Si era addormentata sul pavimento della casetta, stesa su un giaciglio di paglia, accanto al letto di suo fratello. Anche Illepra dormiva vicino a lui ed era stata una lunga notte per tutti e tre. Godfrey si era lamentato, si era scosso e rigirato, e Illepra si era presa cura di lui ininterrottamente. Gwen era rimasta lì per aiutare in ogni modo le fosse possibile, portando stracci bagnati, strizzandoli, mettendoli sulla fronte di Godfrey e passando a Illepra le erbe e gli unguenti che lei chiedeva. Era stata una notte interminabile: molte volte Godfrey aveva urlato e lei si era sentita certa che sarebbe morto. Più di una volta lui aveva chiamato il nome di loro padre, facendola rabbrividire. Sentiva forte la presenza di suo padre tra di loro. Non sapeva se suo padre volesse che Godfrey vivesse o meno, la loro relazione era sempre stata così carica di tensione.
Gwen aveva dormito a casa di Illepra anche perché non sapeva dove altro andare. Non si sentiva sicura a tornare al castello, a stare sotto lo stesso tetto con suo fratello Gareth. Si sentiva protetta lì, sotto le cure di Illepra, con Akorth e Fulton di guardia davanti alla porta. Sapeva che nessuna sapeva dove si trovasse, e le andava bene così. Inoltre si era particolarmente affezionata a Godfrey negli ultimi giorni: aveva scoperto il fratello che non aveva mai conosciuto, e soffriva al pensiero che potesse morire.
Gwen balzò in piedi correndo accanto a Godfrey, il cuore che le batteva nel petto, chiedendosi se fosse ancora vivo. Una parte di lei sentiva che se si fosse svegliato quella mattina, allora ce l’avrebbe fatta. Se non si fosse destato sarebbe significato che era finita. Anche Illepra si alzò e si avvicinò in fretta. Doveva essersi addormentata a qualche ora della notte e Gwen non poteva certo biasimarla.
Rimasero entrambe inginocchiate accanto a Godfrey mentre la casupola si riempiva di luce. Gwen mise una mano sul polso del fratello e lo scosse, mentre Illepra gli posava invece una mano sulla fronte. Chiuse gli occhi e inspirò, e improvvisamente gli occhi di Godfrey si aprirono. Illepra ritrasse la mano sorpresa.
Anche Gwen era stupita. Non si aspettava che Godfrey aprisse gli occhi così di colpo. Lui si voltò a guardarla.
“Godfrey?” gli chiese.
Lui strizzò gli occhi, poi li riaprì. Poi, con loro grande sorpresa, si sollevò appoggiandosi a un gomito e le fissò.
“Che ore sono?” chiese loro. “Dove mi trovo?”
La sua voce aveva un tono vivace, sano, e Gwen provò un immenso sollievo. Sorrise di cuore e Illepra fece lo stesso.
Gwen si chinò verso di lui e lo abbracciò con forza, poi si scostò.
“Sei vivo!” esclamò.
“Certo che sono vivo,” disse. “Perché non dovrei esserlo? Chi è lei?” chiese voltandosi verso Illepra.
“La donna che ti ha salvato la vita,” gli disse Gwen.
“Che mi ha salvato la vita?”
Illepra guardava il pavimento.
“Ho solo dato un piccolo aiuto,” disse umilmente.
“Cosa mi è successo?” chiese con agitazione a Gwen. “L’ultima cosa che ricordo è che stavo bevendo alla taverna, e poi…”
“Sei stato avvelenato,” gli rispose Illepra. “Un veleno molto raro e potente. Non lo incontravo da anni. Sei fortunato ad essere vivo. A dirla tutta sei l’unico che abbia visto sopravvivere a quel veleno. Dev’esserci qualcuno che ti guarda dall’alto.”
A sentire quelle parole, Gwen si sentì certa che si trattasse della verità, e il suo pensiero corse subito al padre. Il sole penetrava attraverso le finestre, più forte, e lei percepì la sua presenza tra loro. Aveva deciso che Godfrey vivesse.
“Ti sta bene,” gli disse Gwen sorridendo. “Avevi promesso che avresti dimenticato la birra. E guarda cos’è successo.”
Lui le rispose con un sorriso. La vita era tornata a coloragli le guance e Gwen ne era immensamente sollevata. Godfrey era tornato.
“Mi hai salvato la vita,” le disse con sincerità.
Si voltò poi verso Illepra.
“Entrambe mi avete salvato la vita,” aggiunse. “Non so come potrò mai sdebitarmi.”
Mentre Godfrey guardava Illepra Gwen notò qualcosa, c’era qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che significava ben più che gratitudine. Si voltò a guardare Illepra e la vide arrossire e abbassare lo sguardo. Era evidente che si piacevano.
Illepra si voltò velocemente a attraversò la stanza, dando loro le spalle e mettendosi a lavorare indaffarata a una pozione.
Godfrey guardò Gwen.
“Gareth?” le chiese con tono improvvisamente serio.
Gwen annuì, capendo ciò a cui alludeva.
“È una fortuna che tu sia ancora qui,” disse. “Firth invece è morto.”
“Firth?” esclamò Godfrey sorpreso. “Morto? E come?”
“Impiccato sulla forca,” gli rispose. “E tu dovevi essere il prossimo.”
“E tu?” le chiese Godfrey.
Gwen scrollò le spalle.
“Ha programmato di darmi in moglie fuori dal regno. Mi ha venduta a un Nevareno. Pare che stiano venendo a prendermi.”
Godfrey si mise a sedere furente.
“Non lo permetterò mai!” esclamò.
“Neanche io,” confermò lei. “Troverò il modo di oppormi.”
“Ma senza Firth non abbiamo più nessuna prova,” disse. “Non abbiamo modo di buttarlo giù dal trono. Gareth rimarrà libero.”
“Troveremo un modo,” rispose Gwen. “Troveremo…”
Improvvisamente la casa si riempì di luce: la porta si era aperta ed Akorth e Fulton entrarono.
“Mia signora,” iniziò Akorth, ma poi si voltò vedendo Godfrey.
“Brutto figlio di puttana!” gridò colmo di gioia. “Lo sapevo! Hai sempre fregato tutti in vita, figurarsi se non fregavi anche la morte!”
“Sapevo che nessun boccale di birra avrebbe mai potuto portarti nella fossa!” aggiunse Fulton.
Akorth e Fulton gli si avvicinarono, Godfrey saltò giù dal letto e tutti e tre si abbracciarono.
Poi Akorth si voltò serio verso Gwen.
“Mia signora, mi spiace disturbarti, ma abbiamo scorto un contingente di soldati che avanza all’orizzonte. Stanno venendo da questa parte.”
Gwen lo guardò allarmata, poi corse all’esterno, seguita da tutti, abbassando la testa passando sotto l’uscio e strizzando gli occhi per l’accecante luce del sole.
Il gruppetto rimase fuori e Gwen scrutò l’orizzonte vedendo un piccolo gruppo dell’Argento che si dirigeva verso la casa di Illepra. Cinque o sei uomini galoppavano a massima velocità e non c’era dubbio che stessero andando proprio verso di loro.
Godfrey si apprestò a sguainare la sua spada, ma Gwen gli pose una mano rassicurante sul polso.
“Quelli non sono uomini di Gareth, ma di Kendrick. Sono certa che vengono in pace.”
I soldati li raggiunsero e, senza esitazione smontarono da cavallo e si inginocchiarono davanti a Gwendolyn.
“Mia signora,” disse il primo soldato. “Vi portiamo grosse novità. Abbiamo respinto i McCloud! Vostro fratello Kendrick è salvo e mi ha chiesto di portarvi questo messaggio: Thor sta bene.”
Gwen scoppiò in lacrime alla notizia, sopraffatta dalla gratitudine e dal sollievo. Abbracciò Godfrey che ricambiò stringendola con affetto. Si sentiva come se la vita avesse ricominciato a scorrerle nelle vene.
“Torneranno tutti oggi,” continuò il messaggero, “e ci saranno grandi festeggiamenti nella Corte del Re!”
“Una notizia veramente magnifica!” esclamò Gwen.
“Mia signora,” disse un’altra voce profonda che Gwen riconobbe come quella di un rinomato guerriero, Srog, vestito di rosso, colore caratteristico dell’occidente, un uomo che lei conosceva da quando era bambina. Era stato vicino a suo padre. Si inginocchiò davanti a lei e Gwen si sentì imbarazzata.
“La prego, signore,” gli disse, “non inginocchiatevi davanti a me.”
Era un uomo famoso, un signore potente che aveva migliaia di soldati ai suoi comandi e che governava la sua città, Silesia, la roccaforte dell’Occidente, una città singolare, costruita in cima a una scogliera, affacciata sul Canyon. Era praticamente impenetrabile. E Srog era uno dei pochi uomini di cui suo padre si fidasse.
“Sono venuto fin qui con questi uomini perché ho sentito che si stanno verificando grossi cambiamenti nella Corte del Re,” disse dando a vedere di sapere il fatto suo. “Il trono è instabile. È necessario eleggere un nuovo governatore, qualcuno di fermo e sincero. Mi è giunta voce del desiderio di vostro padre che foste voi a regnare. Vostro padre era come un fratello per me, e la sua parola mi è sacra. Se questo era il suo desiderio, allora è anche il mio. Sono venuto per farvelo sapere. Se sarete voi a regnare, allora i miei uomini vi giureranno alleanza. Vi consiglio di agire in fretta. Gli eventi di oggi hanno dato prova che la Corte del Re ha bisogno di un nuovo capo al più presto.”
Gwen rimase ferma, stupita, non avendo idea di cosa rispondere. Si sentiva estremamente imbarazzata, ma provava anche un senso di orgoglio ed era soprattutto frastornata.
“Vi ringrazio signore,” rispose. “Vi sono grata per queste parole e per la vostra offerta. La considererò con serietà. Per ora desidero solo dare il benvenuto a mio fratello, e a Thor.”
Srog chinò la testa e si udì risuonare un corno all’orizzonte. Gwen sollevò lo sguardo e vide la nuvola di polvere: un enorme esercito stava apparendo all’orizzonte. Lei sollevò una mano per schermare la luce del sole e il cuore le si fermò. Anche da lì era chiaro di chi si trattasse. Era l’Argento. Erano gli uomini del Re.
E lanciato al galoppo davanti a loro, a guidarli, c’era Thor.
CAPITOLO UNDICI
Thor avanzava insieme all’esercito, migliaia di soldati diretti verso la Corte del Re, ed era trionfante. Faceva ancora fatica a capire ciò che era successo. Era fiero di quello che aveva fatto, fiero che proprio quando le cose sembravano volgere al peggio in battaglia, lui era stato capace di non cedere alla paura ma aveva avuto il coraggio di affrontare quei guerrieri. Ed era ancora scioccato di essere in qualche modo sopravvissuto.
L’intera battaglia si era svolta in modo surreale, e lui era veramente grato di aver saputo richiamare i suoi poteri; eppure si sentiva confuso dato che aveva notato che essi non sempre funzionavano a dovere. Non li capiva e, peggio di tutto, non sapeva da dove provenissero o come risvegliarli. Ciò gli faceva capire totalmente che doveva imparare a fare affidamento sulle sue abilità umane, cercando di essere il miglior lottatore, il miglior guerriero. Stava iniziando a capire che per essere il migliore aveva bisogno di entrambe le cose: il lottatore e lo stregone, se mai veramente lo era.
Cavalcarono tutta la notte per raggiungere la Corte del Re e Thor era decisamente esausto, ma allo stesso tempo entusiasta. Il primo sole stava sorgendo all’orizzonte, la vastità del cielo si apriva davanti a lui tingendosi di giallo e rosa, e gli sembrava di vedere il mondo per la prima volta. Non si era mai sentito così vivo. Era circondato dai suoi amici – Reece, O’Connor, Elden e i gemelli – da Kendrick, Kolk e Brom, e da centinaia di membri della Legione, dell’Argento e dell’Esercito del Re. Ma invece di tenere una posizione nelle retrovie, ora cavalcava al centro, circondato da tutti loro. In effetti lo guardavano tutti in modo diverso da quando avevano combattuto. Ora riconosceva l’ammirazione negli occhi non solo dei compagni della Legione, ma anche negli sguardi dei veri guerrieri. Aveva affrontato l’intero esercito dei McCloud da solo e aveva debellato l’ondata di guerra.
Thor era felice di non aver deluso nessuno dei suoi fratelli della Legione. Era felice che i suoi amici l’avessero scampata quasi illesi, e provava un senso di rimorso per coloro che erano morti in battaglia. Non li conosceva, ma avrebbe voluto aver salvato anche loro. Era stata una battaglia sanguinosa e crudele, e anche adesso, mentre cavalcava, ovunque guardasse gli venivano alla mente immagini del combattimento, delle varie armi e dei guerrieri che lo avevano assalito. I McCloud erano un popolo feroce e lui era stato fortunato. Chissà se sarebbe stato altrettanto fortunato in una seconda occasione. Chissà se sarebbe stato capace di richiamare nuovamente i suoi poteri. Non sapeva se si sarebbero nuovamente ripresentati. Aveva bisogno di risposte. E doveva trovare sua madre. Aveva bisogno di sapere chi era veramente. Doveva trovare Argon.
Krohn mugolò accanto a lui, e Thor si piegò indietro per accarezzargli la testa. Lui ricambiò leccandogli la mano. Thor era sollevato dal fatto che Krohn fosse sano e salvo. Lo aveva portato fuori dal campo di battaglia e lo aveva caricato sul suo cavallo, dietro di lui. Sembrava che fosse in grado di camminare, ma Thor voleva che si riposasse e si riprendesse per il lungo viaggio di ritorno. Il colpo che Krohn si era preso aveva l’aspetto di essere stato piuttosto violento, e Thor pensava avesse una costola rotta. Non aveva parole per esprimere la gratitudine che provava per lui: lo sentiva più come un fratello che come un animale, gli aveva salvato la vita più di una volta.
Raggiunsero la cima di una collina e il regno apparve in lontananza davanti a loro: la gloriosa città della Corte del Re, con decine di torri e pinnacoli, con le sue antiche mura di pietra e il suo enorme ponte levatoio, i suoi cancelli ad arco, le sue centinaia di soldati di guardia sui parapetti e in strada; le distese di terreni tutt’attorno e ovviamente il castello del re al centro. Il pensiero di Thor andò immediatamente a Gwen. Lei lo aveva sostenuto in battaglia, lei gli aveva dato ragione e motivo per vivere. Sapendo di essere stato isolato laggiù, di aver subito un’imboscata, lo faceva temere anche per la vita di lei. Sperava che stesse bene, che qualsiasi potere avesse messo in moto quel tradimento, l’avesse risparmiata.
Thor sentì un grido di esultazione in lontananza, vide qualcosa che scintillava alla luce e strizzando gli occhi verso la cima della collina, si rese conto che si stava formando all’orizzonte, davanti alla Corte del Re, un’enorme folla che si riversava nella strada e sventolava bandiere. La gente stava accorrendo per dare loro il benvenuto.
Qualcuno suonò un corno e Thor si rese conto che li stavano accogliendo per il loro ritorno a casa. Per la prima volta in vita sua non si sentì più un estraneo.
“Quei corni suonano per te,” disse Reece accanto a lui, dandogli un colpetto sulla schiena e guardandolo con un nuovo senso di rispetto. “Sei il campione di questa guerra. Ora sei l’eroe della gente.”
“Pensa, uno di noi, un semplice membro della Legione, che sconfigge l’intero esercito dei McCloud,” aggiunse O’Connor colmo di orgoglio.
“Hai reso un grande onore all’intera Legione,” disse Elden. “Ora dovranno prendere noi tutti molto più sul serio.”
“Senza dire che ci hai salvato la vita,” aggiunse Conval.
Thor scrollò le spalle, pieno d’orgoglio, ma rifiutando di permettere che tutto questo gli desse alla testa. Sapeva di essere umano, fragile, vulnerabile, come uno qualsiasi di loro. E che l’intera battaglia sarebbe potuta andare in tutt’altro modo.
“Ho fatto semplicemente quello per cui sono stato allenato,” rispose Thor. “Quello per cui noi tutti siamo stati allenati. Non sono per niente migliore di nessuno di voi. Sono semplicemente stato fortunato.”
“Io direi che è stata ben più che mera fortuna,” ribatté Reece.
Continuarono tutti trotterellando, scendendo la strada principale che conduceva alla Corte del Re. Nel frattempo la via si stava riempiendo di gente che si riversava dalla campagna, esultante, sventolando striscioni dipinti di giallo e blu, i colori dei MacGil. Thor si rese conto che stava diventando una vera a propria sfilata. L’intera corte era venuta lì per festeggiarli, e gioia e sollievo erano chiaramente visibili sui loro volti. Poteva ben capire perché: se l’esercito dei McCloud si fosse avvicinato di più, avrebbero potuto distruggere tutto.