Un Compito Di Valore - Морган Райс 6 стр.


Thor si sentiva come se anche il suo corpo fosse stato risucchiato dal mondo sotterraneo.

Lentamente i ragazzi si voltarono l’uno verso l’altro e poi guardarono oltre, verso il campo di battaglia e i terreni al di là. Alle loro spalle c’era il mondo sotterraneo dal quale erano giunti: da una parte un esteso campo d’erba, dall’altro un deserto vuoto e secco. Si trovavano a un bivio.

Thor si voltò verso Indra.

“Per raggiungere Neversink dobbiamo attraversare il deserto?” le chiese.

Lei annuì.

“Non c’è altro modo?” le chiese.

Lei scosse la testa.

“Ci sono altre strade, ma meno dirette. Sprechereste delle settimane. Se sperate di battere i ladri, questa è l’unica via.”

Gli altri fissarono il deserto a lungo e intensamente: il sole sembrava cuocere il terreno ondeggiante.

“Sembra un posto che non lascia scampo,” disse Reece portandosi accanto a Thor.

“Non conosco nessuno che lo abbia attraversato e sia rimasto in vita,” disse Indra. “È immenso e pieno di creature ostili.”

“Non abbiamo abbastanza provviste,” disse O’Connor. “Non possiamo farcela.”

“Eppure è la strada che porta alla Spada,” aggiunse Thor.

“Sempre ammesso che la Spada esista ancora,” disse Elden.

“Se i ladri hanno raggiunto Neversink,” disse Indra, “allora la vostra preziosa Spada è perduta per sempre. Rischiereste la vostra vita per un sogno. La cosa migliore che potete fare ora è girarvi e tornare verso l’Anello.”

“Non torneremo indietro,” disse Thor, determinato.

“Soprattutto non ora,” aggiunse Conven facendo un passo avanti, gli occhi infuocati e accesi dal dolore.

“Troveremo quella Spada oppure moriremo provandoci,” disse Reece.

Indra scosse la testa e sospirò.

“Non mi sarei aspettata un risposta diversa da voi, ragazzi,” disse. “Cocciuti e dissennati fino in fondo.”

*

Thor marciava fianco a fianco insieme agli altri attraverso il deserto, strizzando gli occhi per il forte sole e annaspando per il caldo incessante. Aveva pensato con eccitazione al fatto che si sarebbe finalmente sbarazzato del mondo sotterraneo, della sua persistente oscurità, della loro incapacità di vedere i sole. Ma erano passati da un estremo all’altro. Qui nel deserto non c’era altro che sole: sole e cielo gialli che li colpivano, e nessun luogo dove ripararsi. Gli faceva male la testa e si sentiva stordito. Stava trascinando i piedi e gli sembrava di essere in marcia da una vita. Guardandosi attorno vide che anche gli altri erano nella sua stessa condizione.

Stavano camminando da mezza giornata e non aveva idea di come avrebbero fatto a continuare. Guardò Indra che teneva il cappuccio sulla testa e si chiese se avesse ragione. Forse erano stati avventati a tentare un’impresa del genere. Ma lui aveva giurato di trovare la Spada, quindi quale altra scelta avevano?

Mentre procedevano i loro piedi sollevavano nuvole di polvere che vorticavano in ogni direzione, rendendo difficile anche respirare. All’orizzonte non si vedeva altro che sabbia cotta dal sole, suolo completamente piatto che si estendeva a perdita d’occhio. Non c’era il minimo cenno di edifici, strade o montagne, nulla. Nient’altro che deserto. A Thor sembrava che fossero giunti alla fine del mondo.

Mentre proseguivano Thor era felice di una cosa: almeno adesso, per la prima volta, si fidava di dove stavano andando. Non era più alla mercé di ciò che dicevano quei tre fratelli con la loro stupida mappa. Ora ascoltavano Indra, e lui si fidava di lei più di chiunque altro. Era certo che stavano andando nella direzione giusta, solo non era sicuro se sarebbero sopravvissuti al viaggio.

Thor iniziò a udire un sottile fruscio e, guardando con attenzione, vide che la sabbia attorno a loro iniziava a muoversi in piccoli vortici. Anche gli altri se ne accorsero e Thor si sentì confuso mentre vedeva che la sabbia si raccoglieva, che i cerchi si facevano più intensi ai suoi piedi, sollevandosi poi in aria. Presto si creò una grande nuvola che si levò dal terreno desertico, alzandosi sempre di più.

Thor sentì tutto il corpo diventare improvvisamente più asciutto. Si sentì come se ogni singola goccia d’acqua venisse estirpata dal suo corpo e iniziò ad avere un’estrema necessità di bere: non era mai stato così assetato.

Cominciò ad avere paura, cercò la sua borraccia e la sollevò premendosela contro la bocca. Ma quando lo fece l’acqua ruotò e salì verso l’alto, verso il cielo, senza neanche sfiorare le sue labbra.

“Cosa succede?” chiese Thor a Indra, annaspando.

Lei guardò il cielo con terrore, tirando indietro il cappuccio.

“Una pioggia inversa!” gridò.

“Che cos’è?” le chiese Elden, annaspando stringendosi la gola.

“Sta piovendo verso l’alto!” gridò lei. “Tutta l’umidità viene risucchiata verso il cielo!”

Thor osservò mentre tutta la sua acqua veniva sparata in alto dalla borraccia, poi vide che lo stesso contenitore si accartocciava rinsecchendosi e cadendo poi a terra come una patatina secca.

Thor cadde in ginocchio e si afferrò la gola quasi incapace di respirare. Tutt’attorno a lui gli altri fecero lo stesso.

“Acqua!” implorò Elden accanto a lui.

Si udì un forte boato, come il suono di migliaia di tuoni, e Thor sollevò lo sguardo vedendo che il cielo si oscurava. Apparve una sola nuvola di temporale che si portò verso di loro a velocità strabiliante.

“ABBASSATEVI!” gridò Indra. “Il cielo si sta rigirando!”

Aveva appena finito di parlare quando il cielo si aprì e un muro d’acqua si riversò scrosciando, schiacciando Thor e gli altri con la forza di un’ondata.

Thor rotolò nell’onda d’acqua innumerevoli volte. Alla fine riemerse di nuovo sul terreno desertico e l’onda passò oltre. Seguirono altri scrosci di acqua a catinelle, e Thor sollevò la testa bevendo copiosamente insieme agli altri, fino a che si sentirono nuovamente idratati.

Lentamente si rimisero in piedi, affannati e abbattuti. Si scambiarono un’occhiata. Erano tutti sopravvissuti. Quando lo shock e la paura furono svaniti, si misero a ridere.

“Siamo vivi!” gridò O’Connor.

“È questa la cosa peggiore che il deserto ha in serbo per noi?” chiese Reece, felice di essere vivo.

Indra scosse la testa, scura in volto.

“Festeggiate troppo presto,” disse preoccupata. “Dopo le piogge, gli animali del deserto escono a bere.”

Un suono tremendo si levò e Thor abbassò lo sguardo vedendo con orrore un esercito di strane creature che emergevano dalla sabbia e si dirigevano verso di loro. Thor si guardò alle spalle e vide il lago di acqua lasciato dalla pioggia, rendendosi conto che si trovavano proprio nelle traiettoria di quelle creature assetate.

Decine di animali che Thor non aveva mai visto in vita sua correvano verso di loro. Erano bestie grandi e gialle, simili ai bufali, ma due volte più grandi, con quattro zampe e quattro corna, si muovevo su due gambe. Avanzavano in un modo buffo, rimettendosi su quattro zampe di tanto in tanto, poi saltando nuovamente su due. Ruggivano e le vibrazioni da loro emesse facevano vibrare il terreno.

Thor sguainò la spada e così fecero anche gli altri, pronti a difendersi. Quando il primo animale fu vicino, Thor rotolò di lato, levandosi dalla sua traiettoria senza colpirlo, sperando che sarebbe semplicemente passato oltre per raggiungere l’acqua.

La creatura abbassò la testa come per scornarlo e lo mancò di un soffio quando Thor si fece da parte. Ma purtroppo non gli bastò: ruotò su se stesso, rabbioso, e si avventò contro di lui. Sembrava gli importasse più la sua morte che l’acqua.

Mentre correva contro di lui con le corna abbassate, Thor saltò in aria e fece roteare la spada, tagliando un corno al suo passaggio. L’animale gridò, saltò su due gambe e ruotò su se stesso, colpendo Thor e bloccandolo a terra.

L’animale sollevò una zampa con l’intento di calpestarlo, ma Thor rotolò di lato così che la zampa andò a colpire il terreno lasciando una profonda impronta nella sabbia e sollevando una nuvola di polvere. La bestia sollevò il piede di nuovo e questa volta Thor levò la spada e gliela conficcò nel petto.

La creatura gridò, trafitta dalla spada fino all’elsa, e Thor riuscì a levarsi da sotto prima che cadesse a terra, morta. Fu fortunato a riuscirci perché il peso lo avrebbe sicuramente schiacciato.

Quando si rimise in piedi, un altro animale si avventò contro di lui, ma Thor riuscì a saltare di lato, non prima però che un corno gli graffiasse un braccio, facendolo gridare di dolore e facendogli perdere la presa sulla spada. Caduta la spada, Thor prese la fionda, posizionò un sasso e tirò.

La bestia barcollò e gridò quando la pietra gli colpì un occhio, ma continuò a correre.

Thor correva a destra e a sinistra, cercando di zigzagare fuori dalla traiettoria, ma la creatura era troppo veloce. Non c’era posto dove scappare e Thor capì che l’avrebbe colpito. Mentre correva lanciò un’occhiata ai suoi compagni della  Legione a cui non stava andando molto meglio: tutti scappavano da quelle creature.

La bestia si avvicinò, a pochi centimetri da lui, l’orribile sbuffo nelle orecchie di Thor e il suo odore nel naso, e abbassò le corna. Thor si preparò all’impatto.

Improvvisamente la bestia gridò e Thor si voltò vedendola sollevata in aria. Sorpreso e non capendo cosa stesse accadendo, guardò meglio e vide dietro ad essa un enorme mostro verde limone, grande come un dinosauro, alto una trentina di metri, con file di denti affilati come rasoi. Teneva la bestia tra le zanne come se fosse un nonnulla e la sollevò. La teneva stretta lì mentre si dimenava, poi la masticò e ingoiò in tre grossi bocconi, leccandosi le labbra.

Attorno a Thor le creature gialle si girarono e scapparono dal mostro. Questo le inseguì, roteando e facendo schioccare la sua lunga coda, che colpì Thor alla schiena e lo fece volare a terra insieme agli altri. Ma la bestia continuò oltre, più interessata alle creature gialle.

Thor si voltò e guardò gli altri che sedevano lì vicino, intontiti, fissandolo.

Indra si sollevò e scosse la testa.

“Non preoccupatevi,” disse, “andrà ancora peggio.”

CAPITOLO OTTO

Kendrick camminava lentamente attraverso il cortile devastato di Silesia superiore con al suo fianco Srog, Brom, Kolk, Atme, Godfrey e una decina di soldati dell’Argento. Marciavano tutti con cautela, attenti, le mani intrecciate dietro la testa in segno di resa.

Il piccolo gruppo si fece così strada tra le migliaia di guerrieri dell’Impero che li osservavano, procedendo verso Andronico che li attendeva al cancello della città. Kendrick sentiva tutti gli occhi su di loro mentre avanzavano e la tensione nell’aria era particolarmente densa. Il cortile, nonostante fosse occupato da migliaia di uomini, era tanto silenzioso da poter sentire uno spillo se fosse caduto.

Un’ora prima Kendrick aveva gridato la sua resa ad Andronico e lui e i suoi uomini erano saliti insieme, mostrando di non avere armi con loro mentre camminavano tra la folla di soldati dell’Impero che si facevano da parte per farli passare, diretti verso Andronico per inginocchiarsi davanti a lui. Il cuore di Kendrick gli batteva a mille nel petto e aveva la gola secca mentre vedeva le migliaia di nemici ostili che li circondavano.

Kendrick e gli altri avevano rivisto e ripassato un piano e mentre si avvicinavano ad Andronico, vedendo per la prima volta che aspetto imponente e selvaggio avesse, Kendrick pregò che il piano funzionasse. Se non l’avesse fatto, le loro vite erano finite.

Marciavano, gli speroni tintinnanti, fino a che uno dei generali di Andronico si fece avanti – un uomo imponente e particolarmente accigliato – e tese un palmo aperto verso di loro, colpendo Kendrick al petto. Li fece fermare a neanche dieci metri da Andronico, probabilmente una forma di cautela. I loro soldati erano più saggi di quanto Kendrick avesse immaginato. Aveva sperato di camminare fino ad Andronico, ma evidentemente non era una cosa concessa. Il cuore iniziò a battergli più forte e sperò che la distanza non intaccasse il loro piano.

Mentre stavano lì in silenzio uno di fronte all’altro, Kendrick si schiarì la gola.

“Siamo qui per arrenderci al grande Andronico,” annunciò con voce tonante, cercando di usare il tono più convincente possibile, immobile insieme agli altri, guardando Andronico negli occhi.

Andronico portò una mano alla collana di teste mozzate che aveva al collo e guardò il gruppetto con una sorta di smorfia, o forse un sorriso.

“Accettiamo le tue condizioni,” continuò Kendrick. “Ammettiamo la sconfitta.”

Andronico si chinò in avanti, appena un po’, seduto su un’enorme panca di pietra, e continuò a guardarli con quel sorrisino.

“So che lo farete,” disse, la voce rimbombante nel cortile. “Dov’è la ragazza?”

Kendrick era preparato a quella domanda.

“Siamo venuti qui in qualità di contingente di uomini più esperti e valorosi,”  gli rispose. “Siamo venuti prima noi per pronunciare la nostra resa. Quando avremo finito, arriveranno gli altri, con il tuo permesso.”

Kendrick pensava che aggiungere “con il tuo permesso” fosse un tocco perfetto e avrebbe aiutato a rendere la situazione più plausibile. Aveva imparato una grande lezione tempo prima, da uno dei suoi consiglieri militari: quando si tratta con un comandante narcisista, fare sempre appello al suo ego. Non c’erano limiti agli errori che un comandante poteva fare sentendosi adulato, quando veniva tirata in ballo la sua grandezza.

Andronico si raddrizzò un poco, rispondendo appena.

“Certo che lo faranno,” disse. “Altrimenti voi sareste piuttosto stupidi a farvi vedere qui.”

Andronico rimase seduto, osservandoli, come se stesse cercando di prendere una decisione. Sembrava che percepisse che c’era qualcosa di strano. Il cuore di Kendrick batteva follemente.

Alla fine, dopo una lunga attesa, Andronico sembrò essersi deciso.

“Fate un passo avanti e inginocchiatevi,” disse. “Tutti.”

Gli altri guardarono Kendrick e lui fece loro un cenno di assenso.

Fecero tutti un passo avanti e si inginocchiarono di fronte ad Andronico.

“Ripetete dopo di me,” disse il comandante. “Noi, rappresentanti di Silesia…”

“Noi, rappresentanti di Silesia…”

“Ci arrendiamo qui al grande Andronico…”

“Ci arrendiamo qui al grande Andronico…”

“e gli giuriamo lealtà per il resto dei nostri giorni e oltre…”

“e gli giuriamo lealtà per il resto dei nostri giorni e oltre…”

“E di servirlo come schiavi per quanto vivremo.”

Le ultime parole risultarono difficili da dire per Kendrick, che deglutì a fatica e alla fine riuscì a ripetere parola per parola: ““E di servirlo come schiavi per quanto vivremo.”

Gli dava alla nausea comportarsi in quel modo e il cuore gli martellava nelle orecchie. Alla fine lo fece.

Seguì un teso silenzio e Andronico sorrise.

“Voi MacGil siete più deboli di quanto pensassi,” li sbeffeggiò. “Sarà per me un grande piacere rendervi schiavi e insegnarvi come funziona l’Impero. Ora andate a prendere la ragazza, prima che cambi idea e vi uccida tutti qui sul posto.”

Mentre stava lì inginocchiato, Kendrick si vide passare davanti agli occhi tutta la vita. Sapeva che questo era uno di quei momenti decisivi nella vita. Se tutto fosse andato come sperato, sarebbe sopravvissuto per raccontare ciò che era accaduto quel giorno ai suoi nipoti; se non fosse andata bene, nel giro di pochi istanti si sarebbe ritrovato lì in qualità di cadavere. Sapeva che le probabilità erano contro di lui, ma era un’occasione che doveva prendere. Per se stesso, per i MacGil e per sua sorella Gwendolyn. Ora o mai più.

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