Riley accelerò il passo per evitare i giornalisti, mescolandosi agli altri studenti. Mentre proseguiva, sentì i giornalisti punzecchiare Gina e Cassie continuamente, ponendo loro la stessa domanda …
“Come vi sentite?”
Riley provò un pizzico di rabbia.
Che razza di domanda è questa? si chiese.
Che cosa si aspettavano che le due ragazze rispondessero?
Riley non aveva idea di che cosa avrebbe detto lei stessa, tranne forse intimare i giornalisti di lasciarla in pace.
Era ancora in balia di sentimenti confusi e terribili: profondo shock, persistente dubbio, assillante orrore e tanto altro. La sensazione peggiore di tutte era una sorta di colpevole sollievo per non aver incontrato il fato di Rhea.
Come potevano lei o le sue amiche tradurre tutto questo in parole?
Che senso aveva porre determinate domande?
Riley si recò alla mensa nell’associazione studentesca. Non aveva ancora fatto colazione, e si era appena resa conto di avere fame. Al buffet, prese della pancetta e delle uova, e poi si versò del succo d’arancia e del caffè. Infine, si guardò intorno alla ricerca di un posto in cui sedersi.
I suoi occhi caddero rapidamente su Trudy, che era seduta da sola ad un tavolo, isolata dagli altri nella stanza, intenta a consumare la sua colazione.
Riley deglutì ansiosamente.
Doveva provare a sedersi con Trudy al tavolo?
Le avrebbe rivolto la parola?
Non si erano scambiate una sola parola dalla notte scorsa, quando Trudy le aveva intimato amaramente di andare a dormire.
Riley raccolse tutto il suo coraggio e riuscì ad andare fino al tavolo dell’amica. Senza dire nulla, appoggiò il vassoio sul tavolo e sedette accanto alla compagna di stanza.
Per alcuni istanti, Trudy tenne la testa bassa, come se non si fosse accorta della presenza di Riley.
Finalmente, senza guardare Riley, Trudy disse: “Ho deciso di saltare l’incontro, com’è andata?”
“Ha fatto schifo” Riley rispose. “Avrei dovuto saltarlo anch’io.”
Rifletté per un momento, poi aggiunse: “Non ci è venuta nemmeno Heather.”
“No” Trudy disse. “Ho sentito che i genitori sono venuti stamattina e l’hanno riportata a casa. Immagino che nessuno sappia quando tornerà a scuola, o se mai tornerà.”
Trudy poi guardò Riley e disse: “Hai saputo che cos’è successo a Rory Burdon?”
Riley ricordò quando Hintz le aveva chiesto di Rory la notte scorsa.
“No” rispose.
“I poliziotti si sono presentati nel suo appartamento ieri sera tardi, e hanno bussato alla sua porta. Rory non aveva idea di che cosa volessero. Non era nemmeno a conoscenza di quanto è accaduto a Rhea. Era spaventato a morte perché temeva che lo arrestassero, e non sapeva nemmeno il perché. I poliziotti l’hanno interrogato finché non si sono resi conto che non era lui il loro uomo, e poi se ne sono andati.”
Trudy alzò leggermente le spalle ed aggiunse: “Quel povero ragazzo, non avrei dovuto fare il suo nome a quello stupido capo della polizia. Ma continuava a farmi tutte quelle domande, e non sapevo che altro dire.”
Cadde il silenzio tra di loro. Riley si ritrovò a pensare a Ryan Paige, e al fatto di aver fatto il suo nome ad Hintz. I poliziotti erano andati anche a fare visita a lui? Non sembrava improbabile, ma Riley sperava di no.
Ad ogni modo, si sentì sollevata dal fatto che Trudy fosse almeno intenzionata a parlare con lei. Forse ora Riley poteva spiegare.
Disse lentamente: “Trudy, quando i poliziotti sono arrivati lì, quella poliziotta mi ha chiesto che cosa sapessi, e non ho potuto mentirle. Ho dovuto dire che eri uscita con Rhea ieri sera. Ho anche dovuto dirle di Cassie, Gina ed Heather.”
Trudy annuì. “Tranquilla, Riley. Non mi devi alcuna spiegazione. Lo capisco. E mi dispiace … Mi dispiace di averti trattata come …”
Improvvisamente, Trudy si mise a singhiozzare piano, con le lacrime che scorrevano nel suo vassoio della colazione.
Poi aggiunse: “Riley, è stata colpa mia? Quello che è successo a Rhea, voglio dire.”
Riley riusciva a malapena a credere alle proprie orecchie.
“Di che cosa stai parlando, Trudy? Certo che no. Come potrebbe essere colpa tua?”
“Ecco, sono stata così stupida e ubriaca ieri sera, e non ho prestato attenzione a quello che stava succedendo … non ricordo nemmeno quando Rhea ha lasciato il Covo del Centauro. Le altre ragazze hanno detto che se n’è andata da sola. Forse se io …”
La voce di Trudy si affievolì, ma Riley sapeva che cosa avrebbe voluto dire …
“… forse se fossi andata a casa con Rhea.”
E anche Riley provò un terribile senso di colpa.
Dopotutto, avrebbe potuto porsi la stessa identica domanda.
Se non se ne fosse andata via da sola dal Covo del Centauro, e se fosse stata presente, quando Rhea era pronta ad andarsene, e se si fosse offerta di accompagnarla a casa …
Quella parola, se …
Riley non aveva mai immaginato quanto potesse essere orribile una parola.
Trudy continuava a piangere e Riley non sapeva come comportarsi per farla sentire meglio.
Si domandò perchè lei stessa non fosse in lacrime.
Naturalmente, aveva pianto nel suo letto la scorsa notte. Ma, senz’altro, non aveva pianto abbastanza, non in rapporto a qualcosa di così terribile. Sicuramente, c’erano ancora delle lacrime in serbo per lei.
Si sedette a mangiare la sua colazione, mentre Trudy si asciugò le lacrime e si soffiò il naso, e si ricompose un po’.
Trudy disse: “Riley, continuo a chiedermi perché? Perché Rhea, voglio dire. E’ stato qualcosa di personale? Qualcuna la odiava tanto da ucciderla? Non mi sembra possibile. Nessuno odiava Rhea. Perché qualcuno avrebbe dovuto odiarla?”
Riley non rispose, ma quella domanda frullava anche nella sua testa. Si chiese anche se i poliziotti avessero già trovato delle risposte.
Trudy continuò: “Ed è stato qualcuno che conosciamo ad ucciderla? Forse una di noi è la prossima? Riley, ho paura.”
Ancora una volta, Riley non rispose.
Comunque, era sicura che Rhea conoscesse il proprio assassino. Non sapeva il perché, ma ne era certa: non che lei fosse una poliziotta o sapesse qualcosa sui criminali. Ma qualcosa, nel profondo, le suggeriva che Rhea aveva conosciuto e si era fidata del suo killer, fino al momento in cui era stato troppo tardi per riuscire a salvarsi.
Trudy guardò costantemente Riley, poi osservò: “Tu non sembri spaventata.”
Riley si sentì colta alla sprovvista.
Per la prima volta, se ne rese conto …
No, non sono spaventata.
Aveva provato ogni sorta di tremenda emozione al mondo: colpa, dolore, shock, e sì, orrore. Ma il suo orrore era in qualche modo diverso dalla paura per la sua stessa vita. L’orrore che provava era per Rhea, orrore per l’ingiustizia di ciò che le era accaduto.
Ma Riley non aveva paura.
Si chiese se fosse dovuto a quanto era accaduto a sua madre tanti anni fa, il suono di quello sparo, la vista di tutto quel sangue, l’incomprensibile perdita con cui stava lottando ancora oggi?
Il terribile trauma che aveva patito l’aveva resa più forte delle altre persone?
Per qualche ragione, quasi sperava che non fosse così. Non sembrava molto giusto essere così forte, forte in modi sconosciuti agli altri.
Proprio non sembrava molto …
A Riley occorsero alcuni secondi per pensare alla parola giusta.
Umano.
Rabbrividì leggermente, poi disse a Trudy: “Sto tornando al dormitorio. Ho davvero bisogno di dormire un po’. Vuoi venire con me?”
Trudy scosse la testa.
“Voglio soltanto stare qui per un po’” rispose.
Riley si alzò dalla sedia e diede all’amica un rapido abbraccio. Poi, svuotò il vassoio della colazione e uscì. Non era un lungo tragitto fino al dormitorio e tirò un sospiro di sollievo, quando vide che non c’era alcun giornalista lungo la strada. Giunta alla porta del dormitorio, si fermò per un istante, comprendendo il motivo per cui Trudy non era voluta tornare con lei: non era semplicemente pronta ad affrontare di nuovo il dormitorio.
Ferma sulla porta, Riley si accorse di sentirsi strana: naturalmente, aveva passato la notte lì dentro. Ci viveva.
Ma, dopo aver trascorso del tempo all’esterno, in luoghi in cui era stato proclamato il ritorno alla normalità, lei era pronta a tornare all’interno dell’edificio in cui Rhea era stata uccisa?
Fece un respiro profondo, e attraversò la porta principale.
Inizialmente, si sentì BENE. Ma, mentre procedeva lungo il corridoio, il senso di stranezza s’intensificò. Per Riley fu come camminare e muoversi sott’acqua. Si recò direttamente alla sua stanza. Quando fu sul punto di aprire la porta, i suoi occhi furono attirati verso la stanza più avanti, in fondo al corridoio, quella che era stata condivisa da Rhea ed Heather.
La raggiunse e vide che la porta era chiusa e sigillata dal nastro della polizia.
Riley restò lì, sentendosi orribilmente curiosa.
Che aspetto aveva ora quella stanza?
Era stata ripulita dall’ultima volta che l’aveva vista?
O era ancora presente il sangue di Rhea?
Riley fu colta da una orrenda tentazione: ignorare quel nastro, aprire quella porta ed entrare lì dentro.
Sapeva di non doverlo fare. E naturalmente, la porta sarebbe stata chiusa a chiave.
Ma, ciò nonostante …
Perché mi sento così?
Se ne stette lì, provando a comprendere questo misterioso desiderio. Ad un certo punto comprese: aveva qualcosa a che fare con il killer stesso.
Non poteva smettere di pensare …
Se apro quella porta, potrò guardare nella sua mente.
Non aveva alcun senso, naturalmente.
Ed era un’idea davvero spaventosa, guardare in una mente malvagia.
Perché? continuava a chiedersi.
Perché voleva comprendere il killer?
Perché mai provava una tale innaturale curiosità?
Per la prima volta da quando questa cosa orribile era accaduta, Riley ebbe improvvisamente paura …
… non per se stessa, ma di se stessa.
CAPITOLO SEI
Il lunedì mattina, Riley si scoprì profondamente a disagio, mentre occupava il suo posto a lezione di psicologia avanzata.
Dopotutto, si trattava della prima lezione dopo l’omicidio di Rhea, avvenuto quattro giorni prima.
Era anche la materia che stava cercando di studiare, prima che lei e le amiche andassero al Covo del Centauro.
C’erano pochi studenti presenti, quel giorno; molti infatti lì a Lanton non si sentivano pronti a tornare. Trudy era presente, ma Riley sapeva che anche la compagna di stanza si sentiva a disagio e non riusciva a gestire questa fretta di tornare alla “normalità”. Gli altri studenti erano tutti insolitamente tranquilli, mentre occupavano i propri posti.
Vedere il Professor Brant Hayman entrare in aula, mise Riley un po’ più a suo agio. Era giovane e piuttosto attraente, in un senso accademico, nel suo completo a coste. Ricordò Trudy dire a Rhea …
“A Riley piace impressionare il Professor Hayman. Ha un debole per lui.”
Riley si sentì in imbarazzo al ricordo.
Certamente non voleva credere di avere un “debole” per l’insegnante.
Era solo che aveva iniziato a studiare con lui quando era ancora una matricola. All’epoca, lui non era ancora un professore, ma un semplice assistente laureato. Lei aveva pensato che fosse un meraviglioso insegnante: istruttivo, entusiasta e talvolta divertente.
Oggi, l’espressione del Dottor Hayman era seria. Appoggiò la valigetta sulla scrivania e guardò gli studenti. Riley intuì che sarebbe andato dritto al punto.
Esordì: “Bene, c’è un elefante in quest’aula. Tutti sappiamo che cos’è. Dobbiamo cambiare l’aria. Dobbiamo discuterne apertamente.”
Riley trattenne il fiato. Era sicura che non le sarebbe piaciuto quello che sarebbe accaduto.
Poi Hayman disse …
“Qualcuno di voi conosceva Rhea Thorson? Non come conoscenza superficiale, non come qualcuno con cui vi incrociate qualche volta al campus. Beh, voglio dire, molto bene. Come amica.”
Riley sollevò la mano con cautela, così come Trudy. Nessun altro nell’aula lo fece.
Hayman allora chiese: “Che cosa state provando voi due da quando è stata uccisa?”
Riley si fece piccola.
Dopotutto, era la stessa domanda che aveva sentito fare da quei giornalisti a Cassie e Gina venerdì. Riley era riuscita ad evitare quei giornalisti, ma avrebbe dovuto rispondere a quella domanda adesso?
Si rammentò che questa era una lezione di psicologia. Erano lì per affrontare quel genere di domande.
Eppure Riley si chiese …
Da dove comincio?
Fu sollevata quando Trudy parlò.
“In colpa. Avrei potuto impedire che accadesse. Ero con lei al Covo del Centauro prima che accadesse. Non mi sono neanche accorta di quando se n’è andata. Se solo fossi andata con lei a casa …”
La voce di Trudy s’interruppe. Riley trovò il coraggio di parlare.
“Provo lo stesso” disse. “Sono andata a sedermi per conto mio, quando siamo andate tutte al Covo, e non ho prestato attenzione a Rhea. Forse se io avessi …”
Riley fece una pausa, poi aggiunse: “Anch’io mi sento in colpa. E anche altro. Egoista, immagino. Perché volevo stare da sola.”
Il Dottor Hayman annuì. Con un sorriso comprensivo, disse: “Dunque nessuna di voi ha accompagnato Rhea a casa.”
Dopo una pausa, aggiunse: “Un peccato di omissione.”
La frase sconvolse un po’ Riley.
Sembrava un termine inadatto per indicare il fallimento di Riley e Trudy. Sembrava troppo gentile, neppure abbastanza tragico: non pareva una questione di vita e di morte.
Ma, naturalmente, era vero, per quanto le riguardava.
Hayman si guardò intorno, rivolgendo lo sguardo al resto della classe.
“E voi altri? Avete mai fatto, o avete fallito, nello stesso genere di situazione? Avete mai, diciamo, lasciato che un’amica camminasse da sola di notte, quando avreste dovuto accompagnarla a casa? O forse avete omesso di fare qualcosa che sarebbe stato importante per la sicurezza di qualcuno? Ignorato una situazione che avrebbe potuto causare del male o persino la morte?”
Un mormorio confuso si sollevò tra gli studenti.
Riley comprese che si trattava davvero di una domanda difficile.
Dopotutto, se Rhea non fosse stata uccisa, né Riley né Trudy avrebbero riflettuto attentamente sul “peccato di omissione.”
Se ne sarebbero completamente dimenticate.
Non la sorprendeva il fatto che almeno alcuni studenti trovassero difficile ricordare, in un senso o nell’altro. E la verità era che la stessa Riley non riusciva a ricordarlo. C’erano state altre volte in cui era stata negligente mettendo a repentaglio la sicurezza altrui?
Avrebbe potuto essere responsabile per le morti di altri, se non fosse stato per la sua assoluta sciocca fortuna?
Dopo alcuni istanti, diverse mani riluttanti si alzarono.
A quel punto Hayman chiese: “E voi altri? Quanti di voi non riescono a ricordare?”
Quasi tutto il resto degli studenti alzò le mani.
Hayman annuì e disse: “OK, allora. La maggior parte di voi potrebbe aver commesso lo stesso errore, una volta o l’altra. Perciò, quanti di voi si sentono in colpa per il modo in cui hanno agito o per quello che avreste probabilmente dovuto fare ma non avete fatto?”
Ci fu un mormorio più confuso, e persino alcuni sussulti.
“Cosa?” Hayman chiese. “Nessuno di voi? Perché no?”
Una ragazza sollevò la mano e balbettò: “Beh … era diverso perché… suppongo perché … nessuno è stato ucciso, immagino.”
Ci fu un mormorio generale di assenso.
Riley notò che un altro uomo era entrato nell’aula. Si trattava del Dottor Dexter Zimmerman, il direttore del Dipartimento di Psicologia. Zimmerman sembrava essere stato fuori dall’aula, ad ascoltare la discussione.
Lei aveva avuto una lezione con lui due semestri prima: Psicologia Sociale. Era un uomo più anziano, rugoso ma di aspetto gentile. Riley sapeva che il Dottor Hayman lo considerava un mentore, quasi lo idolatrava, in realtà. Ma erano anche molti studenti a farlo.