Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96 - Various 5 стр.


Primo pensiero di Emilio fu sempre la famiglia. Quando trovavasi assente da casa, per cause inerenti alla sua professione, vi era però presente in ispirito. Ed era principalmente nei passi difficili che tale pensiero lo tormentava. Quale reazione esercitasse nel suo animo lidea della morte, ne sia prova la calma impassibile del suo sguardo e la lucidità di mente che in quegli istanti possedeva in sommo grado. Non era lo spettro nero, no, che lo turbava, che gli ridonava forza e coraggio; ma bensì il pensare essere Egli il cardine della prosperità della famiglia, lavere i figli giovani, epperciò abbisognanti di un sostegno, di una guida onde incamminarsi nella vita. Egli era padre premuroso e previdente: mercè la sua instancabile attività, procurò alla famiglia una prosperosa agiatezza. Diede ai figli una buona educazione, ma più di tutto suscitò in loro lamore al lavoro.

Emilio Rey non era un uomo da godersi beatamente il meritato riposo colle mani alla cintola. Lui riposava lavorando. Terminata la stagione delle corse, appendeva ad un chiodo la corda e la piccozza, e correva pei campi ad invigilare gli ultimi lavori. Caduta la neve a ricoprir le campagne del suo candido velo, gli rimaneva la pialla per fargli parere meno lunghi i mesi invernali. Secondo Lui lalternarsi di varii lavori costituiva un riposo. Che ne dite, lettori, di questa saggia filosofia?

Emilio Rey abbracciò la professione che lo rese celebre per spontanea vocazione. Egli non apprese ad essere guida cacciando il camoscio o sotto laltrui scorta, ma di propria e volontaria iniziativa.

Fin da giovinotto, ci raccontava in questi anni, nel giungere su una prominenza, su una vetta qualunque, egli si sentiva invaso da un «bien aise» insolito e come purificato da ogni sozzura terrestre in quellambiente aereo e vivificante; e rimaneva lunghe ore estatico ad ammirare le bianche guglie delle montagne circostanti, sulle quali avrebbe bramato volare onde abbracciare un più vasto orizzonte.

Alletà di 22 anni, nel 1868, cominciò il suo tirocinio di guida. Poco notevoli furono le corse compite nei primi tempi della sua carriera, limitandosi a poche vette del suo paese e della valle, ascensioni e passaggi riputati al giorno doggi come volgari, ma in quei tempi ritenuti scabrosi. Denotava, fin dallora, di diventare uneccellente guida.

Nel 1875 accompagnava ling. Angelo Genolini in un tentativo al Dente del Gigante, ripetuto poi due anni dopo con lord Wentworth e lavv. De Filippi. A proposito di questa bizzarra vetta, insensibile alla assidua corte che le faceva un numeroso stuolo di ammiratori, a quanto mi riferiscono altre guide militanti allora, Emilio fiutava la possibilità di domarla, però non escludendo mezzi meccanici.

Fu solamente nel 1876 che il Rey cominciò a distinguersi fra i colleghi per quello che era. Venne impegnato per parecchio tempo da lord Wentworth, col quale salì le Grandes-Jorasses, il Castor, lo Strahlhorn, il Riffelhorn dal ghiacciaio di Gorner, più un tentativo sullAiguille Verte dai châlets di LOgnan. Se non era per lindisposizione di due guide, che si ammalarono quando già trovavansi vicino alla meta, quella sarebbe stata una vittoria del Rey. Egli tenne la testa della carovana per tutto il tempo e si distinse talmente che il Wentworth lo classificò tra gli arrampicatori di primordine.

Lanno successivo guidò lo stesso alpinista in una serie dimportanti imprese, fra cui ascensioni di picchi vergini, quali lAiguille Noire de Pétéret e la Punta Giordano dei Jumeaux. Per vie nuove salì il Gran Paradiso dal ghiacciaio della Tribolazione, e la Grìvola, con una variante, da Valsavaranche. Fu pure allAiguille de Rochefort (seconda ascensione), ai Jumeaux, ed al Cervino, da Zermatt al Breuil, col quale faceva la prima volta conoscenza.

Il valente alpinista inglese scrisse belle pagine sul libretto di Emilio, gentile preludio di altre non meno piene di ammirazione per le sue eccezionali qualità. Lord Wentworth lo dichiarò abilissimo e forte alpinista, possessore di un tatto speciale per orientarsi in mezzo ai frangenti i più difficili.

A proposito di questo intuito delle guide, che istintivamente sanno afferrar subito il lato debole della montagna, propendo che esso consista non già nellistinto naturale del montanaro, ma bensì nellacquisita esperienza e profonda osservazione. Allorchè nel 1886, assieme alla guida François Simond, Emilio accompagnava il sig. H. Dunod alla Meije, non la conoscevano nè gli uni nè gli altri, «mais, sans hésitation, il devina si facilement lissue des passages délicats, quils détinrent pendant longtemps le récord de la vitesse». Partiti dal Châtelleret, compivano lascensione con passaggio della «Brêche» e scendevano a La Grave in sole 16 ore!3

Nel 1878 Emilio veniva a stringere relazione col Monte Rosa guidando alla Punta Dufour il dott. Theodor Petersen, allora presidente del Club Alpino Tedesco-Austriaco.

Dal 18 agosto a metà settembre del 1879, il Rey fu ritenuto da J. Baumann, che assieme al sig. J. O. Maund gli crearono una aureola di notorietà. A partire da questo tempo, tutti i più festeggiati alpinisti andarono a gara per averlo compagno e guida nelle loro escursioni. In quellanno compiva, coi signori J. Baumann, G. Fitz Gerald e F. J. Cullinan, la prima ascensione dellAiguille di Talêfre, e della Dent dHérens per la cresta che dal Tiefenmattenjoch conduce alla sommità. Faceva pure le seconde ascensioni del Grand Dru, e del Cervino per la cresta di Zmutt, pochi giorni dopo il sig. Mummery colla guida Alexander Burgener. Per questa via, doveva pure accompagnare ultimamente a quel colosso S. A. R. il Duca degli Abruzzi, se il tempo non fosse venuto, quandegli era ancor libero, a «gâter le jeu».

Sempre con J. Baumann, nel 1880 tentò lAiguille du Plan dal ghiacciaio di Blaitière. Questa vetta fu poi soggiogata poco dopo, dalla parte opposta compiendovi la seconda ascensione. Nella gita suddetta il Rey aveva compagno Andreas Maurer, col quale era amicissimo e doveva in seguito misurarsi sui picchi più ardui delle Alpi.

Nellanno medesimo, con Georg Gruber esplorava il fianco meridionale del Monte Bianco, scoprendo il Colle du Fresnay (una sella nevosa che unisce lInnominata alla parete rocciosa sostenente limmane cupola del colosso alpino) e riuscendo sulla suprema vetta, direttamente dal ghiacciaio di Fresnay, variando nel percorso la strada tenuta nel 1877 da J. Eccles con Alphonse Payot. Questa ardita esplorazione gli fu di valido aiuto, come vedremo in seguito, nelle due ascensioni alla terribile Aiguille Bianche de Pétéret. Con lo stesso alpinista, nellanno successivo, perveniva sul Monte Bianco dal ghiacciaio della Brenva e pel Corridor (14 luglio) e scopriva un nuovo passaggio nel gruppo del Triolet, il Col du Piolet, così denominato perchè dovettero abbandonare una piccozza alla quale avevano assicurato una corda onde scendere sul versante di Chamonix. La prima di queste escursioni non fu mai più ripetuta, sia perchè è pericolosissima per la caduta di blocchi di ghiaccio, sia anche perchè la cresta per la quale salirono al Colle della Brenva, non è sempre praticabile per il vetrato ricoprente le roccie.

Nel 1881 con J. Baumann, il Rey fece un tentativo arditissimo sullEiger, per la cresta di Mitteleggi. Chi non conosce quella montagna, non può farsi unidea di questo «tour de force» eccezionale, per la quasi assoluta verticalità della parete. A proposito di questa azzardatissima impresa, lalpinista isolano scrisse le seguenti testuali parole sul libretto di Emilio per compensarlo, in certo qual modo, dellinsuccesso, non dovuto già allimperizia della guida, ma allimpraticabilità del sito. «Rey solo e senza essere legato, contornando un masso difficile e sporgente, proseguendo lungo la cresta, riuscì ad arrivare a un punto sino allora inesplorato.» Pochi giorni dopo però, lEiger veniva salito dalla stessa comitiva per la solita via. In quellanno, con Andreas Maurer, Emilio guidò il Baumann ed il Maund, alla prima ascensione del Grosser Lauteraarhorn dal versante occidentale; e più tardi guidò il sig. Moritz von Déchy allAiguille Verte.«Lascension de lAiguille Verte était accomplie aprés une sévère chûte de neige, sous des circostances très difficiles et défavorables. Javais eu loccasion de voir Rey au travail et depuis jai souvent pensé de faire avec lui un voyage lointain, dans une des chaînes de montagnes hors de lEurope».Così si esprime il signor Déchy in una gentilissima epistola direttami a proposito di Rey. E più oltre, pensando sulla misera fine dei suoi due compagni di viaggio, esclama: «Hélas! tous les deux sont maintenant morts, tous les deux tombés sur leur champ de gloire!»Che fatale sorte fu serbata a questi due valorosi militi dellalpinismo! Ha qualche cosa di fatidico, questo destino delle guide, che non vale però a diminuire il loro entusiasmo per la montagna e lintrepidezza con la quale affrontano i pericoli maggiori.

Nella primavera del 1895 parlando con Emilio Rey, gli domandavo perchè oramai non si concedesse riposo, dacchè si era acquistato, con la sua attività, unavviata agiatezza. Con la solita franchezza, Egli mi rispose: «Ce nest pas le gain qui me pousse sur les sommets, cest la grande passion que jai pour la montagne. Jai toujours considéré la récompense comme chose secondaire à ma vie de guide.» Poi soggiunse inspirato da chi sa quali presentimenti: «Je sens, je prévois quun jour ou lautre, on me recueillera dans une crevasse: ce ne sera point le danger qui maura tué, mais un caprice de la montagne. Je lai trop aimée et vaincue pour quelle ne se venge pas sur moi!»Chi allora prevedeva che questi pronostici su sè stesso, si avverassero in pochi mesi? Povero Emilio!

Rey aveva una facoltà tutta sua propria per cattivarsi, a prima vista, delle simpatie. Anche fra i profani in alpinismo contava degli ammiratori e degli amici. In montagna non solo riusciva utile e gradito compagno, ma sapeva prevenire e soddisfare tutti i minimi desideri del viaggiatore, rassicurarlo nei momenti incerti, suscitargli il coraggio e la forza per vincere e lentusiasmo per la vittoria. È per questo infatti che tutti gli alpinisti da lui guidati lo veneravano come un maestro e lo amavano come un amico, è per questo che lo volevano sempre con loro e lo richiedevano di accompagnarli, come dun favore, nelle loro più arrischiate escursioni. Non stupisca dunque se un alpinista come il sig. Déchy, riconoscesse nel Rey, in una sola ascensione fatta con lui, una guida valente ed un gradito compagno per un lunghissimo viaggio quale vagheggiava di fare nel Caucaso.

Emilio Rey compì poi con Carus D. Cunningham un lavoro considerevolissimo. A cominciare dal 1882 sino al 1884 fu ritenuto da quellalpinista quattro mesi allanno. Sono tutte salite di primo ordine, e meritano unaccenno.

Nel 1882 si principiò in giugno nella catena del M. Bianco salendo parecchie vette, fra le quali lAiguille de Talèfre (prima ascensione dal versante italiano per la cresta Est), la Calotte de Rochefort (prima ed unica ascensione). Nel distretto di Zermatt Emilio guidò il Cunningham al Cervino, al Rothhorn, al Grabelhorn, ecc.

La campagna susseguente fu non meno trionfale per il Rey. Oltre il Cunningham accompagnò i signori H. Walker, J. W. Hartley e W. E. Davidson, i quali scrissero due nobilissime pagine sul libretto di Emilio che per lautorità di chi le dettò gli fanno molto onore.

Col primo di questi due ultimi valentissimi «grimpeurs», faceva nellagosto la seconda ascensione delle Aiguilles du Dru. Quella del Petit Dru fu compiuta senza laiuto dei mezzi meccanici adoperati nella prima salita (C. T. Dent e J. W. Hartley con A. Burgerner e K. Maurer: 12 settembre 1878); venne definita da questi due sperimentati alpinisti come la più dura scalata che abbiano fatta. In quattro giorni consecutivi Emilio fece la terza, la quarta, la quinta ascensione del Grand Dru. Questo si chiama possedere una forza di resistenza e un «entraînement» non comuni.

Una di esse, con W. E. Davidson, fu la prima salita compiuta direttamente dal Montanvert, senza che pernottassero al ghiacciaio della Charpoua, come abitualmente si fa. Partiti dallHôtel alle 3,35 del 28 agosto, alle 11 arrivavano sulla vetta e già verso le 17,45 dello stesso giorno erano di ritorno allalbergo. Impiegarono dunque in tutto solamente 14 ore e 10 min., delle quali, diffalcando le fermate, risultano ore 10,55 di assoluta marcia. Si consideri poi anche che non fecero uso di scale, nè di corde fisse, e variarono la solita via. Il sig. Dent raccontando questo «tour de force» unico nel genere, scrisse: «Il sig. W. E. Davidson in una recente ascensione su questa montagna, potè trovare la strada senza laiuto di scale e di corde. In uno spazio di tempo prodigiosamente breve, salì e discese la vetta, sulla quale si fermò delle ore senza fine.»

Sempre nel 1883, Emilio guidò il Cunningham alla prima ascensione della punta più alta dellAiguille du Midi per il versante Nord-Ovest, alla seconda ascensione delle Périades (prima per il versante Est); pure alla seconda del Mont Blanc du Tacul, ma con una variante; infine nellOberland a buon numero di vette. Mi limito ad enumerare solamente le principali, perchè lo spazio tiranno e la minor importanza delle altre mi vietano di troppo dilungarmi in cose di poco interesse.

Il signor Cunningham nutriva una vera affezione per Emilio Rey. Nel gennaio del 1884 lo invitò a passar seco alcune settimane in Inghilterra dove lo fece viaggiare nelle principali città e lo presentò ai soci dellAlpine Club. Ovunque fu festeggiatissimo, e ricevette numerosi segni di viva simpatia e grande ammirazione. Dai servitori del Cunningham, alleditore del Nineteenth Century, col quale passò un «aprés-midi» intellettuale, a Madame Tussaud, tutti avevano per lui una parola di lode. Ed Egli si trovava «à laise partout» e «on remarqua quil se conduisait avec un tact parfait, conservant toujours sa naïve aîsance.»

In quel frattempo Emilio fu col sig. Cunningham al Ben Nevis, la vetta più alta della Grande Brettagna, e sullArthur Seat. Era la prima volta che queste ascensioni venivano compiute da una guida delle Alpi. La stampa scozzese ne tessè, a proposito, una particolareggiata relazione, nella quale vediamo con piacere il nome del Rey far vanto alle guide italiane4.


EMILIO REY


Sempre nel 1884, Emilio in giugno trovasi già, in compagnia del Cunningham, a Grindelwald ad iniziare la campagna alpina che fu fecondissima dimportanti imprese. In quello splendido distretto si ascesero il Mittelhorn, il Mönch, lo Schrekhorn, il Mettenberg, la Jungfrau, ecc Nella catena del Monte Bianco si compì la prima ascensione della Tour Ronde per la cresta Nord-Est, con discesa al Colle dello stesso nome. La stagione terminavasi con la seconda ascensione del Grosser Lauteraarhorn, per la cresta scendente verso lo Schreckhorn.

Dal 1884 in poi il sig. Cunningham, per motivi di salute, non potè più viaggiare sulle montagne, ma con ciò non venne meno in lui la riconoscenza chegli pubblicamente professava al nostro Emilio per gli ingenti servigi resigli.

«In tutte le relazioni chebbe con mescrisse il Cunningham nel suo aureo libro The Pioneers of the Alpsnegli impegni dogni anno, nessuna azione venne mai a diminuire, in minimo grado, lalta stima che ho per lui, o a danneggiare la grande amicizia che esiste tra di noi due».E più oltre: «Ricordandomi delle circostanze sopraggiunte, quando i nostri giorni dalpinismo parevano terminare, mi ricordo quanto lidea del pericolo, che mi sembrava inevitabile, scomparisse alla vista delle braccia robuste, della testa calma e del coraggio inflessibile della mia guida».

Verso la fine di luglio del 1885 il Rey fu impegnato dal sig. H. Seymour King, onde accompagnarlo alla prima salita dellarditissima Aiguille Blanche de Pétéret, alla quale era legato il triste ricordo della catastrofe del prof. E. M. Balfour con la guida Petrus. Partiti da Courmayeur il 30 di quel mese, dopo sforzi inauditi (specialmente nellultimo tratto del ghiacciaio di Fresnay), poterono arrivare verso sera a poco più di 3600 metri, sospesi sullarditissima parete Ovest dellAiguille Blanche, dove pernottarono. Dio sa come passarono la notte a quella straordinaria altezza, quasi librati nel vuoto, legati alle roccie e con 20° sotto zero! La «verve» inesauribile di Emilio aveva sempre lo stesso grado di spiritosità, benchè i denti battessero sonoramente le ventiquattro, ed il vento, colle sue folate da intirizzire le pietre, continuamente li molestasse. Solo lalpinista che ha dormito alla bella stella a 3000 metri sul livello del mare, può considerare quale sforzo morale deve luomo operare su sè stesso, affinchè il fisico non soggiaccia alla forza dellambiente.

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