Non saprei dire quando o perché - così come non saprei dire quando la prima volta senza pensarci si erano presi per mano - arrivò il primo bacio.
Lui l'aveva riaccompagnata a casa al termine di una di quelle innumerevoli serate. Come sempre lasciarsi era difficile, avevano ancora tante cose da dirsi e indugiavano, là sotto agli olivi davanti al cancello di casa sua, dentro quella macchinina che era proprio giusta per loro, come un nido.
La serata era fredda e umida, e i vetri si erano subito appannati.
Posso darti un bacio?, chiese lui a un tratto cambiando argomento.
Il candido viso di lei, in gran parte coperto dalla sua lunghissima sciarpa multicolore, arrossì leggermente. Rispose affermativamente più col sorriso e con gli occhi, che con un cenno del capo e con le parole.
Fu un bacio tutto sommato casto, che lasciò loro in bocca un sapore inatteso e insolito come una pietanza mai assaggiata. Un bacio come milioni di altri che vengono scambiati ogni giorno su questa terra, si potrebbe dire; una normale tappa della crescita, come la nascita del primo dentino. Ma per loro fu qualcosa di molto di più: fu il primo bacio della loro vita. E, ciascuno lo sapeva, era il primo sia per l'uno che per l'altra.
Ce ne hai messo di tempo. Mi chiedevo quanto ancora o cosa avevi intenzione di aspettare, prima di baciarmi.
Lei sorrideva. Appena rientrata avrebbe raccontato tutto alla sorella, e magari alla mamma. Aveva atteso quel bacio più che altro con tanta curiosità, per tanti che ne aveva visti in televisione, per sapere quello che avrebbe provato. Una curiosità pericolosa, pensò lui quando lo venne a sapere: perché in seguito lo venne a sapere, tra di loro non c'erano segreti. La stessa curiosità infantile che aveva su tante altre cose viste in televisione, riguado all'amore tra l'uomo e la donna e la nascita dei bimbi.
Rimasero ancora un po' insieme in macchina, in silenzio, mano nella mano. Pensosi, sorridenti, guardandosi negli occhi sognanti. Poi lei, col dito del suo guanto, disegnò sul vetro appannato davanti a sé un grande cuore, e dentro le loro iniziali, S ed M.
Marco pensava a tutt'altro qualche sera dopo, accompagnando sua madre da qualche parte, non ricordo bene dove. La macchina era la stessa, quella pensata e comprata per Sara; per la sua principessa si trasformava in carrozza, ma normalmente era una normale utilitaria.
Il tempo e le faccende della settimana avevano momentaneamente relegato il ricordo di qualche sera prima nella cassaforte dei fatti indimenticabili e più preziosi della sua vita.
E questo cos'è?, se ne uscì a un tratto la mamma che fino a un attimo prima aveva parlato di tutt'altro, di vestiti eleganti e di occasioni importanti.
Cosa?, chiese Marco che, guardando da quella parte verso la strada, non aveva notato nulla di particolare.
Questo. S ed M, dentro a un cuore.
Era più che evidente a tutti e due che cosa fosse.
Lui rimase sbalordito. Sul vetro non vedeva e non aveva visto niente da quella sera, ma sua mamma non era un'indovina. Aveva scassinato la cassaforte segreta dei suoi ricordi più belli, anzi lui si era dimenticato di chiuderla, e ora si sentiva come se fosse stato derubato. Perché, a differenza di Sara, era troppo geloso di quel ricordo, e non avrebbe voluto dividerlo con nessuno, neanche con la mamma.
S sta per Sara, spiegò ciò che era più che ovvio.
Fermandosi al primo semaforo rosso, si spostò verso il punto di vista di sua madre. In effetti, da una certa angolazione e con una certa luce, il cuore e le iniziali si vedevano ancora.
Adesso lo cancello, pensò. O forse no. E' bellissimo, è meraviglioso, e forse sarebbe giusto che tutti lo vedano.
La macchina sarebbe stata lavata, poi venduta e rottamata. Le vicende della vita, alcune molto tristi, avrebbero separato per sempre i destini di quei due innamorati. Altri amori; magari anche figli. Ma quel cuore con le loro iniziali, indelebile (così come il loro primo bacio, e tutto ciò che la memoria avrebbe salvato di una interminabile serie di bei ricordi vissuti insieme), non sarebbe stato mai più cancellato, per tutta la loro vita.
[1] Chiedo scusa a Grazia Deledda, di cui il finale di Anime Oneste ho involontariamente riprodotto (non copiato, avendolo scoperto dopo): E fu così che le loro anime oneste si unirono per sempre.
[2] Sara vuol dire "Principessa"
LE CARTOLINE DI CLARA
Ritenevo il mio amico una persona a posto, diciamo quasi normale. Uno comunque con cui poter trascorrere piacevolmente una piccola vacanza di relax e spensieratezza. Anche lui single, passione per il tennis ed il mangiar bene e altri interessi simili ai miei: devo dire che la vacanza era riuscita bene.
Curiosando tra le cartoline che stava per spedire - poche, così come le mie - ho scoperto inaspettatamente che oltre a quella per la sua mamma, che mi aveva fatto firmare, ce nera unaltra strana di cui non mi aveva detto niente. La mandava a casa sua ma ad una ragazza, ed in essa si era firmato con un altro nome. Da lui, neo-ingegnere, mi sarei aspettato qualche stranezza magari di tipo tecnologico: non avevo considerato che anche questa categoria di persone, come noi mortali, ha un cuore e può andare in tilt per piccoli problemi sentimentali.
Lì per lì non gli ho detto nulla per non fargli scoprire quanto mi fossi impicciato degli affari suoi: ma durante il viaggio di ritorno, rilassati e di buon umore, non sono riuscito a frenare la mia curiosità e ho cercato una conferma alle mie ipotesi.
Dimmi un poco, ma tu sei fidanzato, o convivi?
Nessuna delle due, mi ha risposto.
Allora abiti con una sorella?
Ma che ti salta in mente?
Sai, ho visto la cartolina che ti sei mandato al tuo indirizzo. Pensavo che lavesse mandata per gelosia, o per scoprire qualche tresca, di cui gli mancava una prova certa, da parte della sua ragazza o forse di sua sorella. Da come si era messo a ridere ho capito di essere molto fuori strada. Allora con molta tranquillità ha iniziato a raccontarmi la storia delle cartoline di Clara.
Sai, quando ho comprato la casa vicino a Tivoli ne ero molto soddisfatto. Una villa, per meglio dire. Un po fuori mano, anche se qualche volta al giorno, a orari fissi, servita da un piccolo vecchio autobus di linea. Non poteva essere che piccolo, per potersi disimpegnare in quella tortuosa stradina di campagna, e visto che i passeggeri erano sempre così pochi.
Tra tante belle ville immerse nella natura, soprattutto tra gli olivi, la mia si distingueva per un qualcosa di indefinibile che la rendeva di gran lunga la più desiderabile. Forse la sua posizione dominante, da cui si spaziava con lo sguardo per tutta la piccola valle; o forse la maestosità e floridezza del vialetto dingresso. A maggio era più bello che mai, pieno di fiori colorati che in altri mesi non sospetti nemmeno. Vedendo quella fioritura mi ero ripromesso di curarli e starci dietro: e lho fatto con piacere, distogliendo dal tennis un po del mio tempo libero.
Il postino passava una volta a settimana, in genere il sabato mattina. Una qualche volta avrei voluto chiedergli uninformazione, ma evidentemente era sempre troppo presto per me. Certo che il mio non era un proposito molto fermo, sia perché si trattava comunque di una faccenda di secondaria importanza, sia perché nei fine settimana avevo sempre avuto labitudine di poltrire liberamente. E questa mia inclinazione, favorita dallaria fine e dallallegro cinguettare degli uccelli, si era ulteriormente accentuata da quando abitavo in quella villa.
Il postino passava una volta a settimana, in genere il sabato mattina. Una qualche volta avrei voluto chiedergli uninformazione, ma evidentemente era sempre troppo presto per me. Certo che il mio non era un proposito molto fermo, sia perché si trattava comunque di una faccenda di secondaria importanza, sia perché nei fine settimana avevo sempre avuto labitudine di poltrire liberamente. E questa mia inclinazione, favorita dallaria fine e dallallegro cinguettare degli uccelli, si era ulteriormente accentuata da quando abitavo in quella villa.
Volevo chiedergli di una cartolina che mi era arrivata, destinata ad una persona che chiaramente non ero né io né, per quanto mi pareva di ricordare, nessuno della famiglia che prima abitava lì. Ma daltronde cosa poteva saperne il postino? (Se anche si impicciasse della posta che consegna non lo verrebbe certo a dire a me). Avrei dovuto chiederlo allex proprietario. Ma già una volta, incontrandolo, mi l'ero lasciata sfuggire l'opportunità di parlagliene. Quando però di cartolina ne arrivò unaltra, sempre al mio indirizzo e per la stessa persona, ho pensato che valesse la pena fargli una telefonata.
Mi scusi se la disturbo, dottor Beltrami: ma il nome di Clara Bagnucci, a lei, dice qualcosa?
Clara Bagnucci? Ah, si, ha ragione: avrei dovuto avvertirla. Immagino che abbia ricevuto qualche cartolina per lei da parte di Aristide.
Infatti. Lei sa di chi si tratta?
Si, certamente. I Bagnucci abitavano in quella casa prima di me: anzi, penso che siano stati loro a farla costruire. Gran brave persone, in verità, anche se un po sfortunate. Ma dopo che i due figli maggiori si sono sposati la casa è diventata troppo grande per loro, e poi troppo fuori mano visto che ormai non guidavano più. Così si sono trasferiti in paese. Se vuole posso darle lindirizzo, non le sarà difficile trovarli: li conoscono tutti. Forse ho anche il numero di telefono.
Lidea di fare da postino supplementare per questa Clara non mi attirava affatto. Avrei potuto farlo fare a qualche ragazzetto dietro compenso, ma non certo a mie spese. E poi mi irritava il fatto che in tanti anni - perché di anni si trattava - nessuno si era preso la briga di comunicare a quel tal Aristide la variazione di indirizzo. Doveva trattarsi di un caso di palese imbecillità da parte di qualcuno, se non di tutti. Eppure mi pareva strano che neppure il dottor Beltrami, apparentemente una persona molto in gamba, fosse riuscito a cambiare questo stato di cose. Forse cera dietro una storia ben più complessa e interessante, ma non riuscii a farmi spiegare molto di più dal mio interlocutore.
Non ho idea di dove abiti questo Aristide. Mi pare che le sue cartoline provenissero sempre dai luoghi più disparati, da tutto il mondo. Potrebbe essere stato un ex fidanzato, ma forse invece un cugino o anche solo un amico di penna. Sempre saluti affettuosi, niente di più: sa, me le leggevano quando gliele portavo. Veramente non saprei proprio dirle altro.
Così telefonai ai Bagnucci.
Pronto?
Buongiorno, cercavo la signora Bagnucci.
Si, sono io: chi parla?, mi rispose una voce con uno spiccato accento veneto.
Cercavo Clara, Clara Bagnucci: ho fatto il numero giusto?
Sì, Clara è mia figlia. Dica pure a me.
E per via di alcune cartoline che arrivano ancora a casa mia, o meglio, quella che da qualche mese è diventata casa mia.
Ah, capisco. Il dottor Beltrami mi aveva accennato alla possibilità di trasferirsi. Peccato: una persona tanto cara e premurosa. E sempre un piacere quando viene a trovarci. A pensarci bene, in effetti, è già da un po che non passa. Comunque per le cartoline, se per lei non è troppo disturbo mettercele da parte, quando poi passa uno dei miei figli facciamo un salto a prenderle. Sa, alla mia Clara fanno così piacere, che lei davvero non si immagina.
Va bene, signora, non si preoccupi. Quando volete. Magari mi date un colpo di telefono prima, per non fare il viaggio a vuoto. Al limite posso anche passare io da lei, qualche volta che già mi trovo ad essere in paese.
Grazie, grazie mille, ma non voglio che si disturbi troppo per noi, per due cartoline, signor a proposito, come ha detto che si chiama?
Finii per andare io da loro. Suonai alla porta. A dire il vero non ottenni una risposta molto sollecita: forse avevo disturbato qualche pennichella.
Chi è?
Riconobbi laccento veneto della signora Bagnucci.
Sono venuto per le cartoline. Si ricorda? Le ho telefonato un paio di giorni fa.
Seguì un lungo armeggiare di chiavi e serrature, poi la signora, in abiti casalinghi, mi aprì e mi invitò ad entrare.
Prego, venga, si accomodi pure.
Non cè bisogno che si disturbi, signora, anche perché non ho molto tempo e ho parcheggiato la macchina Non mi stava affatto ascoltando, da come iniziò a chiamare sua figlia.
Clara! Clara! Vieni che ci sono delle cartoline per te!, chiamò a un discreto volume annientando così le mie timide scuse. Tra laltro non avevo nessun vero impegno per il pomeriggio, e per non lasciarmi trattenere avrei dovuto inventarmene uno.
Venga, si accomodi in salotto. Stavo giusto per preparare del tè. O preferisce qualcosaltro?
Mentre riordinavo le idee per organizzare una fuga rapida e decorosa, sentivo in arrivo dallaltra stanza dei rumori affrettati e indefinibili.
Fai piano, Clara, attenta a non farti male. Poi rivolgendosi a me: Lei non ha idea di come scendeva le scale, quando abitavamo in villa. Anche per questo labbiamo venduta: ci mancava anche di cadere dalle scale, oltre a tutti i guai che già avevamo. Per il resto la villa è un vero paradiso, non trova?
Quando il trambusto si placò, la ragazza era apparsa allingresso affannata. Portava occhiali da sole scuri, ed accarezzava un grosso cane altrettanto scuro che le scodinzolava festoso tra le gambe.
Andiamo a sederci in salotto, disse la signora. Il cane, dopo qualche annusatina esplorativa, sembrava trovarmi interessante.
Sente lodore di Rintintin. A proposito, dottore, come sta il suo cane? Clara aveva una voce squillante, da bambina, in contrasto con il suo incedere malfermo e quasi barcollante.
Se ti fossi tolta gli occhiali ti saresti già accorta che non è il dottor Beltrami. La ragazza, dopo quella ramanzina in veneto, si tolse gli occhiali malvolentieri e mi fissò.
Anchio la fissai a lungo, incantato. Non ricordo di aver mai visto degli occhi così belli. Sfumature di verde e marrone che li facevano somigliare a piccole stelle. Due preziose finestrelle colorate da cui si intravedeva un lago di purezza e di ingenuità fanciullesca: la sua anima semplice traboccava bellezza dallo sguardo, dalla voce e dal sorriso.