* * *
Zucchina stava appunto raccontando a Cipollino tutte queste cose, quando una nuvola di polvere si levò in fondo al villaggio e subito si sentì uno sbattere precipitoso di porte e di finestre. Si vide la moglie di Mastro Uvetta abbassare con gran furia la saracinesca. La gente si tappava in casa come se stesse per scoppiare il ciclone. Perfino le galline, i gatti ed i cani si diedero a scappare di qua e di là in cerca di un rifugio.
Cipollino non fece in tempo a informarsi di quel che stava succedendo: la nuvola di polvere, con un frastuono orribile, aveva già attraversato il villaggio e si fermò proprio davanti alla casetta del sor Zucchina.
Tra la polvere comparve una carrozza tirata da quattro cavalli, che poi erano piuttosto quattro cetrioli, perché in quel paese, come avrete già capito, erano tutti imparentati con qualche verdura. Dalla carrozza balzò a terra un personaggio imponente, vestito di verde, con una faccia rossa e tondto come un pomodoro troppo maturo che pareva sul punto di scoppiare[19].
Quel personaggio era difatti il Cavalier Pomodoro, Gran Maggiordomo e Amministratore del Castello delle Contesse del Ciliegio. Cipollino pensò che doveva essere un poco di buono, se tutti scappavano a vederlo arrivare, e ad ogni buon conto si tirò in disparte[20].
Per intanto però il Cavalier Pomodoro non faceva nulla di terribile. Cosa faceva? Fissava il sor Zucchina, lo fissava e lo fissava, crollando la testa minacciosamente, senza dire una parola.
Il povero sor Zucchina avrebbe voluto sprofondare, lui e la sua casetta.
Il sudore gli scendeva a ruscelli dalla fronte e gli entrava in bocca[21], ma lui non aveva nemmeno il coraggio di alzare una mano per asciugarselo e lo mandava giù: era salato ed amaro.
Il sor Zucchina chiuse gli occhi e pensò: «Ecco, Pomodoro non c'è più. Io e la mia casetta siamo un marinaio e la sua barchetta in mezzo all'Oceano Pacifico, e l'acqua del mare è azzurra e calma e ci culla dolcemente. O come ci culla dolcemente, di qua e di là… di qua e di là…»
Macché Oceano Pacifico, macché Oceano Atlantico era il Cavalier Pomodoro che, afferrato il cucuzzolo del tetto, lo scrollava di qua e di là con tutta la sua forza, facendone cadere i tegoli.
Il sor Zucchina riaprì gli occhi, mentre Pomodoro lanciava un ruggito spaventoso, che fece chiudere le finestre del villaggio anche più strette di prima: e chi aveva dato un solo giro di chiave alla porta[22] ne diede subito un secondo.
– Ladrone! – gridava Pomodoro – Brigante! Tu hai costruito un palazzo sul terreno che appartiene alle Contesse del Ciliegio e pensi di passarci il resto dei tuoi giorni, oziando e ridendo alle spalle delle due povere vecchie! Ma te la farò vedere le signore, vedove e orfane di padre e di madre.
– Eccellenza! – pregava Zucchina. – Vi assicuro che il permesso di costruirmi qui la mia casetta mi è stato dato dal signor Conte Ciliegione!
– Il Conte Ciliegione è morto da trent'anni, pace al suo nocciolo. La terra è delle Contesse, e tu mi farai il piacere di andartene su due piedi. Del resto te lo dirà l'avvocato. Avvocato! Avvocato!
Il sor Pisello, che era l'avvocato del paese, doveva essere stato tutto il tempo dietro la porta, pronto alla chiamata, perché schizzò fuori proprio come un pisello dal suo baccello. Ogni volta che Pomodoro scendeva al villaggio chiamava sempre l'avvocato per farsi dar ragione.
– Eccomi, Eccellenza! Ai Vostri ordini, – biascicò Pisello, inchinandosi.
Ma era così piccolo che l'inchino non si vide: per paura di sembrare maleducato il sor Pisello fece addirittura una capriola[23], e andò a finire a gambe all'aria[24].
– Dite a quest'uomo che se ne deve andare subito, in nome della legge. E fate sapere a tutti quanti[25] che le Contesse del Ciliegio hanno intenzione di mettere in questo canile un feroce mastino per tenere a bada[26] i monelli, che da qualche tempo si dimostrano poco rispettosi.
– Ecco, io, veramente… – cominciò a farfugliare il sor Pisello, diventando sempre più verde per la paura.
– Che veramente e non veramente: siete avvocato sì o no?
– Sissignore, Eccellenza Illustrissima: mi sono laureato in diritto civile, penale e penoso all'Università di Salamanca.
– Basta così, allora. Se siete avvocato, ho ragione io. Potete andare.
– Sissignore, signor Cavaliere. – E il sor Pisello, senza farselo ripetere, scomparve più svelto della coda di un topo.
– Hai sentito che cos'ha detto l'avvocato? – domandò Pomodoro al sor Zucchina.
– L'avvocato non ha detto proprio niente.
– E osi anche rispondere, prepotentaccio?
– Eccellenza, io non ho aperto bocca, – balbettò Zucchina.
– Chi ha parlato, allora?
Pomodoro si guardò in giro minacciosamente.
– Birbante! Briccone! – disse ancora la voce.
– Chi ha parlato? Sarà stato certo quel poco di buono di Mastro Uvetta, – concluse Pomodoro, e direttosi verso la bottega del ciabattino picchiò con la sua mazza sulla saracinesca, dicendo:
– Lo so, lo so, Mastro Uvetta, che nella vostra bottega si fanno discorsi proibiti contro di me e contro le nobili Contesse del Ciliegio. Non avete alcun rispetto per quelle due poverine, vedove, orfane di padre e di madre e senza neanche uno zio. Ma verrà anche la vostra volta.[27] E allora vedremo chi riderà.
– Verrà anche la tua volta, Pomodoro, e allora scoppierai, – disse di nuovo la voce.
E il padrone della voce, ossia Cipollino, si avvicinò con le mani in tasca al terribile Cavaliere, il quale non sospettò nemmeno per un minuto che fosse stato quel ragazzotto a dirgli il fatto suo.
– Di dove sbuchi tu? Perché non sei al lavoro?
– Io non lavoro, – disse Cipollino, – io studio.
– E che cosa studi? Dove sono i libri?
– Studio i furfanti, Eccellenza. Giusto adesso me n'è capitato uno sotto il naso, e non voglio perdere l'occasione di studiarlo per vedere com'è fatto.
– Un furfante? Qui tutti dal più al meno sono furfanti. Ma se ne hai trovato uno che non conosco, fammelo vedere.
– Certo, Eccellenza, – rispose Cipollino, strizzandogli l'occhio. Affondò ancora di più la mano nella tasca sinistra e ne trasse uno specchietto che adoperava per andare a caccia di allodole. Andò a mettersi davanti al muso di Pomodoro e gli ficcò lo specchio sotto il naso.
– Eccolo, Eccellenza: se lo guardi con comodo.
Pomodoro guardò con curiosità nello specchio. Chissà cosa credeva di vederci! Naturalmente, invece, ci vide la sua faccia, rossa di fuoco, con gli occhietti piccoli, con la bocca cattiva.
Finalmente capì che Cipollino lo stava prendendo per il naso:[28] allora divenne addirittura furibondo. Lo afferrò per i capelli a due mani e cominciò a tirare.
– Ahi! Ahi! – strillava Cipollino, senza perdere l'allegria. – Troppa forza per un furfante solo: Vostra Eccellenza vale addirittura un battaglione di furfanti.
– Ti farò vedere io,[29] – strillava Pomodoro. E tirò così forte che una ciocca di capelli gli restò in mano.
E capitò quello che doveva capitare, trattandosi dei capelli di Cipollino.
Che è, che non è, ad un tratto il feroce Cavaliere si sentì un tremendo pizzicore agli occhi e cominciò a piangere a ruscelli. Le lacrime gli scorrevano giù per le guance a sette a sette[30]. La strada fu subito bagnata come se fosse passato lo spazzino con la pompa.
«Questa non mi era mai capitata!» – rifletteva stralunatoPomodoro.
Infatti, siccome non aveva cuore, non gli era mai capitato di piangere, e poi non aveva mai sbucciato le cipolle. Il fenomeno gli parve così strano che balzò sul calesse, frustò il cavallo e scappò via a gran velocità.[31] Mentre fuggiva, però si voltò indietro a gridare:
– Zucchina, sei avvisato… E tu, piccolo malandrino, pagherai salate queste lagrime.[32]
Cipollino si buttò per terra a ridere e il sor Zucchina si asciugava il sudore.
Una dopo l'altra le porte e le finestre si spalancavano, tranne quella del sor Pisello. Mastro Uvetta rialzò la saracinesca e venne fuori grattandosi la testa con entusiasmo:
– Per tutto lo spago dell'universo! – esclamava, – Ecco uno capace di far piangere[33] il Cavalier Pomodoro. Di dove vieni, ragazzo?
E Cipollino dovette raccontare a tutti la sua storia, che voi conoscete già.
Rispondete alle domande:
1. Da quando il sor Zucchina voleva avere una casa di sua proprietà?
2. In che modo il sor Zucchina si procurava mattoni e li risparmiava?
3. A chi si rivolgeva il sor Zucchina pregando di fargli il conto dei suoi mattoni raccolti?
4. Perché lo faceva?
5. Come era la casetta del sor Zucchina?
6. Chi potrebbe starci?
7. In che maniera il sor Zucchina poteva accomodarsi nella sua casetta?
8. Che girotondo ballò un monellino sul tetto della casetta?
9. Cosa faceva il sor Zucchina per rabbonire una schiera di ragazzi?
10. Mentre il sor Zucchina stava parlando con Cipollino, chi arrivò in carozza tirata da quattro cavalli?
11. Descrivi questo personaggio imponente e ne elenca tutti i suoi titoli.
12. Cosa non piacque al Cavalier Pomodoro?
13. Di che cosa era sdegnato?
14. Di che cosa fu incolpato il sor Zucchina dal Cavalier Pomodoro?
15. Chi rispondeva alle domande del Cavalier Pomodoro, rivolte al sor Zucchina?
16. Perchè il Cavaliere diventò furibondo?
17. Come mai il Cavalier Pomodoro si mise a piangere?
18. Cosa fece Cipollino dopo la partenza del Cavalier Pomodoro?
Capitolo III
Un Millepiedi pensa: che guaio portare i figli dal calzolaio!
Cipollino cominciò a lavorare nella bottega di Mastro Uvetta, e faceva molti progressi nell'arte del ciabattino: dava la pece allo spago, batteva le suole, piantava i chiodi negli scarponi, prendeva le misure[34] ai clienti.
Mastro Uvetta era contento e gli affari andavano bene. Molta gente veniva nella sua bottega solo per dare un'occhiata[35] a quello straordinario ragazzetto che aveva fatto piangere il Cavalier Pomodoro.
Così Cipollino fece molte nuove conoscenze.
Venne prima di tutti il professor Pero Pera, maestro di musica, con il violino sotto il braccio. Lo seguiva un codazzo di mosconi e di vespe, perché il violino di Pero Pera era una mezza pera profumata e burrosa, e si sa che i mosconi perdono facilmente la testa[36] per le pere.
Più di una volta, quando Pero Pera dava concerto, gli spettatori si alzavano e davano l'allarme[37]:
– Professore, faccia attenzione: sul violino c'è un moscone.
Pero Pera interrompeva il concerto e con l'archetto dava la caccia[38] al moscone. Qualche volta un bacherozzo riusciva a introdursi nel violino e vi scavava delle lunghe gallerie: così lo strumento era rovinato, e il professore doveva procurarsene un altro.
Poi venne Pirro Porro, che faceva l'ortolano: aveva un gran ciuffo sulla fronte e un paio di bafi che non finivano mai.
– Questi bafi – raccontò Pirro Porro a Cipollino – sono la mia disperazione. Quando mia moglie deve stendere il bucato ad asciugare, mi fa sedere sul balcone, attacca i miei bafi a due chiodi, uno a destra e uno a sinistra, e ci appende i panni. E a me tocca starmene tutto il tempo al sole, fin che siano asciutti. Guarda i segni delle mollette.
Difatti sui bafi, a distanze regolari, si vedevano i segni delle mollette.
Venne anche una famiglia di Millepiedi forestieri, cioè il padre e due figli, che si chiamavano Centozampine e Centogambette e non stavano mai fermi un minuto[39].
– Sono sempre così vivaci? – domandò Cipollino.
– Cosa dici mai? – fece il Millepiedi. – Adesso sono due angeli. Li dovresti vedere quando mia moglie gli fa il bagno[40]: gli lava le gambe davanti e loro si sporcano quelle di dietro, gli lava quelle di dietro e loro si sporcano davanti. Non finisce mai e ogni volta ci vuole una cassa di sapone.
Mastro Uvetta domandò:
– E così, gli prendiamo la misura per le scarpe, ai piccolini?
– Per l'amor del cielo:[41] duemila paia di scarpe! Dovrei lavorare tutta la vita per pagare il debito.
– Io, po,i – aggiunse Mastro Uvetta, – non avrei abbastanza cuoio in tutta la bottega.
Date un'occhiata a quelle più rotte, e vedremo di cambiare almeno quelle.
Centozampine e Centogambette si sforzarono volenterosamente di tener fermi i piedi mentre Mastro Uvetta e Cipollino esaminavano suole e tomaie.
– Ecco, a questo bisognerebbe cambiare le prime due paia e il paio numero trecento.
– Oh, quello può andare ancora, – si affrettò a dire babbo Millepiedi, – basterà rimettere i tacchi.
– A quest'altro bisogna cambiare le dieci scarpe in fondo alla fila di destra.
– Glielo dico sempre di non strisciare i piedi. I bambini camminano, forse? Macché: saltano, ballano, strisciano. Ed ecco il risultato: tutta la fila delle scarpe di destra si consuma prima della fila di sinistra.
Mastro Uvetta sospirava:
– Eh, avere due piedi o mille è lo stesso, per i bambini. Sarebbero capaci di rompere mille paia di scarpe con un piede solo.
Infine la famiglia Millepiedi se ne andò zampettando: Centozampine e Centogambette scivolarono via meglio che se avessero le ruote. Babbo Millepiedi invece era un po' meno veloce: infatti era un po' zoppo. Ma mica tanto, poi: era zoppo solo da centodiciassette zampe…
Rispondete alle domande:
1. Come mai Cipollino seppe fare molte nuove conoscenze in così breve tempo?
2. Per quale motivo più di una volta, quando Pero Pera dava concerto, gli spettatori si alzavano e davano l’allarme?
3. Come usava la moglie di Pirro Porro i suoi baffi che non finivano mai?
4. Per quale ragione il Millepiedi portò i suoi figli dal calzolaio?
5. Che cosa succedeva di solito quando la mamma dei fratelli Millepiedi dava loro il bagno?
6. Quante scarpe ci volevano ai fratelli Millepiedi?
7. A sentir il Millepiedi, in che modo di solito camminano i suoi bambini?
8. Come si chiamano i figli del Millepiedi e come si traducono i loro nomi?
9. Di quante zampe era zoppo il Millepiedi?
Capitolo IV
Il terribile cane Mastino
E la casa del sor Zucchina? Andò a finire che[42] una brutta mattina il Cavalier Pomodoro si ripresentò, a bordo della sua carrozza tirata da quattro cetrioli; ma stavolta era accompagnato da una dozzina di guardie. Senza tanti complimenti[43] il sor Zucchina fu fatto sgomberare[44] e nella sua casetta fu messo un terribile cagnaccio, di nome Mastino.
– Così, – esclamò Pomodoro guardandosi attorno con aria di minaccia, – i monelli del paese impareranno a portarmi rispetto, a cominciare da quel monello forestiero che Mastro Uvetta si è preso in casa.
– Bene, bene, – approvò Mastino.
– Quanto a quel vecchio scimunito di Zucchina, imparerà ad opporsi ai miei ordini. Se vuole una casa, c'è un posto per lui in prigione. Là dentro c'è posto per tutti.
– Bene, bene, – approvò di nuovo Mastino.
Mastro Uvetta e Cipollino, sulla soglia della bottega, assistettero a quella scena senza poter muovere un dito. Zucchina si sedette tristemente su un paracarro a lisciarsi la barba. E ogni volta che se la lisciava gli restava in mano un pelo. Così decise di non toccarsi più la barba per non consumarla. Se ne stava seduto sul paracarro zitto zitto, e sospirava, perché avrete già capito che Zucchina aveva una grande riserva di sospiri.
Pomodoro rimontò in carrozza. Mastino si mise sull'attenti[45] e gli presentò la coda.
– Tu, fai buona guardia, – comandò il Cavaliere. – Diede una frustata[46] ai quattro cetrioli e la carrozza ripartì.
Era una bella giornata d'estate, molto calda. Mastino passeggiò per un po' davanti alla casetta, in su e in giù, dimenando la coda per darsi delle arie.[47] Poi cominciò a sudare e pensò che gli avrebbe fatto piacere un bicchiere di birra. Si guardò attorno per vedere se c'era qualche monello da mandare all'osteria a prendere la birra, ma monelli non se ne vedevano. C'era Cipollino sulla soglia della bottega di Mastro Uvetta che tirava lo spago, ma, chissà perché, da quella parte Mastino sentiva un odore sospetto. Decise di non dirgli nulla.