuate i vostri affari e non avrete noie.» Joe gli diede le spalle e, assai mestamente, tornò a sedersi per terminare la sua bevuta.

«Credo che sarai tu ad avere delle noie, scimmione!» Il rumore di tre pistole che venivano armate era inequivocabile. Otthims prese il sigaro lasciato da Hugg, fece un tiro, mise una mano sotto il gilet per grattarsi la pancia e sbuffò contrariato. Poi, con la sua usuale flemma, si girò verso di loro senza neanche alzarsi dallo sgabello: aveva un ordigno pieno di polvere nera in mano. La miccia era accesa e assai corta.

«Innanzitutto, imparate le buone maniere: non ci si siede a tavola con le pistole! Avrete capito che di questa locanda e anche di noi tutti, ovviamente, non rimarrà che il ricordo. Questo, se non buttate le armi entro tre, due, uno» I tre obbedirono e Finn requisì i revolver in un attimo. Nel frattempo, Joe spense lultimo quarto di pollice rimasto dellinnesco.

«Molto bene. Ora, siccome sono impegnato con questa bella signora, gradirei non essere disturbato.» Lisciò il fianco della bottiglia come se fosse quello della bagascia nuda raffigurata nello squallido dipinto in mostra dietro il bancone.

I tre compari disponevano ancora di coltelli a serramanico, mentre il bestione si era disinteressato delle loro pistole, lasciandole nelle mani del moccioso. Così, si guardarono e si intesero: in tre e armati, contro un pachiderma disarmato e di spalle non ci sarebbe stata storia.

Estrassero le lame e si lanciarono verso di lui. Il primo capitombolò a terra a causa dello sgambetto di Finn. Laffondo del secondo fu intercettato da Joe che gli afferrò il polso con un vigore tale che si sentì uno schiocco dossa spezzate: forse, voleva solo fargli perdere la presa sul coltello, ma, evidentemente, non aveva ben dosato la forza. In un lampo, senza lasciare la presa, schiantò la mano stessa delluomo in faccia al terzo che, impressionato dallaccaduto, aveva esitato un attimo nel portare lattacco. Un doppio crack sovrapposto testimoniò che né le ossa della mano del ceffo né quelle della faccia dellaltro avevano retto limmane impatto. Un uomo giaceva esanime in una maschera di sangue, mentre laltro guaiva per le fratture riportate al braccio. Per fortuna, durò poco, poiché, con un pugno in testa tale da abbattere un bisonte, Joe mandò a dormire pure lui. Nel parapiglia, il tipo sgambettato da Donnola cercò di strisciare quatto, quatto per piantare la lama nel polpaccio del bestione; tuttavia il ragazzo lo notò prontamente e gli stampò la punta dello stivale nella tempia mettendolo definitivamente fuori combattimento. Una cosa era certa, i tre non si sarebbero rimessi in piedi a breve. Tutti gli altri clienti, smisero di ridere e, dissimulando disinvoltura, tornarono alle loro cose.

Il barista scosse la testa estenuato, gettò sul bancone il panno con cui stava asciugando i bicchieri e trasse un respiro profondo: in quel dannato posto, non passava una settimana senza una rissa. Otthims notò il suo sconcerto e lo consolò: «Spero di non aver fatto troppi danni. Solamente io ti posso capire: gestivo un saloon un tempo.» Solo che in quello suo, non cerano mai state abbastanza persone per metterne una contro una in una zuffa.

Il Gigante rovistò nei vestiti dei due che aveva steso, ma ne ricavò a stento nove dollari che depositò direttamente sul bancone. «Ben, questi sono per il disturbo. Giovane Badfinger, lui ripuliscilo pure tu.» Indicò il tizio steso dal ragazzo: era lo spaccone che lo aveva schernito. In tasca aveva solo sei dollari; in compenso, con un colpo ben assestato del calcio della pistola, gli carpì un dente doro.

Quando vide loste togliersi il grembiule per sistemare il locale, Joe lo fermò con un gesto della mano accompagnato da un sorriso cordiale. «Stai, stai! Ci penso io a gettare la spazzatura.» Si caricò un uomo sulla spalla ampia come la sella di un palafreno, gli atri due li sollevò, uno per mano, usando la loro camicia come manico. Quindi, li trasportò fuori e li gettò nello spiazzo a raccogliere polvere.

Si riavviò verso il locale per finirsi la bevuta in santa pace, ma si trovò dinanzi Donnola.

«Signor Otthims, Ben mi ha detto che il mio vecchio ha parlato con te e se nè andato poco fa. Sai dove?» Sapeva che il padre si recasse sporadicamente da quelle parti a vendere oggetti, ma non aveva idea di dove andasse con esattezza, inoltre, sperava di appurare quali informazioni il Gigante era riuscito a spillare dal padre.

«E andato da Aaron Mansill a cambiare il bottino.» Il sorriso era quello di chi la sapeva lunga.

Non posso credere che abbia detto del malloppo a questo sempliciotto! Doveva indagare un po meglio.

«Ma questo Aaron può cambiare una refurtiva come quella nostra?»

«Certo, è facile smerciare un buon orologio, anche se dovesse rivenderlo al doppio di quanto l'ha pagato. Ho provato a dirglielo a tuo padre, ma se nè andato senza darmene loccasione! Magari fai ancora in tempo ad avvertirlo: se è veramente placcato doro come dice, non deve scendere sotto i duecento dollari, centocinquanta sono decisamente pochi.»

«Allora devo sbrigarmi! Solo che non so dove si trova il ricettatore.»

«Nessun problema, figliolo. Vai a sinistra fino al maniscalco, imbocca la via a destra, poi procedi per qualche passo e troverai un negozietto malmesso e pieno di cianfrusaglie: non puoi sbagliarti, questo paese è buco. Muoviti, se vuoi fare in tempo.»

«Grazie!» Il ragazzo si lanciò in una corsa a capofitto. Il motivo della sua fretta era ben più importante di cinquanta dollari. Probabilmente, lo Sbirro, Rick, era da quelle parti e doveva avvertire il padre. Infatti, quando stava per giungere ad Agua Dulce, aveva sentito un rumore di zoccoli dietro di lui; fortunatamente, era coperto da una montagnola, così, aveva fatto in tempo a nascondersi dietro un cespuglio. Da lì, lo aveva visto passare: che fosse andato anche lui a concludere affari con Mansill?

Gli orologi esposti nel negozio, nullaltro che cianfrusaglie in un cumulo di cianfrusaglie, tutti quegli orologi da quattro soldi segnavano le sette. Come ogni maledetto giorno, lo avevano tenuto in ostaggio con il loro incedere pressoché immoto. E allo stesso modo di sadici aguzzini, lo avevano torturato con il loro ticchettio tedioso e con la loro metodica flemma. Tuttavia, essi stessi proclamavano la migliore notizia quotidiana: la sua liberazione. Finalmente le sette, lora di chiudere i battenti, sedersi da Ben per ingoiare a forza lo scempio culinario del giorno, lamentarsi con il primo che gli capitasse a tiro degli affari che andavano a rotoli e infine, buttare le stanche membra sulla branda sgangherata della sua squallida stanzetta.

Aaron Mansill non era un plurimilionario, ma abbastanza abbiente per permettersi qualche agio in più, lo era senzaltro. Il fatto era che fosse ossessionato dai ladri, li vedeva ovunque e in chiunque, persino negli uomini che, di volta in volta, ingaggiava per farsi proteggere o per riscuotere quanto gli spettava. Per tale motivo, preferiva scegliere assistenti un po tonti e ligi al limite del ridicolo: le cretinate o le sviste, che potevano commettere, erano controbilanciate dal fatto che non lavrebbero fregato e soprattutto dal fatto che da guardie non si sarebbero trasformati in rapinatori. Faceva di tutto per mostrarsi povero ed effettivamente viveva come tale. Era condannato a condurre un'esistenza da miserabile fino alla morte; tuttavia era quello il prezzo da pagare per diventare sempre più ricco...

Non che gli restasse molto da campare: aveva poco più di sessant'anni, ma decenni di stenti e rinunce lo avevano logorato nel fisico e nello spirito. Così, ne dimostrava venti in più. Era di statura infima, magro, ricurvo e malnutrito: la sua pelle era cadaverica, i suoi arti, deboli e tremanti. Era quasi completamente sdentato, ma non portava protesi: preferiva così, non poteva concepire che si impiegasse dell'oro, il nobile araldo della ricchezza, per dei miseri denti. Aveva serie difficoltà a mangiare? Ancora meglio, avrebbe speso meno danaro in effimere vivande.

Non vi erano dubbi, Aaron era proprio un uomo generoso. Aveva dato tutto se stesso per i soldi: per loro, si era speso senza risparmiarsi, in anima e corpo, e in cambio, non aveva mai chiesto nulla. Li aveva messi al sicuro, li aveva protetti, coltivati, coccolati e, mai e poi mai, li aveva sperperati.

Era necessario che il suo negozio apparisse esattamente come lui: vecchio, ripugnante, inutile e malandato. Quale fuorilegge avrebbe mai potuto bramare di rapinare un posto del genere? E poi, anche se lo avesse fatto, non avrebbe trovato nulla: Danny, così chiamava il suo adorato tesoro, era al sicuro altrove.

Ripose il libro mastro nel cassetto della scrivania tarlata e si sollevò dalla sedia con un gemito. In piedi non era tanto più alto che da seduto. Indossò il piccolo copricapo di stoffa nera e afferrò il bastone da passeggio, praticamente una stampella per lui. Anche questo era malmesso: le sporadiche macchie di vernice rimaste testimoniavano che un tempo fosse laccato, ma ormai non era altro che un asta di legno scorticata con una testa in ottone ossidato.

Era intento a chiudere gli infissi, quando intravvide una grossa sagoma attraverso il vetro lordato da anni di sporco mai lavato. Come sempre, ebbe un brivido. Aaron asseriva di ripudiare luso delle armi, quindi non le usava: la realtà era che non aveva neanche la forza di sollevare una pistola senza tremare, figuriamoci di sparare. Comunque, non ripudiava affatto che altri le utilizzassero al posto suo per le faccende inerenti i suoi affari.

«Ripulite largento, qui?» Entrando, il cliente aveva esordito con la frase che presupponeva la necessità di riciclare merce di dubbia provenienza. La porta era così minuscola che lomone dovette chinarsi e torcersi per entrare.

«E non solo quello. Ah, sei tu, Hugg.» Aveva già lavorato per lui e sempre come ricettatore, purtroppo: il più delle volte si trattava di effetti personali sottratti a chissà chi o piccole refurtive. Una cosa era certa, quelluomo era un vero spilorcio, spaccava il cent: condurre affari con lui era, a dir poco, spiacevole.

Con il riciclaggio Mansill guadagnava abbastanza, ma i veri introiti li faceva con i prestiti. Prestare danaro era come coltivare i fagioli: metti un seme nella terra e se è fertile, ne ottieni un sacchetto pieno. Il suo piccolo contributo finanziario ai desideri del cliente era il seme, il vano ottimismo degli stolti era la terra fertile e gli interessi erano il concime. A prima vista, verrebbe da pensare che Aaron fosse un uomo troppo attaccato ai beni materiali; tuttavia non era così: i tassi dinteresse non sono fisicamente tangibili, sono un concetto astratto, eppure li adorava quasi al pari del denaro stesso. Li rispettava con diligente dedizione, quindi, che male cera, se pretendeva che anche le persone in affari con lui facessero lo stesso?

A dispetto della sua bruttezza esteriore, il commerciante aveva diversi altri pregi interiori. Ad esempio, era un uomo di larghe vedute e assai tollerante. Infatti, pur essendo un convinto astemio, non denigrava coloro che passavano le giornate a ubriacarsi: tuttaltro, li vezzeggiava, li coccolava ed era sempre pronto ad aiutarli. Capitava spesso che per farsi una bevuta, impegnassero effetti personali che valessero almeno dieci volte quanto ricevevano in cambio: limportante era rassicurarli che ce lavrebbero fatta a ripagare un così piccolo debito. Naturalmente, non ci riuscivano, praticamente, mai. Nessun problema, si sarebbe accontentato di quanto lasciato a garanzia. La stessa apertura mentale la dimostrava anche con i giocatori dazzardo: per quel che lo riguardava, non aveva neanche idea di come si giocasse a carte o a dadi, tuttavia era sempre pronto a supportare i praticanti.

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