Il Quartiere Perfetto - Блейк Пирс 2 стр.


“Non ti capisco, Jessie,” le disse mettendosi addosso il cappotto. “Vieni accettata in un prestigioso programma dell’FBI a Quantico per la formazione di promettenti profiler criminali, e sembri essere indifferente all’idea. Pensavo che avresti fatto salti di gioia davanti alla possibilità di cambiare aria per un po’. E poi è solo per dieci settimane. Non è che devi per forza trasferirti lì.”

“Hai ragione,” le concesse Jessie mentre mandava giù la sua terza tazza di caffè. “È solo che ci sono così tante cose in ballo al momento, e non sono sicura che sia il momento giusto. Il divorzio da Kyle non è ancora definitivo. Devo ancora concludere la vendita della casa a Westport Beach. Non sono al cento per cento fisicamente. E mi sveglio gridando il più delle notti. Non so se sono pronta per il rigore del programma di formazione dell’analisi comportamentale dell’FBI in questo momento.”

“Beh, farai meglio a decidere in fretta,” disse Lacy portandosi alla porta. Non devi rispondergli per la fine della settimana?”

“Sì.”

“Beh, fammi sapere cosa decidi. E puoi aprire la finestra della tua camera quando esci? Senza offesa, ma sa un po’ da palestra là dentro.”

Prima che Jessie potesse rispondere, era già uscita. Ad ogni modo non era certa di cosa avrebbe potuto risponderle: Lacy era una grande amica sulla quale si poteva sempre fare affidamento, ad essere onesti, ma il tatto non era il suo forte.

Jessie si alzò e andò in camera sua a cambiarsi. Colse uno scorcio di se stessa nel grande specchio che si trovava dietro alla porta, e non si riconobbe subito. In superficie era sempre la stessa, con i capelli castani che le arrivavano alle spalle, gli occhi verdi, la sua struttura slanciata che superava il metro e settanta.

Ma gli occhi erano contornati di rosso per la stanchezza, e i capelli apparivano crespi e unti, tanto che decise di farsi una coda e mettere un berretto in testa. E poi si sentiva costantemente ingobbita, come risultato dell’onnipresente preoccupazione che potesse arrivarle qualche fitta di dolore dall’addome.

Tornerò mai ad essere quella che ero? Esiste ancora quella donna?

Cacciò via il pensiero, costringendo l’autocommiserazione a fare un passo indietro, almeno per un po’. Era troppo occupata per darle soddisfazione adesso.

Era ora di prepararsi alla sua seduta di fisioterapia, l’incontro con l’agenzia per l’appartamento, l’appuntamento con la psichiatra e poi con la sua ginecologa. Sarebbe stata un’intera giornata in cui fingere di essere un essere umano completamente funzionale.

*

Il mediatore immobiliare, una sorta di minuta sacerdotessa islamica in pantaloni che si chiamava Bridget, le stava mostrando il Terzo appartamento della mattina quando Jessie iniziò a sentire l’urgenza di lanciarsi dal balcone.

Tutto era andato bene all’inizio. Si sentiva un po’ esaltata dalla sua seduta di fisioterapia, che si era conclusa con l’affermazione che ‘era ragionevolmente equipaggiata per le necessità della vita quotidiana’. Bridget aveva gestito le cose in maniera dinamica mentre guardavano i primi due appartamenti, concentrandosi sui dettagli del condominio, sul prezzo e altre caratteristiche. Fu soltanto quando arrivarono alla terza opzione, l’unica che a Jessie un po’ interessasse tra quelle visionate fino a quel momento, che iniziarono le domande personali.

“È certa di essere interessata solo ad appartamenti con una camera?” chiese Bridget. “Vedo che questo le piace. Ma c’è un due camere al piano di sopra, praticamente con la stessa disposizione delle stanze. Viene solo trentamila dollari di più e avrebbe un valore di rivendita molto maggiore. E poi non si sa mai quale potrebbe essere la sua situazione da adesso a un paio di anni.”

“Questo è vero,” confermò Jessie, notando mentalmente che solo due mesi prima era sposata, incinta e residente in una villa nella Contea di Orange. Ora era separata da un assassino confesso, aveva perso il suo bambino non ancora nato e stava condividendo un appartamento con una vecchia amica di studi. “Ma una camera mi va bene.”

“Certamente,” disse Bridget con un tono che suggeriva che non avrebbe lasciato perdere. “Le spiace se le chiedo quali sono le sue attuali condizioni? Potrebbe aiutarmi a mirare in modo più preciso alle sue preferenze. Non posso fare a meno di notare che la pelle sull’anulare è bianca, indicando la presenza forse di una fede nuziale fino a poco tempo fa. Potrei gestire la scelta di una residenza capendo se desidera andare avanti in modo aggressivo o…. più pacato.”

“Siamo nella zona giusta,” disse Jessie, la voce involontariamente più tesa. “Voglio vedere solo appartamenti da una camera da queste parti. È l’unica informazione che le serve per ora, Bridget.”

“Certamente, mi scusi,” rispose la donna con tono remissivo.

“Dovrei usare il bagno un momento,” disse Jessie, la tensione alla gola che ora si stava propagando al petto. Non era certa di cosa le stesse accadendo. “Posso?”

“Nessun problema,” disse Bridget. “Ricorda dove si trova, in fondo al corridoio?”

Jessie annuì e si diresse rapidamente nella direzione indicata, cercando ad ogni modo di non mettersi a correre. Quando fu arrivata e si fu chiusa la porta alle spalle, ebbe quasi il timore di poter svenire. Sembrava quasi un attacco di panico.

Cosa diavolo mi sta succedendo?

Si bagnò il viso con acqua fresca, poi appoggiò le mani sul bordo del lavandino, ordinando a se stessa di fare respiri lenti e profondi.

Nella mente le scorrevano immagini che non avevano alcuna attinenza o logica tra loro: lei accoccolata sul divano con Kyle, tremante in un capanno isolato tra le montagne dell’Ozark, l’ecografia del bambino mai nato, e che mai sarebbe venuto al mondo, una fiaba della buonanotte su una sedia a dondolo con il suo padre adottivo, suo marito che gettava un corpo morto dallo yacht nel mare al largo dalla costa, il suono della voce di suo padre che le sussurrava “farfallina” in un orecchio.

Perché la domanda praticamente innocua di Bridget sulla sua condizione e il riferimento a una reazione pacata l’avessero ridotta a quello stato, Jessie non lo sapeva. Ma era successo, e ora lei stava sudando freddo, tremando involontariamente, fissando nello specchio una persona che poteva a malapena riconoscere.

Era buona cosa che il prossimo appuntamento fosse con la sua terapeuta. Il pensiero la calmò un poco, Jessie fece qualche altro profondo respiro e poi uscì dal bagno, tornando verso la porta d’ingresso.

“Ci sentiamo,” disse a Bridget mentre si chiudeva la porta alle spalle. Ma non era certa che sarebbe successo. In quel momento non era certa di nulla.

CAPITOLO TRE

L’ufficio della dottoressa Janice Lemmon era a pochi isolati dal condominio che Jessie aveva appena lasciato, e lei fu contenta di poter fare due passi e schiarirsi la mente. Mentre percorreva la Figueroa, si sentiva quasi felice per il vento freddo e tagliente che le faceva lacrimare gli occhi, per poi asciugarli in un istante. L’abbraccio del gelo spinse la maggior parte dei cattivi pensieri fuori dalla sua testa.

Si chiuse la cerniera del giaccone fino al collo e abbassò la testa mentre passava davanti a un bar, poi a un ristorantino traboccante di gente. Era la metà di dicembre a Los Angeles, e i locali e negozi della zona stavano facendo del loro meglio per darsi un aspetto festivo e vacanziero in una città dove la neve era quasi un concetto astratto.

Ma nei tunnel di vento creati dai grattacieli del centro, il freddo era onnipresente. Erano quasi le 11 del mattino, ma il cielo era grigio e la temperatura stava sotto ai dieci gradi. Quella sera sarebbe scesa vicino ai cinque. Per Los Angeles era un gelo tremendo. Ovviamente Jessie aveva sperimentato temperature ben più rigide.

Da bambina nella campagna del Missouri, prima che tutto crollasse, giocava nel piccolo cortile della casa mobile di sua madre all’interno del campo caravan, le dita e il viso mezzi intorpiditi, creando pupazzi di neve non particolarmente attraenti, ma dal volto sempre felice, mentre sua madre la guardava in modo protettivo dalla finestra. Jessie ricordava di essersi chiesta perché sua madre non le levasse mai gli occhi di dosso. A ripensarci adesso, tutto era chiaro.

Pochi anni più tardi, nella periferia di Las Cruces, nel Nuovo Messico, dove aveva vissuto con la sua famiglia adottiva dopo essere passata sotto alla Protezione Testimoni, andava a sciare sui lievi pendii delle montagne vicine con il suo secondo padre, un agente dell’FBI che emanava calma professionalità in qualsiasi situazione. Era sempre lì ad aiutarla quando cadeva. E Jessie poteva generalmente contare su una cioccolata calda quando uscivano tra le colline nude e spazzate dal vento per tornare all’alloggio.

Quei freddi ricordi la scaldarono mentre svoltava nell’ultimo quartiere arrivando all’ufficio della dottoressa Lemmon. Decise meticolosamente di non pensare alle cose meno piacevoli, che inevitabilmente si intrecciavano con quelle buone.

Passò l’accettazione e si tolse il giaccone, aspettando di essere chiamata nell’ufficio della dottoressa. Non ci volle molto. Alle 11 in punto la sua terapeuta aprì la porta e la accolse all’interno.

La dottoressa Lemmon era una donna sui sessantacinque anni, ma non ne aveva l’aspetto. Era in ottima forma e i suoi occhi, dietro a un paio di spessi occhiali, erano acuti e concentrati. I suoi riccioli biondi rimbalzavano quando camminava, e tutta la sua figura emanava un’intensità che non poteva essere mascherata.

Si sedettero sulle poltroncine, una di fronte all’altra. La dottoressa Lemmon le concesse qualche momento per accomodarsi, prima di parlare.

“Come stai?” le chiese in quel modo accomodante che aveva sempre spinto Jessie a considerare la domanda in modo più serio rispetto a quanto si potesse fare nella vita di tutti i giorni.

“Sono stata meglio,” ammise.

“Come mai?”

Jessie le raccontò dell’attacco di panico nell’appartamento e dei successivi flashback.

“Non so cosa mi abbia disturbato,” disse alla fine.

“Io penso di sì,” le rispose la dottoressa Lemmon.

“Le spiacerebbe darmi un indizio?” ribatté Jessie.

“Beh, mi chiedo se tu non abbia perso il controllo davanti a una persona quasi sconosciuta, perché hai la sensazione di non avere altri posti dove poter liberare la tua ansia. Lascia che ti chieda questa cosa: ci sono eventi o decisioni stressanti che incombono su di te al momento?”

“Intende dire a parte un appuntamento con la ginecologa fra due ore per vedere se mi sono ripresa dall’aborto, la definizione di un divorzio dall’uomo che ha tentato di uccidermi, la vendita della casa che condividevamo, la gestione del fatto che il mio padre serial killer mi stia cercando, la decisione se andare o no in Virginia per due mesi e mezzo per farmi ridere dietro da qualche insegnante dell’FBI, e come lasciare l’appartamento della mia amica in modo che lei possa dormire in maniera decente la notte? A parte questo, direi che tutto è perfettamente sotto controllo.”

“Non mi pare poco,” rispose la dottoressa Lemmon, ignorando il sarcasmo di Jessie. “Perché non cominciamo con le preoccupazioni più imminenti e cerchiamo di risolvere le cose da lì?” le chiese

“È lei il capo,” mormorò Jessie.

“A dire il vero no. Ma dimmi del tuo prossimo appuntamento. Perché dovrebbe essere una preoccupazione?”

“Non è tanto il fatto che io sia preoccupata,” disse Jessie. “Il medico mi ha già detto che pare non ci siano danni permanenti e che potrò concepire in futuro. È più il fatto che andando lì ricorderò ciò che ho perso e come l’ho perso.”

“Intendi il modo in cui tuo marito ti ha drogata in modo da poterti incastrare per l’omicidio di Natalia Urgova? E come il farmaco che ha usato abbia indotto l’aborto?”

“Sì,” rispose Jessie con voce asciutta. “Sto parlando proprio di questo.”

“Bene, sarei sorpresa che qualcuno lì risollevasse la questione,” disse la dottoressa Lemmon con un delicato sorriso sulle labbra.

“Quindi sta dicendo che mi sto stressando da sola riguardo alla mia situazione, senza che non ce ne sia il minimo bisogno?”

“Sto dicendo che se gestisci le emozioni in anticipo, potrebbero non essere così travolgenti quando ti troverai effettivamente in quella stanza.”

“Più facile a dirsi che a farsi,” disse Jessie.

“Ogni cosa è più facile a dirsi che a farsi,” rispose la dottoressa Lemmon. “Rinviamo questo per il momento e passiamo al tuo imminente divorzio. Come stanno andando le cose su quel fronte?”

“La casa è in deposito di garanzia. Quindi spero che tutto si concluda senza complicazioni. Il mio avvocato dice che la mia richiesta di divorzio accelerato è stata approvata e che dovrebbe diventare definitivo prima della fine dell’anno. C’è un bonus su quel fronte: dato che la California è uno stato con comunione dei beni, io ottengo metà dei beni del mio marito assassino. Anche lui ottiene la metà dei miei, sebbene vada a processo per nove reati principali all’inizio del prossimo anno. Ma considerando che sono stata una studentessa fino a poche settimane fa, non ammontano poi a molto.”

“Va bene, e come ti senti nei confronti di tutto questo?”

“Bene per quanto riguarda i soldi. Direi che ci ho più che guadagnato. Sa che ho usato l’assicurazione sanitaria del suo lavoro per pagare i danni subiti a seguito della pugnalata con l’attizzatoio? C’è qualcosa di poetico in questo. Ad ogni modo sarò felice quando sarà tutto finito. In generale voglio solo andare avanti e cercare di dimenticare di aver passato quasi dieci anni della mia vita con un sociopatico senza mai rendermene conto.”

“Pensi che avresti dovuto saperlo?” chiese la dottoressa Lemmon.

“Sto cercando di diventare una profiler criminale professionista, dottoressa. Quanto posso essere brava se neanche mi sono accorta del comportamento criminale del mio stesso marito?”

“Ne abbiamo già parlato, Jessie. Spesso è difficile anche per i migliori profiler identificare il comportamento illecito di coloro che gli stanno vicino. Spesso è richiesta una distanza professionale per vedere ciò che realmente sta accadendo.”

“Immagino che lei stia parlando per esperienza personale?” chiese Jessie.

Janice Lemmon, oltre ad essere una terapeuta comportamentale, era una consulente criminale di grande rispetto che un tempo lavorava a tempo piano nel dipartimento di polizia di Los Angeles. In certe occasioni offriva ancora il suo servizio.

La Lemmon aveva usato la sua considerevole influenza per raccomandare Jessie e farle ottenere il permesso di entrare nell’ospedale di stato di Norwalk in modo da intervistare il serial killer Bolton Crutchfield, come parte del suo lavoro da laureanda. E Jessie sospettava anche che la dottoressa avesse giocato un ruolo importante nella sua accettazione nel programma accademico nazionale dell’FBI, che generalmente arruolava solo maturi investigatori del luogo, e non neolaureati senza praticamente alcuna esperienza pratica.

“È così,” rispose la dottoressa Lemmon. “Ma questo lo possiamo risparmiare per un altro giorno. Ti andrebbe di discutere di come ti senti per essere stata raggirata da tuo marito?”

“Non direi di essere stata del tutto raggirata. Dopotutto, grazie a me lui è in prigione e tre persone che altrimenti sarebbero morte, inclusa me stessa, sono ancora operative. Non mi prendo nessun credito per questo? Dopotutto sono stata io a capire tutto alla fine. Non penso che i poliziotti ci sarebbero riusciti.”

Назад Дальше