Riflessioni Ironiche Di Un Moderno Migrante Italiano - Massimo Longo E Maria Grazia Gullo



Massimo Longo

Riflessioni ironiche di un moderno migrante italiano

Esperto in tutti i tipi di saldature e il travaglio della vespa

Copyright © 2019 M. Longo

L'immagine di copertina e la grafica sono state realizzate e curate da Massimo Longo

Tutti i diritti riservati.

Indice

Primo Capitolo Esperto in tutti i tipi di saldature pag.13 Secondo Capitolo Le tre fasi delle strutture del comune pag.24 Terzo Capitolo Erano finiti i bei tempi pag.32 Quarto Capitolo Mi sono perso, ritorno a Esperto in tutti i tipi di saldature pag.41 Quinto Capitolo Consigli e avvertimenti sul lavoro pag.51 Sesto Capitolo Larsenale e la marina pag.60 Settimo Capitolo Arriva lamore, lasino lo porta via pag.74 Ottavo Capitolo Primo di tanti traslochi pag.88 Nono Capitolo Impatto con il nord pag.96 Decimo Capitolo Trovo lavoro, il capo comunista Pag.101 Undicesimo Capitolo Gratitudine meridionale verso gli extracomunitari Pag.110 Dodicesimo Capitolo Era lora di andare a prendere mia moglie, ancora trasloco Pag.121 Tredicesimo Capitolo Facevo bolle di sapone ed ero felice Pag.138 Quattordicesimo Capitolo Le domande dei nordici Pag.149 Quindicesimo Capitolo La busta magica Pag.164

Prologo

Mi sono chiesto spesso il perché volessi scrivere queste mie piccole disavventure da immigrato, ma non sono ancora riuscito a spiegarmelo. A dire il vero ne ho pensate di ogni, ma nessuna motivazione collimava con la realtà. Alla fine sono arrivato a questa considerazione: un po l'ho fatto per far sorridere il lettore, un po perché, nonostante i dati incredibili elencati dai tg nazionali (Nel 2016 sono stati 114.512 gli italiani che si sono trasferiti allestero Secondo il rapporto Svimez 2016, negli ultimi venti anni il Sud ha perso 1 milione e 113 mila unità, la maggior parte dei quali concentrati nelle fasce detà produttiva tra 25-29 anni e 30-34 anni.), largomento emigrazione italiana, interna ed esterna, viene sminuito e trattato come un argomento irrilevante di cui enunciare solo cifre, come se spostarsi lontano dalla propria terra non fosse un piccolo trauma.

Per amor del cielo, niente a che vedere con il dramma degli sbarchi, naturalmente, neanche con gli arrivi da paesi come la Nigeria o la Cina.

A queste persone, purtroppo, che si trovano ad affrontare i problemi della lingua, della società, delle condizioni di lavoro e del razzismo, manca anche la consolazione, a causa della distanza e del costo, di poter rivedere le loro terre e i loro cari in tempi ragionevoli.

Ricordo lo strazio di una famiglia cinese che conoscevo molto bene a cui era nata da pochi mesi una bellissima bimba.

L'uomo, dopo aver lavorato regolarmente e duramente per quattordici anni presso una cooperativa all'interno dello stabilimento della Miralanza, nel 2008, in piena crisi e con modi Ottocenteschi, fu informato da un giorno a l'altro che avrebbe potuto starsene a casa. Non saprei dirvi con che tipo di contratto fosse inquadrato, ma rimase senza nessun tipo di sussidio, tanto da portarlo ad una scelta familiare che in nessuna parte del mondo e soprattutto in Italia si dovrebbe mai essere costretti a fare. Mi ricordo gli occhi intrisi di tristezza della coppia, quando mi spiegarono che a causa dei problemi di riorganizzazione abitativa e lavorativa che stavano attraversando, avrebbero portato e lasciato ai parenti in Cina la loro unica figlia per parecchi mesi, in attesa di poter riprendere una vita regolare.

Nonostante ciò, ed esclusi i paragoni, non si può nascondere il disagio di un trasferimento dalla propria terra.

Per poter comprendere e sorridere di questi piccoli episodi, bisogna relazionarli al periodo di accadimento. Mi spiego:

Ha iniziato a lavorare a 11 anni ecc. ecc. In Italia nel 1946 era normale iniziare anche a otto, nove anni, pensare come tutto si sia svolto in tempi relativamente moderni, mostra la cosa sotto un altro punto di vista.

Il racconto infatti non si riferisce al tempo di Marco Cacco per dirla in erudito, e premetto, non "è una brutta storia" come dicono nei film e non ero lunico trentacinque anni fa a fare queste esperienze, ciò nonostante stiamo parlando dei "favolosi anni Ottanta" quelli mostrati ed esaltati adesso in tv come periodo floridissimo.

"Colpo di mille riflessioni", ma! Se li mostrano in tv, oh, no! "Il cuore! Ma! Se prima facevano i programmi sugli anni 60 a uso e consumo dei nonni, poi sui 70, ora addirittura sui 90, vuol dire che i nati negli anni Settanta sono vecchi? Un po lo siamo, bisogna rassegnarsi. Nonostante ormai in tutti i programmi di informazione non fanno altro che definirci giovani. Non si fa altro che ripetere giovane precario di trentacinque, quarantanni: giovane un paio di ciufoli! A quell'età sei un adulto bello e formato e dovresti avere un lavoro, una famiglia e abbastanza cervello da essere definito così.

E questo mi porta ad esporre il mio Primo pensierone sulla necessità dei media di utilizzare questi termini per descrivere l'età lavorativa. Non vi nascondo che durante il racconto vi illuminerò con i miei brevi Pensieroni sui fatti di cui non riuscirete più a fare a meno.

Secondo la mia ignoranza, le notizie vengono esposte in questo modo per perseguire un obbiettivo ben preciso, niente nel mondo moderno e nella relativa informazione è fatto in modo casuale, credetemi. Il motivo è semplice. I Motivi e gli Scopi sono sempre semplici, la cosa difficile è rendersene conto, ma una volta afferrato il concetto la domanda nasce spontanea: Come ho fatto a non pensarci? Era talmente elementare Watson": è fondamentale convincere lopinione pubblica del fatto che sia normale, altrimenti qualcuno dovrebbe rispondere al dramma di tutti questi giovani adulti, come

dicono loro, di 30,35,40, perfino 44 anni, ancora precari e impossibilitati ad un minimo di futuro. Chiamarli "adulti precari" potrebbe far sorgere delle domande nella gente, dei dubbi sul nostro sistema di vita e di distribuzione della ricchezza, allora molto meglio "giovani precari". Le parole giovani e precari hanno una certa assonanza, danno un senso di sicurezza, di normalità, che adulti e precari non procurano.

Io, in fondo, di cosa mi lamento? Dovrei esserne felice, messe così le cose, sono relativamente giovane!

In verità, sapete come mi guardano i miei figli di sei e undici anni quando gli racconto del telefono a rotella (allego foto)?

Dove, un tempo, per comporre il numero, si infilava il dito dentro il foro, e girando, tra tatatatatatatatata (descrizione del rumore) il primo numero e, tra tatatatatatatatata il secondo numero e così via per nove o dieci volte per effettuare una chiamata?

O quando racconto l'arrivo della telefonata del fratello in servizio militare lontano da casa?

Non bastava accendere il tablet o il cellulare e chattare, bisognava aspettare pazientemente che la vicina di casa, posseditrice di un telefono, miraggio del quartiere, bussasse alla porta di casa gridando:

"SBRIGATEVI, CORRETE C'È FRANCESCO" il nome di mio fratello " AL TELEFONO".

Tutti, piccoli e grandi, invadevamo l'ingresso di casa sua, per sentire e vedere il telefono in funzione. Ci accalcavamo stretti nonostante sapessimo che solamente mio padre avrebbe afferrato la cornetta luccicante per dire poche parole, prima che i gettoni dall'altro lato, cadendo a velocità smodata, interrompessero una telefonata veramente "breve". L'evento, a causa dei costi e del disturbo alla vicina, si sarebbe ripetuto dopo almeno un mese.

Per non parlare dello sguardo sperduto del piccolo, quando gli descrivo la tv in bianco e nero senza telecomando, non proprio senza telecomando, c'ero io che al comando di tutta la famiglia la sintonizzavo su richiesta su uno dei pochi canali esistenti. Per non parlare del fatto che, sul più bello di qualunque trasmissione o partita, l'immagine trasmessa iniziava a scorrere dal basso verso lalto dello schermo lasciando per un attimo i piedi del presentatore su e la testa giù. L'unico rimedio era colpire sul fianco la Tv come un asino che non vuole spostarsi, facendola ripartire e facendo tornare, come in un trucco di magia, il presentatore tutto intero. Ecco, i miei figli mi guardano come il dinosauro dei loro cartoni.

In questi piccoli aneddoti, che mi accingo a raccontarvi, ho incrociato, come nella vita, della gente comune come me, che generalmente suddivido in:

Persone ininfluenti: spesso non ricordi nemmeno di averle incontrate.

Cattive, con la sottospecie invidiose e arroganti, è la sotto-sottospecie peggiore, ignoranti/arroganti insieme. Perché se sei ignorante, nel senso che ignori, allora ci si parla, si discute sino a trovare un punto di incontro, ma se allignoranza dell'individuo aggiungi anche larroganza allora è finita, qualunque speranza di trovare un accordo è fallito in partenza.

Brave o buone: le quali rendono questo mondo un posto un po più lieto.

Per ultimo quelle Superiori, rare: quelle che se hai la fortuna di incontrare, ti aiutano a fare un salto di qualità e a vedere il mondo con occhi diversi.

Nel racconto, non potrò descrivervi solamente cosa porta dentro un immigrato, quando si trova in quello stato danimo pessimo, simile alla Saudade come la chiamano i brasiliani, per questo mi dispiace ma dovrete emigrare. Questo stato non consiste in una semplice malinconia, ma nel malessere di non riconoscersi né nel posto da cui sei partito, né in quello in cui sei arrivato. Con gli anni questa sensazione un po va attenuandosi, ma personalmente, dopo vent'anni, la soffro ancora. In modo particolare, allinizio del trasferimento, sei al nord e vorresti essere al sud, in cambio quando sei al sud vorresti essere al nord. Ti ritrovi a non sopportare i difetti di entrambi i posti in cui vivi e, contemporaneamente, ad amarli entrambi.

Capitolo primo


Esperto in tutti i tipi di saldature

Devo a tutti costi iniziare questo libro spiegando a cosa sottintende il sottotitolo. "Sottintende il sottotitolo?". Forse era meglio non scriverlo. Comunque, dicevo:

Esperto in tutti i tipi di saldature

Questa frase racchiude infatti la forza e la convinzione che si può avere solo ad una certa età, quella "GIOVANILE", la quale non è solamente una questione anagrafica, ma soprattutto la predisposizione dello spirito in quella certa parte della vita dove si guarda con illimitata speranza nel futuro come se questo non avesse fine. Ed è una frase scaturita nei giorni precedenti alla mia avventura principale da immigrato, dopo essermi recato presso quello che era, ed è, il mio settimo fratello, un piccolo grande uomo, basso, tarchiato, ex capello riccio, pizzetto nero, pelo da scimmia sulle spalle, con dentro un grande cuore da vero artista.

Io provengo da una delle ultime famiglie numerose del sud, quattro fratelli e due sorelle a cui si aggiunge lesterno Settimo. Fortunatamente, queste mire espansionistiche Siciliane, attuate con famiglie enormi che si sperdono per l'infinito Universo, invadendo il globo, stanno terminando, adesso al massimo due figli, si guardano quasi con orrore le famiglie numerose. Provate a pensare, "nel mondo ovunque ti giri, trovi un Siciliano".

Allepoca dei fatti ero completamente diverso da Settimo, alto e magro da paura, 1,83 per 68 chili, ossatura pesante, testa leggera, con un numero, il diciassette, onnipresente nella mia vita.

Un numero né fortunato né sfortunato, solo tutta una serie di date coincidenti, come la data di nascita di mio padre, la mia lettera di partenza per il C.a.r, la data di chiamata per il militare e della partenza per il Nord, e uninfinità di tantissime altre. Essendo un ateo e un agnostico credevo fossero solo delle coincidenze fino alla mia definitiva rassegnazione, indubbiamente mi seguiva. Mi convinsi dellinseparabilità dal numero nelloccasione della nascita della mia prima figlia. Sembrava oramai non potesse più accadere, aspettavamo il suo arrivo, mia moglie aveva una pancia talmente grande da doverla portare in giro con il carrello usato per i pacchi grandi, "mi ucciderà quando leggerà questa frase", ma bisogna essere onesti sembrava ne portasse due, poi essendo diversamente bassa e piccola sembrava posseduta da Aliens. Oramai era passato il 17 novembre ed il parto era già in ritardo, pensai non potesse essere possibile che si spingesse un mese dopo la data prevista, eppure, inesorabilmente, un mese dopo la dottoressa decise di indurre il parto, la mia prima figlia nacque il 17 dicembre.

Ma torniamo a Settimo, lavora come fabbro del ferro e dovreste vederlo lavorare davanti alla forgia, sul limite della fusione, con il martello o il maglio (grande martello

automatico), cosa ne riesce a tirar fuori. Però il suo lavoro, come succede spesso al sud, non è pienamente apprezzato e soprattutto pagato. Mi viene in mente una mostra estemporanea in cui si esibiva creando delle forme spettacolari in diretta (allego foto). Trovandomi tra il pubblico sentii da alcuni uomini di scienza tuttologa, ormai diffusa in Italia, con una sicurezza indiscutibile affermare: "Bravo, ma! Ma poi, in officina? Figurati se perdono questo tempo, ti assicuro li realizzano in fusione". Già immaginavo Settimo con la sua tuta in amianto color alluminio, davanti al suo alto forno da duecento metri, in mezzo ad un mare di scintille, con in mano

il suo bastone con la tazza contenente metallo fuso da immettere nello stampo, creato apposta in unaltra grande officina con il tornio numerico versarlo su uno stampo da cui ricavava LETTI IN FERRO BATTUTO... Insomma, va bene non fidarsi, ma informarsi?

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