“Assolutamente no. Ma immagino che il basso profilo abbia un senso; i centri tecnologici collegati alle università ma che si trovano fuori dai campus di solito cercano di non farsi notare.”
“Sempre Discovery Channel?” chiese lui.
“No. Semplici ricerche.”
Passò poco meno di un minuto perché la donna ritornasse. Quando lo fece, era insieme a un uomo. Indossava una camicia e pantaloni khaki. Un lungo camice bianco che somigliava a quello che spesso indossavano i dottori copriva parzialmente il tutto. Sul suo volto c’era un’espressione di ansia e preoccupazione che sembrava accresciuta dagli occhiali che portava.
“Salve,” disse, avvicinandosi ad Avery e a Ramirez. Tese una mano per una stretta e si presentò: “Sono Hal Bryson. Cosa posso fare per aiutarvi?”
“Lei qui è il supervisore?” domandò Avery.
“Più o meno. Qui dentro lavoriamo solo in quattro. Facciamo a turno ma sì, sono io che controllo gli esperimenti e i dati.”
“E che genere di lavoro svolgete qui?” chiese Avery.
“Molte cose diverse,” rispose Bryson. “A rischio di sembrare esigente, se poteste dirmi perché siete venuti qui, potrei essere un po’ più preciso.”
Avery tenne bassa la voce, non volendo che le donne alla scrivania la sentissero. E dato che era chiaro che Bryson non aveva alcuna intenzione di invitarli a entrare oltre il foyer, capì che avrebbero dovuto tenere quella conversazione lì dove erano.
“Stiamo indagando su un caso in cui il sospetto sembra avere un interesse per il freddo e le temperature basse,” spiegò. “Ieri ha mandato una lettera di sfida alla centrale di polizia. Stiamo cogliendo l’occasione per capire se qui svolgete delle ricerche che possano essere collegate alle nostre indagini. È un caso molto particolare quindi stiamo partendo dall’unico indizio vero e proprio che abbiamo, il freddo.”
“Capisco,” disse Bryson. “Beh, in effetti ci sono diversi esperimenti che hanno luogo qui che coinvolgono le temperature estremamente basse. Potrei accompagnarvi in laboratorio per farvi vedere ma dovrei insistere che siate totalmente igienizzati e che indossiate una protezione appropriata.”
“Lo apprezzo,” replicò Avery. “E forse più tardi accetteremo. Speriamo di non esserne costretti. Ma potrebbe riassumerci alcuni di questi esperimenti?”
“Ma certo,” esclamò Bryson. Sembrava felice di poterli aiutare e assunse l’atteggiamento di un insegnante che iniziava la spiegazione. “La maggior parte dei test e del lavoro che facciamo qui che usa le temperature basse è teso a superare ciò che è conosciuto come il limite quantistico. Questo limite è una temperatura appena sopra lo zero assoluto, circa diecimila volte più freddo delle temperature che si incontrano nel vuoto spaziale.”
“E quale è lo scopo di uno studio di questo tipo?” chiese Ramirez.
“Aiutare la ricerca e lo sviluppo di sensori ipersensibili per un lavoro ancora più avanzato. È anche un ottimo modo per comprendere la struttura di certi elementi e come rispondono a simili temperature estreme.”
“E siete in grado di raggiungere queste temperature qui, in questo edificio?” indagò Ramirez.
“No, non nei nostri laboratori. Siamo solo un’estensione del National Institute of Standards and Technology di Boulder. Ma possiamo arrivarci abbastanza vicini.”
“E dice che siete solo in quattro,” ripeté Avery. “È sempre stato così?”
“Dunque, circa un anno fa eravamo in cinque. Uno dei miei colleghi si è dovuto allontanare. Stava iniziando a soffrire di emicranie e di altri problemi di salute. Non si sentiva affatto bene.”
“Si è dimesso per sua scelta?” insistette Avery.
“Esatto.”
“E potremmo sapere il suo nome, per favore?”
Un po’ preoccupato, Bryson disse: “Si chiama James Nguyen. Ma vi prego di perdonarmi se dico che dubito seriamente che sia l’uomo che state cercando. È sempre stato molto gentile, tranquillo… un uomo pacato. Anche una specie di genio.”
“Apprezzo la sua sincerità,” commentò Avery, “ma dobbiamo controllare ogni pista che ci si presenti. Saprebbe dirci come possiamo contattarlo?”
“Sì, posso trovarvi questa informazione.”
“Quando è stata l’ultima volta che ha parlato con il signor Nguyen?”
“Saranno almeno… oh, non lo so… otto mesi fa, direi. Solo una telefonata per sapere come stava.”
“E come stava?”
“Bene, da quello che ho capito. Stava lavorando come editore e ricercatore per una rivista scientifica.”
“Grazie per il suo tempo, signor Bryson. Se potesse trovare i contatti del signor Nguyen, sarebbe molto utile.”
“Certo,” disse lui, sembrando piuttosto triste. “Un momento.”
Bryson si diresse verso la receptionist dietro il computer e le disse qualcosa a bassa voce. La donna annuì e iniziò a battere sulla tastiera. Mentre aspettavano, Ramirez si avvicinò ancora una volta ad Avery. Era una strana sensazione, rimanere professionale mentre lui le era tanto vicino le risultava difficile.
“Meccanica quantistica?” disse. “Vuoto spaziale? Credo che potrebbe essere fuori dalla mia portata.”
Lei gli sorrise, trattenendosi a fatica dal baciarlo. Fece del suo meglio per rimanere concentrata mentre Bryson tornava da loro con in mano un foglio di carta stampato.
“È anche fuori dalla mia,” sussurrò a Ramirez, facendogli un altro rapido sorriso. “Ma di certo non mi dispiace cercare di capirci qualcosa.”
***
Certi giorni Avery era sorpresa da quanto le cose filassero lisce e senza problemi. Bryson aveva dato loro il numero di telefono, l’indirizzo email e di casa di James Nguyen. Avery aveva chiamato l’uomo e non solo le aveva risposto, ma aveva invitato i due detective a casa sua. Era sembrato persino felice di farlo, in effetti.
Quindi quando lei e Ramirez si diressero verso la sua porta d’ingresso, quaranta minuti dopo, non poté evitare di sospettare che stessero perdendo il loro tempo. Nguyen viveva in una magnifica casa a due piani a Beacon Hill. Apparentemente la carriera nelle scienze aveva dato i suoi frutti. A volte Avery provava ammirazione per le persone con una mente scientifica e matematica. Le piaceva leggere testi scritti da loro o ascoltarli parlare (una delle ragioni per cui era stata tanto attratta da cose come il Discovery Channel e le riviste Scientific American che di tanto in tanto sfogliava nella biblioteca del college).
Sotto la veranda, Ramirez bussò alla porta. Nguyen gli rispose praticamente subito. Sembrava essere sulla cinquantina. Indossava una maglietta dei Celtics e un paio di pantaloncini sportivi. Sembrava informale, calmo e quasi allegro.
Essendosi già presentati a telefono, Nguyen li invitò in casa. Entrarono in un ingresso elaborato che conduceva in una grande zona soggiorno. Sembrava che Nguyen si fosse preparato per il loro arrivo: aveva sistemato bagels e tazze di caffè su quello che a prima vista era un tavolino estremamente costoso.
“Prego, accomodatevi,” disse lo scienziato.
Avery e Ramirez si sedettero sul divano di fronte al tavolino mentre Nguyen si accomodava sulla poltrona davanti a loro.
“Servitevi pure,” disse Nguyen, facendo un cenno verso il caffè e i bagel. “Ora, cosa posso fare per voi?”
“Beh, come ho detto a telefono,” esordì Avery, “abbiamo parlato con Hal Bryson e ci ha detto che ha dovuto allontanarsi dal suo lavoro alla Esben Technologies. Potrebbe parlarcene?”
“Sì. Sfortunatamente stavo dedicando troppo tempo ed energie al lavoro. Ho iniziato a vederci doppio e ad avere delle cefalee a grappolo. Lavoravo ottantasei ore alla settimana per periodi che andavano dai sette agli otto mesi alla volta. Ero ossessionato dal mio lavoro.”
“Con quale aspetto del suo lavoro, di preciso?” chiese Avery.
“Ripensandoci, davvero non saprei dirglielo,” rispose lui. “Era semplicemente la consapevolezza di essere vicinissimo a creare delle temperature in laboratorio somiglianti a quelle che si sarebbero potute percepire nello spazio. Trovare dei modi per manipolare gli elementi con le temperature… c’è qualcosa di divino in ciò. Può diventare assuefacente. Non l’ho capito fino a quando non è stato troppo tardi.”
Di certo la sua ossessione per il lavoro corrisponde alla descrizione di chiunque stiamo cercando, pensò Avery. Tuttavia, dopo aver parlato con Nguyen per un totale di due minuti, era certa che Bryson avesse avuto ragione. Era impossibile che fosse stato lui.
“Su cosa stavate lavorando esattamente quando ha smesso?” gli chiese.
“È piuttosto complicato,” disse lui. “E da allora sono andato oltre. Ma essenzialmente, stavo cercando di rimuovere il calore residuo causato quando gli atomi perdono la loro velocità durante il processo di raffreddamento. Mi stavo destreggiando tra unità quantistiche di vibrazioni e fotoni. Attualmente, da quanto ne so, è stato tutto perfezionato dai nostri colleghi a Boulder, ma all’epoca stavo letteralmente impazzendo!”
“Oltre al lavoro che sta facendo per la rivista e le cose per il college, sta ancora seguendo degli studi?”
“Mi diletto qua e là,” disse lui. “Ma sono solo cose a casa. Ho un mio laboratorio privato in uno spazio in affitto qualche strada più in là, ma non è niente di serio. Vorreste vederlo?”
Avery intuì che non si trattava di un tranello o di falso entusiasmo. Nguyen era ovviamente molto appassionato del lavoro che un tempo aveva svolto. E più parlava di ciò che aveva fatto, più sprofondavano nel mondo della meccanica quantistica—un argomento a chilometri di distanza da un folle assassino che abbandonava un corpo in un fiume ghiacciato.
Avery e Ramirez si scambiarono uno sguardo, che lei concluse con un cenno del capo. “Bene, signor Nguyen,” disse, “apprezziamo molto che ci abbia dedicato il suo tempo. Mi lasci concludere con un’ultima domanda: durante il tempo passato in laboratorio, ha mai incontrato qualcuno, un collega, uno studente, chiunque, che le sia sembrato eccentrico o un po’ strano?”
Nguyen si prese qualche momento per riflettere ma poi scosse il capo. “Nessuno che mi venga in mente. Ma d’altra parte noi scienziati siamo tutti un po’ eccentrici. Ma se mi viene qualche idea, le farò sapere.”
“Grazie.”
“E se voi cambiaste idea e voleste vedere il mio laboratorio, ditemelo pure.”
Appassionato del suo lavoro e solo, pensò Avery. Accidenti… come me fino a qualche mese fa.
Lo capiva. E fu per quello che accettò con gioia il biglietto da visita di Nguyen quando lui glielo offrì davanti all’ingresso. L’uomo chiuse la porta mentre Avery e Ramirez scendevano le scale della veranda e tornavano all’auto.
“Hai capito qualcosa di quello che ha detto?” chiese Ramirez.
“Molto poco,” rispose lei.
La verità era che aveva detto una cosa in particolare che le era rimasta in testa. Non le aveva fatto pensare che Nguyen dovesse essere ulteriormente indagato, ma le aveva dato un nuovo indizio su come vedere il loro killer.
Trovare modi di manipolare gli elementi con le temperature, aveva detto Nguyen. C’è qualcosa di divino in ciò.
Forse il nostro assassino sta mettendo in piedi una specie di fantasia di divinità, pensò. E se pensa di essere un dio, potrebbe essere più pericoloso di quanto pensiamo.
CAPITOLO OTTO
Il criceto sembrava un blocco di ghiaccio peloso quando lo estrasse dal freezer. Anche al tatto sembrava un blocco di ghiaccio. Non riuscì a trattenere una risatina davanti al suono tintinnante che emise quando lo appoggiò sulla teglia da forno. Le sue zampine erano stese per aria, in netto contrasto con il modo in cui si erano agitate avanti e indietro per il panico quando lo aveva messo dentro al freezer.
Era successo tre giorni prima. Da allora, la polizia aveva scoperto il corpo della ragazza nel fiume. Lui era rimasto sorpreso di quanto si fosse mosso il cadavere. Fino a Watertown. E il nome della ragazza era Patty Dearborne. Sembrava pretenzioso. Ma accidenti se era stata bella.
Pensò pigramente a Patty Dearborne, la ragazza che aveva catturato ai confini del campus della BU, mentre passava un dito sulla pancia ghiacciata del criceto. Era stato molto nervoso, ma era stato piuttosto facile. Ovviamente non aveva avuto intenzione di ucciderla. Le cose gli erano sfuggite di mano. Ma poi… era come se tutto avesse acquistato un senso.
La bellezza poteva essere presa, ma non in una maniera mortale. Anche da morta Patty Dearborne era stata bellissima. Non appena l’aveva spogliata, aveva scoperto che la ragazza era praticamente priva di difetti. Aveva un neo in basso sulla schiena e una piccola cicatrice lungo la caviglia. Ma a parte quelli, era perfetta.
Aveva abbandonato Patty nel fiume e quando la ragazza aveva colpito l’acqua gelida, era stata già morta. Aveva guardato le notizie con grande anticipazione, chiedendosi se sarebbero stati in grado di portarla indietro… domandandosi se il ghiaccio che l’aveva avvolta in quei due giorni in qualche modo l’avesse conservata.
Ovviamente non era stato così.
Sono stato negligente, pensò, guardando il criceto. Ci vorrà del tempo, ma capirò come fare.
Sperava che il criceto facesse parte del processo. Con lo sguardo ancora fisso sul piccolo corpicino ghiacciato, prese due cuscini termici dal bancone della cucina. Erano il genere di attrezzatura usata dagli atleti per riscaldare i muscoli e promuovere il rilassamento in uno stiramento. Ne mise uno sotto il corpo e l’altro sulle sue rigide zampette e sul posteriore gelato.
Era sicuro che gli sarebbe servito un po’ di tempo. Ne aveva molto a disposizione… non aveva alcuna fretta. Stava cercando di ingannare la morte e sapeva che non sarebbe andata da nessuna parte.
Con quel pensiero in mente, riempì l’appartamento con una stridula risata da strega. Dopo un’ultima occhiata al criceto, andò in camera da letto. Era piuttosto ordinata, così come il bagno adiacente. Vi entrò e si lavò le mani con l’efficienza di un chirurgo. Poi si guardò allo specchio e fissò il proprio volto—un volto che a volte riteneva quello di un mostro.
C’era un danno irreparabile sul lato sinistro della sua faccia. Iniziava appena sotto l’occhio e continuava fino al labbro inferiore. Anche se la maggior parte della pelle e dei tessuti era stata salvata durante la sua giovinezza, su quel lato del volto c’era una cicatrice permanente e uno scolorimento. Oltretutto la sua bocca sembrava permanentemente paralizzata in una smorfia.
All’età di trentanove anni, aveva smesso di preoccuparsi di quanto fosse sgradevole alla vista. Era quello che era. Una pessima madre aveva provocato quell’orrore sfigurato. Ma andava bene lo stesso… si stava impegnando per aggiustarlo. Guardò il riflesso storpio allo specchio e sorrise. Avrebbero potuto volerci anni per capirlo, ma andava bene.
“I criceti costano cinque dollari l’uno,” disse al bagno vuoto. “E ci sono moltissime di quelle belle studentesse del college.”
Aveva svolto delle ricerche, principalmente in forum per infermieri e studenti di medicina. Supponeva che se voleva che l’esperimento con il criceto avesse successo, i cuscini termici sarebbero dovuti rimanere al loro posto per circa quaranta minuti. Doveva riscaldarsi lentamente, in modo da non turbare o sboccare il cuore congelato.
Passò quei quaranta minuti guardando il notiziario. Vide qualche breve servizio su Patty Dearborne. Imparò che Patty aveva frequentato la BU con l’aspirazione di diventare una psicoterapeuta. Aveva avuto un ragazzo e attualmente i suoi affezionati genitori la stavano piangendo. Li vide in TV, abbracciati e piangenti mentre parlavano alla stampa.