Sotto La Luna Del Satiro - Rebekah Lewis 2 стр.


Dopo essersi tolto la borsa e averla messa al sicuro, insieme ai suoi effetti personali, nel piccolo sacchetto appeso alla sella, Ariston controllò di nuovo che la siringa fosse avvolta con cura nei vestiti di ricambio. Il flauto, creato da Pan unendo le canne palustri che avevano fatto da tomba alla ninfa Siringa, si era dimostrato troppo potente per poter rimanere nello stesso luogo troppo a lungo. Pan temeva che lui stesso sarebbe stato tentato di abusare della magia in esso contenuta. Parole importanti, dette dallunico dio dellOlimpo praticamente privo di brama di potere.

Quando Xanto gli aveva affidato lo strumento, qualche giorno prima, Ariston si era offerto di lasciare la Grecia. Se ne sarebbe andato in ogni caso, ma la siringa gli forniva una scusa. Come Pan, Ariston non aveva alcun desiderio di usarla. Quando la magia diventava necessaria, utilizzava il flauto che il dio aveva creato in un secondo momento, sul modello della siringa. Prima o poi, avrebbe dovuto rintracciare un altro arcadico, per evitare che la posizione dello strumento venisse scoperta. Finché la siringa fosse passata da una mano allaltra, infatti, localizzarla avrebbe rappresentato una sfida per chiunque ci avesse provato. Con il tempo sarebbe stata dimenticata, trasformandosi in una leggenda, e nessuno lavrebbe più cercata. Fino ad allora, però, Ariston si sarebbe potuto lasciare alle spalle gli altri satiri e scacciarli dalla sua mente.

Slegò il cavallo, il cui morbido pelo marrone era reso nero come linchiostro dalla pioggia, e iniziò a camminargli al fianco. Ariston poteva cavalcare come qualsiasi uomo. Tuttavia, riusciva sempre a percepire la presenza fantasma degli zoccoli, sebbene fossero invisibili. Quando muoveva le dita dei piedi, a muoversi era solo lillusione. Il suo zoccolo non era altro che un pesante e tozzo, beh zoccolo. In ogni caso, camminare gli faceva bene. Gli consentiva di rimanere concentrato sul presente, invece che pensare al passato.

Mentre conduceva il cavallo verso la foresta, un ramo si spezzò da qualche parte in lontananza. Ariston esitò, cercando segnali di pericolo tra gli alberi e lungo il pendio della catena montuosa. Al suo fianco, il cavallo nitrì piano e agitò il muso, ma non sembrava preoccupato. Ariston sentiva la morsa pungente del vento sulla pelle bagnata, mentre laria si faceva sempre più fredda man mano che si avvicinava la notte. Doveva passare per i boschi, per evitare di essere visto sulle strade principali. Il fatto che i Greci credessero alle loro leggende non significava che avrebbero gradito lincontro con le creature che popolavano le storie della buonanotte. Né desiderava essere preso in giro o aggredito per il suo aspetto nella terra che un tempo aveva chiamato casa. Il ricordo di quel posto non aveva bisogno di essere infangato ulteriormente.

Non volendo prolungare linevitabile, Ariston condusse il cavallo allinterno del bosco. Avrebbe acceso un fuoco per scaldare entrambi, se solo fosse riuscito a trovare un pezzo di legno abbastanza asciutto da bruciare. Con la coda dellocchio, vide un movimento e sentì una voce femminile canticchiare, così sommessamente che fu quasi certo di averla immaginata.

Legando di nuovo il cavallo a un albero, Ariston ispezionò lambiente circostante, fingendo di cercare un riparo dalle intemperie per la notte. Ecco. Ancora quel canto, alla sua sinistra. Alzò la testa e strizzò gli occhi contro le gocce di pioggia, ma non vide nessuno. Poi capì.

Ninfe. Almeno una, in ogni caso. O era perfettamente consapevole di cose fosse o stava semplicemente giocando con quello che credeva essere un mortale, dal momento che il sole non era ancora tramontato abbastanza da far svanire il suo aspetto umano, facendolo apparire nuovamente come un satiro. Le ninfe erano note per cacciare gli umani, un po come i satiri, ed erano solite prendersi il loro piacere ovunque riuscissero a farlo. Secondo la leggenda, se un uomo fosse riuscito a catturare una ninfa, avrebbe potuto prenderla in sposa. Sarebbe stata solo sua fino alla Luna del Satiro successiva.

Ariston si derise silenziosamente. Sapeva per esperienza che quelle storie erano spesso una combinazione di verità e immaginazione. Le ninfe seducevano gli uomini che trovavano desiderabili, ma raramente instauravano una relazione con gli umani, eccetto in rare occasioni. Era quasi impossibile scovare una ninfa, perché erano loro a scegliere i partner sessuali e apparentemente erano in grado di scomparire nel nulla, diventando un tuttuno con la terra o con lacqua, se minacciate. Costringerne una a diventare una sposa ridicolo. Ariston non era stato in grado di localizzarne nemmeno una dalla notte della maledizione. Certo, aveva un evidente svantaggio, non essendo in grado di vedere una ninfa a meno che non fosse lei a volerlo.

Eppure, aveva sentito la melodiosa voce di una donna dove non cera nessuna donna da vedere. Che il Fato gli avesse davvero concesso una tale opportunità? La ninfa necessaria a spezzare la sua maledizione e a renderlo di nuovo umano? Avrebbe potuto essere di nuovo libero, ma prima doveva trovarla e convincerla che meritava di essere salvato.

«Dove sei?» Ariston si stava guardando intorno, girandosi di qua e di là, quando sentì uno sguardo su di sé.

«Sono quassù, satiro» lo stuzzicò la ninfa. Ariston seguì il suono della sua voce e la trovò appollaiata su un albero, sorridente. Portava una semplice tunica bianca, simile a quelle indossate dagli dèi dellOlimpo. Quellabito la faceva sembrare decisamente antica. Fantasmi del passato fluttuarono nella sua mente.

«Dafne.»

Era stata presente la notte della maledizione, finché Apollo non se ne era andato, portandola con sé e lasciandoli tutti lì a marcire per leternità come mezze bestie. I capelli scuri le si appiccicavano alla fronte e alle spalle a causa della pioggia, aggrovigliati invece che ondulati. Ciò non diminuiva in alcun modo il suo fascino, ma la rendeva più selvaggia, più spensierata e non faceva che tentare ulteriormente Ariston.

«Ti ricordi di me? Sono affascinata.»

«Non mi interessa cosa sei, ninfa. Vieni giù e guariscimi!»

«Per gli dèi, Ariston. Certamente sai come far sentire desiderata una donna. Come pensi di riuscire a liberarti di quelle corna, quando non riesci nemmeno a convincerne una a scendere da un albero? No, non posso curarti. In ogni caso, non sono qui per disfare la tua maledizione.»

Era un ringhio quello che aveva appena emesso? Ariston non riusciva a ricordare di aver mai prodotto un suono simile. Perché Dafne era lì per deriderlo? Avrebbe potuto essere la sua salvezza. La sua libertà! Eppure, lo scherniva da unaltezza sicura.

«Non mi lasci altra scelta, allora.» Si avvicinò allalbero, con lintento di arrampicarsi e strapparla da lì. Cosa avrebbe fatto una volta che lavesse avuta fra le mani era unaltra storia. Non poteva fare sesso con lei per spezzare la maledizione fino alla Luna del Satiro successiva e non sapeva quando sarebbe apparsa. Cerano persone in grado di tracciare i movimenti delle stelle e della luna, ma per domandarglielo avrebbe dovuto cercarli e allo stesso tempo evitare che Dafne scappasse.

«Smettila subito.» La voce della ninfa aveva abbandonato il tono giocoso. «Sono venuta per parlare. Devo trasmetterti un messaggio, prima che Apollo realizzi che me ne sono andata. Il che probabilmente avverrà a breve.» Guardò verso il sole allorizzonte, nascosto dietro a delle nuvole scure e rabbrividì.

«Fammi capire», disse Ariston. «Non solo mi sbandieri davanti il rimedio che rifiuti di concedermi, ma scateni su di me anche lira di Apollo?»

La ninfa sospirò e le sue spalle si incurvarono. «Ariston. Bello e dolce Ariston. Se solo potessi privarti di questo fardello, ma ho donato il mio cuore a un altro. Lo disonorerei, facendolo.»

«Come lo disonori stando attaccata al fianco di Apollo?»

Un lampo balenò sopra di loro, riflettendosi nello sguardo furioso di Dafne. «Apollo non mi ha avuta in quel modo. Tu hai la tua maledizione e io ho la mia. Non sono qui per parlare dei miei guai. Essere bloccata sullOlimpo ha i suoi vantaggi. Così come fare amicizia con le Moire. Beh, una Moira. Cloto ha labitudine di lasciare le cose in giro in particolare una sfera di cristallo che le permette di vedere il destino di chiunque e in qualsiasi epoca. Non ho avuto molto tempo, ma sono riuscita a capire come farlo funzionare. Sfortunatamente, sono dovuta uscire dalla caverna prima che Apollo si accorgesse della mia assenza al tempio.»

«Hai dato uno sguardo al tuo destino?»

Dafne lo guardò a bocca aperta. «No. Non mi è neanche passato per la testa.»

«Perché perdere tempo se non stavi cercando di ingannare il tuo destino?»

«Alcune cose, alcune persone, sono più importanti della tua stessa vita. Spero che tu lo scopra, un giorno.»

Non sarebbe mai successo. Gli immortali erano poco adatti alle relazioni durature. Qualunque amante umana sarebbe invecchiata e morta, mentre lui sarebbe rimasto lo stesso, e gli altri immortali potevano rivelarsi decisamente spaventosi. «Perché sei venuta da me? Chiaramente non sono io quello che ami; lo hai detto tu stessa quando ti sei rifiutata di curarmi.»

«Perché il tuo destino è intrecciato al suo. Qualunque cosa tu faccia, non importa cosa diranno gli altri, dovrai fidarti di Melancton. Per favore, Ariston.» Dafne era troppo distante per poterlo dire con certezza, ma Ariston notò un luccichio nei suoi occhi e pensò che stesse per piangere.

«Melancton è un beota.» A volte bisognava dire le cose come stavano.

La ninfa fece un verso di disgusto e iniziò a scendere dallalbero, scostando occasionalmente lorlo del vestito, quando le si impigliava nei piedi. «Sì, tecnicamente lo è. Vorrei ricordarti, però, che tu stesso sei nato in Beozia. Non fa alcuna differenza. Beota. Arcadico. Sono solo parole, usate per definirvi e dividervi.»

Dafne saltò a terra e gli si avvicinò. «Tu hai formato un legame con Pan perché sei suo amico e gli altri perché sono stati colpiti dalla sua metà della maledizione. Lo stesso vale per coloro che stanno dalla parte di Dioniso. Come voi, non possono evitarlo, ma non esiste una parte buona e una cattiva a priori. Sono le azioni dei singoli individui a contare. Le corna non servono ad altro che a distinguere fisicamente chi si trovava da un lato e chi dallaltro, in quel momento e in quel luogo tanto infausti. Melancton avrebbe voluto seguire Pan. Aveva pianificato di raggiungerlo, ma Apollo non lo ha permesso.»

Dafne stette faccia a faccia con Ariston, guardandolo con aria di sfida. La sua mascella era serrata e il satiro riusciva a distinguere limpercettibile pulsare di un nervo sulla sua guancia. Era davvero bella. Apollo doveva averle dato dellambrosia, si rese conto Ariston, rendendola immortale, perché non era invecchiata di un giorno. La vicinanza della ninfa scatenò la maledizione dei satiri, che iniziò ad assumere il controllo dei suoi pensieri, accendendo in lui un desiderio irrazionale. Strinse i pugni e fece un passo indietro. Lodore di lei, come di fiori di campo in una calda giornata destate, gli assalì i sensi. Ariston la desiderava. Perlomeno, il suo corpo. Lui voleva solo liberarsi della maledizione. Sebbene Dafne fosse bella, non provava niente per lei.

Come no. Pensa a come sarebbe averla sotto di te, mentre si dimena per il piacere che le procuri.

Disgustato da se stesso, Ariston si allontanò ulteriormente, quasi inciampando nei suoi piedi. Dafne stava giocando a un gioco pericoloso, avvicinandosi a lui quando il suo autocontrollo era tanto fragile.

«Non credo di capire come mai dovrebbe importare ad Apollo.» Intrecciò le mani dietro alla schiena, per evitare di allungarle verso di lei e attirarla a sé. Come avrebbe fatto a controllarsi vicino a una ninfa e aspettare la Luna del Satiro? Riusciva a stento a trattenersi dallattaccare Dafne sul posto. Dentro, era furioso. Non poteva averla, non poteva porre fine alla maledizione. Non poteva tornare a essere normale. Eppure, Ariston non lavrebbe costretta. Si rifiutava di diventare il mostro che il suo aspetto suggeriva. Doveva essere più forte. Pan gli aveva insegnato che lunico modo per restare ancorato alla propria umanità era reprimere i propri istinti il più spesso possibile.

Ma, per gli dèi, il sesso, le sensazioni. Non si stancava mai. Avrebbe potuto continuare

No. Non pensarci. Distolse di scatto lo sguardo dal suo seno, premuto contro la stoffa setosa dellabito. Se anche Dafne avesse notato il suo sguardo lascivo, scelse di ignorarlo. Le sue labbra si stavano muovendo, ma Ariston riusciva a sentire solo il battito del proprio cuore in lontananza ed era estremamente consapevole di quanto fosse duro sotto la cintola. Sbatté rapidamente le palpebre e scosse la testa. Cosa stava dicendo?

«ti ho detto più di quanto avrei dovuto. Non posso perderlo.»

Fingendo di aver compreso ogni parola, Ariston rispose: «Lo prenderò in considerazione, ma sappi che non avrei altra scelta che seguire il mio istinto, se dovesse darmi una ragione per non fidarmi».

«Capito.» Dafne alzò la testa, mentre la pioggia martellante lasciava il posto a una pioggerellina leggera. Le nuvole si allontanarono dal sole abbastanza a lungo perché potesse illuminare la foresta, mettendo in risalto il delicato pallore eburneo della sua pelle. «Si sta facendo tardi e Apollo verrà a cercarmi prima che cali la notte. Devo andare e condurlo lontano da te.» Si sporse verso di lui e sussurrò con fare cospiratorio: «Ho visto cosa nascondi in quella borsa. Apollo abuserebbe di una tale magia». Detto ciò, Dafne svanì, ma Ariston sentì un dolce tocco sulla guancia, come lo sfiorare lieve di un petalo contro la pelle. Una voce gentile gli sussurrò allorecchio: «Non arrenderti mai, Ariston. Troverai la tua ninfa, un giorno. Non oggi, ma un giorno. Lho vista ed è molto bella. Proteggila».

«Proteggerla da cosa? Da chi?»

Nessuna risposta. Se non altro, aveva smesso finalmente di piovere.

Capitolo uno

Presente

Lacquazzone aggredì la tenda, che in teoria avrebbe dovuto essere resistente allacqua, e Lily maledisse per la milionesima volta lesistenza stessa di Donovan. Non solo era riuscita a fare accidentalmente un buco nella tenda cercando di piantarla da sola, ma Donovan laveva abbandonata nel bel mezzo dei Monti Blue Ridge. Avrebbe usato scotch a volontà per chiudere lo strappo e risolvere il problema della perdita, ma ovviamente il nastro adesivo era nello zaino di lui. Così come la mappa. Aveva perso la bussola e il suo cellulare era caduto in una pozzanghera di fango e non si accendeva più.

La ciliegina sulla torta in quel campeggio infernale? Lo stesso che le avrebbero dovuto rimborsare una volta consegnate le foto scattate nella natura? Un lavoro freelance apparentemente fantastico. Te lo puoi scordare. Non sarebbe mai riuscita a tornare per farsi pagare. Probabilmente, non sarebbe nemmeno riuscita ad andarsene da quelle montagne.

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