«Stai calmo!» gli urla l’uomo sulla scala dopo aver ringraziato il Cielo, lo aveva già visto schiantarsi al suolo. «Tieniti forte e non agitarti, tra un momento sarò lì!»
Un mormorio trepidante si leva dalla strada per salire fino a lui, per un attimo Franco prova la tentazione di lasciarsi andare per cadere addosso a quei maledetti curiosi e spiaccicarne più che può. Ormai sono radunati lì sotto da un pezzo, immobili, attendono come avvoltoi che lui si schianti al suolo oppure che il pompiere lo salvi, per poi applaudire come tanti idioti al circo. Franco li invidia, sa che comunque andranno le cose, per loro ogni soluzione sarà buona. In ogni casa, tornando a casa avranno qualcosa da raccontare e un video da mostrare sullo smartphone. Guardando di sottecchi verso il salone vede la macchina per scrivere, appoggiata sul tavolo. Bella. Immobile. Lucida. E’ maledetta si dice per l’ennesima volta, poi comincia a ricordare.
CAPITOLO II
L’INCIDENTE AL LAVORO
Fine Luglio. Faceva caldo, nel cantiere. Troppo. Gocce scintillanti di sudore si riunivano in rivoli per scendere lungo i dorsi bronzei degli operai, e sulle loro fronti. Da lì scivolavano negli occhi, e bruciavano, e confondevano la vista. Era da poco terminata la pausa pranzo, un panino e una birra consumati all’ombra dei tubi prefabbricati di cemento che trasmettevano un tenue e illusorio senso di freschezza. L’aria era immobile, nonostante ci fossero ovunque uomini indaffarati, il saltuario crepitare del martello pneumatico rompeva un silenzio quasi innaturale. Franco Amore era il consulente tecnico di una azienda che installava infissi e la sua vita scorreva sui binari della tranquillità, senza troppe salite né facili discese. Aveva una moglie giovane con la quale fare ancora progetti e due figli con cui giocare, credeva nel bene e nell’amore, nella forza dei sogni e della fantasia. Per lui erano qualcosa di speciale, era convinto che l’amore sia l’unica cosa che rende veramente libero un uomo, che gli permette di essere sé stesso e di vivere le sue passioni. E ne aveva soprattutto una, di passione: la corsa. Amava correre a piedi nudi sulla sabbia come sull’erba, perché il contatto con il terreno morbido gli dava la sensazione di essere parte di quel mondo, a volte incomprensibile, che gli girava intorno. Il profumo dell’aria salmastra o dell’erba bagnata, respirato la mattina presto, erano per lui inebrianti almeno quanto un buon bicchiere di vino in compagnia degli amici. Come tutti i giorni Franco era sul ponteggio, a controllare che i lavori procedessero secondo le direttive impartite, ma quel pomeriggio percepiva nell’aria qualcosa di strano: il Sole cocente sembrava aver seccato esageratamente le tavole sporche di cemento, i tubi innocenti arrugginiti dell’impalcatura, tenuti insieme dai bulloni di ottone lucido, bruciavano più del solito.
Ancora pochi giorni, poi finalmente sarò al mare. Mi sento un po’ diverso dal solito, ma deve essere per via di questo caldo spietato. Devo resistere ancora un poco, stava pensando per darsi forza, ma appena ebbe terminato di formulare questa riflessione ebbe un giramento di capo. Mise un piede in fallo e cadde giù dal ponteggio.
«Avete preso tutto?» domandò Franco al più grande dei figli mentre li aiutava a caricare le valigie in auto.
«Stai tranquillo,» intervenne sua moglie Silvia anticipando il bambino, «abbiamo controllato tutto almeno dieci volte. È tutto a posto, possiamo dare il via al count-down…»
«E allora perché continuate a perdere tempo? Non voglio che siate ancora per strada quando farà buio!» la rimproverò Franco, lei distolse lo sguardo e sospirò.
«La stiamo tirando in lungo perché lasciarti qui da solo non ci piace, siamo convinti che ti annoierai a morte» gli spiegò leggermente preoccupata lei mentre i figli annuivano.
«Ma quale noia e noia, potete stare certi che qualcosa mi inventerò! E poi intendo approfittare di questi giorni per riposare, gli ultimi tempi al lavoro sono stati davvero duri» replicò lui, ma notò che la sua risposta non li aveva convinti affatto. Allora sfilò dal portabagagli un retino da pesca e mimò la camminata di un vecchio col bastone. «In qualche modo me la caverò, anche se convalescente non sono ancora da casa di riposo» concluse, e finalmente i suoi figli risero. «Forza ora, entrate in macchina e partite!»
«Riguardati, e non fare sforzi, ricorda cosa ti ha detto il dottore» gli ripeté Sissi per l’ennesima volta.
«Stai tranquilla. Appena mi consegneranno i risultati delle analisi salterò sul primo treno e vi raggiungerò.»
«Verrai davvero?» gli domandò Giorgio, il figlio più piccolo.
«Certo che verrò! Cercate di divertirvi e non fate arrabbiare la mamma, e soprattutto non state in pensiero per me» rispose Franco. Poi tornò a rivolgersi alla moglie. «Fai la brava anche tu, vedi di non fare troppe conquiste, al mare. Guida con prudenza e chiamami appena arrivi.»
Un bacio attraverso il finestrino della macchina, una strizzata d’occhio e via. Dopo averli accompagnati con lo sguardo fino alla curva, Franco rientrò in casa.
Dunque, vediamo un po’: da mangiare e da bere ci sono, libri e giornali pure. Il frigorifero è ben fornito e le pile del telecomando sono nuove di zecca… dovrei essere a posto per un pezzo. Dopotutto stare un po’ da soli ogni tanto fa bene, chissà quando mi capiterà di nuovo si disse convinto Franco, sforzandosi di trovare l’aspetto positivo della situazione. Ma malgrado tutte le sue buone intenzioni, non ricordava più cosa volesse dire passare un’intera giornata senza scambiare una sola parola con qualcuno. E anche se non osava confessarselo, la cosa lo spaventava un po’. Infatti, proprio come aveva temuto, trascorsi appena due giorni cominciò ad accusare la noia. Era stufo di leggere riviste e aveva fatto il pieno di televisione, era un uomo attivo e non era abituato a stare fermo, specialmente se qualcuno o qualcosa lo aveva costretto. Più di una volta fu tentato di indossare canottiera e pantaloncini per farsi una corsetta, ma i medici glielo avevano decisamente sconsigliato e lui rinunciò, seppure a malincuore. Tentò una serie di telefonate agli amici, ma queste andarono tutte a vuoto perché in piena estate la città si era trasformata in un grande deserto, così la solitudine iniziò a farsi davvero pesante. Una sera, dopo un’altra intera giornata trascorsa a sonnecchiare davanti alla tivù scese in cantina e la mise sottosopra, alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse a trascorrere un po’ di tempo. Di colpo notò una macchina per scrivere, era seminascosta in un angolo basso di uno scaffale dietro un mucchio di cose inutili e coperta da un drappo di velluto di colore viola. Era tutta polverosa ed era tanto vecchia che le lettere sui tasti erano ormai quasi completamente cancellate.
Antica com’è deve avere un valore. Chissà come ci è finita, in questa cantina, magari era già qui quando abbiamo acquistato la casa… chissà se funziona ancora.
Felice di aver finalmente trovato qualcosa di quasi interessante a cui dedicarsi, L’indomani Franco smontò la macchina e trascorse l’intera giornata a pulirla, lucidarla e oliarla. Quando ebbe finito di rimontarla, arretrò di due passi per ammirare meglio il risultato del proprio lavoro. E’ proprio bella, ha il sapore delle cose antiche pensò soddisfatto. Immaginò uno scrittore seduto alla scrivania e una casa arrampicata sulla scogliera a picco sul mare, o magari un faro solitario piantato su uno scoglio in mezzo al mare. I cormorani e la luce di una candela, il rumore della risacca.
Chissà quali fantastiche storie hanno scritto con questo oggetto. Adesso che é tornata come nuova mi resta soltanto da collaudarla, fortuna che ho trovato anche i nastri con l’inchiostro in buone condizioni. Infilò un foglio bianco e verificò che tutti i tasti funzionassero. Soddisfatto del risultato si accese una sigaretta e prese una lattina di birra dal frigo, poi andò a stendersi in terrazza su un lettino da campeggio.
Ho fatto proprio un bel lavoro, ma purtroppo il divertimento è già finito. Dovrò escogitare alla svelta qualcos’altro per passare il tempo, altrimenti rischio di ammuffire considerò quasi preoccupato mentre si godeva il fresco della sera. Attraverso le sbarre della ringhiera punteggiate di ruggine osservò i bambini giù nei giardinetti, che correvano qua e là facendo a gara nel catturare lucciole. Lasciò correre lo sguardo sui palazzi, sulle finestre buie, sull’ombra fugace di qualche pipistrello. Infine si fissò ad osservare il cielo stellato mentre il canto dei grilli saliva fino a lui, accompagnando l’odore delle rose appena sbocciate.
Cosa posso fare? Ormai dormo poco, le giornate si stanno facendo sempre più interminabili. Ci penserò domani, adesso è ora di dormire.
Sulla scia delle sue riflessioni rientrò, diretto verso la camera, attraversando la sala passò davanti alla scrivania sulla quale aveva sistemato in bella mostra la macchina per scrivere e si fermò.
«Maledizione, che diavolo succede adesso?» grida il Vigile del Fuoco nella ricetrasmittente, sporgendosi a guardare i suoi colleghi dabbasso. La scala si era bloccata d’improvviso e aveva ondeggiato violentemente, se lui non avesse indossato la cintura di sicurezza sarebbe stato sbalzato giù dal contraccolpo.
«Abbiamo un problema… la cinghia di sicurezza gira a vuoto perché si è allentata una puleggia, mi serve qualche minuto per tirarla e stringere un paio di dadi» gli risponde una voce confusa nel gracchiare della radiolina.
«Qualche minuto? Io non ho qualche minuto, accidentaccio! Se non lo raggiungo subito, quell’uomo si lascerà cadere. Ha lo sguardo allucinato e ha appena gridato come un matto per cacciarmi via, mi sembra proprio che di cadere giù non gliene freghi niente. Vedi di muoverti, e intanto preparate il telone!»
«Il telone non c’è! L’hai mandato in manutenzione ieri, non te lo ricordi?» replica dopo qualche istante la voce dalla trasmittente.
«E nessuno ha pensato a mettere sul mezzo quello di scorta?» chiede incredulo il caposquadra sporgendosi ancora di più dalla scala, per frugare con gli occhi nel vano che solitamente ospitava il telone.
«A quanto pare no. Lo sai, in periodo di ferie c’è sempre confusione» mormora imbarazzata la voce nella radiolina, strappando un’altra imprecazione al Vigile del Fuoco. Torna a guardare l’uomo, che sta inesorabilmente scivolando verso il basso lungo stecche della ringhiera, le sue mani sudano a contatto col metallo e stentano a fare presa.
«Ehy» gli grida, Franco si volta a guardarlo distrattamente.
«Ehy, amico! Non mollare. Hai capito? Non mollare, mi raccomando. Tra poco sarò da te, devi soltanto tenere duro un altro po’. Tieni duro ancora un po’!» gli ripete, ma Franco non lo ascolta nemmeno. Gli risponde con un sorriso vago e incomprensibile, poi torna a fissare la macchina per scrivere e la pila di fogli dattiloscritti accatastati al suo fianco, il portacenere traboccante e la sedia girata con lo schienale verso la scrivania.
E’ cominciato tutto quella sera, quando mi sono seduto a quella dannata scrivania riprende a ricordare, mentre inconsapevolmente stringe forte le mani alla ringhiera viscida per non cadere.
Si, non c’è altra spiegazione: la macchina è maledetta…. e ormai è tardi… la punizione….
CAPITOLO III
LA PRIMA PAGINA
Quasi inconsciamente, come guidato da una forza misteriosa, Franco tolse il foglio imbrattato che aveva usato per provare la macchina e ne inserì uno pulito. Lo centrò per bene e cominciò a battere goffamente sui tasti, ripensando alla vista di cui si era compiaciuto poco prima.
CAPITOLO I (LA CASA DI CARPETTI)
Il cielo della sera era tanto pulito che le stelle si potevano quasi contare una ad una, mentre una mezza Luna affilata e lucente sembrava appesa a un filo invisibile, che andava a perdersi nell’infinito. Dalla finestra al terzo piano di un palazzone di periferia si notava, riflesso sulle tende, il baluginare delle immagini di un televisore. Era piccolo, in bianco e nero, di quelli rivestiti di plastica bianca con la classica antenna circolare attaccata sopra in modo sbilenco. Era poggiato sopra un massiccio mobile di colore marrone scuro, sul quale il tempo aveva impresso segni prepotenti. Accanto, una brutta statuetta di terracotta raffigurava chissà quale divinità africana.
Però, come inizio non è niente male. forse ho finalmente trovato la maniera di ingannare il tempo, si disse Franco rileggendo quello che aveva appena scritto. Ma dopo diversi fogli gettati nel cestino, e un altro paio di birre, allontanò la macchina per scrivere e si strofinò gli occhi, poi si alzò con uno scatto stizzito. Guardò l’orologio e decise di andare a dormire perché era già a corto di idee, come tutte le sere si addormentò con il pensiero rivolto alla moglie e ai bambini.
Le prime di lame di luce che filtravano dalle persiane lo sorpresero a fissare il soffitto, aveva un’espressione leggermente preoccupata sulla faccia dalla barba già un po’ troppo lunga.
Accidenti alle buone abitudini, non posso continuare a svegliarmi così presto! Se mi alzo adesso cosa mi metto a fare? si disse preoccupato. Allungò un braccio verso il comodino, prese l’ultima sigaretta dal pacchetto vuoto e lo accartocciò. Lo gettò a terra e guardò la piccola montagna di spazzatura che si era formata ai piedi del letto, si domandò se avesse voglia di raccoglierla e di andare fino in cucina per buttarla nella pattumiera. Si rispose di no con un’alzata di spalle e mise la sigaretta in bocca, si lasciò ricadere pesantemente e una volta disteso cercò di resistere alla tentazione di accenderla. Sto fumando troppo, è colpa della noia. Vorrei uscire un po’, ma con questo caldo devo essere prudente. Anche se si è trattato solo di un banale malore, non voglio rischiare di dover allungare questa convalescenza. I passerotti appostati sui cornicioni stavano salutando l’arrivo del nuovo giorno con una bella melodia e da là osservavano i movimenti giù in cortile, sapevano che di lì a qualche minuto l’anziana signora avrebbe buttato dalla finestra la loro colazione. E’ inutile, non riuscirò mai a riprendere sonno… è meglio se mi alzo si rassegnò dopo aver sperato per un po’ di riuscire a riaddormentarsi. Intanto, un senso di inquietudine si stava lentamente ma prepotentemente impadronendo di lui, aveva come la sensazione di aver lasciato qualcosa a metà ma non riusciva a ricordare cosa. Poco dopo era di nuovo seduto davanti alla macchina per scrivere con la sigaretta ancora spenta in bocca. Guardò a lungo la macchina, incerto, domandandosi se era davvero in grado di scrivere una storia. Squillò il telefono, quel suono improvviso a rompere il suo tentativo di concentrarsi lo disturbò. Per qualche istante pensò di non rispondere.
«Ciao, come state? … scusa, ero nel bagno» mentì storcendo la bocca, con gli occhi rivolti al soffitto. «Si, io sto bene, e voi? Vi state divertendo? Magnifico… passatemi la mamma… Allora, come ve la passate?… e i ragazzi? Si, io mi annoio da morire e sono ansioso di rivedervi….. ah ho una sorpresa per te… no, non te lo dico cos’è, altrimenti che sorpresa sarebbe? Va bene ci sentiamo presto… salutami i tuoi…”. tagliò corto, poi riattaccò il telefono e corse a sedersi, sbuffando ancora scocciato per quell’inattesa interruzione. Ho trovato: scriverò la storia di un uomo che vive solo si disse.