Nello stesso anno, in principio della stagione, Emilio guidò Walther Schultze alle principali vette del Monte Rosa; e più tardi, aveva linsigne onore di accompagnare S. A. R. il Duca degli Abruzzi, collavv. F. Gonella, al Dente del Gigante e nella traversata del Colle di Talèfre.
In giugno del 1893, il Rey trovasi nelle Alpi Retiche a guidare il sig. A. von Rydzewsky alle prime ascensioni del Pizzo Torrone Occidentale e della Cima di Rosso, entrambi per la parete Nord, del Dente di Sciora, del Colle e della Cima di Castello e del Piz Badile. DallEngadina Emilio riducesi al paese natìo, dove lattendono i signori Wicks, Wilson e George Morse per accompagnarli allAiguille Noire de Pétéret.
In agosto è già in Delfinato con la sua inseparabile alpinista inglese. Là, per il persistente cattivo tempo, devonsi accontentare del Pic Oriental della Meije.
Siamo ora giunti alla più fulgida delle sue vittorie, ad una di quelle imprese che di rado si ripetono e lasciano lungo ricordo dietro di sè. Voglio accennare alla conquista dellAiguille Blanche de Pétéret per la parete Est del M. Bianco direttamente dalla stessa. Questa veramente fu lultima vittoria che il Rey abbia riportato sulle montagne e specialmente sul M. Bianco.
Ma se fu lultima, segnò anche lapogeo della gloria che egli si era acquistata come guida alpina.
Fu il dott. Paul Güssfeldt di Berlino, più volte nominato, che ebbe il vanto di compiere tanta impresa. Oltre che dal Rey, era accompagnato dalla guida svizzera Chr. Klucker e da Cesare Ollier di Courmayeur, allora portatore e che promette di venire allaltezza dei suoi compagni di spedizione. La corsa durò 82 ore, dal 14 al 17 agosto. Partiti alle 4 del giorno 14 da Courmayeur, raggiungevano verso le 18 ½ un sito adatto per passarvi la notte a 3200 m. sulla parete Est dellAiguille Bianche de Pétéret. Lindomani, licenziati i portatori venuti a recar coperte, ricominciarono larrampicata che fu pericolosissima nel primo tratto, quindi solo vertiginosa, sebben non facile. Alle 11 ½ erano sulla vetta dellAiguille ad inalberare il vessillo della vittoria. Ridiscesi al Passo di Pétéret, per creste, talancie ghiacciate e roccie friabili, alle 16 trovavansi ancora 700 metri al di sotto della vetta del Monte Bianco. Non avendo la possibilità di salirlo, stante lora tarda e le probabili difficoltà da incontrare, sbarcarono la nottata ai piedi di una ripida parete rocciosa a 4250 metri. Rey, per tutta la notte, tenne desta la comitiva colle sue canzoni francesi e coi suoi spruzzi di motti spiritosi.
Il 16, partiti per tempo, raggiungevano il M. Bianco e scendevano a pernottare alla capanna dei Rochers Rouges (4500 m.), da dove il giorno dopo, pel Grand Corridor, il Grand Plateau, il Dôme ed il ghiacciaio del Dôme, erano di ritorno a Courmayeur verso le ore 21.
Ho voluto tracciare litinerario, non per dare importanza alla impresa, ma per dimostrare di quale forza di resistenza, di qual straordinaria vigoria danimo e di corpo la comitiva era dotata. E dire che in tutto il tempo che durò, non successe un minimo episodio rattristante.
Güssfeldt scrisse per tutta lode sul libretto di Emilio: «Il fallait un compagne aussi tenace, vigoureux et brave que Rey pour mener cette entreprise a bonne fin.»
Nel settembre del 1893 Emilio Rey fu di nuovo con W. E. Davidson che assieme ai signori M. Holzmann e G. FitzGerald, ascese i Jumeaux, compiendo la seconda ascensione della punta Giordano; traversò le cinque punte dellAiguille des Charmoz dal Nord al Sud, e salì le due vette dellAiguille du Dru.
Nel 1894, Emilio Rey veniva scelto da S. A. R. il Duca degli Abruzzi e dallavv. F. Gonella, quale loro prima guida. A tutti è noto lo splendido risultato di quella campagna. S. A. dimostrò di possedere una fibra robusta ed animo forte, incrollabile. Del Rey, il Principe sentenziò che con lui si può essere sicuri di compiere qualunque ascensione: parole che prendono un rilevante significato dalla Augusta penna che le dettò. Nel settembre dello stesso anno, Emilio eseguiva col Güssfeldt la quarta (credo) ascensione del Cervino per la Cresta di Zmutt.
Meritevole di essere segnalata, è la corsa che il Rey fece nel passato agosto con George H. Morse. Saliti al Monte Bianco dai Grands-Mulets per le Bosses, discendevano pel Corridor al M. Maudit, dal quale al Mont Blanc du Tacul e quivi a Montanvert. Il 23 di quel mese salutava per lultima volta lAiguille du Dru che tante volte soggiogò, e la dimane veniva al Dente del Gigante..... dove trovò la morte.
Qui la penna, che febbrilmente scorreva sulla carta, quando narrava le gesta gloriose del Rey, cade involontariamente di mano. Una stretta al cuore, uno stringimento alla gola, mi strappano le lagrime, che solcando silenziosamente le gote cadono ad inumidire il foglio. È angoscia, strazio, sgomento, sconforto che provo? Non so; certo una fusione di tutti questi sentimenti.
Che il Rey sia perito ai piedi del Dente del Gigante e nel modo tragico che tutti sappiamo, è un pensiero che la ragione non ammette e allanimo ripugna. Lungi da noi lidea di polemicare sulla sua condotta; altri più autorevoli di noi, non gli diedero torto. Perchè viaggiare in due soli e perchè slegarsi quando lapparente pericolo esisteva? Egli non è più per risponderci; ma se ci fosse, son certo che i suoi ragionamenti ci indurrebbero ad approvarlo. Se errore vi è stato in questultima pagina della sua vita, esso non menoma in verun modo la squisita bellezza del suo libro doro. Non è una macchia che alteri la candidezza del foglio, ma uninezia che passa inavvertita. Come si può prevenire i pericoli minimi, quando continuamente si lotta coi grandi?
Emilio Rey ebbe il vanto di accompagnare i più celebrati alpinisti dei Clubs Alpini europei, e questo torna ad onore del Club Italiano e delle sue guide di cui egli rialzò il prestigio. E la nostra Società, memore dei servigi direttamente o indirettamente resile, porrà un perenne ricordo a quello che fu il principe delle sue guide, principe di sangue democraticissimo se si vuole, ma nobile e puro, disinfettato da ogni microbo malefico nellaereo ambiente dove traeva vita.
Egli teneva ad occupare il posto che si era conquistato fra i suoi colleghi; era conscio del proprio valore, ma dal suo animo non trapelava unombra di vanagloria. Era altero sì, ma non presuntuoso; non si diede mai il caso che simpermalisse del successo di altre guide. Il sentimento che egli provava di sè stesso era alterezza, non alterigia, come alcuni invidiosi gli rimproveravano. Daltronde «noblesse oblige»; e «on nest pas un grand homme à bon marché» direbbe lHoussaye.
Egli metteva sempre una distinta separazione tra quelli che tengono il più alto ed il più basso rango nella sua professione.
«Un giorno al Montanvertnarra il Cunninghamassistevamo allarrivo dei «poliglotti», come uningegnosa persona battezzò quella turba composta di quasi tutte le nazioni, che può essere vista ogni giorno compiendo il penoso pellegrinaggio da Chamonix al Montanvert. In essa trovavasi un inglese che si era già provvisto di occhiali verdi, di un velo e di scarpe per la montagna, e che non gli mancava più che una guida per terminare i suoi preparativi. Volgendosi al Rey e indicando dapprima la Mer de Glace e quindi il Chapeau, gli chiese: «Combiang?»«Voilà, Monsieur,»replicò Rey, scoprendosi e indicando con la mano sinistra un gruppo di piuttosto poveri campioni della Société des Guides,«voilà les guides pour la Mer de Glace; moi, je suis pour la Grande Montagne».
Emilio Rey possedeva in sommo grado tutte le qualità che fanno le grandi guide: audacia, sangue freddo, prudenza, robustezza, abnegazione, gentilezza di maniere, tali erano le supreme doti delluomo, del quale intessiamo brevemente la vita. La prima di queste qualità fu certamente il grande amore per lammaliante sirena dei monti, un amore come pochi professano e che egli portava sino allidolatria. Era, si può dire, «lenfant gâté» della montagna: non visse che per essa e morì per la medesima. Lideale della sua vita fu lalpinismo, nel quale navigò in tutti gli orizzonti, in tutte le sue manifestazioni. Ma fu un pilota abile che seppe evitare lo scoglio anche nel più forte della tempesta.
Emilio Rey possedeva in sommo grado tutte le qualità che fanno le grandi guide: audacia, sangue freddo, prudenza, robustezza, abnegazione, gentilezza di maniere, tali erano le supreme doti delluomo, del quale intessiamo brevemente la vita. La prima di queste qualità fu certamente il grande amore per lammaliante sirena dei monti, un amore come pochi professano e che egli portava sino allidolatria. Era, si può dire, «lenfant gâté» della montagna: non visse che per essa e morì per la medesima. Lideale della sua vita fu lalpinismo, nel quale navigò in tutti gli orizzonti, in tutte le sue manifestazioni. Ma fu un pilota abile che seppe evitare lo scoglio anche nel più forte della tempesta.
Il mare, quellinfinita distesa di liquido glauco che vinvita voluttuosamente a tuffarvici e vi procura sensazioni indescrivibili, il mare infido, ad un tratto, quando meno ve laspettate, vi inghiotte e sparite nel caos. Tale è la montagna. Quale è la sorte dei marinai, dei marinai che si sono affacciati impassibili cento volte sulla porta degli abissi? Così quella delle guide; così fu di Emilio Rey, benchè fosse attento e coraggioso timoniere.
Sebbene il suo temperamento e la sua indole avida di novità lo spingessero sempre avanti, sapeva fermarsi quando e dove al coraggio sostituivasi la temerità. Egli non oltrepassò mai i limiti concessi dalla prudenza, e non si potrebbe trovare un accidente toccato ad un suo viaggiatore.
«Avec cela, chercheur toujours en éveil, sans routine dans le choix des routes et des moyens daccés. En soccupant de vaincre lobstacle immediat du terrain, son œil fouillait dejà au loin et sa pensée concevait lassaut prochain. Sobre, ennemi du tabac, dune propreté méticuleuse qui ne se fiait jamais aux porteurs dans les soins de la cuisine et lentretien des refuges, complaisant pour ses camarades, il navait aucune des prétentions ridicules de certains grands guides, dont les épaules se croyent déshonorées par la présence dun sac».Così Miss Richardson, che del Rey poteva darci un adeguato giudizio, lei che lebbe, per molto tempo, a condividere e lamaro e il dolce della rude vita alpina. Gli inglesi, così parchi nelle lodi, per Emilio Rey calpestano la loro naturale ritrosia e freddezza e ce lo dipingono quale era realmente, con un colorito caldo veramente alpino.
Terminando, non posso a meno di riportare uno stralcio di lettera del dott. Paul Güssfeldt, che per lautorevole persona che lha scritta, torna al massimo vanto del nostro Emilio: « Vous savez que jai tenu Rey dans la plus haute estime, quil ma rendu les plus grands services, quil était dun courage, dune adresse, dune connaissance des montagnes sans pareil et quil restait fidèle a son devoir sans crainte de mort».
Al monumento, che auspice la Sezione Torinese del C. A. I. gli alpinisti erigeranno prossimamente a Courmayeur, paese nativo di Emilio Rey, si raccolgano le giovani reclute ad infiammarsi di quellentusiasmo e di quellardimento mai venuti meno alla grande guida, e cerchino di seguirne le orme, sia nellassennata audacia, che nella piacevol arte di aggradire. Esso costituirà un pegno, un mutuo contratto tra le guide e lalpinismo.
Courmayeur, marzo 1896.
Giulio Brocherel (Sezione dAosta).Debbo qui pubblicamente ringraziare distinte persone che col Rey avendo viaggiato erano in grado di pronunziare giudizii e fornire ragguagli sulle loro salite. Al Cunningham per il prezioso dono del suo «The Pioneers of the Alps;» a M. von Déchy, al dott. P. Güssfeldt, a Miss K. Richardson, ecc., lattestazione della mia sentita riconoscenza.
Va pure ricordata lopera prestatami dalla gentilissima signorina Mary Ruffier di Courmayeur, nella ricerca e nellinterpretazione di articoli comparsi su riviste anglo-sassoni. Chessa riceva un grazie di cuore. G. B.
Prime ascensioni compiute da Emilio ReySpedizione scientifica al Monte Rosa
(1894 e 1895).
Indagini sulle acque e sulle nevi delle alte regioni
Per eseguire le indagini che mi accingo ad esporre, la spedizione, composta di me, del dott. Lorenzo Scofone mio assistente, e di Carlo Viziale, inserviente del laboratorio di materia medica dellUniversità di Torino, si era stabilita allalpe detta di Lavez, situata a 2450 m. sul livello del mare, in Val di Gressoney, lungo le pendici erbose digradanti dalla punta del Telcio che si spicca dalla cresta che scende dal Lyskamm a morire nel vallone di Indren, sopra Gressoney la Trinità.
Lalpe è una casetta che si compone di una grande stalla al piano terreno e di due stanze al primo piano; delle quali luna serviva da laboratorio e da cucina, laltra da dormitorio e da laboratorio per i lavori più delicati. La posizione non potrebbe essere migliore per chi vuol attendere a ricerche sulla montagna. I ghiacciai sono accessibili in tre ore; la vetta stessa del Rosa si può comodamente raggiungere in nove o dieci ore. Il luogo dove sorge lalpe è riparato dai venti del nord ed ha un largo orizzonte davanti a sè che permette di godere il sole dal mattino alla sera.
Il proprietario, sig. Monterin Alberto di Gressoney la Trinità, informato dal compianto barone Luigi di Peccoz del nostro progetto di spedizione e della ricerca che facevamo di un luogo ove stabilirci, ci offrì la casa gratuitamente, arredandola dei mobili necessarii; sono lieto di potergli qui rendere pubbliche grazie; ricordo anche con riconoscenza e rammarico il barone Peccoz, il quale pure ci fu largo di aiuti e di preziosi consigli, e certamente avrebbe fatto ancora molto in pro della nostra impresa se avesse vissuto6.
Noi ci proponemmo anzitutto di esaminare le acque della regione, scendendo dalle più alte ottenute dalla fondita delle nevi delle vette, a quelle dei ghiacciai, ed a quelle dei torrenti, dei laghi e delle sorgenti. Il nostro esame si estendeva tanto alla composizione chimica quanto alla morfologica. Nel presente lavoro non si tratta che la parte chimica.
I.
Studio chimico delle acque del Rosa
1º Acque di neve e di ghiaccio
Per raccogliere e conservare le nevi e i ghiacci ho fatto costrurre delle cassette di latta doppie, cioè chiudentisi luna nellaltra. La cassetta interna ha la base di cm. 28,5 × 15 e laltezza (compreso il coperchio) di cm. 21,5: quella esterna, la base di cm. 34,5 × 20,5 e laltezza di cm. 27,5. Nella cassetta interna, rinchiudentesi con un coperchio, si metteva il ghiaccio e la neve da analizzarsi, nello spazio fra le due cassette, si introduceva della neve o del ghiaccio pesto. Per preservare lesterno della cassetta maggiore dai raggi solari la si involgeva poi ancora in una fodera fatta di rozzo feltro spesso.
Questo sistema si dimostrò oltremodo pratico ed utile; la neve esterna durava per parecchie ore, tanto da darci sempre il tempo di scendere al laboratorio. E se si riponevano le cassette entro alla piccola cantina dove si custodiva il latte, e dove grazie ad una corrente dacqua la temperatura non saliva mai oltre i 9°, il ghiaccio esterno poteva durare due giorni, e quello interno anche cinque o sei.
Le dimensioni delle cassette vennero studiate in relazione a quelle della portantina destinata al loro trasporto. Noi ci siamo valsi del modello di Vittorio Sella7, assai leggero e resistente; su una portantina si possono sovrapporre comodamente due cassette doppie, e gettandovi sopra una coperta si trasportano per delle ore al sole senza che vi sia fusione di sorta.