Per tutta la durata dellâincidente, Astrix non perse una battuta, né tradì esitazione alcuna.
Il dignitario con la catena tornò verso la fine dellâatto, con unâespressione scornata. Anchâio tornai al mio posto, e trovai un Gost Baran con unâaria molto meno soddisfatta di prima, benché gli applausi a Grendel, forse per fare dimenticare quelli tributati a Karmak, fossero stati abbondanti e insistenti.
Sentii il nostro capocomico consigliare agli altri di tagliare certe scene.
Lâatmosfera di tensione si allentò solo alla fine, quando Myrtilla (cioè Ergrid) morì. Forse per caso, o forse per calcolo, nel lasciarsi cadere la veste le si aprì lungo un fianco, e la fanciulla rimasse stesa sul palco con le gambe scoperte. Questa volta gli applausi mi parvero spontanei. Del resto il monologo finale era stato recitato in maniera quasi perfetta, con la giusta dose di strazio e rassegnazione, quantunque mancasse delle espressioni di perdono per lâex-sposo, e di ogni accenno ad un amore non ancora spento, come nell'originale (ma quale poteva dirsi l'originale?).
Calai il sipario. Mentre gli attori si apprestavano a ringraziare il pubblico, io uscii con un piattino per intercettare quelli che cercavano di svignarsela in anticipo. Non avevo modo di fare paragoni, ma non mi parve che le offerte fossero particolarmente generose.
Intravidi Gost Baran che parlava con i notabili, e Dumpy Dum che a sua volta raccoglieva lâobolo.
Quando tornai, Gost neppure guardò il denaro. Lo infilò in una borsa e disse: â Partiamo.
Gli altri si stavano già togliendo i costumi.
Mi toccò andare a prendere i cavalli, che erano stati messi in una stalla non lontana.
Quando tornai il carro era già stato caricato, in qualche maniera.
Aggiogammo i cavalli e partimmo. Le strade erano deserte e buie. Una lanterna accanto alla cassetta e una luna incerta ci aiutarono a ritrovare la strada. Due volte incontrammo una ronda. Baran mostrò loro una carta, che le guardie fecero finta di esaminare: forse non sapevano leggere, ma riconobbero il sigillo.
Raggiungemmo la porta opposta a quella da cui eravamo entrati. Lâufficiale di servizio lesse con attenzione, volle ispezionare il carro, ma rinunziò ben presto ad addentrarsi nella massa disordinata degli attrezzi di scena. Io osservavo tutto con unâansia che non sapevo spiegarmi, se non che la respiravo nellâaria.
Due guardie sollevarono la sbarra, che era di rovere largo un palmo. La porta si aprì lamentosamente. Uscimmo.
Solo quando la porta si fu richiusa alle nostre spalle, mi sentii di chiedere: â Perché tanta fretta? â (ma pur sempre con un sussurro) a Dumpy Dum, che camminava vicino a me.
Poi Baran, che sedeva a cassetta, sferzò i cavalli e noi tutti che seguivamo a piedi, perché a causa del disordine non câera posto sul carro, fummo costretti ad affrettare il passo fin quasi a correre, e la mia risposta dovette attendere.
Per la seconda volta lasciavo una città di notte.
(24) I CACCIATORI
â Ma noi che colpa potevamo avere?
â Si erano preparati, non ti pare? Dovevano saperlo in anticipo.
â Avevamo attaccato manifesti per tutta la città ! â Dumpy Dum alzò le spalle, o immagino che lo facesse, nel buio.
â I nuovi regimi sono sempre sospettosi. â Dopo un istante aggiunse: â E anche quelli vecchi.
Sebbene fosse trascorsa da tempo la mezzanotte, il carro non si era ancora fermato. Procedeva lento sulla strada tortuosa e in salita, in una notte appena rischiarata dalle stelle, fra le colline a sud di Larissa.
â Gost ha paura che ci inseguano?
â Che ci ripensino â rispose laconico il nano.
Ad una lega dalla città , il nostro impresario aveva abbandonato la strada maestra, quella che conduceva ad oriente, verso il regno di Ichomene, per imboccare un viottolo che, sospettavo, neppure lui conosceva bene, perché ad ogni bivio o incrocio si fermava, e poi aveva lâaria di riprendere il cammino a caso.
â Dove stiamo andando?
â Credo che voglia trovare la strada per il mare.
Il mare!
Allâalba, ci eravamo appena svegliati, ricevemmo la visita di due cacciatori. Apparvero nel nostro campo come un lento manifestarsi di ombre e di foglie e di rocce, finché non assunsero forma umana. Uno era anziano e piccolo e nodoso. Lâaltro giovane e piccolo e magro. Non dissero una parola. Il primo ci porse una sorta di collana: uccelli infilati per il collo in un giunco, già spennati.
Gost Baran, con notevole prontezza di spirito, li ringraziò e fece segno a Myrtilla di tirare fuori le nostre provviste, quel poco che câera. Invitò i due cacciatori a sedersi. Il più giovane, con poche mosse, risveglio di muovo le fiamme dalle ceneri della notte. Myrtilla infilò gli uccelli in uno spiedo, insieme a dei pezzi di lardo, e li pose sul fuoco; poi tagliò il pane e del formaggio che aveva acquistato a Larissa la sera prima. Baran cavò da un nascondiglio del carro una bottiglia di vino e la stappò con sussiego, come avevo visto a fare da certi camerieri nelle locande dei cortili ricchi di Morraine.
I due non dissero nulla, mentre gli uccelli rosolavano. Ringraziarono con cenni del capo per il vino e il pane, bevvero, aspettarono. Avvolti nei loro mantelli grigio-verdi, assomigliavano a quei cacciatori che venivano a Morraine nei giorni di mercato.
Risposero ad una sola domanda: i loro nomi. Riskrill il vecchio, Paradin il giovane. Ben presto, anche la loquacità di Baran si arrese.
Una sola volta si mossero: il vecchio sfiorò con la mano il polso del suo compagno più giovane, con lâaltra indicò un punto sopra la cima di certi alberi. Dopo qualche battito di cuore, un uccello dalla lunga coda bianca si alzò in volo.
Mangiammo. Del primo uccello, Riskrill gettò nel fuoco la testa, si lanciò alle spalle le ossa, seppellì in un buco praticato in terra con un dito il fegato. Paradin lo imitò con cura.
Il giovane era seduto vicino a me.
â Perché? â chiesi, senza molta speranza di ricevere una risposta. Ma forse il cibo e il vino, oppure lâesecuzione della cerimonia, avevano rotto la consegna del silenzio.
â Per conciliare. Il loro spirito â rispose. La sua voce era bassa, leggermente roca, come il fruscio del vento fra le foglie secche. Mi venne in mente che era come il suo mantello: adatta a confondersi con il bosco. â Lo spirito degli animali. Ha quattro forme. Fuoco. Aria. Terra. Acqua â aggiunse inaspettatamente.
Ci misi un momento a capire. Ma... â Acqua? â chiesi, parlando anchâio a voce bassa.
â La saliva â rispose lui.
Il ragazzo aveva più o meno la mia età . â à tuo padre?
â No. Maestro.
â Come faceva a sapere che quellâuccello si sarebbe levato?
â Il maestro è un grande cacciatore. Conosce la natura degli animali. â E dopo una pausa, a voce ancora più bassa: â Un giorno anchâio sarò un grande cacciatore.
Osservai il giovane Paradin con una certa invidia. Lui sapeva cosa sarebbe diventato. O almeno cosa voleva diventare. Il suo sguardo incrociò il mio.
Baran disse: â Stiamo cercando la strada per il mare.
Riskrill disse: â Vi accompagneremo. Per un tratto.
â Da dove vieni? â chiesi a Paradin.
â Gaskill. à un piccolo villaggio. â Indicò una direzione. Non chiese da dove venissi io.
Notai un movimento con la coda dellâocchio. Riskrill si era alzato, senza produrre il più piccolo rumore. Paradin lo imitò dopo la pausa di un respiro.
Il vecchio indicò â Di lì. Vi raggiungeremo. Volete comprare cibo?
â Sì, certo! â disse Myrtilla.
I due se ne andarono senza voltarsi. Appena superati i primi alberi, svanirono del tutto alla nostra vista.
Due ore dopo, e una lega circa di strada, ad un crocevia: eccoli ad attenderci.
Paradin appoggiò a terra un involto di pelle. Lo srotolò. Carni rosse, scuoiate. Forse due lepri e qualche uccello che non riconobbi. Alcune radici e delle erbe, raccolte in mazzi.
Myrtilla si inginocchiò per guardare. â Quanto? â chiese.
Il maestro nominò una cifra, molto modesta. Baran lo pagò senza mercanteggiare, e Myrtilla mise cacciagione e vegetali in un cesto. Paradin riavvolse la pelle. I due presero per una delle strade e noi li seguimmo. Non si voltarono mai a guardarci, né ci rivolsero la parola. Di tanto in tanto si scambiavano occhiate, segni, forse un paio di volte una parola sussurrata. Nessuno di noi osò turbare i loro misteriosi colloqui. I pochi contadini che incontrammo salutarono i cacciatori come se li conoscessero, ricevendo in cambio un cenno del capo.
Poco prima di mezzogiorno raggiungemmo una sorta di passo fra le colline. La vegetazione era rada: ginepro, ginestre quasi in fiore, qualche quercia. Molte altre piante di cui un abitatore della città , come me, non conosceva il nome, e probabilmente non lo conoscerà mai.
Oltre il crinale, le colline si adagiavano nella pianura. La calura rendeva indistinti i contorni, ma si intravedeva il nastro grigio-argento di un fiume, macchie più scure che forse erano città , tratti più chiari di strade.
Riskrill indicò. â Ah! â disse Baran, come riconoscendo i luoghi.
Paradin era sparito. Tornò poco dopo con della legna secca. Come per incanto, il fuoco era già acceso. Myrtilla gli sorrise grata e prese le provviste, gli attrezzi da cucina.
Ricordo che faceva molto caldo, le cicale cantavano forte fra lâerba secca, e la strada polverosa aveva accresciuto la nostra sete. Myrtilla prese un fiasco di vino che aveva tenuto in fresco nella botticella dellâacqua.
Paradin si sedette di nuovo accanto a me, per mangiare. Io mi ero tolto la giacca, e lâamuleto di Occhi di Gatto mi usciva dalla camicia slacciata. Me lo tolsi dal collo e lo mostrai a Paradin. Forse perché era lâunica cosa che avessi che potesse interessarlo, pensai.
Lui lo prese e se lo rigirò fra le dita. Era una sfera perfetta, nera, di un materiale opaco e liscio, che non avevo mai visto e di cui non sapevo il nome. Vidi che anche Riskrill la fissava.
â Questo â disse Paradin. â Possiede un grande potere.
â Come lo sai? â chiesi.
â Noi... cacciatori. â Con un movimento degli occhi cercò forse lâapprovazione di Riskrill. â Conosciamo la magia. La caccia è magia. Il cibo è magia. La magia... â Non gli avevo mai sentito fare un discorso così lungo. â à sapere le cose.
Riskrill si alzò. Paradin teneva ancora fra le dita la sfera magica. Me la restituì, e nel farlo la sua mano si strinse attorno alla mia.
â Vi ringraziamo â disse Baran.
Fra i cespugli bassi, i due sparirono, in un tempo sorprendentemente breve.
(25) I DUE AMANTI
Il villaggio si chiamava Ardzilla, ed era davvero piccolo. Non doveva capitare molto spesso che vedessero un carro di teatranti, lì fra le Colline Ventose, a parecchie leghe dalla Strada del Mare.
Câera una locanda passabilmente pulita, con una sala comune per gli ospiti e un cortile piuttosto grande, che dâestate doveva servire anche per trebbiare il grano.
Baran fece i suoi calcoli. Si accordò con lâoste. Non câera bisogno di manifesti, ad Ardzilla. Al calar della sera, il villaggio si era riunito quasi al completo nel cortile della locanda, senza riuscire a riempirlo.
Allestimmo uno spettacolo senza scene, usando come palcoscenico i tavoli della sala comune. In programma: la farsa di Galapin e Pandeimon, con intermezzi musicali e danzati. Astrix faceva Galapin, Myrtilla la servetta astuta, Baran lâavaro. Gertrid era andata a dormire presto, lamentando un mal di testa, e Dumpy Dum suonava una quantità impressionante di strumenti, anche contemporaneamente.
I tre sulla scena improvvisavano quasi tutto. Pandeimon venne abbindolato come di dovere, Galapin e Yvette si sposarono.
I bambini, seduti per terra in prima fila, guardavano con grandi occhi seri, ridendo solo ad imitazione dei grandi. Quello era probabilmente il primo spettacolo della loro vita. Non avevano mai visto la Festa delle Maschere, con duecentoquaranta spettacoli in una sola sera!
Il pubblico adulto rise con moderazione: anche loro non dovevano essere molto abituati alla finzione teatrale. Nondimeno, ci ricompensarono con maggiore generosità dei cittadini di Larissa, in proporzione al loro numero e alla loro ricchezza.
Alla fine, lâoste e Baran divisero il guadagno, con reciproca soddisfazione.
Andammo a letto quando il sole era tramontato da poco, e fummo svegliati allâalba per la colazione: latte cagliato e miele. Cominciavo a pensare che la vita del comico di campagna fosse ciò che faceva per me, dopo tutto.
Phainon è molto diversa da Larissa: posta allâincrocio di due grandi vie di comunicazione, affacciata sulla riva di un fiume pieno di chiatte e di barche, accoglieva chiunque vi entrasse come unâosteria i suoi avventori, come un bazar i clienti, come una fiera i curiosi. Per la verità Dumpy Dum usò un altro paragone, che qui non riferisco.
Non contava moltissimi abitanti, ma, sdraiata ai piedi delle Colline Ventose, occupava la pianura senza curarsi dello spazio: grandi strade, case bianche con giardini davanti e orti dietro, larghe piazze per i mercati e locande, affollate di stranieri; non avevo mai visto tanti abiti di fogge così diverse.
â Qui non dobbiamo badare ai regolamenti â ci comunicò Baran. â Ma alle borse sì: i ladri abbondano.
La locanda dove ci fermammo si chiamava Il Cinghiale Azzurro, e aveva unâinsegna con quellâanimale e quel colore. Intorno, qualche albero, alla cui ombra riparammo il carro.
Per essere un posto dove i ladri abbondavano, pareva che gli osti non volessero rendere a costoro la vita troppo difficile. â Non sarebbe meglio un cortile chiuso e un paio di cani? â chiesi a Dumpy Dum.
â Aspetta â rispose.
Poco dopo, un garzone dellâosteria si offrì di sorvegliarci il carro durante la notte, in cambio di una modica cifra.
A Phainon rappresentammo Il principe folle, una tragedia che non compariva nella mia raccolta, e che non avevo mai sentito raccontare. Il giovane principe di Erez si finge pazzo per smascherare lo zio che ha ucciso il re suo padre. Ma finisce per immedesimarsi a tal punto nella sua finzione, da compiere atti di vera follia, come uccidere la sua promessa sposa e profanare un cimitero. Alla fine, lâunica salvezza per il regno pare essere la permanenza sul trono dello zio assassino. Ma è veramente un assassino? O è forse la madre ad avere architettato lâuccisione del marito, per gelosia? Oppure la follia del principe è reale, fin dallâinizio? Preso dalle mie varie incombenze, suppongo di essermi perso qualche battuta, perché non riesco tuttora a giungere ad una conclusione.
La storia riscosse comunque molti applausi, tanto che la rappresentammo per due sere. Cominciavo a capire che Baran possedeva il dono principale per un capocomico: quello di saper indovinare i gusti del pubblico.
â Dove ha trovato questa storia? â chiesi a Myrtilla, dopo che era stata trasportata fuori dal palcoscenico, priva di vita.
Lei alzò le spalle. â Ogni capocomico ha il suo repertorio esclusivo. Da quando sono con lui, lâabbiamo sempre rappresentata. Aiutami a slacciare il vestito.
â Cioè da quanto tempo?
â Tre anni.
â Prima cosa facevi?
â Quello che devo fare adesso: la serva. â Rise. â Dammi il costume.
â E come...
â Un cavaliere si era innamorato dellâattrice giovane. Lei ha colto lâoccasione al volo, e li ha piantati in asso. Si chiamava Jaline: bionda, la bocca a forma di cuore. â Sospirò. â Era molto bella.