Una Ragione per Nascondersi - Блейк Пирс 2 стр.


Sentendo che avevano già superato la nube temporalesca che era il difficile argomento di Jack, Avery cercò di affrontare quello del sacrificio in questione. Non c’era modo di arrivarci per vie traverse, quindi decise di dirlo e basta.

“Stavo pensando che potrei chiedere meno ore di lavoro i prossimi mesi. Mi sono detta che potremmo provare davvero a far funzionare le cose tra di noi.”

Rose si fermò per un istante. Sembrò presa in contropiede e genuinamente sorpresa. Fece un piccolo cenno in segno di assenso e tornò a svuotare le scatole. Emise un lieve sbuffo.

“Che c’è?” chiese Avery.

“Ma tu ami il tuo lavoro.”

“È così,” confermò lei. “Ma sto pensando di farmi trasferire dalla Omicidi. Se lo facessi, avrei molto più tempo libero.”

Rose lasciò perdere le scatole del tutto. Nel giro di un secondo tutta una gamma di emozioni le attraversò il volto. Avery fu felice di vederne una che sembrava essere speranza.

“Mamma, non devi farlo.” La sua voce era tenera e vulnerabile, quasi come la bambina che Avery ricordava bene. “È come se stravolgessi la tua vita.”

“No, non lo è. Sto invecchiando e ho capito di essermi persa molte cose della mia famiglia. È quello che mi serve per andare avanti… per stare meglio.”

Rose si sedette sul divano coperto di scatole e vestiti sparsi. Alzò lo sguardo su Avery, con quella luce di speranza ancora negli occhi.

“Sei sicura che sia quello che vuoi?” chiese.

“Non lo so. Forse.”

“E poi,” aggiunse Rose, “ho capito da dove viene la mia abilità a cambiare argomento. Abbiamo già smesso di parlare della faccenda della solitudine.”

“Te ne sei accorta, allora?”

“Sì. E a essere sinceri, anche papà lo ha notato.”

“Rose…”

Rose si voltò verso di lei.

“Gli manchi, mamma.”

Avery si ritirò in se stessa. Rimase ferma lì, in silenzio per un momento, incapace di rispondere.

“A volte anche lui mi manca,” ammise. “Solo non abbastanza da chiamarlo e riaffrontare fuori tutto il nostro passato.”

Gli manchi, mamma.

Avery rifletté su quelle parole. Raramente pensava a Jack in un senso veramente romantico. Ma aveva detto la verità: lui le mancava sul serio. Le mancava il suo buffo senso dell’umorismo, il modo in cui il suo corpo sembrava sempre un po’ troppo freddo al mattino, e come la sua voglia di sesso fosse comicamente imprevedibile. Più di ogni altra cosa però, le mancava guardarlo essere un ottimo padre. Ma ormai era tutto finito, parte di una vita che Avery stava cercando con impegno di lasciarsi alle spalle.

E tuttavia non riusciva a evitare di chiedersi come sarebbe stato, consapevole di aver avuto l’occasione di godersi una bella vita. Una vita fatta di staccionate bianche, raccolte di fondi scolastici e pigre domeniche pomeriggio trascorse in cortile.

Ma quell’occasione era svanita per sempre. Rose non aveva potuto avere quella vita perfetta e Avery incolpava ancora se stessa.

“Mamma?”

“Scusa, Rose. È solo che non credo che io e tuo padre potremmo aggiustare le cose, capisci? Oltretutto,” aggiunse, e fece un profondo respiro, preparandosi alla reazione di Rose, ”forse tu non sei l’unica ad aver incontrato qualcuno.”

Rose si voltò verso di lei e Avery fu sollevata di vederla sorridere. La ragazza la guardò con quella specie di sorrisetto malizioso che si scambiavano le amiche quando parlavano di uomini davanti a un cocktail. Scaldò il cuore di Avery in un modo a cui non era preparata, né che riusciva a spiegarsi.

“Che cosa?” chiese Rose, fingendosi scioccata. “Tu? Dettagli, grazie.”

“Ancora non ci sono dettagli.”

“Beh, chi sarebbe?”

Avery ridacchiò, sapendo quando sarebbe sembrato sciocco. Fu quasi sul punto di non dirlo. Che diavolo, aveva a malapena detto all’uomo in questione quello che provava. Ammetterlo ad alta voce davanti a sua figlia sarebbe stato surreale.

Almeno lei e Rose stavano facendo progressi. Non aveva senso reprimerli per via del suo imbarazzo nel provare sentimenti per un uomo che non fosse il padre di Rose.

“È un uomo con cui lavoro. Ramirez.”

“Siete stati a letto insieme?”

“Rose!”

Rose scrollò le spalle. “Ehi… volevi una relazione aperta e sincera con tua figlia, no?”

“Sì, immagino di sì,” rispose lei con un sorriso. “E no… non siamo stati a letto insieme. Però credo di provare qualcosa per lui. È gentile. Divertente, sexy, e ha un certo fascino che all’inizio mi irritava ma ora… è interessante, in un certo modo.”

“Anche tu gli piaci?” chiese Rose.

“Sì. O comunque gli piacevo. Credo di aver rovinato tutto. Lui è stato paziente ma credo che non abbia più voglia aspettare.” Ciò che non disse fu che aveva preso la decisione di dire a Ramirez quello che provava per lui ma che non aveva ancora trovato il coraggio di farlo.

“Lo hai allontanato?” domandò Rose.

Avery sorrise.

“Accidenti, che intuito.”

“Te l’ho detto, è ereditario.”

Rose sorrise di nuovo, sembrando dimenticarsi per un momento delle scatole da svuotare.

“Vai e colpisci, mamma!”

“Oh, mio Dio.”

Rose scoppiò a ridere e presto Avery si unì a lei. Probabilmente era stato il momento di maggior vulnerabilità che avevano avuto da quando avevano iniziato ad aggiustare il loro rapporto. All'improvviso l'idea di allontanarsi dalla Omicidi e prendersi un po' di tempo dal lavoro sembrò una necessità piuttosto che un'idea speranzosa.

“Hai dei progetti per questo fine settimana?” chiese Avery.

“Devo svuotare gli scatoloni. Forse un appuntamento con Ma... il tizio che per ora rimarrà senza nome.”

“Che ne dici di una giornata tra ragazze con la tua mamma, domani? Pranzo, un film, una pedicure.”

Rose arricciò il naso all'idea, ma sembrò prenderla seriamente in considerazione. “Posso scegliere io il film?”

“Se devi proprio.”

“Sembra divertente,” commentò Rose con un pizzico di eccitazione. “Ci sto.”

“Fantastico,” rispose Avery. Poi sentì il bisogno di fare una domanda—una domanda strana, ma che andando avanti sarebbe stata fondamentale per il loro rapporto. La consapevolezza di ciò che stava per domandare a sua figlia era umiliante, ma in una strana maniera, liberatoria allo stesso tempo.

“Quindi a te andrebbe bene se io andassi avanti?” chiese Avery.

“Che cosa vuoi dire?” domandò Rose. “Se trovassi qualcuno che non sia papà?”

“Sì. Un altro uomo, ma anche se superassi quella parte della mia vita, la parte che ha reso le cose difficili a tutti noi. Per me significherebbe non essere più gravata dal senso di colpa per ciò che avrebbe potuto essere. E per farlo devo allontanarmi anche da tuo padre. Gli vorrò bene per sempre e lo rispetto per averti cresciuta mentre io non c'ero, ma fa parte di quella vita da cui devo prendere le distanze. Lo capisci?”

“Sì, lo capisco,” disse Rose. La sua voce era di nuovo bassa e vulnerabile. Sentirla fece desiderare ad Avery di andare da lei sul divano e abbracciarla. “E non ti serve il mio permesso, mamma,” continuò la ragazza. “Lo so che ci stai provando. Lo vedo, davvero.”

Per la terza volta in quindici minuti, Avery si sentì vicina alle lacrime. Sospirò e ricacciò giù la voglia di piangere.

“Come hai fatto a venir su così bene?” domandò.

“È genetica,” rispose Rose. “Anche se hai fatto qualche errore, sei sempre stata una tosta, mamma.”

Prima che Avery riuscisse a formulare una risposta, Rose le si avvicinò e l’abbracciò. Fu un abbraccio genuino, che non riceveva da sua figlia da molto tempo.

Quella volta, Avery lasciò che le lacrime scendessero.

Non riusciva a ricordarsi quando fosse mai stata tanto felice. Per la prima volta dopo moltissimo tempo, si sentì come se stesse veramente facendo qualcosa per sfuggire dagli errori del suo passato.

Una grossa parte di ciò sarebbe stato parlare con Ramirez e fargli sapere che aveva finito di nascondere quello che stava nascendo tra di loro. Voleva stare con lui, qualsiasi cosa ciò implicasse. All'improvviso, con le braccia di sua figlia strette attorno a sé, Avery non vide l'ora di parlare con lui.

In effetti, sperava che non avrebbero solo parlato. Sperava che avrebbero finito per fare molto di più, lasciando finalmente che la tensione che era cresciuta tra di loro raggiungesse la sua naturale risoluzione.

CAPITOLO DUE

Tre ore più tardi si incontrò con Ramirez, proprio dopo la fine del suo turno. Lui aveva risposto con entusiasmo alla sua chiamata, ma era anche sembrato stanco. Era stato per quello che avevano scelto da incontrarsi vicino al Charles River, su una delle molte panchine che lo fiancheggiavano dalle passeggiate che si snodavano lungo il lato destro del fiume.

Mentre camminava verso la panchina su cui si erano accordati, vide che lui era appena arrivato. Era seduto e guardava verso il fiume. La stanchezza che gli aveva sentito nella voce era evidente sul suo volto. Tuttavia sembrava tranquillo. Era una cosa che aveva notato in lui diverse volte, come diventasse silenzioso e introspettivo ogni volta che si trovava davanti a un panorama della città.

Gli si avvicinò e lui si girò udendo i suoi passi. Sfoggiò un sorriso vincente e in un batter d'occhio non sembrò più stanco. Una delle molte cose che le piacevano di Ramirez era il modo in cui la faceva sentire ogni volta che la guardava. Era chiaro che c'era molto di più che una semplice attrazione; lui la guardava con apprezzamento e rispetto. Quello sguardo, oltre al fatto che le diceva quotidianamente che era bellissima, la faceva sentire più al sicuro e desiderata di quanto riuscisse a ricordare.

“Giornata dura?” chiese Avery mentre si univa a lui sulla panca.

“Non proprio,” rispose Ramirez. "Ho avuto molto da fare. Denunce per rumori molesti. Una rissa in un bar che è finita nel sangue. E giuro che ho persino ricevuto una chiamata per un ragazzino che si è arrampicato su un albero per scappare da un cane.”

“Un ragazzino?”

“Un ragazzino,” ripeté Ramirez. “L’eccitante vita di un detective quando la città è tranquilla e noiosa.”

Entrambi ammirarono il fiume in un silenzio che nel corso delle ultime settimane aveva iniziato a diventare confortevole. Anche se tecnicamente non stavano insieme, erano giunti ad apprezzare il tempo insieme non riempito di chiacchiere tanto per il gusto di parlare. Lentamente e con deliberazione, Avery si tese e gli prese una mano.

“Vuoi camminare un po' con me?”

“Certo,” disse lui, stringendole la mano.

Anche tenersi per mano era un evento monumentale per Avery. Lei e Ramirez lo avevano fatto spesso e si erano baciati brevemente in qualche occasione, ma prendergli intenzionalmente la mano era stato fuori dalla sua zona di comfort.

Sta diventando piacevole, pensò lei mentre iniziavano a camminare. Che diavolo, ormai lo è da un bel po' di tempo.

“Stai bene?” chiese Ramirez.

“Sì,” rispose lei. “Ho passato una bella giornata con Rose.”

“Credi che le cose inizino finalmente a diventare normali?” domandò lui.

“Tutt’altro che normali,” rispose Avery. “Ma ci stiamo avvicinando. E a questo proposito…”

Si fermò, confusa dal motivo per cui le era tanto difficile dire quello che voleva. Con tutto quello che aveva passato, sapeva di essere emotivamente forte... quindi perché le era così complicato esprimere la vera se stessa quando era importante?

“Ti sembrerà sdolcinato,” iniziò Avery. “Quindi per favore, sopportami e tieni a mente la mia estrema vulnerabilità.”

“Okay…” disse Ramirez, chiaramente confuso.

“È da un po' di tempo che so che devo fare qualche cambiamento. La parte più grossa parte di questo cambiamento è stato cercare di aggiustare le cose con Rose. Ma ci sono anche altre questioni. Questioni che ho quasi avuto paura di ammettere con me stessa.”

“Tipo quali?” chiese Ramirez.

Lei capì che stava iniziando a sentirsi a disagio. In precedenza erano stati sinceri l'uno con l'altra, ma mai fino a quel punto. Era molto più difficile di quanto si fosse aspettata.

“Senti… lo so che praticamente ho rovinato le cose tra di noi,” ammise Avery. “Tu sei stato molto paziente e comprensivo mentre io mi occupavo dei miei problemi. E so che ti ho lasciato avvicinare un po' per poi respingerti.”

“È piuttosto accurato, sì,” disse Ramirez con una punta di divertimento.

“Non riuscirò mai a scusarmi abbastanza per questo,” continuò Avery. “Ma se tu trovassi la forza nel tuo cuore di perdonare la mia esitazione e le mie paure... mi piacerebbe molto avere un'altra occasione.”

“Un’occasione per cosa?” domandò Ramirez.

Vuole che ceda e lo ammetta, pensò. E me lo merito.

La sera volgeva al tramonto e rimanevano solo poche persone lungo i sentieri e le passeggiate che si snodavano attorno al fiume. Era una scena pittoresca, come tratta da uno di quei film che solitamente detestava guardare.

“Un’occasione per noi due,” disse Avery.

Ramirez si fermò ma tenne la mano nella sua. La guardò con grandi occhi scuri e sostenne il suo sguardo. “Non può essere solo un’occasione,” affermò. “Deve essere una cosa vera. Una cosa sicura. Non puoi continuare a spingermi e a tenermi sempre in sospeso.”

“Lo so.”

“Quindi se riesci a spiegarmi che cosa intendi dire con noi due, potrei anche pensarci.”

Lei non riusciva a capire se era serio o se stava cercando di fare il difficile. Distolse lo sguardo e gli strinse la mano.

“Accidenti,” esclamò. “Hai intenzione di farmela pagare, non è vero?”

“Beh, credo di…”

Avery lo interruppe attirandolo a sé e baciandolo. In passato, i loro baci erano stati brevi, goffi e pieni della sua solita esitazione. Invece quella volta si lasciò travolgere. Lo strinse a sé il più possibile e lo baciò con maggior passione avesse messo in qualsiasi contatto fisico dopo l'ultimo anno felice di matrimonio con Jack.

Ramirez non cercò di opporsi. Lei sapeva che lo voleva da molto ormai e riusciva a sentire il desiderio che gli scorreva in tutto il corpo.

Si baciarono come adolescenti innamorati sulla riva del fiume Charles. Fu un bacio tenero e appassionato allo stesso tempo, elettrizzato dalla frustrazione sessuale che da mesi era sbocciata tra di loro.

Quando le loro lingue si incontrarono, Avery si sentì come attraversata da una corrente di energia, un'energia che sapeva di voler usare in una determinata maniera.

Interruppe il bacio e appoggiò la fronte sulla sua. Si guardarono per diverso tempo in quella posizione, godendosi il silenzio e il peso di ciò che avevano appena fatto. Avevano oltrepassato una linea. E nel silenzio teso, entrambi percepirono che ce n'erano ancora molte altre da superare.

“Ne sei certa?” chiese Ramirez.

“Sì. E mi dispiace che mi sia servito tanto tempo per rendermene conto.”

Lui l’attirò a sé e l’abbracciò. Avery percepì qualcosa di simile al sollievo nel corpo del partner, come se gli si fosse sollevato un enorme peso dalle spalle.

“Voglio provarci,” dichiarò Ramirez.

La lasciò andare e la baciò di nuovo, piano, sul lato della bocca.

“Penso che dovremmo festeggiare l'occasione. Vuoi andare a cena?”

Lei sospirò e gli lanciò un sorriso tremante. Aveva già superato una barriera emotiva confessandogli i suoi sentimenti. Che male poteva fare ormai continuare a essere spudoratamente sincera con lui?

“Credo anche io che dobbiamo festeggiare,” gli rispose. “Ma adesso, in questo preciso momento, non sono molto interessata a mangiare.”

“Quindi cosa hai voglia di fare?” domandò lui.

La sua innocenza era fin troppo adorabile. Avery si appoggiò a lui e gli sussurrò all'orecchio, godendosi la sensazione di quell’uomo contro il proprio corpo e dell'odore della sua pelle.

“Andiamo a casa tua.”

Lui si allontanò di scatto e la guardò con la stessa espressione seria di prima, ma in più c'era anche qualcos'altro. Era un'espressione che aveva già visto sul suo volto di quando in quando, qualcosa che somigliava molto all'eccitazione e nasceva dal desiderio fisico.

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