“Credete che gli altri ci manderanno dei rinforzi?” chiese O’Connor.
“Non in tempo,” rispose Elden. “Siamo stati messi nel sacco da Forg.”
“Ma perché?” chiese Reece.
“Non ne ho idea,” rispose Thor, avanzando con il suo cavallo, “ma ho la terribile sensazione che abbia qualcosa a che vedere con me. Penso che qualcuno mi voglia morto.”
Thor sentì che gli altri si voltavano verso di lui e lo guardavano.
“Perché?” chiese Reece.
Thor scrollò le spalle. Non lo sapeva, ma aveva la sensazione che centrassero in qualche modo tutte le macchinazioni della Corte del Re, che fosse qualcosa di connesso all’assassinio di MacGil. Probabilmente era Gareth. Forse vedeva in Thor una minaccia.
Si sentiva malissimo all’idea di aver messo in pericolo i suoi compagni, ma non c’era nulla che potesse fare. Poteva solo tentare di difenderli.
Ne aveva abbastanza. Gridò e spronò il cavallo, lanciandosi al galoppo e scattando in azione prima degli altri. Non avrebbe aspettato di farsi trovare lì dall’esercito e dalla sua stessa morte. Avrebbe scagliato lui il primo colpo, magari avrebbe addirittura deviato qualcuno dei suoi fratelli d’armi e avrebbe dato loro l’occasione di scappare, se avessero voluto. Aveva intenzione di andare incontro alla sua fine e l’avrebbe fatto senza paura, con onore.
Tremando dentro di sé ma rifiutando di darlo a vedere, Thor galoppò distaccandosi sempre più dagli altri, scendendo il versante della collina e avvicinandosi all’esercito nemico. Accanto a lui Krohn correva senza perdere una falcata.
Thor udì un grido mentre alle sue spalle i suoi compagni della Legione galoppavano cercando di raggiungerlo. Erano ad appena una ventina di metri da lui e lo seguivano lanciando grida di guerra. Thor rimase a capo del gruppo, ma si sentiva incoraggiato sentendo il loro sostegno.
Davanti a lui un contingente di guerrieri si distaccò dall’esercito di McCloud lanciandosi contro di lui. Erano forse cinquanta uomini. Erano a un centinaio di metri da lui e si avvicinavano velocemente. Thor tirò fuori la sua fionda, vi piazzò una pietra, prese la mira e tirò. Colpì l’uomo che stava alla guida, un soldato robusto con un pettorale d’argento. Lo prese alla base della gola, proprio tra le lamine dell’armatura, e l’uomo cadde da cavallo finendo a terra davanti agli altri.
Con lui cadde anche il suo cavallo e le decine di cavalli che avanzavano alle sue spalle si ammassarono facendo finire a terra anche i loro cavalieri.
Prima che potessero reagire Thor mise un’altra pietra nella fionda e tirò di nuovo. Un’altra volta il colpo andò a segno e colpì uno dei principali guerrieri alla tempia, dove la visiera del suo elmo era sollevata, facendolo cadere da cavallo di lato, sbattendo contro diversi altri guerrieri che finirono tutti a terra uno dopo l’altro, come tessere del domino.
Mentre Thor avanzava un giavellotto gli volò sopra la testa, poi una lancia, poi un martello da lancio, poi un picco d’armi, e capì che i suoi fratelli stavano cercando di dargli manforte. Anche i loro colpi andarono a segno e mandarono a terra i soldati di McCloud con una precisione fatale. Molti dei guerrieri nemici caddero da cavallo facendone a loro volta cedere altri.
Thor era esultante nel vedere che erano già riusciti a mandare al tappeto decine di soldati di McCloud, alcuni con colpi diretti, ma la maggior parte scagliati a terra da cavalli che cadevano. Il contingente d’attacco di cinquanta uomini era ora completamente a terra in un cumulo polveroso.
Ma l’esercito di McCloud era forte e ora era il loro turno di contrattaccare. Quando Thor giunse a circa trenta metri da loro, diversi guerrieri lanciarono delle armi contro di lui. Un martello da lancio gli giunse dritto verso il volto e Thor si abbassò all’ultimo momento. L’arma gli sfiorò l’orecchio e lo mancò per un centimetro. Alla medesima velocità anche una lancia quasi lo colpì e lui la schivò piegandosi dall’altra parte. La punta toccò appena la sua armatura, ma fortunatamente lo mancò. Un picco d’armi gli arrivò quasi in faccia, ma Thor sollevò lo scudo e lo fermò. L’arma vi si conficcò e Thor la staccò per poi rilanciarla contro il suo attaccante. La mira fu buona e il picco si piantò nel petto dell’uomo, perforando la sua maglia di ferro. Con un grido il guerriero cadde da cavallo e rimase poi a terra, morto.
Thor continuò ad avanzare. Si lanciò dritto contro il fitto dell’esercito, in quel mare di soldati, pronto ad affrontare la propria morte. Gridò e sollevò la spada, levando un sonoro grido di battaglia, ripetuto spalle dietro di lui dai suoi compagni d’armi.
Con un grande scontro d’armi si giunse all’impatto. Un enorme e robusto guerriero si avventò su di lui, sollevò un’ascia doppia e la scagliò contro la testa di Thor. Thor si abbassò e la lama gli sfiorò il capo e squarciò lo stomaco del soldato mentre lui gli passava accanto. L’uomo urlò e si accasciò sul suo cavallo. Cadendo lasciò andare l’ascia che roteò andando a colpire un cavallo dei McCloud che scalpitò e disarcionò il suo cavaliere scaraventandolo addosso agli altri.
Thor continuò ad addentrarsi in mezzo ai guerrieri di McCloud, centinaia di uomini, facendosi strada tra di loro mentre uno dopo l’altro tutti tentavano di colpirlo con le loro spade, asce, mazze ferrate che lui bloccava con lo scudo o schivava, colpendo a sua volta, abbassandosi e ondeggiando, sempre lanciato al galoppo. Era troppo veloce, troppo agile per loro, e certo non se lo erano aspettato. Con un esercito di quelle dimensioni non potevano certo muoversi abbastanza rapidamente da fermarlo.
Un forte clangore metallico si levò tutt’attorno a lui, mentre i colpi gli precipitavano addosso da ogni parte. Thor li bloccava servendosi dello scudo e della spada, ma non riuscì a fermarli tutti. Una spada gli prese di striscio la spalla e luì urlò di dolore mentre il sangue iniziava a sgorgare. Fortunatamente non era una ferita profonda e non gli impedì di continuare a combattere, per cui non smise di lottare.
Thor si batteva con entrambe le mani ed era circondato da guerrieri di McCloud. Presto i colpi iniziarono a farsi meno pesanti e altri membri della Legione raggiunsero il gruppo. Il frastuono delle armi si fece ancora più sonoro mentre gli uomini di McCloud combattevano contro i ragazzi della Legione. Le spade cozzavano contro gli scudi, le lance colpivano i cavalli, i giavellotti venivano scagliati contro le armature, tutti combattevano in ogni modo possibile. Le grida si levavano da entrambe le parti.
La Legione era avvantaggiata in quanto era una piccola e agile forza: dieci ragazzi in mezzo a un enorme esercito che si muoveva a rilento. Si era creato una sorta di imbuto e non tutti gli uomini di McCloud riuscivano a passarvi insieme. Thor si ritrovò a combattere con due o tre uomini alla volta, ma non di più. E i suoi fratelli alle sue spalle gli evitavano di essere attaccato da dietro.
Quando un guerriero colse Thor alla sprovvista e fece roteare la sua mazza chiodata mirando alla sua testa, Krohn ringhiò e saltò. Balzò alto in aria e atterrò dritto sul polso dell’uomo squarciandoglielo. Il sangue si riversò ovunque e il braccio del guerriero fu deviato un attimo prima che la mazza colpisse il cranio di Thor.
Regnava il caos mentre Thor combatteva, colpiva e parava colpi in ogni direzione, usando ogni briciolo delle sue capacità per difendersi, attaccare, fare attenzione ai suoi compagni e a se stesso. Istintivamente riportò alla mente ciò che aveva imparato durante le infinite giornate di allenamento, l’essere attaccato da ogni lato e in ogni situazione. In qualche modo gli sembrava naturale. Lo avevano ben addestrato e si sentiva capace di gestire la situazione. La paura era sempre lì, ma era in grado di tenerla a bada.
Mente continuava a combattere, le braccia sempre più pesanti e le spalle stanche, gli risuonarono nelle orecchie le parole di Kolk:
Il vostro nemico non combatterà mai ai vostri termini. Combatterà secondo i propri. Guerra per voi significa guerra anche per qualcun altro.
Thor vide che un guerriero basso e tozzo sollevava una catena chiodata con entrambe le mani e la faceva oscillare mirando alla nuca di Reece. Reece non lo vide arrivare e in un attimo sarebbe potuto morire.
Thor balzò giù da cavallo saltando a mezz’aria e placcando il guerriero un momento prima che lasciasse andare la catena. I due volarono dai cavalli e atterrarono pesantemente a terra sollevando una nuvola di polvere. Thor rotolò, incapace di riprendere fiato, mentre i cavalli gli scalpitavano tutt’attorno. Lottò corpo a corpo a terra con il guerriero e quando questi sollevò i pollici per conficcarglieli negli occhi, udì improvvisamente uno stridio, e vide Estofele lanciarsi in picchiata e artigliare gli occhi del suo avversario prima che questi potesse fargli del male. L’uomo gridò portandosi le mani agli occhi e Thor gli diede una forte gomitata levandoselo violentemente di dosso.
Senza avere la possibilità di gioire per la sua vittoria, si sentì calciare con violenza all’addome e cadde sulla schiena. Sollevando lo sguardo vide un guerriero che brandiva con entrambe le mani un picco d’armi con l’evidente intenzione di calarlo sul suo petto.
Thor rotolò e il picco lo sfiorò conficcandosi completamente nel terreno fino all’impugnatura. Si rese conto che l’avrebbe ucciso.
Krohn si lanciò sull’uomo, balzando in avanti e affondandogli le zanne nel gomito. Il soldato colpì più volte Krohn con un pugno, ma il leopardo non lasciò la presa. Continuò a ringhiare fino a che riuscì a staccare il braccio dell’uomo dal corpo. Il guerriero strillò e cadde a terra.
Un altro soldato si fece avanti e roteò la spade contro Krohn, ma Thor si spinse in avanti con lo scudo e fermò il colpo. Tutto il suo corpo fu scosso dalla botta, ma Krohn fu salvo. Lì inginocchiato però Thor era un facile bersaglio e un guerriero gli si lanciò contro a cavallo, passandogli sopra e mandandolo a terra a faccia in giù. Thor si sentì come se gli zoccoli del cavallo gli sbriciolassero le ossa.
Diversi soldati di McCloud saltarono a terra e lo circondarono, stringendosi attorno a lui.
Thor si rese conto di essere in una brutta posizione. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare in groppa al suo cavallo in quel preciso istante. Mentre giaceva lì a terra, la testa che gli esplodeva dal dolore, con la coda dell’occhio vide i suoi compagni della Legione che combattevano perdendo terreno. Uno dei ragazzi che non conosceva lanciò un grido acuto e Thor vide che aveva una spada conficcata nel petto. Il giovane cadde a terra morto.
Un altro dei ragazzi che non conosceva corse in suo aiuto uccidendo il suo aggressore con un colpo di lancia, ma nello stesso istante un McCloud lo attaccò alle spalle piantandogli un pugnale nel collo. Il ragazzo gridò e cadde da cavallo, morto anche lui.
Thor sollevò lo sguardo e vide cinque o sei soldati che gli si appressavano. Uno di loro alzò una spada e la portò in basso verso il suo volto, ma lui riuscì a bloccarla con lo scudo. Il forte clangore metallico gli risuonò nelle orecchie. Un altro sollevò un piede e gli calciò lo scudo via dalle mani.
Un terzo gli pestò il polso e lo bloccò a terra.
Un quarto si fece avanti e sollevò una lancia, preparandosi a piantargliela nel petto.
Thor udì un forte ruggito e Krohn balzò sul soldato, facendolo cadere a terra e bloccandolo al suolo. Ma un altro guerriero si fece avanti con una mazza e colpì Krohn così forte da tramortirlo: con un gemito il leopardo si afflosciò a terra.
Un altro soldato si portò sopra Thor e levò un tridente. Lo guardò con sguardo torvo: questa volta non c’era nessuno a fermarlo. Si preparò ad abbassarlo sul volto di Thor che, lì a terra bloccato e indifeso non poté fare a meno di pensare che, alla fine, era giunta la sua ora.
CAPITOLO SETTE
Gwen era inginocchiata accanto a Godfrey nella piccolo stanza, Illepra al suo fianco, e non ce la faceva più. Erano ore che sentiva i gemiti di suo fratello e guardava il volto di Illepra diventare sempre più cupo. Sembrava certo che Godfrey sarebbe morto. Si sentiva così inutile a starsene seduta lì senza poter fare niente. Aveva bisogno di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Non solo era scossa dal senso di colpa e dalla preoccupazione per Godfrey, ma ancor più per Thor. Non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di lui in battaglia, mandato da Gareth in trappola, prossimo alla morte. Sentiva che in qualche modo doveva aiutare anche lui. Stava diventando pazza seduta lì.
Improvvisamente si alzò in piedi e attraversò di corsa la stanza.
“Dove stai andando?” le chiese Illepra, la voce roca a forza di cantilenare preghiere.
Gwen si voltò a guardarla.
“Torno subito,” disse. “Devo provare a fare una cosa.”
Aprì la porta e corse fuori, nell’aria del tramonto, e sbatté le palpebre sorpresa da ciò che si trovò di fronte: il cielo era striato di rosso e viola, il secondo sole sembrava una palla verde che scendeva all’orizzonte. Akorth e Fulton, a loro credito, erano ancora lì di guardia. Balzarono in piedi e la guardarono con la preoccupazione stampata sul volto.
“Sopravviverà?” le chiese Akorth.
“Non lo so,” rispose Gwen. “Rimanete qui. State di guardia.”
“E tu dove vai?” le chiese Fulton.
Le venne un’idea guardando il cielo rosso sangue e sentì che nell’aria c’era qualcosa di mistico. C’era un uomo che avrebbe potuto aiutarla.
Argon.
Se c’era una persona di cui Gwen poteva fidarsi, una persona che amasse Thor e che fosse rimasta leale a suo padre, una persona che avesse il potere di aiutarla in qualche modo, quella persona era lui.
“Devo andare a cercare qualcuno di speciale,” disse.
Si voltò e se ne andò velocemente, attraversando la piana prima camminando di buon passo, poi veramente di corsa, ripercorrendo il sentiero che conduceva alla casa di Argon.
Erano anni che non vi andava, da quando era bambina, ma ricordava che abitava in alto, in una radura desolata e rocciosa. Continuò a correre, respirando a fatica mentre il terreno diventava più brullo, l’erba lasciava spazio ai ciottoli, poi alle rocce. Il vento ululava, e mentre Gwen procedeva, il paesaggio divenne lugubre: le sembrava di camminare sulla superficie di un pianeta.
Alla fine raggiunse la dimora di Argon, senza fiato, e batté i pugni contro la porta. Non c’era nessun batacchio, ma sapeva che quello era il posto giusto.
“Argon!” gridò. “Sono io! La figlia di MacGil! Lasciami entrare! Te lo ordino!”
Continuò a picchiare la porta, ma le rispose solo l’ululato del vento.
Alla fine scoppiò in lacrime, esausta, sentendosi più inutile che mai. Si sentiva svuotata, come se non le restasse nessun posto dove andare.
Mentre il sole scendeva nel cielo e il rosso sangue lasciava spazio al crepuscolo, Gwen si voltò e iniziò a ridiscendere la collina. Camminava e si asciugava le lacrime dal volto, disperata e non sapendo dove altro andare.
“Ti prego, padre,” disse a voce alta, chiudendo gli occhi. “Dammi un segno. Mostrami dove andare. Mostrami cosa fare. Ti scongiuro, non lasciare che tuo figlio muoia ora. E non lasciare che anche Thor muoia, te ne prego. Se mi ami rispondimi.”
Gwen proseguì in silenzio, ascoltando il vento, quando improvvisamente venne colpita da una fulminea ispirazione.
Il lago. Il Lago delle Pene.
Ovvio. Il lago era il luogo dove tutti andavano a pregare per chi era fatalmente malato. Era un laghetto limpido nel mezzo di Boscorosso, circondato da altissimi alberi che sembravano raggiungere il cielo. Era considerato un luogo sacro.