“Questo non sta facendo del bene a nessuno,” Polly disse. “Dobbiamo riposare. Abbiamo bisogno di tornare a casa. Siamo tutti esausti.”
Caitlin prese in considerazione la decisione, e finalmente, dopo un lungo istante, annuì.
“Benissimo. Portaci a casa.”
*
Caitlin si sedette sul divano, mentre il sole tramontava, sfogliando un album che conteneva delle foto di Scarlet. La mente cominciò a vagare, ripensando a tutti i ricordi che riguardavano Scarlet nel corso degli anni. Caitlin fece scivolare il pollice sulle foto, desiderando, più di ogni altra cosa al mondo, di potere avere Scarlet con lei in quel momento. Avrebbe dato qualunque cosa, persino il suo cuore e la sua anima.
Caitlin tirò su la pagina strappata dal libro che aveva preso dalla libreria, l'antico rituale, quello che avrebbe salvato Scarlet, se solo Caitlin fosse tornata in tempo, quello che avrebbe curato la ragazza dal vampirismo. Caitlin fece la pagina a piccoli pezzi, e li gettò a terra. Atterrarono vicino a Ruth, il grande husky, che guaì e si accucciò accanto a Caitlin.
Quella pagina, quel rituale, che una volta avevano significato così tanto per lei, adesso erano davvero inutili. Scarlet si era già nutrita, e nessun rituale poteva salvarla ora.
Caleb, Sam e Polly erano anche loro nella stanza, ognuno perso nel proprio mondo; seduti sul divano o su una sedia, dormivano o erano mezzi addormentati. Rimanevano lì in profondo silenzio, tutti in attesa che Scarlet entrasse dalla porta – e tutti sospettavano che non sarebbe mai accaduto.
Improvvisamente, il telefono squillò. Caitlin saltò, e lo afferrò, con mano tremante. Fece cadere il ricevitore diverse volte, per poi finalmente tirarlo su e portarlo all'orecchio.
“Pronto, pronto, pronto?” lei disse. “Scarlet, sei tu? Scarlet!?”
“Signora, sono l'Agente Stinton,” rispose una voce maschile.
Il cuore di Caitlin sprofondò, quando capì che non si trattava di Scarlet.
“La chiamo per informarla che non abbiamo ancora alcun segno di sua figlia.”
Le speranze di Caitlin svanirono. Strinse il telefono più forte, disperata.
“Non ci state provando abbastanza,” la donna disse, fremendo di rabbia.
“Signora, stiamo facendo tutto ciò che possiamo—”
Caitlin non attese il resto della risposta del poliziotto. Riagganciò il telefono, un grosso apparecchio degli anni '80, lo afferró, staccò il cavo dal muro, lo tirò su al di sopra della sua testa, e lo scaraventò a terra.
Caleb, Sam e Polly saltarono tutti in piedi, destati bruscamente dal sonno, guardandola, come se fosse pazza.
Caitlin guardò il telefono e capì che forse stava impazzendo davvero.
Caitlin uscì dalla stanza, aprì la porta sul grande porticato anteriore, e andò a sedersi su un dondolo. Era l'alba, e faceva freddo, ma a lei non importava. Si sentiva insensibile al mondo.
Si strinse forte le braccia sul petto, e si dondolò e dondolò nella fresca aria di novembre. Guardò verso la strada vuota, che si estendeva illuminata dalla prima luce del giorno, non c'era anima viva in giro, nessuna automobile si muoveva, tutte le case erano ancora buie. Ogni cosa era immobile. Una strada suburbana perfettamente silenziosa, non si muoveva una foglia, ogni cosa appariva pulita, proprio come doveva essere. Perfettamente normale.
Ma niente, Caitlin lo sapeva, era normale. Improvvisamente, lei odiò quel luogo che aveva amato per anni. Odiò la quiete; odiò la tranquillità; odiò l'ordine. Avrebbe dato qualunque cosa pur di avere il caos, rompendo la quiete, ottenendo suoni, movimento, ma soprattutto il ritorno di sua figlia.
Scarlet, lei pregò, mentre chiudeva gli occhi, che le si riempirono di lacrime, torna da me, piccola. Ti prego, torna da me.
CAPITOLO CINQUE
Scarlet Paine si sentì fluttuare nell'aria; le sembrò di avvertire il battito di un milione di piccole ali nelle sue orecchie, mentre si sentì sollevare più in alto, sempre più in alto. Guardò davanti a sé e capì che veniva trasportata da uno stormo di pipistrelli, un milione di pipistrelli, che la circondavano, afferrandola dalla parte posteriore della camicia e portandola con sé in aria.
Scarlet venne trasportata in alto, attraverso la più bella alba che avesse mai visto, tra le nuvole sparse nel cielo color arancio in fiamme. Non capiva che cosa stesse accadendo, ma, in qualche modo, non era affatto spaventata. Sentiva che quegli animali la stavano portando da qualche parte, mentre gridavano e volavano tutti intorno a lei. La sorreggevano in aria nel cielo e si sentiva come se fosse una di loro.
Prima che Scarlet potesse elaborare che cosa stesse accadendo, i pipistrelli la misero giù, gentilmente, davanti al castello più grande che avesse mai visto. Era circondato da antiche mura di pietra e l'avevano posata proprio davanti ad un'immensa porta ad arco. I pipistrelli volarono via e poi sparirono davanti ai suoi occhi.
Scarlet era ferma davanti alla porta, che si aprì, lentamente. Una luce ambrata fuoriuscì dall'apertura e Scarlet si sentì invitata ad entrare.
Attraversò la soglia della porta, superò la luce ed entrò nella stanza più grande che avesse mai visto. All'interno, allineato in perfetta attenzione, di fronte a lei, c'era un intero esercito di vampiri, tutti vestiti di nero. Lei volse lo sguardo su di loro, comportandosi come se fosse il loro leader.
Come un'unica entità, tutti sollevarono i palmi e li batterono contro il petto.
“Hai dato vita ad una nazione,” esclamarono tutti insieme, come se fossero una sola voce, che riecheggiò sulle pareti. “Hai dato vita ad una nazione!”
I vampiri emisero un grosso grido, e, in quel momento, Scarlet si sentì soddisfatta: sentiva che, finalmente, aveva trovato la sua gente.
Gli occhi di Scarlet si aprirono, quando si svegliò al suono del vetro infranto. Si ritrovò a faccia in giù, riversa sul cemento, con le guance contro il pavimento, freddo, bagnato e umido. C'erano delle formiche che camminavano verso di lei, e lei mise i suoi palmi sul duro cemento, si tirò su, e le scacciò via.
Scarlet aveva freddo, era dolorante, e il collo e la schiena le dolevano perché aveva dormito appunto in una posizione scomoda. Soprattutto, si sentiva disorientata, spaventata perché non riconosceva il luogo in cui si trovava. Era sotto un piccolo ponticello, riversa sulla pavimentazione sotto di esso, mentre il sole albeggiava sopra di lei. Si sentiva odore di urina e di birra sgasata laggiù, e Scarlet vide che il cemento era tutto segnato da graffiti; mentre studiava la zona, vide lattine di birra vuote, rifiuti, aghi usati. Si rese conto di essere in un brutto posto. Si guardò intorno, battendo le palpebre, e non aveva alcuna idea di dove fosse, o di come ci fosse finita.
Si sentì di nuovo il rumore di vetri rotti, accompagnato da quello di qualcuno che camminava trascinando i piedi, e Scarlet si voltò rapidamente, con i sensi in stato di allerta.
A circa tre metri di distanza, c'erano quattro vagabondi vestiti di stracci, che sembravano ubriachi o sotto l'effetto di droghe – o intendevano semplicemente fare violenza. Erano uomini più anziani di lei e non sbarbati, che la guardavano come se fosse il loro giocattolo, con sorrisi lascivi sui loro volti, rivelando svariati denti gialli e guasti. Ma erano forti, lei poteva vederlo, robusti e alti; mentre si avvicinavano, uno di loro lanciò una bottiglia di birra, scaraventandola sotto il ponte, e Caitlin seppe in un istante che le loro intenzioni non erano gentili.
La ragazza provò a ricordare come fosse finita in quel posto. Era un luogo in cui non avrebbe mai provato ad addentrarsi. Ci era stata portata? La sua prima idea era che, forse, era stata stuprata; ma abbassò lo sguardo, e vide che era completamente vestita, e capì che non le era accaduto niente di simile. Si sforzò, provando a ricordare la notte precedente.
Ma era completamente confusa. Scarlet ricordava gli eventi, frammentati: un bar sul lato della Route 9 … una lite … Ma era tutto fin troppo annebbiato. Non riusciva a rammentare i dettagli.
“Sai di essere sotto il nostro ponte, giusto?” uno dei vagabondi disse, mentre tutti si avvicinavano sempre di più. Scarlet mosse freneticamente mani e ginocchia, e si alzò in piedi, affrontandoli, non intendendo voler apparire spaventata.
“Nessuno viene qui senza pagare il pedaggio,” un altro disse.
“Mi dispiace,” lei disse. “Non so come sono arrivata qui.”
“Hai commesso un errore,” intervenne un altro dei vagabondi, con una profonda voce gutturale, sorridendole.
“Per favore,” Scarlet disse, provando a sembrare dura; ma aveva la voce rotta mentre indietreggiava, “Non voglio problemi. Sto andando via adesso. Mi dispiace.”
Scarlet si voltò per andarsene, con il cuore che le batteva forte nel petto, quando improvvisamente, sentì qualcuno correre, e poi sentì un braccio intorno alla gola, proprio un coltello alla gola, e sentì il cattivo alito di birra sulla sua faccia.
“No, tesoro,” lui disse. “Non abbiamo neanche cominciato a conoscerci.”
Scarlet lottò, ma l'uomo era troppo forte per lei, la sua barba corta le graffiava la guancia, mentre strofinava la sua faccia contro la sua.
Presto, gli altri tre apparvero davanti a lei, e Scarlet gridò, mentre si dimenava, per poi sentire delle mani viscide scorrere lungo il suo stomaco. Uno di loro raggiunse il suo giro vita.
Scarlet si dimenava e contorceva, provando a scappare—ma quelli erano troppo forti. Uno di loro si allungò, le tolse la cintura, e la gettò via, e lei sentì il rumore del metallo che cadeva sul cemento.
“Vi prego, lasciatemi andare!” Scarlet urlò, mentre si divincolava.
Il quarto vagabondo si allungò e le afferrò i jeans, per la vita e cominciò ad abbassarglieli, provando a sfilarglieli. Scarlet sapeva che, nell'arco di pochi istanti, se non avesse fatto nulla, le avrebbero fatto del male.
Scattò qualcosa dentro di lei. Non capiva di che cosa si trattava, ma la sopraffece completamente, un'energia la inondò, dalla testa ai piedi, passando dalle gambe fino al petto. La ragazza sentì come una sorta di calore ustionante, colpire spalle, braccia, finendo fino alla punta delle dita. Il suo viso divenne arrossato, tutti i peli le si sollevarono, e Scarlet sentì come un fuoco bruciare dentro di lei. Provò una forza che non comprendeva, che la fece sentire più forte di tutti quegli uomini, più forte dell'intero universo.
Poi, ci fu dell'altro: una rabbia primordiale. Era una nuova sensazione. Non intendeva più scappare via – ma ora, voleva restare lì e farla pagare a quegli uomini. Distruggerli, da un arto all'altro.
E infine, sentì ancora un'altra cosa: fame. Una fame profonda e incredibile, che le fece venir voglia di nutrirsi.
Scarlet si piegò all'indietro e ringhiò, un verso che spaventò persino lei; i canini si allungarono, mentre si piegava indietro e diede un calcio all'uomo, che le stava per sfilare i jeans. Il calcio fu così feroce, che fece volare l'uomo in aria, a una buona distanza di sei metri, finché finì con la testa nel muro. L'uomo collassò, privo di sensi.
Gli altri indietreggiarono, rilasciando la presa, con la bocca aperta per lo shock e la paura, mentre stavano a guardare Scarlet. Sembrava che avessero realizzato di aver commesso davvero un grande errore.
Prima che potessero reagire, Scarlet saltò intorno e diede una gomitata all'uomo che la teneva, spaccandogli la mascella, e facendolo girare due volte, per poi cadere svenuto.
Scarlet si voltò, ringhiando e guardando gli altri due, come una bestia che osserva la sua preda. I due vagabondi se ne stavano lì, con gli occhi spalancati per il terrore, e Scarlet sentì un rumore, e vide uno di loro pisciarsi nei pantaloni.
Scarlet si abbassò, raccolse la sua cintura dal pavimento, e avanzò a caso.
L'uomo indietreggiò, pietrificato.
“No!” lui frignò. “Ti prego! Io non intendevo farlo!”
Scarlet balzò in avanti, e avvolse la cintura intorno al collo dell'uomo. Poi, lo sollevò con una sola mano, e lui stette in aria a penzoloni, ansimando, con la cintura che gli stringeva la gola. Lei lo tenne lì, oltre la sua testa, finché quello smise finalmente di muoversi e crollò a terra, morto.
Scarlet si girò e affrontò l'ultimo vagabondo, che stava piangendo, troppo spaventato persino per correre via. Le zanne si allungarono, lei avanzò e le affondò nella gola dell'uomo. Lui si agitò nella sue braccia, poi nell'arco di pochi istanti, giacque lì in una piscina di sangue, privo di vita.
Scarlet sentì un movimento veloce a distanza, e poi lei vide che si trattava del primo vagabondo che si stava risvegliando, lamentandosi, tornando lentamente in piedi. Lui la guardò, con gli occhi spalancati per la paura, e mosse rapidamente mani e ginocchia, provando a fuggire.
Lei si avvicinò rapidamente a lui.
“Ti prego, non farmi del male,” si lamentò, piangendo. “Non intendevo farlo. Non so che cosa sei, ma non intendevo.”
“Sono certa che sia così,” lei rispose, con una voce cupa, soprannaturale. “Proprio come io non intendo fare ciò che sto per farti.”
Scarlet lo afferrò dalla parte posteriore della sua camicia, lo fece girare, e poi lo lanciò con tutta la forza di cui era dotata—proprio in alto.
L'uomo finì per volare come un missile, andando a sbattere sotto il ponte, con testa e spalle scaraventate nel cemento, e fuoriuscendo dall'altra parte, col rumore dei detriti che cadevano ovunque, mentre lei lo fece volare a metà strada attraverso il ponte. Lui era appeso lì, bloccato, con le gambe penzolanti.
Scarlet corse in cima al ponte con un solo balzo, e poi lo vide, con la parte superiore del dorso bloccato, mentre urlava, con testa e spalle esposte, incapace di muoversi. Ondeggiava, provando a liberarsi.
Ma non ci riuscì. Era un bersaglio perfetto, per qualunque auto si trovasse a passare di là.
“Fammi uscire di qui!” lui la pregò.
Scarlet sorrise.
“Forse la prossima volta,” lei disse. “Goditi il traffico.”
Scarlet si voltò e balzò, volando in cielo, mentre il suono delle urla dell'uomo diveniva sempre più lontano e lei volava sempre più in alto, lontano da quel posto, non avendo alcuna idea di dove fosse, sebbene non le importasse più. Aveva una sola persona in mente: Sage. Il suo volto le apparve davanti agli occhi, il suo mento perfettamente scolpito, le sue labbra, i suoi occhi profondi. Poteva percepire il suo amore per lei. Che lo ricambiava.
Non sapeva più dove fosse la sua casa in quel mondo, ma non le importava, purché potesse stare con lui.
Sage, lei pensò. Aspettami. Sto arrivando da te.
CAPITOLO SEI
Maria era seduta con le amiche su un pezzo di zucca, odiando la vita, così gelosa di tutte loro. Tutte sembravano avere un ragazzo tranne lei. E quelle che non ce l'avevano sembravano avere davvero un buon giro di amiche, che le circondava.
Maria si sedette su una pila di zucche, Becca e Jasmine al suo fianco, e non sapeva più quale fosse il suo posto. Maria aveva una forte comitiva, che pensava sarebbe durata per sempre, indistruttibile, tutte e quattro, lei, Becca, Jasmin e, naturalmente, la sua migliore amica Scarlet. Erano inseparabili. Se una di loro non aveva un ragazzo, le altre erano sempre lì per lei. Lei e Scarlet si erano giurate di non litigare mai, di frequentare lo stesso college, di essere damigella d'onore ai matrimoni reciproci, e di vivere sempre a dieci isolati di distanza l'una dall'altra.
Maria era stata così sicura delle sue amiche, di Scarlet, di tutto.
Poi, nelle ultime settimane, ogni cosa si era improvvisamente rotta, senza alcun preavviso. Scarlet le aveva sottratto Sage, proprio sotto gli occhi, l'unico ragazzo per cui Maria aveva perso la testa, dopo tanto tempo. Il volto di Maria si fece rosso, ricordando l'ingiustizia subita; Scarlet l'aveva fatta sembrare così stupida. Era ancora così arrabbiata con lei per questo, e non pensava che sarebbe mai riuscita a perdonarla.