Svolte Nel Tempo - Guido Pagliarino 5 стр.


A fine cena la comandante, il maggiore ingegner Margherita Ferraris, aveva comunicato senza preamboli agli ufficiali fuori servizio e agli scienziati, tutti seduti con lei attorno alla gran tavolata della sala mensa e riunioni: “Signori, tra poco si torna a casa”: Margherita era una nubile trentasettenne slanciata e sfiorante il metro e ottantacinque, nera di chioma e dal viso pienotto e grazioso: una persona decisa e un ufficiale assolutamente brillante; s’era laureata col massimo dei voti, una dozzina d’anni prima, in Ingegneria Spaziale al Politecnico di Torino e, essendo stata ammessa per concorso, durante l’ultimo biennio, anche all’Accademia Cronoastronautica Europea, collegata a quello e ad altri politecnici del continente, aveva ottenuto il grado di tenente del Corpo assieme alla laurea; entrata in servizio, era stata assegnata dapprima come secondo ufficiale a un vascello cronoastronautico che portava il numero 9, vale a dire il nono in ordine di costruzione, e anni dopo era salita a sub comandante dello stesso sigaro col grado di capitano: s’era fatta un’esperienza completa, in quanto la nave 9 era stata impegnata prima in missioni spaziali e, negli ultimi anni, in viaggi nel passato della Terra; di recente Margherita era stata promossa maggiore e aveva avuto il comando del novissimo vascello 22.

“Sono ansioso di ascoltare il disco sonoro, non appena l’avremo accomodato nel nostro laboratorio a Roma”, aveva detto ai commensali il professor Valerio Faro, direttore presso La Sapienza dell’Istituto di Storia delle Culture e delle Dottrine Economiche e Sociali, uno scapolo quarantenne bruno di capelli alto quasi due metri e di fisico robusto.

“Sì, anch’io ne sono ansiosa”, aveva fatto eco la dottoressa Anna Mancuso, ricercatrice di Storia e collaboratrice del Faro, una siciliana trentenne dai fini lineamenti e occhi grandi verdi, bionda perché lontana discendente d'occupanti normanni della sua isola, bella nonostante la non alta statura d'appena un metro e settantaquattro, contro la media femminile europea di uno e ottanta.

“Io pure ho gran curiosità al riguardo”, era intervenuto l’antropologo professor Jan Kubrich, un quarantacinquenne professore associato dell'Università La Sapienza, biondastro rotondetto alto un metro e ottantacinque, statura media per lo standard maschile del tempo, uomo scientificamente rigoroso, ma appassionato purtroppo della Vodka Lime fino al punto di mettere a repentaglio la propria salute.

Aveva fatto séguito Elio Pratt, quarantenne professore associato d’Astrobiologia a La Sapienza, specializzato in fauna e flora acquatiche, nonché subacqueo eccellente distintosi in gare d’immersione nei mari terrestri: “Io ho già potuto avere molti risultati sulle specie che ho adunato nelle due vasche, ma certamente una volta a Roma potrò di molto approfondire”.

“Seguirò con gran interesse il vostro lavoro e credo che potrò esservi utile nelle traduzioni”, aveva detto da parte sua la matematica e statistica Raimonda Traversi.

Il coordinatore del gruppo astrobiologico dottor Aldo Gorgo non aveva invece parlato: essendo lui il medico militare di bordo e non un docente o ricercatore universitario, semplicemente avrebbe continuato il suo servizio sulla nave, lasciando il prosieguo delle ricerche agli altri studiosi.

Meno di un’ora dopo, tempo terrestre, la nave 22 aveva lasciato l’orbita del pianeta dirigendosi nello spazio profondo per compiere, dalla distanza di sicurezza regolamentare, il balzo cronospaziale verso la Terra: come già all’arrivo prima dell’entrata in orbita, 2A Centauri s’era presentato ai cronoastronauti nella sua interezza, coperto di ghiacci nelle zone artica e antartica, entrambe senza terre sottostanti, e con due continenti, entrambi in area boreale, grandi ciascuno poco meno dell’Australia, divisi da uno stretto braccio di mare, mentre l’altra faccia del globo era coperta interamente da un oceano.

Alle 10 e 22 minuti, ora di Roma, del 10 agosto 2133 la cronoastronave 22 s’era immessa in orbita attorno al nostro mondo. Sulla Terra erano trascorse poco più di diciotto ore da quando, alle 16 e 20 del 9 agosto, la spedizione scientifica s’era imbarcata con destinazione il secondo pianeta della stella Alfa Centauri A: era stato grazie al dispositivo Cronos del sigaro che sulla Terra non era passato neppure un giorno, anche se la spedizione era rimasta a lungo su quel mondo alieno. La fatica che gravava su tutti era però quella dei mesi di lavoro sopportati.

Gli scienziati e la parte d’equipaggio che avrebbe goduto del primo turno di franchigia erano desiderosi di rilassarsi, chi non avendo famiglia in una vacanza tranquilla, chi nella quiete domestica ritrovando i propri cari dopo la lunga separazione. I famigliari, al contrario, non soffrivano mai il senso del distacco, per essi infatti passava ben poco tempo prima del ricongiungimento. Dopo le prime esperienze, i viaggiatori e i loro cari s’erano abituati alle conseguenze di tali anacronismi, fra i quali l’invecchiamento di chi era partito, sia pure non evidentissimo in quanto anche per questo motivo, oltre che per lo stress che comportavano, le missioni non potevano superare il tempo massimo di tre mesi. A differenza di quanto previsto dall’Einstein per i semplici viaggi spaziali a velocità prossima a quella della luce, per cui l’astronauta sarebbe rimasto giovane e gli abitanti della Terra sarebbero invecchiati, le spedizioni con balzi temporali non influivano sull’età del cronoastronauta, egli subiva solo l’azione invecchiante naturale dovuta al trascorrere dei mesi durante i soggiorni su altri pianeti e, per i cronoviaggi, sulla Terra del passato.

Le comunicazioni dal e col nostro pianeta erano rimaste interrotte fin dal balzo della nave 22 verso il pianeta alieno, avvenuto per ragioni di sicurezza, secondo i regolamenti, dalla distanza d’un milione di chilometri dall’orbita lunare: le trasmissioni radio e televisive erano del tutto inutili perché, viaggiandole le onde a una velocità appena tendente a quella lentissima della luce, sarebbero giunte a destino dopo gran tempo: sul pianeta 2A Centauri sarebbero arrivate dalla Terra all’incirca 4,36 anni più tardi,27 quando ormai gli esploratori sarebbero ripartiti da un pezzo. Era sempre così nei viaggi spaziali e, ovviamente, a causa dello sfasamento cronologico, pure in quelli nel tempo: i cronoastronauti restavano del tutto isolati, i soli “collegamenti”, volendo chiamarli così, erano quelli detti “congelati”, si trattava cioè di tutte le informazioni relative alla Terra, dalle storiche più antiche alle recentissime, tratte dagli elaboratori elettronici pubblici del mondo e racchiuse, fino a un momento prima di partire, nelle memorie dei computer di bordo e, per certi dati, pure in quelli individuali dei membri dell'equipaggio e dei ricercatori: anche tali elaboratori personali, nonostante l'estrema piccolezza, erano potentissimi, con capacità di memoria e prestazioni inimmaginabili al tempo dei primi goffi personal del XX secolo e degli stessi PC dei primi decenni 2000.

Non appena entrati in orbita, la comandante Ferraris aveva ordinato d’aprire il contatto con l’astroporto di Roma, nel quale i ricercatori e il personale in franchigia s’accingevano a sbarcare.

Shock!

Anche se la rigorosa disciplina di bordo aveva impedito all’equipaggio d’esprimere emozioni, la situazione era apparsa di colpo oltremodo allarmante: le comunicazioni da terra erano giunte in tedesco! Eppure la lingua universale, da tanto tempo ormai, era l’inglese internazionale, anche se gli altri idiomi, fra cui la lingua di Goethe e di Hitler, non erano defunti e, fra intimi, li si parlava ancora, così come un tempo era stato per i dialetti.

Non appena entrati in orbita, la comandante Ferraris aveva ordinato d’aprire il contatto con l’astroporto di Roma, nel quale i ricercatori e il personale in franchigia s’accingevano a sbarcare.

Shock!

Anche se la rigorosa disciplina di bordo aveva impedito all’equipaggio d’esprimere emozioni, la situazione era apparsa di colpo oltremodo allarmante: le comunicazioni da terra erano giunte in tedesco! Eppure la lingua universale, da tanto tempo ormai, era l’inglese internazionale, anche se gli altri idiomi, fra cui la lingua di Goethe e di Hitler, non erano defunti e, fra intimi, li si parlava ancora, così come un tempo era stato per i dialetti.

Come l’equipaggio e gli studiosi della 22 avrebbero meglio capito di lì a poco, alcunché di storicamente terribile era accaduto e li aspettava giù a terra, qualcosa che stava per sconvolgere le loro attese contente e che già aveva annullato, come se mai ci fosse stata, quella buona vita di cui, per ottant’anni, avevano goduto l’Europa e molti altri Paesi, e alla quale anche il resto della Terra era ormai prossimo grazie a un patto fra tutti gli Stati del mondo, stipulato nel 2120, che aveva portato, sull'esempio di precedenti casi storici zonali,28 a un mercato internazionale interamente senza dogane, considerato da tutti un primo abbozzo di unione politica mondiale: sull’esperienza storica non s’intendeva creare, come seconda fase, una moneta unica senz’aver prima unito il mondo politicamente e costituito, parallelamente, un istituto d’emissione centrale globale dotato di pieni poteri monetari; era stata infatti appresa l’amara lezione dell’Europa dei primi anni 2000 in cui l’euro aveva preceduto l’unione politica con gravi danni per molti Stati aderenti, bisognosi a un certo punto di maggior moneta senza che potesse venir loro in soccorso un autonomo Istituto d’emissione europeo, situazione per la quale l’unione stessa aveva rischiato, per un certo tempo, di sfasciarsi, fino a quando non era prevalsa, alla buon’ora, la ragione ed era sorta la Confederazione29 politica europea con la propria Banca Centrale d’emissione. Peraltro la storia della Terra era stata particolarmente sofferta già dapprima della crisi europea, della sua conclusione e del prospero e pacifico ottantennio che ne era seguìto: nel ’900 il mondo era passato per due guerre mondiali tremende, con decine di milioni di morti, e attraverso diversi conflitti locali, e una volta vinta la belva nazifascista, era transitata drammaticamente per la cosiddetta guerra fredda fra Occidente e Unione Sovietica; poi la Storia era passata, quasi ovunque nel mondo, per la liberatoria morte dell'altra dittatura politica, il comunismo; però, s’era pure scontrata col capitalismo esasperato e il concomitante tracollo della spiritualità. Finalmente, dalla metà del XXI secolo c’era stata la risalita conclusa con la conquista d’una condizione pacifica e prospera nemmeno immaginabile nei secoli precedenti.

Tale condizione benigna era svanita ed era in atto un’Alter Storia. Vigeva egualmente la pace mondiale, ma illiberale, basata, come ignoravano per il momento gl’imbarcati sul sigaro 22, sopra una seconda guerra mondiale alternativa, combattuta con bombe disgregatrici e vinta dalla Germania nazista: si trattava d'una pace che, parafrasando un antico detto latino,30 in realtà era solo un deserto dell’anima, che aveva comportato la scomparsa d'intere etnie, definite razze come quelle dei cani: l’ebraica dapprima, annientata, e poi la nera africana ridotta interamente in schiavitù e messa al lavoro in modo talmente disumano da provocarne la quasi estinzione. Solo i popoli delle cosiddette “razza gialla” e “razza araba” erano stati rispettati, in quanto pseudo studi antropologici avevano dichiarato trattarsi di parallele genti derivate da una divisione evolutiva della stirpe indo-ariana, avvenuta duecentomila anni prima; in realtà i motivi erano stati pratici: da una parte non sarebbe stato quasi certamente possibile, alla relativamente poco numerosa “razza” ariana che aveva conquistato il mondo, sterminare del tutto l’enorme popolazione di pelle gialla; dall’altra, nel ’900 gli arabi erano stati, come i nazisti, strenui avversari degli ebrei, anzi erano stati alleati della Germania nella guerra di spie degli anni ’30, e questo aveva loro guadagnato la magnanimità di Hitler, anche se sarebbe stato assai difficile per gli antropologi nazisti giustificare la discriminazione, avendo gli ebrei e gli arabi la stessa origine semita.

I consumati addetti alle comunicazioni della nave 22, senza scomporsi sebbene, come tutti, con l’animo in tumulto, e senza bisogno di riceverne l’ordine dalla comandante avevano inserito, prima d’esprimere una sola parola, uno dei traduttori automatici di bordo, ch’erano operanti in entrambe le direzioni, e con la scusa che le parole non erano arrivate chiaramente, avevano chiesto suo tramite di ripetere. La comunicazione da Roma era giunta di nuovo, espressa in inglese internazionale attraverso il computer traslatore: si trattava di ordinarie disposizioni di servizio da parte degli addetti al traffico astro portuale. Erano state eseguite dalla cronoastronave alla lettera; ma se la disciplina del personale di bordo, appresa nelle accademie per ufficiali o per sottufficiali del Corpo Astronautico, aveva evitato intoppi e forse guai, i cuori di tutti restavano in burrasca.

La comandante aveva fatto riprendere, dalle videocamere del sigaro 22, immagini ravvicinate della Terra lungo l’orbita su cui il vascello rivoluzionava, evitando di lanciare satelliti esploratori su altre orbite per non insospettire qualcuno a terra, ché il fatto non sarebbe stato conforme alla prassi di rientro.

Dopo aver riflettuto ed essersi consultata col primo ufficiale capitano Marius Blanchin, un parigino trentenne alto un metro e novanta, magro, di pelo rosso e occhi verdi ereditati dalla madre irlandese, Margherita aveva deciso di scendere personalmente all’astroporto per un’ispezione diretta, nell'intento di comprendere un po’ meglio la situazione prima d’assumere altre iniziative. Poiché non conosceva il tedesco, pur avendo un traduttore inserito nel proprio micropersonal aveva chiesto a Valerio Faro d'accompagnarla, dato ch'egli comprendeva e parlava quella lingua fluentemente avendola studiata a fondo, a suo tempo, per la sua tesi di laurea in Storia delle Dottrine Economiche e Sociali incentrata su opere del tedesco Karl Marx, e avendola usata per successive ricerche storiche: Margherita riteneva a ragione che, nel caso fosse stato necessario esprimersi in tedesco faccia a faccia con qualcuno, sarebbe stato opportuno che un buon conoscitore della lingua parlasse direttamente, senza tramiti strumentali, così da ridurre il rischio d’essere scoperti.

Intanto, usando uno dei traduttori automatici di bordo, la comandante aveva chiesto in tedesco a Roma l’autorizzazione a prendere terra con un disco-navetta. Era stata concessa senza difficoltà. In Margherita s'era rafforzata l'idea, che già l’aveva toccata constatando che non erano venuti intoppi da terra, che la loro missione fosse stata tranquillamente a conoscenza del Comando dell’astroporto.

Un certo Paul Ricoeur, soldato del plotone di fanteria d’Astromarina ch’era dislocato sulla nave con compiti di protezione, aveva preso posto sul disco assieme alla comandante, a Valerio Faro e alla sergente pilota Jolanda Castro Rabal. Ciascuno dei quattro aveva con sé un paralizzatore individuale.

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