LAURA MERLIN
MORRIGAN
La vendetta della Dea
Per voi a me cari!
Fisicamente distanti.
Spiritualmente vicini.
âLei è la luce che mi guida
nel mio incerto destino.
Lei mi disse di non aver paura
e di prendere le sue mani.
Lei è morte, lei è vita
Mia Dea, Morrigan!â
(Trobar de Morte â Morrigan)
1
LâINCUBO
Câè qualcuno che mi sta inseguendo.
Attorno a me soltanto enormi distese di erba incolta.
Il vento soffiava talmente forte che lo sentivo pungere sulla pelle. Abbassai lo sguardo. Avevo indosso solo una camicia da notte di seta bianca.
Ero consapevole di star sognando, ma allo stesso tempo sapevo che i miei sogni non avevano mai avuto niente di normale.
Feci qualche passo avanti guardandomi alle spalle.
âSofiaâ, sembrava gridare il vento.
âSofia!â
Mi girai. Un enorme corvo nero stava planando dritto verso la mia testa.
Un brivido mi salì lungo la schiena e mi misi a correre.
Le ali battevano sempre più vicino.
Mi voltai, sperando di non trovare il corvo pronto a buttarsi in picchiata come fossi la sua preda, ma il respiro si bloccò in gola.
Una figura sfocata mi stava osservando immobile. Solo i lunghi capelli rossi come il fuoco e il lungo vestito color porpora erano mossi dal vento.
Chi diavolo era?
Perché mi stava spaventando a morte?
Nel mio sogno, tra lâaltro!
Le gambe cominciarono a cedere, solo che non potevo fermarmi. Non câera nessun nascondiglio nelle vicinanze. Fortunatamente la paura mi dava una scarica di adrenalina tale che avrei potuto correre per chilometri senza sentire dolore.
Dopo un poâ, in lontananza vidi la sagoma di quella che sembrava essere la mia casa.
Sembrava soltanto, in realtà , perché più mi avvicinavo, più notavo che câera qualcosa di diverso.
Non riuscivo a capire cosa.
Il corvo era ormai a poca distanza da me e sentivo il suo gracchiare infuriato proprio sopra la testa. Con stupore notai che quellâuccellaccio parlava.
âFermati, Sofia, non ti farò del maleâ.
Sentii quelle parole così vicine da credere che forse le avevo soltanto immaginate nella mente. Dopotutto, nei sogni anche gli animali possono parlare.
Diedi una sbirciatina veloce alle mie spalle per vedere dove fosse.
Dietro di me il nulla, neanche lo spettro di donna che avevo visto prima. Era rimasto soltanto lâinfuriare del vento nei campi a piegare le spighe.
Riuscii a raggiungere la porta. Spinsi per vedere se era aperta e ringraziai la Dea Fortuna per essersi accorta che esistevo anchâio.
Si aprì senza il minimo sforzo.
Appena misi piede dentro casa fui subito accolta da una sensazione di vuoto. Qualcosa mi diceva che era tutto sbagliato. I pavimenti, solitamente di piastrelle rosa chiaro, erano sporchi e pieni di foglie, i mobili inesistenti. Câera soltanto un pianoforte a coda nero, così lucido e pulito che lâunica cosa che si poteva distinguere senza problemi, oltre ai tasti bianchi, era la marca scritta a caratteri grandi color oro.
Mi avvicinai tentata dal desiderio di suonare, ma i tasti cominciarono a muoversi da soli.
Mi fermai, pietrificata dalla paura.
Per qualche istante non respirai nemmeno, rimasi ad ascoltare in silenzio le note. Una melodia sconosciuta, oscura e ipnotica al tempo stesso, come se il pianista fantasma volesse sottolineare che ero approdata in un vero e proprio incubo.
Mentre la musica usciva misteriosamente, cominciai a intravedere una sagoma di donna seduta davanti alla tastiera dello strumento, tutta concentrata a suonare. Sbattei le palpebre un paio di volte fino a che la figura non mi apparve chiara.
Non ci potevo credere! Era lo spettro che mi stava inseguendo pochi istanti prima.
I suoi lineamenti però erano stranamente familiari. I lunghi capelli rossi e ondulati le ricadevano fin sotto le spalle e indossava anche lei una camicia da notte di seta bianca. Avevo la netta sensazione di conoscerla. Sforzai ogni singolo neurone del mio cervello per capire dove lâavessi già vista.
â¹â¹Chi sei? Perché mi stai seguendo?âºâº, riuscii a chiedere cercando di nascondere il terrore nella mia voce. â¹â¹Che vuoi da me?âºâº.
La ragazza smise di suonare e si mise a ridere come se avessi detto qualcosa di divertente.
Con fare lento si girò verso di me, si alzò in piedi e in un istante mi ritrovai faccia a faccia conâ¦
No, non poteva essere!
Dovevo avere sicuramente la vista annebbiata.
Chiusi gli occhi per un poâ cercando di schiarirmi le idee, ma quando li riaprii mi accorsi che avevo visto giusto.
Stavo scappando da me stessa.
â¹â¹Ciao Sofia, mi riconosci?âºâº disse lâaltra me.
â¹â¹Non riesco a capire. Perché sto parlando con⦠Beh, sì, con una specie di me stessa?âºâº.
â¹â¹Questo è vero, io sono unâaltra metà di te. Ora ho poco tempo per spiegarti e devi ascoltarmi. Sei in pericolo e ti stanno cercando. Sa chi sei e anche lui ha bisogno di teâºâº.
Parlò in maniera talmente veloce che quasi non riuscii a capire cosa mi stesse dicendo.
â¹â¹No, aspettaâºâº. La bloccai sconcertata. â¹â¹Cosa vorresti dire con âanche lui ha bisogno di te?ââºâº.
â¹â¹Tu sei la terza divinità , devi aiutarci a sconfiggere chi ci sta togliendo tutte le libertà âºâº. Il suo tono era disperato. â¹â¹Lui ti sta cercando per ucciderti, perché sa che senza te il potere di Morrigan non può venire alla luceâºâº.
Mi girava la testa, non riuscivo a capire più niente.
Il flusso dei pensieri si bloccò di colpo e decisi che dovevo saperne il più possibile. â¹â¹Cosâè il potere di Morrigan? Non riesco a capire, cosa devo fare? In che modo potrei salvarti?âºâº.
â¹â¹Ci sarà il tempo per spiegare ogni cosa quando ci raggiungeraiâºâº. La sua voce assunse un tono grave. â¹â¹Il tuo tempo sulla terra è ormai finito. Devi unirti a noi, Sofiaâºâº.
Lâaltra me spalancò gli occhi allâimprovviso, come se avesse percepito la presenza di qualcuno che non doveva essere lì. Cominciò ad agitarsi e a guardarsi attorno preoccupata.
â¹â¹Mi hanno scoperta, maledizioneâºâº, imprecò. â¹â¹La Dea ti vuole, il tuo destino è già stato scritto. Non puoi cercare di cambiare il corso degli eventi. Salvaci!âºâº.
Pronunciò queste parole con intensità e violenza tali che sembrarono lame taglienti. Mi colpì nel profondo dellâanima e capii che forse non era solo un semplice brutto sogno: era qualcosa di reale che avrebbe cambiato in maniera drastica la mia vita.
Avrei voluto supplicarla di restare e spiegarmi meglio cosa stava succedendo, ma non appena provai ad aprire bocca per parlare, dietro la ragazza si materializzò una sagoma.
Era una figura annebbiata, potevo vederne solo i contorni sfocati. Lâunica cosa che riuscivo a focalizzare erano i suoi occhi, due intensi occhi neri come la notte che mi paralizzarono lâintero corpo.
Non volevo stare lì un minuto di più, dovevo uscire dal sogno a tutti i costi. Solo che ero bloccata in quella dimensione.
Urlai a squarciagola e lâombra di quella figura sconosciuta si fece sempre più vicina. Una risata profonda mi risuonò nelle orecchie. â¹â¹Sarai mia, Sofia, non puoi sfuggirmiâºâº, tuonò lâombra.
â¹â¹Stai lontano da meâºâº, gridai â¹â¹voglio andarmene da quìâºâº, e allâimprovviso spalancai gli occhi e sobbalzai nel letto.
Ero sudata, la fronte imperlata di sudore. Mi guardai subito attorno. Per fortuna ero nella mia stanza. Chiusi gli occhi e le immagini di quellâincubo mi passarono per la testa, una a una, come il riassunto veloce di un film.
Un gelido alito dâaria mi sfiorò la pelle ancora umida.
Qualcuno mi stava osservando. Avevo la netta sensazione di sentirmi di nuovo quegli occhi neri puntati addosso, ma non riuscivo a vedere nessuno.
Il cuore cominciò a battere a mille.
Sentii dei passi sempre più vicini e iniziai a ripetermi che non poteva essere vero, che il sogno non poteva avverarsi.
Qualcosa saltò nel letto. Soffocai uno strillo con le mani e portai le ginocchia al petto di scatto.
â¹â¹Ade! Mi hai fatto morireâºâº, dissi alla mia palla di pelo color miele. Mi misi a coccolare il mio cane che nel frattempo si era raggomitolato vicino a me.
Decisi di concentrarmi su di lui, accarezzandolo per rilassarmi. Avrei valutato la mattina seguente se preoccuparmi o meno dellâincubo. Nel frattempo avrei dovuto provare a dormire ancora un poâ, però la paura di ritornare in quellâorribile fantasia era troppa.
Di una cosa ero certa: le brutte sensazioni che provavo non mi avrebbero lasciata, anzi, sarei stata pronta a scommettere che sarebbero aumentate col passare del tempo.
2
LA VECCHINA
Ero rimasta sveglia quasi tutta la notte. Il sogno della sera prima mi aveva lasciato addosso una strana sensazione. Avevo come il terrore che tutto ciò potesse essere vero e non solo frutto della mia mente contorta.
Mi alzai e mi sedetti sul bordo del letto. Respirai a fondo tre, quattro volte, finché non riuscii a sentirmi un poâ più tranquilla.
Trascinai i piedi fino allâarmadio, presi un paio di pantaloni corti e neri e la prima canotta che mi venne tra le mani.
Mi guardai allo specchio. Ero pallida, due occhiaie scure indicavano il fatto che avessi riposato molto male e i capelli non erano da meno.
Per la prima volta dimostravo qualche anno in più. Ero abituata a sentirmi dire che sembravo più piccola: mai nessuno mi dava diciotto anni. Dopotutto avevano ragione. Nemmeno io mi sarei data la mia età , ma quella mattina dimostravo davvero i miei anni.
Mi passai una mano sul viso come se con quel gesto avessi potuto cancellare tutti i pensieri.
Poi presi la piastra, i trucchi e cominciai il restauro.
â¹â¹A noi due, sconosciutaâºâº, minacciai il mio riflesso con la spazzola. â¹â¹Vedremo chi avrà la meglioâºâº.
Alla fine vinsi io. I capelli tornarono lisci e li raccolsi in una coda di cavallo, il fondotinta coprì le occhiaie e la matita nera diede un tocco di colore agli occhi stanchi.
In realtà il trucco sarebbe stato inutile dato che dovevo solo andare a fare jogging al parco prima di mettermi a fare qualcosa, ma quella mattina ne sentivo proprio il bisogno.
E sentivo anche il bisogno di leggere i tarocchi.
Era unâabitudine. Ogni volta che avevo un dubbio o unâincertezza prendevo le carte per vedere cosa mi avrebbero consigliato di fare.
In un certo senso mi facevano sentire più tranquilla.
Attraversai la stanza con due enormi falcate, presi il mazzo di carte dal cassetto vicino al letto e mi sedetti a terra a gambe incrociate.
Mi concentrai e mescolai le carte con cura cercando di svuotare la mente. Spezzai il mazzo, lo ricomposi e sospirai.
Poi a mezza voce dissi: â¹â¹Come posso capire il sogno di ieri sera? Che succederà adesso?âºâº.
Era una domanda un poâ assurda da fare: di solito chiedevo come mi dovevo comportare, se dovevo fare una determinata cosa, oppure domandavo dei consigli riguardo a un lavoro o a unâidea. Non volevo e non avrei mai usato i tarocchi per cercare di leggere il futuro. Andava contro la mia convinzione che i veri fautori del proprio destino siamo noi stessi e nessuno può sapere per certo cosa accadrà domani.
Quella mattina, però, la domanda fu spontanea. Tirai fuori tre carte dal mazzo e le poggiai sopra il pavimento, una accanto allâaltra.
Girai la prima come se stessi leggendo un libro, poi la seconda e infine la terza.
Sgranai gli occhi e rimasi a fissarle trattenendo il respiro.
Tre arcani maggiori!
Tre carte di un certo peso poiché sono quelle con più influenza magica.
Il matto, arcano numero zero.
La morte, tredicesimo arcano.
La torre, sedicesimo arcano.
In poche parole significavano un cambiamento inaspettato nella vita, una nuova strada da prendere.
Questo non mi rendeva per niente tranquilla. Raccolsi le carte e notai che mi tremavano leggermente le mani.
Lâultima cosa che avrei voluto in quel momento era un cambiamento drastico nella vita. Mi andava bene così, ordinaria, regolare, senza troppi colpi di scena.
Ne avevo già avuti abbastanza con un ragazzo, Michael.
Eravamo usciti insieme qualche volta. Mi ero affezionata ai suoi occhi color nocciola, simili a quelli di un cerbiatto smarrito, e ai suoi capelli neri e morbidi. Aveva lâaria da ragazzino e insieme ne facevamo di cotte e di crude. Stavo bene con lui, ma dopo qualche tempo mi accorsi che quello che provavo era solo una forte amicizia e niente più.
Decisi così di troncare la storia sperando che prima o poi avrebbe capito la mia decisione.
Mi sbagliavo di grosso!
Lui mi amava ed era quellâamore folle che ti fa fare pazzie. Quello che ti fa credere che per sempre non sia solo unâillusione, ma una cosa reale, possibile.
Però è anche quello che nel momento in cui ti spezza le ali ti ritrovi a precipitare giù, sempre più giù, nel cuore degli inferi.
E fu quello che provò lui.
Lâossessione lo rese cieco e passava da momenti di rabbia in cui mi offendeva e imprecava contro di me a momenti di tranquillità e depressione in cui avrebbe fatto di tutto pur di tornare.
Mi faceva paura! Tanto che, quando uscivo, cercavo di essere sempre in compagnia.
Potrebbe sembrare una reazione esagerata, ma avevo davvero timore delle sue reazioni.
Scrollai le spalle e con uno scatto mi alzai. Scesi le scale di corsa e infilai le mie Converse nere e rosa.