Il negozio, un ampio oscuro magazzino al dettaglio e all'ingrosso di mobili e soprammobili usati, era prossimo alla piazzetta del Balon1, il mercatino delle pulci di Torino.
"Polizia!" Prestavo servizio in borghese, ma essendo i due colleghi in divisa non avevo mostrato il tesserino. Un uomo sanguinante, il viso tumefatto, giaceva a terra supino, privo di conoscenza e forse moribondo. Qualcosa si agitava stranamente sotto la sua camicia. Avevo guardato con stupore quel movimento sul suo petto e avevo pensato che gli fosse uscito il cuore e continuasse a battere esposto sotto l'indumento anche se, come presto avrei realizzato, era un'idea assurda. A semicerchio attorno al morente stavano ferme, come indifferenti, quattro persone.
"Cosa fate?! Le belle statuine? Chi è costui? e voi chi siete?"
"Il padrone; e noi siamo i magazzinieri", aveva risposto una ragazza per tutti.
"L'avete già chiamata, l'ambulanza?"
"N...no", aveva balbettato.
"Lei chi è?"
"Mariangela."
"Potrei denunciarvi per omissione di soccorso, lo sapete?!" Avevo chiesto a uno dei miei di chiamare un'autoambulanza per telefono, quindi avevo identificato i quattro. Si trattava dun uomo grande e grosso sulla trentina, un certo Alfonso, torinese, dal viso lungo pallidissimo e denti cavallini, che portava la fede nuziale, e di tre signorine sui diciassette, diciott'anni, tutte del sud, della prima immigrazione, e tutte molto belle, Mariangela, Jolanda e Annunziata, bionde ma, come denunciavano le loro sopracciglia e gli occhi neri, certamente tinte.
Era giunta l'ambulanza, che aveva condotto il ferito al vicino Ospedale Istituto della Carità Cristiana. Avevo mandato un mio uomo assieme alla vittima, nel caso avesse ripreso conoscenza e pronunciato qualcosa a proposito dellaggressione: inutilmente, come avrei saputo.
Avevo ordinato ai magazzinieri di narrarmi i fatti. Mavevano risposto sovrapponendo le voci; perciò li avevo interrogati singolarmente. Era stata Mariangela a telefonarci; come m'aveva testimoniato per prima, un omone, mai visto prima, aveva fatto irruzione improvvisamente dalla strada, urlando rosso in viso: "Dov'è il mostro da baraccone? Vieni fuori, porco!" A gran passi era arrivato all'ufficio del titolare, Tarcisio Benvenuto, in quel momento seduto alla scrivania a fare conti. Qui aveva cominciato senz'altre parole a prenderlo a pugni. Il proprietario, riuscendo a schermirsi con le braccia, aveva potuto alzarsi dalla sedia e scappare fin quasi all'uscita del negozio, sotto una tempesta di calci nel sedere, ma prima che potesse fuggire nella via l'altro l'aveva afferrato con la destra per il bavero e, tenendolo schiacciato contro il mobile della cassa, gli aveva mollato col pugno sinistro una grandinata di colpi sul viso e sulla testa fin quando la vittima non era crollata sul pavimento. Poi l'omaccio era senz'altro uscito, esclamando con accento piemontese: "Così per l'avvenire impara, 'sta merda!"
Gli altri magazzinieri avevano confermato la versione.
"Vi risulta che il Benvenuto avesse nemici?"
"Credo che ne avesse un mucchio", aveva risposto per tutti Alfonso. Jolanda e Annunziata avevano approvato col capo. Mariangela, invece, maveva guardato dritto negli occhi, dischiudendo leggermente la bocca, come per pronunciare qualcosa; ma aveva taciuto.
Proprio a lei avevo chiesto: "Avete qualche idea sul perché dellepiteto mostro da baraccone?"
"Perché... lo è, poveretto."
"Poveretto?!" avevano fatto in coro gli altri tre, guardando Mariangela con disapprovazione. Poi la sola Annunziata aveva detto: "Ha il fisico giusto per il suo carattere."
"Cosa intende dire?" m'ero incuriosito.
"Intendo dire che ha un braccio in più, sul petto, che a intravederlo sotto i vestiti pare attaccato alla spalla destra, anche se non l'ha mai mostrato: al massimo, qualche volta, sono spuntate le sole dita, a far capolino tra i bottoni della camicia, dico in certi momenti in cui era più arrabbiato e non riusciva a frenarsi.
"Inoltre", era intervenuta Jolanda, dalla parte destra ha una doppia fila di denti; e una suora che una volta venne qui ci disse che ha pure un pezzo di cervello in più. Certo è che, a volte, l'abbiamo sorpreso a farsi domande e a rispondersi da solo a bassa voce. Poi... c'è anche un'altra cosa... che non oso dire."
"Un'altra cosa?"
"Sì", aveva precisato Alfonso, "pare che tra le gambe... ne abbia due!" ed era scoppiato a ridere.
"Chi ve l'ha detto? Sempre la suora?!" avevo domandato fra il contegnoso e il divertito.
"No", aveva risposto Annunziata, "ce laveva detto Giulia."
"Sarebbe?"
"Una collega ch'è stata licenziata giorni fa: pare che il padrone le avesse fatto proposte... insomma, pare... che la volesse nei due modi assieme, oh!"
"Veramente", sera intromesso Alfonso, "che lui volesse farsela nei due modi assieme lei non l'ha detto, però il fatto che sapesse dei due cosi fra le gambe fa pensare che Tarcisio glieli avesse almeno fatti vedere"; e aveva riso più forte di prima.
Avevo chiesto di descrivermi l'aggressore. Tutti erano stati concordi: si trattava d'un uomo molto alto sulla cinquantina, occhi cisposi castani, senza sopracciglia e completamente calvo, grandi orecchi a sventola, grasso e grosso, collo corto possente, braccia da scaricatore e spalle larghe, schiena ricurva. Portava una cicatrice violacea orizzontale sulla fronte che l'attraversava quasi completamente e aveva il naso schiacciato dei pugili. La bocca era piccola, quasi senza labbra.
"e indossava delle scarpe che saranno state della misura cinquanta", aveva completato Mariangela.
"Anche lui, come mostro, non sta male", avevo scherzato con un breve sorriso. Poi mero fatto dare cognome e indirizzo della commessa licenziata e mero copiato dalle schede contabili le generalità di fornitori e clienti: dati incompleti perché, come avevo saputo da Alfonso, molte delle vendite al dettaglio, quelle dei soprammobili, erano verso ignoti passanti e la maggior parte degli acquisti veniva da privati, pagata in contanti senza che ne restasse traccia2.
Era ormai l'una. Annunciando che forse sarei ripassato e che, comunque, loro sarebbero stati convocati per la testimonianza formale, avevo lasciato che i magazzinieri chiudessero il negozio e mero avviato verso la casa dei miei.
Dopo qualche centinaio di metri, mentre imboccavo via della Consolata, maveva raggiunto la voce di Alfonso: "Brigadiere!". M'aveva seguito, aveva soggiunto non appena vicino, per darmi una notizia all'insaputa di Mariangela: "Pare che quella criña3 se la faccia col padrone. Si vede, aveva ghignato, "che le piace farsi fare in due modi nello stesso tempo! È per quello che sta dalla sua parte. Comunque... non so, sarà forse un'idea sbagliata, ma... e se fosse stato un parente di Mariangela a fraccare di botte il padrone?"
"Mavete detto che l'uomo aveva accento piemontese, mentre Mariangela è meridionale. Se fosse un suo parente..."
"potrebbero essersi imparentati qui, con uno dei nostri", aveva suggerito, calcando sulla parola nostri come a intendere che di ben migliore stirpe si trattava, ed esprimendo una smorfia disgustata.
"Va beh, controlleremo."
"ma mi raccomando..."
"Non diremo nulla alle sue colleghe, stia tranquilla."
Ceravamo stretti la mano: la sua era viscida.
III
Tornato in ufficio dopo una svelta pastasciutta dai miei, avevo stilato il rapporto per Vittorio.
L'amico non cera. Verso l'una e mezza se n'era andato alla stazione di Porta Nuova per attendervi un treno che doveva condurgli da Napoli un'ancella, com'aveva pronunciato scherzoso. Si trattava, aveva precisato, d'un'orfana diciannovenne appena alfabeta, Carmen, che gli era stata indirizzata da padre e madre, "dopo debita scuola domestica per mesi due da parte di mammà", perché gli conducesse, su oneri sostenibili, la casa, impedendo così che, vivendo solo, continuasse a sciuparsi stomaco e fegato nelle trattorie.
L'amico era arrivato in Questura verso le cinque del pomeriggio e con viso del tutto soddisfatto maveva detto: "Aggio mangiato bene, antichi sapori di casa mia! T'aggio a invitare, Ran"; ma quando aveva saputo della vicenda del mostro, sera abbuiato: "Al lavoro! Senti qua: questa sera, verso l'ora di cena, te ne vai a casa di 'sta Mariangela, inaspettato ospite, e mentre tutti sono a tavola vedi se c'è qualcuno di loro con le caratteristiche dell'aggressore, ascolti, e... insomma, m'hai capito. Ma cerca di non sputtanare 'a guagliona davanti ai suoi, se vedi che è tutto regolare. Quando torni, mi riferisci."
Mariangela e famiglia, tali Ranfi, vivevano in periferia, in una casa recente con citofono. Erano le 19 appena passate: "Sono il vice brigadiere Velli", avevo gridato spontaneamente, in quanto la voce maschile che aveva risposto mera giunta appena udibile.
L'uomo aveva replicato con insofferenza: "...ma cos'hai da gridare tanto?!" e aveva aggiunto un insulto volgare.
"Pubblica Sicurezza!" m'ero adirato.
"Cosa?!" La voce, questa volta, era allarmata.
Ricordando che non avevo un mandato, mero contenuto e avevo replicato con calma: "Sono il vice brigadiere Velli. Mi facciano salire: devo parlare con la signorina Mariangela. È per l'aggressione."
"Ah... sì: primo piano, scala B come Bologna."
Stavo per entrare quando un uomo sulla cinquantina se n'era uscito dal palazzo lesto guardando per terra. Era grosso, calvo, alto e aveva un accenno di gobba. Un lampo e lavevo bloccato, mostrando il tesserino: "Documenti!" Forse avevano tardato ad aprirmi per consentirgli d'uscire?
Maveva chiesto spontaneo, in accento siciliano stretto: "Pe'cché mai, che fici?! Niente di niente fici!"
"Non discuta: documenti!" Prudenzialmente, posando la destra su di un fianco, sotto la giacca, lavevo avvicinata alla pistola che tenevo alla cintola mentre con la sinistra avevo preso la carta d'identità dell'uomo.
Era risultato un commerciante ambulante, domiciliato nel palazzo. Il cognome, Gargiulo, non corrispondeva a quello di Mariangela; ma poteva trattarsi d'un parente dacquisto.
"Mi conduca nel suo appartamento."
"...ma commissario..."
"Sono vice brigadiere. Non si preoccupi, stiamo conducendo un'indagine Insomma, interroghiamo tutti nella zona."
Sera calmato: Guardi che noi siamo brava gente.
Secondo i dipendenti del Benvenuto, l'aggressore pronunciava con accento piemontese; ma sapevo ormai per esperienza quanto le testimonianze, tante volte, fossero fallaci, sia pur involontariamente. D'altronde, il picchiatore aveva detto pochissime parole. Oltretutto avevo notato una cicatrice sulla fronte dell'uomo, anche se molto corta e verticale, sopra il naso, non lunga e orizzontale.
Non avevo alcun diritto di comportarmi così: avrei potuto solo controllare i documenti dell'uomo e lasciarlo poi andare per la sua strada.
Avevamo preso lascensore fino al sesto piano.
Una volta nellalloggio, avevo chiesto di radunare tutti i membri della famiglia perché avevo qualche domandina da fare. I Gargiulo dovevano passarsela piuttosto bene; infatti un apparecchio televisivo, e addirittura di 21 pollici e non di 17, roba da ricchi nel 1959, faceva bella mostra nel tinello dove ceravamo riuniti: io, il padrone di casa, la moglie, signora bassa e sfasciata sulla cinquantina, e tre ragazzi dai quindici ai vent'anni, coadiutori del padre nei mercati.
"Ci siete tutti?"
"Sì", aveva risposto la madre.
"e dei vostri parenti, quei Ranfi del primo piano, cosa mi sapete dire?"
"Parenti?!" sera stupito l'uomo; "ma se non li conosciamo neppure!"
"Non mi vorrà mica dire che abitate nella stessa casa e non li avete mai visti?!"
"Sì, visti sì", aveva risposto per lui la moglie, "ma così, buongiorno e buonanotte; ecché, male ficero?"
"Prima, dove stava andando?" avevo chiesto al capofamiglia senza rispondere alla domanda.
"Eh! e dove avevo da andare?! Dagli amici al bar, come sempre. Così... per quattro chiacchiere amichevoli e un aperitivo prima di cena."
Avevo abusato anche troppo e avevo deciso di congedarmi. Avevo ancor detto, rivolto alla signora: "A proposito della sua domanda, i Ranfi non hanno fatto alcun male." Avevo ringraziato e avevo preso a scendere a piedi verso l'appartamento di Mariangela.
"Scassaminchia", avevo sentito giungere dall'alloggio, ormai chiusa la porta: era la voce della donna.
Era stato Nicola, il padre di Mariangela, a rispondere al citofono: grasso ma dall'aspetto sofferente, occhi segnati e viso esangue, era senza gambe e si spostava su di una seggiola a rotelle. Non appena sua moglie, Annachiara, m'aveva introdotto in cucina, l'uomo, ch'era ancora accanto alla pulsantiera, maveva detto in un fiato, come se non avesse aspettato altro in vita sua: "È la fabbrica che mi ridusse così: un incidente sul lavoro che si poteva evitare, se solo avessero..."
"son cose che al signore non interessano", laveva zittito la moglie, una donna piacente, alzando brevemente gli occhi al soffitto; poi, rivolta a me: "Possiamo offrirle un caffè, brigadiere?"
"No, grazie: non ho ancora cenato."
"Allora, un aperitivo." Aveva messo un'altra sedia a tavola e guardando per un attimo il marito maveva detto: "Se permette, brigadiere, adesso lui va di là a sentire la radio. Lei invece, si segga qui tra noi"; e senz'altro aveva preso la bottiglia dalla ghiacciaia, un aperitivo dozzinale, e aveva cominciato a versare mentre il coniuge iniziava ad allontanarsi, farfugliando: "Meno male che m'hanno dato la pensione d'invalidità! Se no, chi sa come farebbero qui in casa."
"Meno male che mia figlia lavora e che io faccio le ore tutto il giorno", maveva sussurrato la padrona di casa, senza curarsi che il consorte, appena oltre la porta, potesse udirla; e porgendomi il bicchiere: "Modestamente, ce la passiamo abbastanza da signori."
M'ero accomodato, dopo aver stretto la mano a Mariangela che sedeva a tavola. Dovevano appena aver terminato cena perché i piatti coi resti della frutta erano ancora lì.
"La famiglia è tutta qui?" avevo chiesto alla ragazza, mentre la madre si sedeva a propria volta.
"Sì."
"Altri parenti, qui a Torino?"
"L'unico parente è mio marito", era intervenuta Annachiara.
"Non capisco."
"No, non nel senso ch'è mio marito, ma in quello che siamo lontani cugini. Venimmo su tanti anni fa."
"Avevamo fatto il guaio!" s'era intromessa dall'altra stanza la voce di Nicola che, evidentemente, stava ascoltando tutto: "Io avevo solo tredici anni, modestamente! e lei pure. Era il '41. Eravamo scappati dalla Puglia qui a Torino. Volevano ammazzarci, i suoi e i miei! Lei aveva già Mariangela nella pancia, capisce?" Era seguita una risatina stridula.
La moglie era divenuta paonazza: "Non gli dia retta: dopo l'incidente è diventato un po'... strano."
"Almeno", era di nuovo arrivata la voce del consorte, "non sera poi dovuto pagare per i festeggiamenti: matrimonio qui a Torino, una volta raggiunta letà di legge. Matrimonio da poveri!"
Annachiara aveva voluto precisare: "Tanti sacrifici, brigadiere. Dato che molte braccia erano al fronte, Nicola aveva trovato posto da un artigiano, senza contributi, naturalmente, e per poche lire. Io ero stata presa come cameriera della sua signora, soli vitto e alloggio. Quando serano accorti ch'ero incinta, avrebbero voluto mandarmi via; poi avevano avuto compassione e"
"no! gli conveniva continuare a sfruttarci": questa volta il tono di voce delluomo era adirato.
"Insomma, la padrona maveva aiutata a partorire, lasciando che tenessi con me la bambina invece di farmela affidare a un orfanotrofio. Nicola dormiva sopra una branda in un angolo del laboratorio, io con Mariangela nella soffitta di casa; ma cera la guerra, di notte era quasi più il tempo in cantina per gli allarmi che quello a letto. Labbiamo potuta riconoscere come nostra, la bimba, solo dopo il matrimonio. Per le pratiche ci aiutò lavvocato dun sindacato, perché cerano complicazioni, dato che non avevamo denunciato la nascita: sera basato su cose come la guerra, i bombardamenti e le famiglie divise."