Artigli affilati gli lacerarono la pelle delle spalle. Ma il suo orgasmo fu così perfetto che lui nemmeno li sentì.
Strinse forte quellangelo tra le braccia. Non voleva lasciarlo, ma come poteva trattenerlo? Non aveva nulla.
Nulla.
Per la prima volta, il desiderio di Libertà si fece impellente.
Doveva trovare una soluzione. Doveva strappare quelle catene. Doveva scappare, con lui.
Ma dove? Verso lOceano?
Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Come ti chiami? gli chiese. Perché, ovviamente, i convenevoli prima di tutto.
Ma non sentì mai la risposta. Si voltò, dimprovviso, percependo una presenza accanto a sé.
Melinda, unamica-nemica di Aletta, era a un palmo da lui. E sogghignava sadica.
Vattene, disse, quindi, spingendo via il ragazzo. Non avvicinarti mai più a me.
Ma mentre lo disse, qualcosa gli morì dentro. Il giovane lo guardò e la Bestia sperò che il suo sguardo contraddicesse in toto le parole appena pronunciate. Lui lo fissò, le palpebre pesanti di lussuria, le labbra gonfie di baci. Un attimo dopo sparì tra la folla.
Erano circondati.
Doveva agire così.
Era lunico modo.
Lavrebbero portato via.
Via da lui.
No, non lavrebbe permesso.
Sarebbe morto, piuttosto.
CAPITOLO TRE
Melinda si avvicinò e gli toccò il culo. Così, di botto, senza senso. Al non si voltò. Non subito, almeno. Doveva prima affrontare quella tempesta di sentimenti e sensazioni, così estranei, che gli si agitava dentro.
Un sospiro, prima di tornare alla realtà.
La donna afferrò il guinzaglio e lo condusse al Ristorante.
Stasera sarà davvero molto divertente. Se ti comporterai bene, avrai una bella sorpresa, gli promise. Poi, sorrise e si strizzò i seni tra le mani. Al, senza nemmeno pensare, si inchinò e iniziò a baciarli. Puzzavano di borotalco.
Ottimo lavoro, commentò Melinda.
Al lanciò uno sguardo alla folla. Nessuna traccia del ragazzo, logicamente.
Nel Ristorante, Aletta recuperò il suo Schiavo. Lo fece inginocchiare davanti alle sue cosce aperte e non ebbe nemmeno bisogno di dirgli cosa fare. Tuttavia, nessuno ci badò. Lintero locale stava osservando il Quarto Tavolo, sì, ma era Stine colui che attirava lattenzione. Tutti erano in attesa di vedere la Preda. I più maligni si aspettavano che il Padrone si desse alla caccia.
Finalmente, Ad fece il suo trionfale ingresso in sala. Non sembrava alla ricerca di niente e nessuno, non si guardò mai attorno, ma si diresse -sicuro- verso la tavolata numero Quattro. Le mani come in preghiera, la testa bassa. Gli uomini presenti divennero quasi duri, a quella vista, mentre le donne si incazzarono come faine. Quel bimbo era più bello di loro! Aletta si innervosì talmente tanto da stringere pericolosamente le cosce attorno alla testa della Bestia. Fu un miracolo che non finì decapitato. Ma lo Schiavo non si accorse del suo arrivo. Né sentì nulla, della conversazione successiva. Peccato, perché ne sarebbe stato orgoglioso.
Alcuni uomini iniziarono a proporre eventuali turni col nuovo arrivato, qualcun altro affermò di averlo visto per primo.
Stine non si scompose. Anzi, si rilassò meglio sulla sedia.
Ciao, sorrise il ragazzo.
Salve, rispose il Padrone, battendosi su un ginocchio come invitandolo a sedersi.
Troppo facile.
Sto andando via. Sono solo venuto a riportarti una cosa che hai dimenticato, stamattina, quando ci siamo visti.
E il cocktail, col mozzicone di sigaretta che ancora ci galleggiava dentro, venne rovesciato addosso al sorriso da-stronzo delluomo. Lintero Ristorante trattenne il fiato. Poi, il Padrone bestemmiò e cercò di afferrarlo. Ma il ragazzo aveva tutta lintenzione di vendere cara la pelle. Artigliò quellavanbraccio e lo sfregiò.
Non ho paura del sangue arterioso, io, sibilò. Non avresti dovuto afferrarmi a mani nude. Avresti dovuto spararmi, in mezzo agli occhi. Così mi avresti fermato. Forse.
Sporca di sangue, la mano si mosse in un gesto di saluto. Uno particolarmente vezzoso.
Poi, quella bellezza si girò e se ne andò.
Bastardo! esclamò Aletta. Tirò forte i capelli della Bestia, allontanandolo da sé e ridandogli ludito. Non ho più voglia di venire.
Poi, gettò un piatto a terra. Cocci e cibo si mischiarono pericolosamente.
Mangia! ordinò.
E Al obbedì. Senza il minimo interesse né per il sushi di prima qualità né per la porcellana affilata. Tutto ciò fece imbestialire ancora di più la sua Padrona. Melinda approfittò della confusione per calpestare ogni singolo boccone. Perché così le andava. Poi, disse allaltra donna, Non essere così arrabbiata. Vedrai che Stine lo troverà e se lo scoperà a dovere. E domani verrà a chiedere scusa, come si confà alla sua specie.
E rise. Questo lo rende ancora più interessante, non trovate? aggiunse, poi.
Nessuno rispose.
Stine andò in bagno. Quando tornò, sembrava quasi non avesse subito danni. Amir, il proprietario di una rete di supermercati, si mise subito a leccargli il braccio offeso.
Il Padrone guardò in direzione di quella puttanella senza vergogna. Ma era troppo lontano, ormai. Soprattutto, non prestava la minima attenzione né a Stine né alla sua indignata squadra di supporto. Era come se non fossero nemmeno lì.
Luomo era furioso.
Gli costerà molto caro, promise.
E non era tipo da minacciare invano.
CAPITOLO QUATTRO
Ad era sdraiato sul letto della sua cabina. Teneva stretto un cuscino, ondeggiando su un fianco. Nella sua mente e tra i tessuti del suo sistema nervoso, il breve ma intenso rapporto avuto con la Bestia era stato come un lampo luminoso. Quel riverbero non accennava a spegnersi. Nemmeno dopo aver giocato con un nativo di una tribù oceanica. Quel tizio avrebbe sborrato tutta la sera, solo guardandolo in quegli occhi cremisi. Ma Ad aveva pensieri solo per il Dio Pagano. Venne riportato alla realtà da un violento bussare alla porta. Il cuore cominciò a martellargli, furioso, nel petto.
E se fosse stato lui?
Si alzò di scatto e si lanciò ad aprire la porta.
Stine aveva avuto tutta lintenzione di frustare a sangue quello stronzetto impudente, per poi trascinarlo nella sua suite. Ma vederlo lì, sulla soglia, nudo e stupendo, lo bloccò. Per quanto avesse unalta opinione di sé e una reputazione degna di essere chiamata tale, il Padrone non aveva mai avuto occasione di osservare Schiavi DAlto Borgo così da vicino. In realtà, non gli era nemmeno mai interessato scoparsi esemplari di tal fatta. Ma quel ragazzo, ecco, quel ragazzo era tutta unaltra storia. Il diretto interessato, però, non contraccambiava affatto il sentimento. Infatti, una volta capito che non si trattava della Bestia, sbatté la porta sui cardini così forte da far tremare gli stipiti.
Il Padrone si ritrovò, suo malgrado, a bussare. Di nuovo.
Apri immediatamente, se non vuoi farlo sapere a chiunque, intimò, seccato.
Ad scoppiò a ridere. Ma chi credeva di essere, quel vecchio? Sticazzi se anche tutta la nave fosse accorsa alla sua cabina. Riacchiappò il cuscino e lo strinse più di prima. Ricordandosi di come quelluomo lo avesse fatto venire in un modo così devastante, iniziò a toccarsi. I colpi sempre più insistenti e gli avvertimenti sempre più minacciosi non gli davano fastidio. La porta avrebbe retto contro un uragano e ciò gli bastava.
Oh, mio Dio, mugugnò, mentre pensava a quelle mani enormi che gli cingevano la vita. Doveva rivederlo. Era essenziale che lo trovasse. E in fretta, pure.
Vattene, non avvicinarti mai più a me, gli aveva detto, però, subito dopo. E Ad si rattristò. Poteva mica essere che fosse uno di quelli a cui piaceva conquistare la preda? Magari non apprezzava chi si concedeva subito, senza nemmeno essersi presentato. Ma non gli importava chissà tanto. Voleva sentire, di nuovo, tutto quel potere su di lui. Dentro di lui. Ad sapeva che nessuno, nemmeno un Dio Pagano, poteva rifiutare il piacere che lui era capace di offrirgli. Soprattutto una volta scoperto il suo potenziale. Avrebbe scommesso qualsiasi cosa che avrebbe voluto possederlo e dominarlo.
Stine si arrese. O, almeno, così sembrò al ragazzo.
Si sbagliava. Era solo andato alla Reception a chiedere una copia della chiave per poter entrare nella sua cabina. Ma Ad non poteva saperlo. E non gli poteva fregare di meno. Si infilò un paio di pantaloncini e corse fuori, alla ricerca della Bestia.
Quando Stine tornò, convinto di aver rovesciato la situazione, tentò -di nuovo- lapproccio del bussare. Nessuna risposta. Ridacchiando, usò il passe-partout ed entrò. Sfoggiando il suo miglior sorriso da-stronzo, ovviamente.
Ma non vide nessuno. Doveva essersi nascosto, il micetto. Iniziò, quindi, ad ispezionare ogni angolo. Controllò perfino sotto il letto. Niente. Nothing. Rien. Nada. Ничего.
Afferrò la coperta sul letto. Si era già immaginato come avrebbe costretto quella giovane bellezza a succhiarglielo, per poi farlo piangere e implorare. Non poteva mica scoparsi un letto vuoto! Per quanto tempo ancora quella puttana doveva farglielo odorare?! In preda alla rabbia, gettò per aria qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Finché, esausto, non si sdraiò sul materasso. Odorava di Ad. Odorava di desiderio. E Stine si calmò. Dopotutto, quel rizzacazzi sarebbe dovuto rientrare allovile. Prima o dopo.
E lui sarebbe stato lì, pronto, ad aspettarlo.
***
Ad non aveva la minima idea di dove cercare la Bestia. Sperava di trovarlo, di nuovo, sul Ponte Principale. Lultima volta, stava osservando lOceano. Ma era buio e cera ben poco da vedere. Il ragazzo si appoggiò, comunque, alla balaustra. Dove mai poteva essere?
***
Al era sdraiato per terra, accanto al giaciglio di Aletta. Gli aveva concesso una coperta, ma non un materasso. La verità? A lui andava benissimo. Da solo, a contatto col pavimento gelido, nell'oscurità, era molto più facile sognare. Soprattutto dopo che il corpo dell'amante dei suoi sogni aveva acquisito caratteristiche più che reali, giusto quella mattina.
***
Ti ho preso, bastardo, sibilò qualcuno alle sue spalle. Ad si sentì afferrare da dietro, per poi essere spinto in un angolo. Si divincolò e riuscì a vedere chi fosse laggressore. Amir. Non aveva dubbi. Stine non si era arreso manco per niente. Anzi, aveva chiamato i rinforzi. Quello si mise a mordicchiargli la nuca. Come se bastasse a fermarlo! Allungò una mano, alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa che potesse usare come arma. La trovò. Subito, la roteò sul polso e la spinse indietro, colpendo luomo allo stomaco. Il ragazzo, in realtà, mirava allinguine. Ma dovette accontentarsi, visto che il risultato fu il medesimo. Si liberò dalla stretta e vide cosaveva effettivamente usato. Una paletta, di quelle con cui si raccoglie la sabbia, ma doro massiccio. Non ebbe il tempo di ammirarne la fattura perché Amir stava tornando allattacco. Quindi, gliela conficcò nella coscia. Di nuovo, aveva mirato allinguine. Ma chissà perché non riusciva proprio a fare centro. Non perse tempo a pensarci e si lanciò dritto verso la sua cabina.
Le molestie, in sé e per sé, non gli davano fastidio. Non lo avevano mai turbato. Sembrava attirarle molto più degli Schiavi, certo, ma lui non lo era. Però, nessuno sembrava capirlo. Firokami, tutto sommato, gli piaceva. Ci si era trasferito solo per frequentare lUniversità. Era nato e cresciuto nellIsola di Kee-Niu. Si era laureato a pieni voti e avrebbe potuto diventare molto ricco, se avesse voluto. Ma i Kee-Niani avevano altri valori. Lingotti, gioielli, sete e merletti gli provocavano lorticaria. Lui era abituato a vestirsi di Sole e di Vento. Alle mani di quegli uomini, preferiva le carezze dellacqua e dellerba. Uscire dal campus universitario fu unimpresa. Anche se laureato, gli insegnanti non volevano proprio lasciarlo andare. Una bellezza come la sua, così esotica, non era facilmente rimpiazzabile. Ma unorda di nuovi bellissimi giovani arrivò in Città giusto nel periodo della sua sessione e riuscì a mascherare la sua etnicità.
Così, riacquistò la sua Libertà. Non solo. Avendo finito perfettamente in corso e primo del suo anno, ricevette anche un generoso premio di Laurea dalla stessa Firokami. Era definitivamente libero. Tutta quella gente che voleva renderlo uno Schiavo era a dir poco ridicola. Se avesse voluto, loro sarebbero stati i suoi Schiavi. Ma a lui non importava nulla di dominio e sottomissione. Era, comunque, il prezzo da pagare per vivere lontano da casa. Non si curava di ciò, si limitava a guardare e passare.
Una volta raggiunta la sua cabina, si accorse che cera qualcuno al suo interno. Sbirciò e vide Stine, addormentato, nel suo letto.
Patetico.
Sollevò gli occhi al cielo, esasperato. Girò i tacchi e attraversò il corridoio. Direzione, la cabina del Capitano della nave.
Il Comandante Stor stava già dormendo, quando bussò. Poteva essere uno dei suoi sottoposti. O la sua ninfetta. Oppure un passeggero. A ogni modo, doveva alzarsi. Quando aprì la porta, ciò che vide gli mozzò il fiato. Una meravigliosa creatura ciondolava sulla soglia. Laveva già notato, quel ragazzo. Forse si trattava dellamante di qualche Corifeo? Decisamente sì, uno così bello doveva essere uno Schiavo Di Lusso.
Sì? gli sorrise luomo.
Ad gli si avvicinò e, nella sua migliore interpretazione di Lady Macbeth, cinguettò, Oh, Capitano! Mio Capitano! Aiutatemi! Cè un uomo nella mia cabina! Nel mio letto! Ho tanta, tanta paura! Non ho trovato nessuna guardia! Avrei chiesto a loro, prima di disturbare Voi, ma non sapevo a chi altri rivolgermi! Vi prego!
Non aggiungere altro! Mi vesto subito! esclamò il Capitano.
Una brava persona? Mamifacciailpiacere! Non vedeva lora di buttare fuori qualcuno dalla sua nave. E a calci in culo, per di più. Tutto, pur di accaparrarsi la gratitudine di un Corifeo. Magari, lo avrebbe fatto ringraziare personalmente dal suo adorabile Schiavo.
Oh, grazie! Grazie, mio Capitano! Mio eroe! cinguettò, ancora, il ragazzo.
Stor si vestì alla velocità della luce. Poi, una volta cinte le delicate spalle di Ad con un braccio, lo condusse attraverso il corridoio.
Vediamo un po chi è che ha sbagliato stanza.
Stine era ancora addormentato. Ancora per poco. Venne bruscamente svegliato da uno spintone.
Indignato, era pronto a farla pagare a chiunque avesse osato. Ma non ne ebbe il tempo.
Ehi! Cosè che ti credi di fare nella cabina di questo ragazzo? urlò il Comandante, indicando Ad. Non avere paura, figliolo. Probabilmente ha solo alzato un po troppo il gomito e si è confuso. Non è vero, compare?
Lho chiusa a chiave, prima di uscire. Me lo ricordo perfettamente, disse, innocente, quellesotica bellezza.
Stine si sedette sul letto e, con tutta la nonchalance del Mondo, si accese una sigaretta. Stor lo guardava, scioccato.