Dopo il meritato ritiro, Rospo tornò nella comunità che lo aveva visto crescere, con un'immensa angoscia sulle spalle e trafitto da un'infinita tristezza. Ciò nonostante, voleva essere gentile con la vita e provò a darsi una seconda possibilità. Cercò di contattare i suoi vecchi amici, quei ragazzi che lo invitavano a giocare con la palla e gli riservavano un trattamento caloroso; ma quei ragazzi di una volta, polverosi pretendenti atleti senza scarpe, erano spariti. Al loro posto c'erano gentiluomini semi-imborghesiti, istruiti in scuole private, annoiati e ingelatinati aspiranti cassieri di banca, dirigenti d'azienda o comuni burocrati, che ora non avrebbero voluto avvicinarsi a qualcuno come Rospo se non per malsana curiosità. Andò alla ricerca di quelle vergini che un tempo spasimavano per lui, ma ormai erano tutte sposate, la maggior parte di loro con cassieri di banca, dirigenti d'azienda o comuni burocrati. Provò a visitare i vecchi stagni, quelli che gli avevano insegnato l'armonia e la tranquillità, ma trovò solo sterilità e delusione. Deciso a lasciarsi trasportare sulla via dell'abbandono, tornò nell'ambiente umido della sua tana. Entrando, scorse uno sguardo giovane e inquieto che lo seguiva da una finestra vicina. Notò la bellezza della fanciulla che lo guardava, esile e innamorata. I suoi lineamenti erano stati modellati con una bellezza insolita, scolpita per piacere e affascinare, per ispirare poesie nei Rospo malinconici. I suoi lunghi capelli neri potevano solo significare il mantenersi caste delle damigelle che attendono l'amore. Rospo capì che la vita lo stava ricompensando. Nei giorni che seguirono, con l'abilità clandestina dei più tenaci anuri, Rospo si mise in contatto con la bella ragazza. Si innamorarono come possono innamorarsi solo gli amanti furtivi. Una notte di luna (Rospo amava le notti di luna), si diedero appuntamento nella palude del silenzio. La fanciulla si avvicinò a Rospo e, tremando, si dilettò della pelle secca, ruvida e verrucosa, e del suo indelebile odore di umidità. Quella fu l'unica volta che fecero l'amore.
All'alba, notando il vuoto delle stanze della fanciulla e l'assenza della bella signorina, il padre della virtuosa, uomo severo e prepotente come nessun altro, con dolore e lacrime agli occhi, punì la ragazza e la portò via dal villaggio. Rospo non la rivide mai più.
Nei mesi successivi, consumato da una disperazione febbrile, Rospo si recò in una miriade di villaggi alla ricerca della sua amata. Vi furono donne (dalle vergini di casa più pudiche alle volgari prostitute) che, pazze di passione per quell'aura di rarità e stravaganza che Rospo emanava a ogni salto, si offrirono di alleviare le sue pene, ma il cuore di Rospo si rifiutò di macchiare il ricordo della sua amata.
Questa è la storia di Rospo. Io l'ho amato come si possono amare solo le gocce di rugiada che cadono nelle albe serene. Alcuni asseriscono che il mio Rospo sia morto rugoso, arido, disidratato in un pomeriggio di forte sole, afflitto per un amore incompiuto. Altri affermano che sia entrato nella sua piccola grotta e che dal giorno del suo ritorno non abbia più assaggiato insetto alcuno. Una minoranza sostiene che si sia fuso con la palude del silenzio. Ciò che tutti mi assicurarono era che morì recitando un'ultima poesia in cui invocava l'amore di una fanciulla. Voglio credere che fossi io quella musa delle poesie di Rospo. Ogni notte vado nelle paludi, mi piace sporgermi e sentire l'odore fetido e bello delle loro ninfee, e lasciarmi trasportare dalla mia convinzione personale che in realtà Rospo è tutto quel coro di ballate ipnotiche che gli anuri intonano nei chiari di luna al risplendere delle stelle; chiarore che fa risaltare lo splendore di centinaia di occhi come se fossero stelle luminose che mi angosciano e allo stesso tempo mi illuminano.