L'Ombra Del Campanile - Stefano Vignaroli 2 стр.


«Non metterti più sulla mia strada, la prossima volta potrei non riuscire a fermarmi.»

«Strega, ti denuncerò alle autorità. Sarai tu a finire bruciata viva. Sul rogo. Sulla pubblica piazza. E io starò a guardare mentre le fiamme ti consumeranno. Strega! Strega!»

Quelle parole le riportarono alla memoria l’esecuzione della strega Lodomilla, cui aveva assistito da bambina. Senza proferire altre parole e senza appellarsi di nuovo ai suoi poteri, Lucia si allontanò da quel luogo, sperando che l’eventuale racconto di Elisabetta non fosse stato preso sul serio e ritornò a casa, a Palazzo Baldeschi, un enorme fabbricato che si affacciava sulla Piazza del Mercato. Il palazzo era stato finito di ampliare da pochi anni, sulla base di una costruzione risalente a più di tre secoli prima, per volere di suo zio, il Cardinale Artemio Baldeschi, che era poi il fratello di sua nonna. La sontuosa dimora era ubicata tra la nuova chiesa di San Floriano e la Cattedrale. Quest’ultima era una stupenda chiesa in stile gotico, arricchita da bellissime guglie sulla facciata, dall’ampio interno a tre navate, capace di accogliere oltre duemila fedeli. Purtroppo era stata costruita sulla base del tempio di Giove e delle antiche Terme romane, senza che chi l’aveva a suo tempo edificata si fosse preoccupato troppo di fortificare le fondamenta. Per cui la costruzione era pericolante e si sarebbe dovuta abbattere per lasciare il posto a una nuova chiesa dedicata al patrono della città, San Settimio, le cui reliquie erano conservate nella cripta dell’antica cattedrale. Per ora, il Cardinale celebrava la Santa Messa ogni domenica nella chiesa di San Floriano, e aveva ottenuto anche che l’annesso convento, che doveva essere destinato ai frati dell’Ordine Domenicano, diventasse invece sede del Tribunale della Santa Inquisizione, essendo lui l’Inquisitore Capo. I Domenicani erano stati pertanto relegati in un convento più a valle, realizzato in una vecchia costruzione del dodicesimo secolo, in prossimità della chiesa di San Bernardo e del convento delle suore Clarisse della Valle.

A Lucia si strinse il cuore quando, dopo qualche giorno, fu convocata dallo zio Artemio nel suo studio, nell’altra ala del palazzo rispetto a quella abitata da lei e dalla sua nonna. Lo studio dello zio era una stanza enorme, arredata in maniera sfarzosa, le pareti arricchite da arazzi, il pavimento in parte ricoperto da un enorme tappeto. Un’intera parete era occupata da una libreria, contenente testi sacri e profani, manoscritti di pregevole fattura e alcuni testi stampati, tra cui una copia della Divina Commedia di Dante Alighieri, realizzata anni prima da Federico Conti nella sua stamperia jesina. Lucia avrebbe dato chissà cosa per poter consultare quei testi, ma le era stato sempre tassativamente proibito.

L’odore dei velluti che ricoprivano sedie e poltrone contribuivano a rendere l’aria della stanza pesante e irrespirabile, quasi al limite del soffocamento. Le finestre che si affacciavano sulla piazza permettevano al Cardinale di lanciare lo sguardo al cuore nevralgico della sua città, tenendo sotto controllo i suoi illustri concittadini, ma erano sempre chiuse in maniera ermetica, per impedire ai rumori della piazza e delle strade di disturbare la concentrazione del più alto prelato del luogo. La carica cardinalizia gli permetteva di poter essere al di sopra di ogni altro incarico politico, potendo impugnare anche qualsiasi decisione del Capitano del Popolo, che risiedeva nel non molto lontano Palazzo del Governo. Il potere conferitogli da Papa Alessandro VI, e confermatogli dai suoi successori, Pio III, Giulio II e Leone X, era infatti al tempo rispettato e temuto da tutte le altre autorità locali.

Il Cardinale offrì la mano inanellata alla nipote perché la baciasse, poi la invitò a sedersi in una delle imponenti seggiole disposte di fronte alla sua scrivania.

«Lucia, mia cara nipote, non sei più una bambina, ed è giunto il momento di trovare per te un uomo che sia un degno marito. Se nei tuoi pensieri non c’è nessun altro giovane, vorrei proporti il figlio del Capitano del Popolo, Andrea. Ha venti anni, è un bel giovane ed è bravo sia a cavalcare che a maneggiare le armi», si rivolse a lei, mentre puliva le lenti dei suoi occhiali di squisita fattura veneziana con un piccolo panno. In attesa che la giovane rispondesse, alitò di nuovo sulle lenti, le sfregò con il panno e quindi inforcò gli occhiali, fissando il suo sguardo penetrante negli occhi di Lucia.

Il Cardinale, quasi sessantenne, a parte i capelli grigi, era una persona ancora forte, robusta, dalla figura alta e slanciata; gli occhi marroni dallo sguardo acuto spiccavano sulla pelle chiara del viso, che nonostante l’età non appariva ancora solcata da rughe evidenti. Solo in quei rari momenti in cui sorrideva si formavano, ai lati degli occhi, delle zampe di gallina. Lucia sapeva che non era di certo quello il motivo per cui era stata convocata, e cercava di penetrare nella mente dello zio per sapere cosa in effetti volesse, ma i pensieri di lui erano sigillati dietro barriere invisibili e molto resistenti. La nonna l’aveva avvertita, lo zio Artemio faceva parte della famiglia e, come tutti i suoi membri, era dotato di poteri, forse più forti di quelli di tutti loro. Eppure, all’apparenza e agli occhi del popolo, egli aveva dedicato la sua vita a combattere la stregoneria e l’eresia.

«Se è uno stregone anche lui, perché combatte i suoi simili?», aveva chiesto un giorno Lucia alla nonna.

«Perché è dalla loro sconfitta che lui riesce ad aumentare i suoi poteri. Non girargli mai le spalle, non ti fidare mai di lui, se scoprisse che sei una creatura dai poteri forti, anche se sei sua nipote non esiterebbe a condannarti al rogo, e guardarti bruciare, mentre anche i tuoi poteri si trasferiscono a lui. Quando sei in sua presenza, non pensare, lui legge i tuoi pensieri, anche i più nascosti, e in più impedisce a te di leggere i suoi.»

Ed era vero! In quel momento Lucia stava sperimentando che non riusciva in alcun modo a penetrare nella sua mente, era come se non avesse pensieri, eppure ne doveva avere.

«Dovrei sapere se mi piace, conoscerlo e capire se posso innamorarmi di lui.»

«Innamorarsi, che parolona! Nelle famiglie nobili come la nostra ci si sposa in base a un contratto. La famiglia trova un buon partito per la ragazza e lei onorerà il marito che le è stato scelto. Ma voglio venirti incontro. Io e il Capitano del Popolo, Guglielmo dei Franciolini, organizzeremo una festa in cui avrete modo di conoscervi, tu e Andrea. E ora vai, ti farò sapere quando si terrà la festa.»

Senza ribattere, Lucia si era già alzata dalla sedia e stava per congedarsi, quando il Cardinale le rivolse ancora la parola.

«Ah, dimenticavo», disse, quasi fosse una cosa a cui non dava affatto importanza. «Mi hanno riferito che qualche giorno fa hai soccorso una tua compagna alla quale si erano incendiati gli abiti. Brava, noi Baldeschi dobbiamo distinguerci in questa città e far vedere che aiutiamo gli altri in ogni circostanza.»

In quel momento Lucia ebbe la percezione della mente dello zio che stava perlustrando gli angoli più remoti del suo cervello. Non riusciva ancora a imporsi di non pensare, ma cercò di ricordare la scena nel suo pensiero in maniera diversa da come era accaduta nella realtà. Ecco, Elisabetta si era avvicinata al falò che il Mastro tintore aveva acceso davanti alla sua bottega all’inizio della discesa del Fortino, per mettere a bollire il pentolone dell’acqua in cui avrebbe immerso i tessuti da tingere con i suoi colori sgargianti. Un lembo del saio della ragazzina era stato lambito dalle fiamme, che erano salite in un lampo ed erano giunte a bruciarle i capelli. Per fortuna, all’improvviso si era messo a piovere e Lucia, che passava di lì per caso aveva osservato la sua pelle arrossata e aveva tirato fuori dalla bisaccia un vasetto di unguento a base di Aloe e semi di lino, un rimedio naturale per le scottature che preparava la nonna.

«Brava, sono fiero di te!», ripeté il Cardinale.

Lucia uscì dalla stanza, sperando in cuor suo di aver buggerato lo zio, anche se non poteva esserne sicura.

Se sa davvero che sono una strega e ho poteri che lui potrebbe invidiarmi, che cosa farà? Mi terrà sotto controllo finché non sarà sicuro delle mie capacità per poi sbattermi senza pietà su un rogo e guardarmi morire tra le fiamme? Ma allora perché propormi un marito? Mah, forse questo è un gioco politico. Far sposare sua nipote con il figlio del Capitano del Popolo aumenterà ancora di più il suo potere temporale su questa città, in cui ancora troppi abitanti si proclamano ghibellini. Non mi stupirei che lo zio voglia accentrare su di sé sia il potere religioso che quello politico. Stai in guardia, Lucia, e non ti far abbindolare né dallo zio, né da questo giovane Andrea.

Avrebbe voluto saperne di più sul conto di Andrea, ancor prima di conoscerlo alla festa ufficiale. Chissà quando avrebbe avuto luogo questo evento? Se lo zio si era esposto, c’era da stare sicuri che non avrebbe tardato tanto a organizzarlo.

Immersa nei suoi pensieri, attraversò il lungo corridoio che la riportava verso l’ala del palazzo in cui abitava. In fondo al corridoio scese la scalinata, ritrovandosi a piano terra, nell’androne in corrispondenza del portone di ingresso. Avrebbe dovuto risalire la scala di fronte a lei per raggiungere i suoi appartamenti. Alla sua destra, attraverso una porta di legno, si poteva accedere alle stalle. Morocco, il suo stallone preferito, percepì la sua presenza e nitrì per salutare la ragazza, che fu tentata di spingere la porta quel tanto che bastava per infilarsi dentro e andare a elargire una carezza al nero destriero. Ma la sua attenzione fu attratta da un’altra porticina in legno, che conduceva ai sotterranei del palazzo. Di solito quella porta era sprangata, ma quel giorno era stranamente socchiusa. La nonna l’aveva avvertita più di una volta di non avventurarsi nei sotterranei. Laggiù era un labirinto, in cui era facile perdersi, rappresentato dalle strade e dalle stanze delle antiche costruzioni dell’epoca romana. Infatti tutti gli edifici più recenti poggiavano le loro fondamenta sulle antiche costruzioni romane. La curiosità di Lucia era troppo forte. Pensava che se quegli anfratti, quelli che ora erano cunicoli, gallerie e cantine, fossero stati un tempo abitati, gli spiriti degli antichi abitanti avrebbero potuto parlare con lei, raccontarle delle storie, confidarle le loro paure e i loro sentimenti. In fin dei conti il Palazzo Baldeschi sorgeva proprio in corrispondenza di quella che al tempo dei romani era l’acropoli, il foro, il centro commerciale e politico della città. Lì c’erano i templi, lì c’erano le Terme, poco più in là, dove adesso sorgeva il nuovissimo Palazzo del Governo, c’era un enorme anfiteatro; più vicino, in prossimità delle mura occidentali della città, la grande cisterna per l’approvvigionamento idrico.

Là sotto sarà buio pesto, pensò Lucia. Avrò bisogno di una fonte di luce.

Entrò nella stalla e fece due moine a Morocco, che reclamò la carota che la ragazza era solita portargli in dono. Lucia la tirò fuori dalle tasche e l’animale fu lesto a prelevarla con le labbra dalle sue mani. Carezzò il cavallo sul dorso del naso, cercando con lo sguardo una lanterna. La vide, la sganciò dal chiodo a cui era attaccata, controllò che fosse carica di olio, poi concentrò il suo sguardo sullo stoppino, che nel giro di pochi istanti prese fuoco. Regolò la fiamma al minimo, uscì dalla stalla e si avventurò giù per le sconnesse scale che si dirigevano verso le viscere della terra. Anche se la Terra era uno degli elementi su cui aveva il controllo, in quel momento ne aveva un po’ timore. Sembrava quasi che quella scala non dovesse finire mai, tanto era lunga. Ma forse era solo l’impressione di Lucia. Finalmente abbandonò con il piede l’ultimo gradino.


L’umidità era forte lì sotto, alla ragazza si stava ghiacciando il sudore addosso, e il fiato le si condensava in piccole nuvolette di vapore. Alzò la fiamma della lanterna. C’erano diversi corridoi, delimitati da antichi muri di pietre e rozzi mattoni. Uno, lunghissimo, si perdeva nel buio avanti a sé. La nonna le aveva detto che c’era un lungo passaggio che poteva essere utilizzato durante gli assedi, per oltrepassare le linee nemiche e procurare provviste per il popolo assediato e armi per i difensori della città. Tale passaggio fuoriusciva addirittura presso la residenza di campagna della famiglia Baldeschi, all’inizio della strada per Monsano, un centro situato a qualche lega di distanza da Jesi, e da sempre storico alleato della nostra città. Alla sua destra, un cunicolo sarebbe di certo arrivato in breve ai sotterranei della cattedrale, forse addirittura alla cripta che accoglieva le reliquie del Santo Settimio. Il cunicolo alla sua sinistra l’avrebbe potuta condurre alla base della chiesa di San Floriano, come all’antica cisterna romana. Chissà se quest’ultima era ancora piena d’acqua, si chiedeva Lucia. Decise di dirigersi alla sua destra, verso i sotterranei della Cattedrale e, in breve, si ritrovò in una piccola cappella squadrata. Quattro statue di marmo bianco, prive della testa, a mo’ di colonne, sorreggevano la volta a crociera della cappella. Con tutta probabilità erano statue che un tempo avevano abbellito le Terme romane. Private delle teste, che giacevano accatastate in un nascosto angolo buio, erano state utilizzate da chi aveva a suo tempo progettato la cattedrale, come colonne. Al centro della cappella, sotto la volta sorretta da arcate gotiche, un piccolo altare in pietra faceva come da cornice a una teca contenente le reliquie del primo Vescovo di Jesi, Settimio. Il Santo, come molti dei cristiani dell’epoca, era stato martirizzato per volere delle autorità romane. Il preside romano che governava la città di Jesi ne aveva ordinato la decapitazione, dopo che Settimio aveva convertito al cristianesimo gran parte della popolazione, compresa la figlia dello stesso governatore. Settimio era stato considerato un pericoloso nemico dell’Impero di Roma e giustiziato. Le ossa erano state trafugate dai primi Cristiani per salvarle dalla profanazione dei pagani, e nascoste così bene che per secoli e secoli nessuno seppe più dove fossero. Il Santo fu decapitato nel 304 e le sue spoglie mortali furono rinvenute solo dopo 1.165 anni addirittura in Germania. Pertanto erano state riportate in quel luogo di culto solo una cinquantina di anni prima.

Che strana l’umanità!, si disse Lucia. Lo stesso trattamento che i romani riservavano ai primi cristiani, che venivano perseguitati, adesso la Chiesa Cattolica sembra riservarlo a chi non la pensa come lei: chi si discosta dalla dottrina ufficiale viene tacciato di eresia e può finire ucciso nella pubblica piazza. Streghe, eretici, ebrei… vengono processati e messi al rogo, solo perché hanno magari il coraggio di manifestare le proprie idee e il proprio sapere. Mah, adesso la Chiesa se la prende con gli eretici, un domani, nel futuro, qualche altra fazione prenderà il sopravvento e magari saranno di nuovo i cristiani a essere perseguitati. Perché a questo mondo non ci deve essere giustizia? Qual è questo Dio che permette che nel mondo, ma soprattutto nel cuore dell’uomo, esista così tanta malvagità?

Mentre seguiva il corso dei suoi pensieri, una flebile lama di luce generata da un sole prossimo al tramonto riuscì a filtrare da una piccola finestra a bifora, situata in alto, in corrispondenza dell’abside della cattedrale sovrastante, andando a illuminare quella zona in cui erano accatastate le teste delle statue romane. L’attenzione di Lucia si soffermò su alcuni particolari che non era riuscita a notare prima, lì vicino a quelle teste scolpite nella pietra tanti secoli prima. Nel pavimento di terra battuta era stato disegnato una specie di pentacolo, diverso da quello che era solita vedere disegnato sulla copertina del diario di famiglia consegnatole tempo prima dalla nonna. Il disegno sembrava asimmetrico, rappresentava una stella a sette punte ricavata tracciando una linea continua all’interno di un cerchio. Ogni punta della stella intersecava un punto della circonferenza, in corrispondenza di ognuno dei quali c’erano delle scritte in caratteri ebraici, di cui Lucia non conosceva il significato. In corrispondenza di ognuno dei sette punti, era visibile la traccia di cera colata, lasciata da una candela che vi era stata accesa. Al centro della figura due bambole di pezza, realizzate con della paglia intorno alla quale erano stati avvolti dei vestiti in miniatura. Rappresentavano una donna anziana e una ragazza: gli abiti dell’anziana erano bruciacchiati, mentre la giovane aveva uno spillone infisso all’altezza del petto. Lucia ebbe un sussulto, il cuore prese a batterle all’impazzata, in un lampo aveva capito tutto. In quel luogo erano stati realizzati dei riti di magia nera, e le bambole rappresentavano lei e sua nonna. Era evidente che qualcuno le voleva vedere sofferenti, se non addirittura morte. Chi? Chi poteva essere? Una sola persona poteva essere scesa lì. La Chiesa sovrastante era ormai chiusa, interdetta ai fedeli da più di un anno, e quindi la cripta non poteva essere raggiunta dalla cattedrale. Il passaggio che aveva percorso lei era chiuso da una porta sempre sbarrata, e la chiave l’aveva solo suo zio, il Cardinale, l’Inquisitore capo Artemio Baldeschi. Certo, era troppo tempo che a Jesi non avevano luogo esecuzioni capitali, l’ultimo rogo era stato acceso sei anni prima, quello in cui aveva perso la vita Lodomilla. Adesso il Cardinale doveva placare la sua sete, la sua voglia di vittime, il suo desiderio di assistere alla sofferenza e alla morte davanti ai suoi occhi, sotto il suo sguardo. Già, perché al contrario della maggioranza degli inquisitori che, una volta pronunciata la condanna, consegnavano la vittima al braccio secolare della Legge, evitando di assistere al supplizio di coloro che avevano condannato, Artemio era solito presenziare all’esecuzione, in prima fila, a volte prendendo in mano la torcia e appiccando il fuoco alla catasta. Sembrava provasse un gusto sadico nel vedere la sua vittima contorcersi tra le fiamme, continuava a fissarla con i suoi occhi fino alla fine, e per un preciso motivo: catturare l’anima del condannato nel momento stesso in cui abbandonava il suo corpo mortale.

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