Tranquilla Cittadina Di Provincia - Stefano Vignaroli 8 стр.


«Eri da sola a disegnare graffiti. Tre sconosciuti, con i volti coperti, hanno tentato di violentarti, ti hanno somministrato droga, ti hanno scottato con le sigarette, ti hanno strappato di dosso le mutande. A un certo punto sei riuscita a scappare e raggiungere la strada, barcollando in preda ai fumi della droga. Un'auto è sopraggiunta, ti ha investito e l'autista non si è fermato. Sei stata presa dalla fiancata dell'auto solo di striscio, cosicché hai riportato lievi lesioni. Io e Damiano siamo sopraggiunti in seguito, ti abbiamo visto in terra e ti abbiamo soccorso, non ci avevi mai visto prima.»

Mentre diceva queste parole, finì di inocularle la droga. Maria Lucia fece cenno col capo di aver capito e scivolò non nel sonno, ma in uno stato di oblio provocato dall'eroina. Luca era molto eccitato e avrebbe desiderato approfittare di quello stupendo corpo, prima di prendere il cellulare e chiamare il 118.

«Un'occasione simile non si presenterà più», pensò. «Del resto, se trovassero tracce di sperma, sarebbe avvalorata la teoria dello stupro.»

Già stava per slacciarsi i pantaloni, quando si diede del deficiente.

«Un'eventuale prova del DNA potrebbe incastrarmi, stupido che sono!»

Diede il tocco finale alla sua improvvisata opera d'arte strappando un bottone al camice di Maria Lucia, in modo che uno dei seni rimanesse bene in evidenza. Poi raccolse mutandine, bottone e cicca della sigaretta che aveva fumato, e infilò il tutto dentro un piccolo sacchetto di plastica che andò a nascondere nel vano della ruota di scorta della Mercedes. Mentre chiamava i soccorsi con il cellulare, ricomparve Damiano, che ripose la scala, dopo averla accorciata completamente, infilandola nell'auto attraverso il portellone posteriore. Quando vide come Luca aveva conciato la ragazza, impallidì e per poco non svenne. Luca lo rassicurò e istruì anche lui su come doveva essere raccontata la versione dei fatti.

«Lascia parlare me, e limitati a confermare quanto io dirò. Andrà tutto bene, vedrai!»

Nel giro di qualche minuto giunse l'ambulanza, seguita a breve da una pattuglia della polizia. Gli agenti riconobbero i ragazzi che, una volta liberatisi delle tute sporche di vernice, erano comuni ragazzi di famiglie bene, vestiti in polo Lacoste e Jeans Giorgio Armani, come qualsiasi ragazzo del loro giro che esce d'estate, un'estate che peraltro stava ormai volgendo al termine, per passare la serata in qualche locale della riviera. I ragazzi raccontarono quanto stabilito e si fecero sottoporre alla prova del palloncino con tutta tranquillità.

«Ok, ragazzi, il vostro tasso alcolico è a posto e non siete fatti di droga. Credo proprio che abbiate fatto il vostro dovere soccorrendo questa poveraccia», disse uno dei due poliziotti. «Andate a casa ora, ma presentatevi domattina in Questura per la vostra deposizione. Chiedete del Dottor Olivieri, che vi prenderà a verbale.»

Stavano per risalire in auto, quando uno dei due agenti notò la scala all'interno della Mercedes.

«Cosa ci fate con quella?»

A Damiano il cuore fece un tuffo. Non era bravo a improvvisare scuse e a imbastire bugie. Sentiva che quei due agenti li avrebbero potuti smascherare in un millesimo di secondo.

«Nulla di particolare, agente. Abbiamo organizzato una festa di compleanno a casa di un nostro amico, e ci è servita per metter su i festoni decorativi», fu svelto a rispondere a tono Luca.

Dopo quella notte non avrebbero mai più incontrato Maria Lucia. Damiano e Luca si diressero a casa, mentre la pattuglia, a lampeggianti accesi, raggiunse rapidamente il Pronto Soccorso dell'Ospedale Regionale di Ancona.

Erano le dieci della mattina successiva quando Maria Lucia riprese conoscenza in un letto della divisione di Ematologia della Clinica Universitaria presso l'Ospedale Regionale di Ancona, un enorme complesso che accoglie anche la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Politecnica della Marche. La spalla era dolorante, ma era stata sistemata e le era stato applicato un tutore, mentre alla caviglia aveva una benda elastica. Quello che la ragazza non si spiegava era perché fosse stata ricoverata in quell'ambiente asettico, con un'infermiera al suo fianco pronta a cacciarle almeno un litro di sangue con una siringa enorme, piuttosto che nel reparto di ortopedia, come sarebbe stato ovvio. Non era la vista della siringa che la rabbrividiva, ma il segreto che poteva essere svelato dall'esame del suo sangue e di cui sapeva di dover essere custode.

«Mi oppongo al prelievo. Sono una testimone di Geova», si inventò sul momento. «Togliendo del sangue dal mio corpo se ne andrebbe parte del mio spirito.»

«Balle!», replicò un giovane medico appena entrato nella stanza. «È la prassi. Dobbiamo verificare che tipo di droghe ti sono state somministrate. E inoltre abbiamo bisogno di tutti i tuoi parametri ematici, per poterti curare a dovere.»

Così dicendo fece un cenno a un infermiere dall'enorme stazza, dai folti capelli e la barba nera, il quale immobilizzò la donna con le sue possenti braccia, al fine di permettere alla sua collega di eseguire il prelievo.

«Voglio fare una telefonata. Ho il diritto di fare una telefonata. Datemi il mio cellulare.»

«Io faccio solo il mio dovere. La polizia è qui fuori della porta. Fra pochi secondi ne parlerai con gli agenti», fu la secca replica del giovane medico.

Il Dottor Giannini strappò di mano la provetta all'infermiera e si precipitò in laboratorio, preparò degli strisci su alcuni vetrini e allestì alcune colorazioni. Mise poi l'unico vetrino non colorato sotto la lente del microscopio per osservarlo a fresco.

«È incredibile! È pieno di nanomacchine, di nanobot che si muovono in maniera autonoma, come se fossero dotati di un motore proprio. Da quello che ho appreso fino a oggi, a questi risultati non si sarebbe potuti pervenire se non fra altri due decenni. Il Professor Whu, all'ultimo convegno di Zurigo sulle nanotecnologie, è stato chiaro e ha parlato del 2029 come data possibile per poter vedere qualcosa di simile. E invece...»

In pochi istanti realizzò quanto doveva fare. Innanzitutto chiamò il tecnico di laboratorio che lo aveva avvertito di aver osservato quegli strani corpuscoli nello striscio di sangue mandato dal Pronto Soccorso la notte precedente.

«Mio caro Sergio, ti chiedo un favore», e mentre parlava compilava un assegno con su scritta la somma di diecimila Euro. «Tu non hai mai visto niente su quel vetrino. Dammi la tua parola e scriverò il tuo nome su questo assegno. Hai tutto da guadagnare, soprattutto se non vorrai farmi domande. In più posso farti un'altra promessa... Tu sei laureato in Biologia, e lavori qui come tecnico di laboratorio, ruolo molto inferiore a quello a cui potresti aspirare. Fra tre mesi ci sarà il concorso per il Dottorato di Ricerca e io sono in commissione, credo che potresti partecipare e anche risultare il vincitore!»

Sergio, che non poteva riuscire a capire il senso della sua scoperta, né quanto potesse valere in soldoni, anche se di sicuro era molto più di quanto il suo superiore gli stava offrendo, pensò a sua moglie, ai suoi due pargoli, al mutuo della casa, al miserevole stipendio che percepiva a fine mese, e annuì col capo, accettando l'offerta. Afferrò l'assegno e se ne andò con la coda tra le gambe.

Fin qui era stato facile. Ma adesso doveva agire con la massima circospezione, appropriandosi della cartella clinica della Brandi, che doveva trafugare dallo studio del suo primario, ma soprattutto mettendosi in contatto con il Professor Whu senza lasciare tracce evidenti. Era certo che la sua scoperta sarebbe stata apprezzata e pagata profumatamente dal professore giapponese.

Facendo un rapido calcolo, si rese conto che in quel momento in Giappone erano le sette di sera. Se fosse stato fortunato avrebbe trovato ancora il Professore in clinica. Aveva i suoi numeri, sia quello privato, che quello diretto del suo studio al ventitreesimo piano della clinica Hirohito di Kyoto. Ma come chiamarlo? Inoltrare la chiamata dal cellulare avrebbe significato, oltre la spesa non indifferente, lasciare una traccia indelebile sui tabulati della sua utenza mobile. Dal centralino dell'Ospedale, pensò, partivano ogni giorno centinaia di telefonate dirette ad altre cliniche sparse in tutto il mondo, e sarebbe stato molto difficile individuare la sua telefonata in mezzo alle altre, se a qualcuno fosse venuto in mente di farlo. In fin dei conti, una consulenza telefonica con un luminare di un'altra nazione, rientrava nei costi e nella normale routine della ricerca scientifica. Piuttosto che comporre il numero, dovendo farlo precedere dal suo codice personale, decise di far lavorare il centralinista.

«Devo chiamare l'Ospedale di Kyoto per conto del primario, il Professor Gabrielli.»

«Un interno in particolare?»

«No, chiami il centralino e passi la linea nello studio del Professore.»

Il Professor Gabrielli era in visita in quel momento. Non appena sentì squillare il telefono nella stanza del primario, digitò un codice sulla tastiera del suo apparecchio telefonico, in modo tale da riprendere la telefonata dal suo studio. Un piccolo trucco per mescolare un po' le carte.

Alla voce che rispondeva in un incomprensibile giapponese, il Dottor Giannini oppose una frase in Inglese.

«I'd like to speak with Professor Whu.»

La voce a migliaia di chilometri di distanza si adeguò alla lingua con cui veniva apostrofata, e rispondeva nel medesimo idioma, con accento diverso a quello con cui aveva parlato l'italiano, ma comprensibile alle orecchie di quest'ultimo.

«Dai tabulati delle presenze, vedo che il professore ha passato il badge in entrata questa mattina alle otto e non è ancora uscito dall'ospedale. Provo a passarglielo.»

«L'efficienza giapponese!», pensò il medico italiano. «Se fossi stato io qui alle sette di un sabato sera, nessun centralinista al mondo mi avrebbe inoltrato una chiamata.»

Dopo qualche secondo di attesa con il sottofondo di una nenia giapponese, il Professore rispose.

«Hallo?»

«Professor Whu? Sono il Dottor Marco Giannini, dall'Italia. Ci siamo conosciuti all'ultimo convegno di Zurigo sulle nanotecnologie applicate alla medicina. Ricorda?»

«Oh, come no? Il bamboccione italiano!» Il professore parlava l'idioma italico, ma utilizzava alcune parole pensando che suonassero bene e dessero colore al discorso, senza neanche immaginarne il loro significato offensivo.

Il Dottor Giannini gli espose a grandi linee la sua scoperta.

«Sei il solito cazzone. Vuoi farmi credere che i nanobot presenti nel sangue di quella donna sono capaci di utilizzare l'idrogeno, ricavato dall'acqua presente nei liquidi organici, come propulsore per spostarsi in maniera autonoma da un sito all'altro dell'organismo? Fantascienza pura! E chi ce li avrebbe messi dentro il corpo della tua paziente, E.T. in persona, per caso? Possiamo concludere qui il discorso, mio caro mangiaspaghetti!»

«Aspetti, professore. Ho ottenuto un video al microscopio elettronico e glielo invierò via e-mail. Ma quello che è più sorprendente è che al pronto soccorso alla paziente hanno riscontrato scottature provocate da sigarette. Quando l'ho esaminata io, solo dopo poche ore, la pelle della donna era del tutto integra, non c'era alcuna traccia di scottature o lesioni di sorta.»

Il professore cominciò a cambiare atteggiamento nei suoi confronti.

«Vorrei esaminare la paziente di persona. Prenderò il primo volo per l'Italia e sarò lì domani in serata. Tu devi solo fare in modo che la donna non lasci l'ospedale!»

«Non so se ci riuscirò. Se la Polizia non ha motivi per trattenerla e la Brandi si riprende bene, in giornata sarà dimessa...»

«Falla trattenere, corrompi i poliziotti, so che in Italia non è difficile. Io arrivo prima possibile.»

Il professore chiuse la comunicazione.

«Chissà perché all'estero credono che siamo tutti mafiosi», pensò Marco tra sé e sé. «Però qualche aggancio in Questura lo ho. Tentar non nuoce.»

Chiamò la Questura e si fece passare la sovrintendente Gualandi, una sua vecchia fiamma dei tempi del liceo.

1 FESTA IN VILLA

28 Maggio 2010

Le sette di sera di un tranquillo venerdì di fine maggio. Avevo finito di impartire le ultime raccomandazioni alla baby-sitter, una giovane studentessa universitaria, che all'apparenza tutto sapeva fare tranne che trattare con i bambini, mentre Stefano stava tirando fuori dalla rimessa l'auto di lusso, una Mercedes classe E berlina color grigio metallizzato, tutta tirata a lucido.

Al suono del clacson, mi affrettai a congedare la ragazza e precipitarmi in cortile.

«Questi consessi mondani sono una cosa che odio», disse Stefano, concentrato sulla guida. «Come odio quest'auto, che dovrebbe rappresentare lo status symbol di una certa categoria sociale, costituita da professionisti e piccoli imprenditori, che devono apparire in società più che essere apprezzati per come svolgono il loro mestiere. Anche se appartengo alla stessa categoria, sai bene che non mi ci trovo in mezzo a loro. Stasera ci sarà tutta l'élite della città, immagino, a partire da Sindaco e Assessori vari, alcuni noti avvocati, alcuni baroni della medicina, il Notaio Criscuoli, e via dicendo.»

Mentre parlava, prese una strada a senso unico che costeggiava le antiche mura medioevali della città, in salita per la Costa del Montirozzo, per sboccare poco più a valle di Porta Bersaglieri, dove, in dei piccoli giardinetti, trovava posto il monumento dedicato a Federico II di Hohenstaufen. Imboccò poi Via Bersaglieri e da lì si portò in Via Nazario Sauro per proseguire in Via Mura Occidentali. In un punto in cui la strada correva a ridosso delle mura castellane, notai dei lavori. Era stato aperto un varco a forma di arco nelle mura, gli antichi mattoni erano stati accatastati su un lato, e intorno all'apertura si notavano dei tubi corrugati di plastica, di quelli per far passare i cavi dell'elettricità. Un tabellone indicava estremi della concessione edilizia, inizio e termine dei lavori e ditta appaltatrice, riportando a caratteri cubitali il nome del progetto: VIVERE IL CENTRO STORICO.

Mi rivolsi al mio compagno, chiedendo lumi.

«È un vero scempio. Cosa diavolo ci vogliono realizzare?»

«Una scala mobile, o un ascensore, credo, per raggiungere con facilità Piazza Federico II, attraverso il vecchio Palazzo Pianetti, che fino a qualche decennio fa ospitava le carceri. Solo che è tutto fermo perché subito dietro le mura hanno trovato dei reperti archeologici che risalgono all'epoca romana. E non è stato scoprire l'acqua calda! La parte storica di questa città sorge esattamente sopra il tracciato del Castrum realizzato dai Romani, che giunsero qui circa nel 300 Avanti Cristo, dopo aver sconfitto la coalizione di Umbri, Etruschi e Sanniti nella battaglia del Sentino. Proprio in questa zona, in prossimità del complesso di San Floriano, c'era un'enorme cisterna per l'approvvigionamento idrico della città di Aesis. La cisterna funzionava da riserva d'acqua anche per le Terme, che erano situate nella zona compresa fra Piazza Federico II e Porta Bersaglieri. Ancora oggi la zona è individuata da due strade che si chiamano, per l'appunto, Via delle Terme e Vicolo delle Terme.»

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