Riproduzione di uno dei due dipinti di Giovanni Battista della Rovere il Fiammenghino rappresentanti lavvolgimento di Gesù in Sindone (laltro è stampato sulla 1a pagina di copertina)
È poi sicuro che il lenzuolo è dello stesso tipo adoperato per avvolgere i cadaveri in Palestina all'epoca di Gesú, anche se era pure nell'uso, in alternativa, bendare la salma all'egiziana, così come sappiamo tra laltro dal Vangelo secondo Giovanni a proposito del cadavere di Lazzaro di Betània11 . Nel caso dellavvolgimento in sindone, la salma veniva posta supina sul lenzuolo, con i piedi all'estremità e il capo verso il centro del Telo (a volte all'incontrario: capo verso l'estremo e piedi verso il centro); l'altra metà del lenzuolo veniva ripiegata sul cadavere, il quale, così, restava compreso entro la sindone, come nel dipinto che precede.
Lenzuolo o bende?
Nel parlare della sepoltura di Gesú, gli evangelisti Matteo, Marco e Luca scrivono che fu posto in sindòn, sindone, o lenzuolo, mentre Giovanni no, nella sua traduzione italiana troviamo bende invece di sindone, per cui cè chi ritiene e afferma, su questa sola base, che la Sindone di Torino è un falso. Dopo aver letto i brani evangelici che ne parlano, vediamo di risolvere questo piccolo "giallo" delle bende: vi ho già dato un indizio.
Un sepolcro antico in Nazareth, con pietra circolare per la chiusura dellaccesso, analogo a quello di Gesù (cosiddetta Tomba del Giusto)
"Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesú. Egli andò da Pilato e chiese il corpo di Gesú. Allora Pilato ordinò che fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesú, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò" (Matteo, 27, 57 - 60).
"Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesú. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro" (Marco, 15, 42 - 46).
"C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del Sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatea, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesú. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato (Luca, 23, 50 - 54).
Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatea, che era discepolo di Gesú, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesú. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesú. Vi andò anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una misturadi mirra e di aloedi circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesú e lo avvolsero inbende12 insieme conoli aromatici,com'è usanza seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque posero Gesú, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino (Giovanni, 19, 38 - 42).
Giovanni ci parla pure del ritrovamento dei lini funerari di Gesú, la mattina della domenica successiva al venerdì della crocifissione, nel sepolcro ormai vuoto ch'era stato di Cristo prima che risorgesse13 :
"Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesú amava14 , e disse loro: 'Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!'. Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche laltro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti" (Giovanni, 20, 1 - 9).15
Dunque bende?! Non sindone?
Ebbene, avevo detto che avevo lasciato un indizio; precisamente, avevo parlato di traduzione. Se si va all'originale greco, si vede che i due apostoli, oltre al "sudario", fazzoletto funebre che era posto sul capo16 , rinvengono othònia, cioè generici tessuti di lino, al plurale, quindi non bende come risulta nella traduzione italiana del 197417 , che non è alla lettera. Poiché othònia significa generici tessuti di lino, la parola può infatti riferirsi di fatto, essendo parola plurale, a un lenzuolo insieme a un fazzoletto-sudario e a bende18 ; ma di certo non significa precisamente bende. Si noti che gli altri tre evangelisti non ci dicono di quale tessuto fosse la Sindone di Gesú: ci pensa Giovanni che scrive il suo Vangelo per ultimo, tra gli anni 80 e 100, a colmare la lacuna:
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario -che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Se avesse voluto parlare espressamente di bende, Giovanni avrebbe usato non othònia ma keirìai come, nel medesimo Evangelo - Giovanni, 11, 44 -, relativamente alla risurrezione di Lazzaro.
Se avesse voluto parlare espressamente di bende, Giovanni avrebbe usato non othònia ma keirìai come, nel medesimo Evangelo - Giovanni, 11, 44 -, relativamente alla risurrezione di Lazzaro.
Cenni parastorici alla Sindone fino al 1356 e il primo vero e proprio documento storico in quellanno
La storia della Sindone dal 1356 in poi (v. parallelamente, infra, la Cronologia) è documentata senza vuoti temporali. Per i secoli precedenti, invece, si tratta soprattutto di tradizione e di ipotesi, oltre che di pochi documenti scritti non decisivi.
Cirillo di Gerusalemme attorno allanno 340 definisce testimoni della Risurrezione la roccia rossa dalle venature bianche del Sepolcro e la Sindone - non dice: bende - che, secondo gli evangelisti sinottici, aveva avvolto Gesù; non informa però se avesse visto personalmente quel telo. Il collegamento con la Sindone di Torino è al riguardo improponibile. Circa duecento anni dopo, siamo verso il 570, un certo Antonino da Piacenza, pellegrino a Gerusalemme, afferma che in questa città si può vedere il sudarium che fu in capo a Gesù, precisando che esso è conservato in un monastero presso il Giordano: a parte il fatto che il pellegrino non parla di unimmagine sovra impressa, anche in questo caso non si può pensare al Telo di Torino, anzi nemmeno a una sindone in generale, trattandosi dun fazzoletto. Non dimentichiamo peraltro quante presunte reliquie circolassero in quei secoli, dai chiodi di Cristo al legno della Croce, dalla lancia di Longino che avrebbe trafitto il costato di Gesù crocifisso a fazzoletti vari con lacrime della Madonna, ad altri resti sacri ancora19 .
Un mandylion, fazzoletto, col volto di Gesù è esposto nel 544 a Edessa, lattuale Şanliurfa o semplicemente Urfa, nel sudest della Turchia. Si è supposto che tale mandylion non fosse altro che la Sindone piegata in strati sovrapposti in modo tale da far apparire solo il Volto o poco di più. La Sindone? In certe figurazioni che rappresentano il mandylion, come le immagini di Spas Neredica vicino a Novgorod in Russia, a Gradac in Serbia, a Laon Aisne in Francia, esso appare come un reliquiario rettangolare a losanghe con centrale un viso con barba e capelli lunghi. Nel 1984 il sindonologo J. P. Jackson aveva evidenziato lesistenza sul Telo di Torino di tracce di smagliature ininterrotte, presenti per tutta la larghezza, corrispondenti a una piegatura in otto zone rettangolari di centimetri 110 x 55 ciascuna: se la Sindone venisse piegata in tal modo, facendo cioè risultare come superiore il rettangolo comprendente il Volto, questo sarebbe quasi al centro del riquadro, un po verso l'alto, mentre apparirebbero sotto di esso il busto e una piccola parte del costato20 . Si consideri che è tuttaltro che inverosimile che a Edessa si fosse voluto presentare solamente la faccia o poco più dellUomo svestito e martoriato, nellipotesi ovviamente che si trattasse della Sindone: per motivi di decenza secondo la mentalità del tempo, per la quale unimmagine rappresentante il corpo, appunto, nudo e torturato di Cristo era considerata del tutto scandalosa; e si osservi, più in generale, che per analoga ragione non si componevano affatto in quei secoli pitture o mosaici rappresentanti Gesù senza vesti, e daltro canto, non esistevano nemmeno raffigurazioni di Gesù crocifisso pur se coperto da perizoma: sarebbero state composte solo secoli dopo.
Una leggenda era sorta anticamente attorno al fazzoletto di Edessa, giunta a noi con alcune varianti:
Il mandylion sarebbe stato composto miracolosamente da Gesù come dono ad Abgar V detto Ukama, il Nero, re di Edessa nel I secolo dal 13 al 50, che gravemente sofferente di lebbra, tramite suoi messaggeri inviati a Gerusalemme in occasione della settimana di Pasqua, aveva invitato il Nazareno alla propria corte sperando di esserne miracolato. Non potendo però recarsi da lui, mancavano pochi giorni alla sua crocifissione, Cristo laveva guarito tramite la visione di quellicona, fatta pervenire al sovrano dai delegati. Secondo unaltra versione, la pittura sarebbe stata realizzata a tempera da un pittore, un certo Anania, inviato espressamente a Gesù dal re. Secondo unaltra leggenda ancora, il dipinto sarebbe stato fatto da Anania ma Gesù, non convinto del risultato, intingendo le dita nei colori avrebbe apportato qualche ritocco rendendo il Volto perfettamente somigliante al suo. In ogni caso, il sovrano era guarito alla vista dellimmagine e si era perciò convertito al Cristianesimo, con lui suo figlio Manu V che, per breve tempo, sarebbe stato re dopo la sua morte; e però il nipote di Abgar, Manu VI, salito al trono nel 57, avrebbe invece ripristinato il paganesimo e perseguitato i cristiani. Ancor oggi nella chiesa genovese di San Bartolomeo degli Armeni si venera unicona dipinta a tempera a base di chiara duovo che sarebbe proprio quella mandata da Gesù a re Abgar. Ovviamente se il mandylion fosse stato un dipinto, esso non avrebbe potuto aver nulla a che vedere con la Sindone. Semmai, nella realtà storica, quella di Genova è unantichissima icona bizantina ispirata dal mandylion e, forse, realizzata a Edessa.
Icona a tempera nella Chiesa di san Bartolomeo degli Armeni in Genova
Secondo tradizioni disparate, greche, arabe e siriache, verso la metà del X secolo limperatore dOriente Romano I Lecapeno desiderava che il mandylion venisse traslato a Costantinopoli. Il Volto del Cristo di Edessa era considerato da tutti acheropito, cioè non fatto da mano umana, e soprattutto per questo era venerato21 .. LAnatolia era da tempo sotto i Turchi che, essendo islamici e dato che per essi Gesù era, ed è, il secondo più importante profeta dopo Maometto, veneravano il mandylion considerandolo protettore della città22 . Volendo avere la stessa tutela, limperatore Romano I aveva mosso guerra ai turchi inviando contro di loro un potente esercito agli ordini del generale Giovanni Kurkuas che, nella primavera dellanno 943, aveva espugnato Edessa. Il generale bizantino aveva chiesto allemiro della città sconfitta la consegna del mandylion, nel frattempo nascosto dagli assediati, e per ottenerla aveva concesso indulgenza agli abitanti, liberato 200 prigionieri e promesso il pagamento di ben dodicimila monete in metallo prezioso (secondo alcune fonti monete dargento, secondo altre addirittura doro). Nonostante le proteste del popolo, lemiro aveva accettato e consegnato la reliquia al generale Kurkuas. Il mandylion era giunto a Costantinopoli il 15 agosto 944, festa della Dormizione di Maria (poi dellAssunzione). Lo stesso mandylion - o Sindone ripiegata? - dopo la consegna ufficiale allimperatore era stato messo nella cappella del Faro annessa al Boukoleon, palazzo di Romano I.
Una miniatura del Codice Skilitzis, manoscritto bizantino realizzato fra il XI e il XIII secolo, attualmente custodito nella Biblioteca Nazionale di Madrid, raffigura la consegna del mandylion allimperatore Romano I Lecapeno, affiancato dal patriarca di Costantinopoli Teofilatto e da dignitari. Come si vede nellimmagine, al centro risalta limmagine di Cristo che, quasi tridimensionalmente, si erge dal telo:
Il 16 agosto 944, giorno successivo allarrivo del mandylion a Costantinopoli, larcidiacono Gregorio della cattedrale di Santa Sofia, referendario incaricato dei rapporti ufficiali tra il patriarca e limperatore, teneva dal pulpito del duomo unomelia sullevento. Nella Biblioteca Vaticana ne è conservato il manoscritto (Cod. Vat. Gr. 511, ff. 143-150v, catalogata De Christi imagine Edessena23 ). Gregorio, dopo aver affermato che intende parlare dellimpronta portata da Edessa nel corrente anno 6452 (secondo la datazione biblica, corrispondente al 944 dopo Cristo), descrive con toni appassionati il mandylion, chegli chiama sindone riferendosi, evidentemente, ai tre Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) i quali, diversamente da quello di Giovanni, usano appunto tale termine; dice Gregorio dellimmagine: Impronta impressa unicamente dai sudori dagonia del volto del Principe della Vita, che sono colati come rivoli di sangue, e dal dito di Dio. Sono stati essi gli ornamenti che hanno colorato la vera impronta del Cristo; e limpronta, dopo che essi sono colati, è stata resa anche più preziosa dalle gocce del suo costato. I due fatti sono pieni dinsegnamenti: qua sangue e acqua, là sudore e immagine. Quale equilibrio delle realtà, poiché esse [originano] da un Solo e Unico [Essere]; ma vi si vede anche la fonte dacqua viva ed essa disseta insegnando che i sudori artefici dellimmagine, la quale fa scorrere il fianco della [comune] natura a ciascuno, [limpronta] hanno prodotto. A mano a mano ci si abitua a qualcosa che non si era mai visto prima e di cui occhio e mente non avevano esperienza. Unimmagine non delineata sui bordi, che sfuma in niente, che se ti avvicini, via, via, impallidisce e scompare, e se ti allontani riappare; un colore estenuato, pallidissimo, che non sapresti definire, che quasi sconfina dalla scala cromatica; due lunghe impronte di un corpo spogliato, di fronte e di schiena, così stranamente e illogicamente accostate; una quantità di segni evidentemente sanguinosi, stampati anchessi sulla pelle di una somma immobilità cadaverica [] prima di sprofondare in quella lunga contemplazione senza parole che è sempre, per chiunque, la prima osservazione della sindone. Per tutti, il primo impatto con la sindone è un lungo guardare in un lungo silenzio.