Луна и костры. Прекрасное лето / La luna e i falo. La bella estate. Книга для чтения на итальянском языке - Чезаре Павезе 2 стр.


Nuto saccorse che ridevo e disse subito: Te ne conto una. Avevo un musicante, Arboreto, che suonava il bombardino. Faceva tante serenate che di lui dicevamo: Quei due non si parlano mica, si suonano

Questi discorsi li facevamo sullo stradone, o alla sua finestra bevendo un bicchiere, e sotto avevamo la piana del Belbo, le albere che segnavano quel filo dacqua, e davanti la grossa collina di Gaminella, tutta vigne e macchie di rive. Da quanto tempo non bevevo di quel vino?

 Te lho già detto, dissi a Nuto, che il Cola vuol vendere?

 Soltanto la terra? disse lui. Stai attento che ti vende anche il letto.

 Di sacco o di piuma? dissi tra i denti. Sono vecchio.

 Tutte le piume diventano sacco, disse Nuto. Poi mi fa: Sei già andato a dare unocchiata alla Mora?

Difatti. Non cero andato. Era a due passi dalla casa del Salto e non cero andato. Sapevo che il vecchio, le figlie, i ragazzi, i servitori, tutti erano dispersi, spariti, chi morto, chi lontano. Restava soltanto Nicoletto, quel nipote scemo che mi aveva gridato tante volte bastardo pestando i piedi, e metà della roba era venduta.

Dissi: Un giorno ci andrò. Sono tornato.

III

Di Nuto musicante avevo avuto notizie fresche addirittura in America quanti anni fa? quando ancora non pensavo a tornare, quando avevo mollato la squadra ferrovieri e di stazione in stazione ero arrivato in California e vedendo quelle lunghe colline sotto il sole avevo detto: «Sono a casa». Anche lAmerica finiva nel mare, e stavolta era inutile imbarcarmi ancora, cosí mero fermato tra i pini e le vigne. «A vedermi la zappa in mano», dicevo, «quelli di casa riderebbero». Ma non si zappa in California. Sembra di fare i giardinieri, piuttosto. Ci trovai dei piemontesi e mi seccai: non valeva la pena aver traversato tanto mondo, per vedere della gente come me, che per giunta mi guardava di traverso. Piantai le campagne e feci il lattaio a Oakland. La sera, traverso il mare della baia, si vedevano i lampioni di San Francisco. Ci andai, feci un mese di fame e, quando uscii di prigione, ero al punto che invidiavo i cinesi. Adesso mi chiedevo se valeva la pena di traversare il mondo per vedere chiunque. Ritornai sulle colline.

Ci vivevo da un pezzo e mero fatto una ragazza che non mi piaceva piú da quando lavorava con me nel locale sulla strada del Cerrito. A forza di venire a prendermi sulluscio, sera fatta assumere come cassiera, e adesso tutto il giorno mi guardava attraverso il banco, mentre friggevo il lardo e riempivo bicchieri. La sera uscivo fuori e lei mi raggiungeva correndo sullasfalto coi tacchetti, mi prendeva a braccio e voleva che fermassimo una macchina per scendere al mare, per andare al cinema.

Appena fuori della luce del locale, si era soli sotto le stelle, in un baccano di grilli e di rospi. Io avrei voluto portarmela in quella campagna, tra i meli, i boschetti, o anche soltanto lerba corta dei ciglioni, rovesciarla su quella terra, dare un senso a tutto il baccano sotto le stelle. Non voleva saperne. Strillava come fanno le donne, chiedeva di entrare in un altro locale. Per lasciarsi toccare avevamo una stanza in un vicolo di Oakland voleva essere sbronza.

Fu una di quelle notti che sentii raccontare di Nuto. Da un uomo che veniva da Bubbio. Lo capii dalla statura e dal passo, prima ancora che aprisse bocca. Portava un camion di legname e, mentre fuori gli facevano il pieno della benzina, lui mi chiese una birra.

 Sarebbe meglio una bottiglia, dissi in dialetto, a labbra strette.

Gli risero gli occhi e mi guardò. Parlammo tutta la sera, fin che da fuori non sfiatarono il clacson. Nora, dalla cassa, tendeva lorecchio, si agitava, ma Nora non era mai stata nellAlessandrino e non capiva. Versai perfino al mio amico una tazza di whisky proibito. Mi raccontò che lui a casa aveva fatto il conducente, i paesi dove aveva girato, perché era venuto in America. Ma se sapevo che si beve questa roba Mica da dire, riscalda, ma un vino da pasto non cè

 Non cè niente, gli dissi, è come la luna.

Nora, irritata, si aggiustava i capelli. Si girò sulla sedia e aprí la radio sui ballabili. Il mio amico strinse le spalle, si chinò e mi disse sul banco facendo cenno allindietro con la mano: A te queste donne ti piacciono?

Passai lo straccio sul banco. Colpa nostra, dissi. Questo paese è casa loro.

Lui stette zitto ascoltando la radio. Io sentivo sotto la musica, uguale, la voce dei rospi. Nora, impettita, gli guardava la schiena con disprezzo.

 È come questa musichetta, disse lui. Cè confronto? Non sanno mica suonare

E mi raccontò della gara di Nizza lanno prima, quando erano venute le bande di tutti i paesi, da Cortemilia, da San Marzano, da Canelli, da Neive, e avevano suonato suonato, la gente non si muoveva piú, sera dovuta rimandare la corsa dei cavalli, anche il parroco ascoltava i ballabili, bevevano soltanto per farcela, a mezzanotte suonavano ancora, e aveva vinto il Tiberio, la banda di Neive. Ma cera stata discussione, fughe, bottiglie in testa, e secondo lui meritava il premio quel Nuto del Salto

 Nuto? ma lo conosco.

E allora lamico disse a me chi era Nuto e che cosa faceva. Raccontò che quella stessa notte, per farla vedere agli ignoranti, Nuto sera messo sullo stradone avevano suonato senza smettere fino a Calamandrana. Lui li aveva seguiti in bicicletta, sotto la luna, e suonavano cosí bene che dalle case le donne saltavano giú dal letto e battevano le mani e allora la banda si fermava e cominciava un altro pezzo. Nuto, in mezzo, portava tutti col clarino.

Nora gridò che facessi smettere il clacson. Versai unaltra tazza al mio amico e gli chiesi quando tornava a Bubbio.

 Anche domani, disse lui, se potessi.

Quella notte, prima di scendere a Oakland, andai a fumare una sigaretta sullerba, lontano dalla strada dove passavano le macchine, sul ciglione vuoto. Non cera luna ma un mare di stelle, tante quante le voci dei rospi e dei grilli. Quella notte, se anche Nora si fosse lasciata rovesciare sullerba, non mi sarebbe bastato. I rospi non avrebbero smesso di urlare, né le automobili di buttarsi per la discesa accelerando, né lAmerica di finire con quella strada, con quelle città illuminate sotto la costa. Capii nel buio, in quellodore di giardino e di pini, che quelle stelle non erano le mie, che come Nora e gli avventori mi facevano paura. Le uova al lardo, le buone paghe, le arance grosse come angurie, non erano niente, somigliavano a quei grilli e a quei rospi. Valeva la pena esser venuto? Dove potevo ancora andare? Buttarmi dal molo?

Adesso sapevo perché ogni tanto sulle strade si trovava una ragazza strangolata in unautomobile, o dentro una stanza o in fondo a un vicolo. Che anche loro, questa gente, avesse voglia di buttarsi sullerba, di andare daccordo coi rospi, di esser padrona di un pezzo di terra quantè lunga una donna, e dormirci davvero, senza paura? Eppure il paese era grande, ce nera per tutti. Cerano donne, cera terra, cera denari. Ma nessuno ne aveva abbastanza, nessuno per quanto ne avesse si fermava, e le campagne, anche le vigne, sembravano giardini pubblici, aiuole finte come quelle delle stazioni, oppure incolti, terre bruciate, montagne di ferraccio. Non era un paese che uno potesse rassegnarsi, posare la testa e dire agli altri: «Per male che vada mi conoscete. Per male che vada lasciatemi vivere». Era questo che faceva paura. Neanche tra loro non si conoscevano; traversando quelle montagne si capiva a ogni svolta che nessuno lí si era mai fermato, nessuno le aveva toccate con le mani. Per questo un ubriaco lo caricavano di botte, lo mettevano dentro, lo lasciavano per morto. E avevano non soltanto la sbornia, ma anche la donna cattiva. Veniva il giorno che uno per toccare qualcosa, per farsi conoscere, strozzava una donna, le sparava nel sonno, le rompeva la testa con una chiave inglese.

Nora mi chiamò dalla strada, per andare in città. Aveva una voce, in distanza, come quella dei grilli. Mi scappò da ridere, allidea se avesse saputo quel che pensavo. Ma queste cose non si dicono a nessuno, non serve. Un bel mattino non mi avrebbe piú visto, ecco tutto. Ma dove andare? Ero arrivato in capo al mondo, sullultima costa, e ne avevo abbastanza. Allora cominciai a pensare che potevo ripassare le montagne.

IV

Nemmeno per la Madonna dagosto Nuto ha voluto imboccare il clarino dice che è come nel fumare, quando si smette bisogna smettere davvero. Di sera veniva allAngelo e stavamo a prendere il fresco sul poggiolo della mia stanza. Il poggiolo dà sulla piazza e la piazza era un finimondo, ma noi guardavamo di là dai tetti le vigne bianche sotto la luna.

Nuto che di tutto vuol darsi ragione mi parlava di che cosè questo mondo, voleva sapere da me quel che si fa e quel che si dice, ascoltava col mento poggiato sulla ringhiera.

 Se sapevo suonare come te, non andavo in America, dissi. Sai comè a quelletà. Basta vedere una ragazza, prendersi a pugni con uno, tornare a casa sotto il mattino. Uno vuol fare, esser qualcosa, decidersi. Non ti rassegni a far la vita di prima. Andando sembra piú facile. Si sentono tanti discorsi. A quelletà una piazza come questa sembra il mondo. Uno crede che il mondo sia cosí

Nuto taceva e guardava i tetti.

 Chi sa quanti dei ragazzi qui sotto, dissi, vorrebbero prendere la strada di Canelli

 Ma non la prendono, disse Nuto. Tu invece lhai presa. Perché?

Si sanno queste cose? Perché alla Mora mi dicevano anguilla? Perché un mattino sul ponte di Canelli avevo visto unautomobile investire quel bue? Perché non sapevo suonare neanche la chitarra?

Dissi: Alla Mora stavo troppo bene. Credevo che tutto il mondo fosse come la Mora.

 No, disse Nuto, qui stanno male ma nessuno va via. È perché cè un destino. Tu a Genova, in America, va a sapere, dovevi far qualcosa, capire qualcosa che ti sarebbe toccato.

 Proprio a me? Ma non cera bisogno di andare fin là.

 Magari è qualcosa di bello, disse Nuto, non hai fatto i soldi? Magari non te ne sei neanche accorto. Ma a tutti succede qualcosa.

Parlava a testa bassa, la voce usciva storta contro la ringhiera. Fece scorrere i denti sulla ringhiera. Sembrava che giocasse. A un tratto alzò la testa. Un giorno o laltro ti racconto delle cose di qui, disse. A tutti qualcosa tocca. Vedi dei ragazzi, della gente che non è niente, non fanno nessun male, ma viene il giorno che anche loro

Sentivo che faceva fatica. Trangugiò la saliva. Da quando ci eravamo rivisti non mi ero ancora abituato a considerarlo diverso da quel Nuto scavezzacollo e tanto in gamba che cinsegnava a tutti quanti e sapeva sempre dir la sua. Mai che mi ricordassi che adesso lavevo raggiunto e che avevamo la stessa esperienza. Nemmeno mi sembrava cambiato; era soltanto un po piú spesso, un po meno fantastico, quella faccia da gatto era piú tranquilla e sorniona. Aspettai che si facesse coraggio e si levasse quel peso. Ho sempre visto che la gente, a lasciarle tempo, vuota il sacco.

Ma Nuto quella sera non vuotò il sacco. Cambiò discorso.

Disse: Sentili, come saltano e come bestemmiano. Per farli venire a pregar la madonna il parroco bisogna che li lasci sfogare. E loro per potersi sfogare bisogna che accendano i lumi alla madonna. Chi dei due frega laltro?

 Si fregano a turno, dissi.

 No no, disse Nuto, la vince il parroco. Chi è che paga lilluminazione, i mortaretti, il priorato e la musica? E chi se la ride lindomani della festa? Dannati, si rompono la schiena per quattro palmi di terra, e poi se li fanno mangiare.

 Non dici che la spesa piú grossa tocca alle famiglie ambiziose?

 E le famiglie ambiziose dove prendono i soldi? Fan lavorare il servitore, la donnetta, il contadino. E la terra, dove lhan presa? Perché devesserci chi ne ha molta e chi niente?

 Cosa sei? comunista?

Nuto mi guardò tra storto e allegro. Lasciò che la banda si sfogasse, poi sbirciandomi sempre borbottò: Siamo troppo ignoranti in questo paese. Comunista non è chi vuole. Cera uno, lo chiamavano il Ghigna, che si dava del comunista e vendeva i peperoni in piazza. Beveva e poi gridava di notte. Questa gente fa piú male che bene. Ci vorrebbero dei comunisti non ignoranti, che non guastassero il nome. Il Ghigna han fatto presto a fregarlo, piú nessuno gli comprava i peperoni. Ha dovuto andar via questinverno.

Gli dissi che aveva ragione ma dovevano muoversi nel 45 quando il ferro era caldo. Allora anche il Ghigna sarebbe stato un aiuto. Credevo tornando in Italia di trovarci qualcosa di fatto. Avevate il coltello dal manico

 Io non avevo che una pialla e uno scalpello, disse Nuto.

 Della miseria ne ho vista dappertutto, dissi. Ci sono dei paesi dove le mosche stanno meglio dei cristiani. Ma non basta per rivoltarsi. La gente ha bisogno di una spinta. Allora avevate la spinta e la forza Ceri anche tu sulle colline?

Non glielavevo mai chiesto. Sapevo di diversi del paese giovanotti venuti al mondo quando noi non avevamo ventanni che cerano morti, su quelle strade, per quei boschi. Sapevo molte cose, gliele avevo chieste, ma non se lui avesse portato il fazzoletto rosso e maneggiato un fucile. Sapevo che quei boschi serano riempiti di gente di fuori, renitenti alla leva, scappati di città, teste calde e Nuto non era di nessuno di questi. Ma Nuto è Nuto e sa meglio di me quel che è giusto.

 No, disse Nuto, se ci andavo, mi bruciavano la casa.

Nella riva del Salto Nuto aveva tenuto nascosto dentro una tana un partigiano ferito e gli portava da mangiare di notte. Me lo aveva detto sua mamma. Ci credevo. Era Nuto. Soltanto ieri per strada incontrando due ragazzi che tormentavano una lucertola gli aveva preso la lucertola. Ventanni passano per tutti.

 Se il sor Matteo ce lavesse fatto a noi quando andavamo nella riva, gli avevo detto, cosavresti risposto? Quante nidiate hai fatto fuori a quei tempi?

 Sono gesti da ignoranti, aveva detto. Facevamo male tutte due. Lasciale vivere le bestie. Soffrono già la loro parte in inverno.

 Dico niente. Hai ragione.

 E poi, si comincia cosí, si finisce con scannarsi e bruciare i paesi.

V

Fa un sole su questi bricchi, un riverbero di grillaia e di tufi che mi ero dimenticato. Qui il caldo piú che scendere dal cielo esce da sotto dalla terra, dal fondo tra le viti che sembra si sia mangiato ogni verde per andare tutto in tralcio. È un caldo che mi piace, sa un odore: ci sono dentro anchio a questodore, ci sono dentro tante vendemmie e fienagioni e sfogliature, tanti sapori e tante voglie che non sapevo piú davere addosso. Cosí mi piace uscire dallAngelo e tener docchio le campagne; quasi quasi vorrei non aver fatto la mia vita, poterla cambiare; dar ragione alle ciance di quelli che mi vedono passare e si chiedono se sono venuto a comprar luva o che cosa. Qui nel paese piú nessuno si ricorda di me, piú nessuno tiene conto che sono stato servitore e bastardo. Sanno che a Genova ho dei soldi. Magari cè qualche ragazzo, servitore comio sono stato, qualche donna che si annoia dietro le persiane chiuse, che pensa a me comio pensavo alle collinette di Canelli, alla gente di laggiú, del mondo, che guadagna, se la gode, va lontano sul mare.

Di cascine, un po per scherzo un po sul serio, già diversi me nhanno offerte. Io sto a sentire, con le mani dietro la schiena, non tutti sanno che me ne intendo mi dicono dei gran raccolti di questi anni ma che adesso ci vorrebbe uno scasso, un muretto, un trapianto, e non possono farlo. Dove sono questi raccolti? gli dico, questi profitti? Perché non li spendete nei beni?

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