"Mi sto stancando di starmene seduta ad una scrivania", disse versandosi il caffè. “Fammi un favore e vedi se riesci a farmi coinvolgere nel caso che vuole assegnarti."
"Con piacere", disse. “Ti farò sapere."
Mackenzie tornò nel suo ufficio, chiedendosi se quella piccola interruzione nella normalità potesse essere quello che stava aspettando: la prima crepa nelle fondamenta della routine. Non capitava spesso che McGrath convocasse solo uno di loro nel suo ufficio. O comunque non di recente. Ciò la portò a chiedersi se si trattasse di una specie di rapporto su di lei a sua insaputa. McGrath si stava forse informando sull'ultimo caso in Nebraska per assicurarsi che avesse seguito le regole? In quel caso si sarebbe trovata in cattive acque, dato che non aveva assolutamente seguito le regole.
Purtroppo, cercare di immaginare il motivo per cui McGrath avesse convocato Ellington era la cosa più interessante che accadeva da una settimana o giù di lì. E fu a quello che Mackenzie continuò a pensare mentre si sedeva di nuovo davanti al computer, sentendosi ancora una volta come una semplice ruota nell’ingranaggio.
***
Quindici minuti più tardi, udì dei passi in corridoio. Non era una novità; lavorava sempre con la porta dell'ufficio aperta e vedeva gente camminare avanti e indietro tutto il giorno. Ma c’era qualcosa di diverso. Sembravano i passi di molte persone che camminavano all'unisono. C'era anche un senso di quiete - una tensione silenziosa, come l'atmosfera poco prima di un violento temporale estivo.
Incuriosita, Mackenzie alzò lo sguardo dal suo portatile. Quando i passi si fecero più forti, vide Ellington, che le lanciò una rapida occhiata. In viso aveva un’espressione imperscrutabile. Reggeva uno scatolone tra le mani, mentre due guardie della sicurezza lo seguivano da vicino.
Ma che accidenti?
Mackenzie si alzò di scatto dalla scrivania e si precipitò nel corridoio. Appena girato l’angolo, vide Ellington e le due guardie entrare in ascensore. Prima che le porte si chiudessero, Mackenzie scorse ancora una volta la sua espressione tesa.
È stato licenziato, pensò. L'idea era assolutamente ridicola, ma era proprio quello che sembrava.
Corse alla tromba delle scale, aprì rapidamente la porta e iniziò a scendere, facendo i gradini due alla volta nella speranza di arrivare prima di loro. Fece di volata le tre rampe di scale, uscendo lungo il lato dell'edificio adiacente al parcheggio.
Uscì dalla porta nello stesso momento in cui Ellington e le guardie uscirono dall'edificio. Mackenzie si precipitò attraverso il prato per intercettarli. Le guardie parvero irrigidirsi nel vederla, e una addirittura le si parò davanti, quasi Mackenzie costituisse una minaccia.
"Che succede?" chiese rivolta a Ellington.
Lui scosse la testa. “Non adesso" disse. “Per ora... lascia perdere."
"Cosa significa tutto questo?" insisté. “Le guardie... lo scatolone... sei stato licenziato? Che accidenti è successo?"
Lui scosse di nuovo la testa. Non stava cercando di liquidarla, così immaginò che non potesse fare altro in quella situazione. Forse era successo qualcosa di cui non poteva parlare. E conoscendo Ellington, leale all’inverosimile, non avrebbe parlato se gli era stato chiesto di stare zitto.
Avrebbe voluto insistere, ma non gli fece pressioni. Se voleva risposte dirette, c'era solo una persona da cui ottenerle. Così tornò di corsa nell'edificio. Stavolta prese l'ascensore, riportandolo al terzo piano e dirigendosi senza indugi verso l'ufficio di McGrath.
Senza preoccuparsi di farsi annunciare dalla segretaria, si avvicinò alla sua porta. Sentì la donna chiamarla per nome tentando di fermarla, ma Mackenzie entrò. Non bussò nemmeno, limitandosi a fare irruzione nell'ufficio.
McGrath era alla scrivania, per nulla sorpreso di vederla lì. Si voltò verso di lei e la calma sul suo viso la fece infuriare.
"Stia calma, agente White”, disse.
"Che cosa è successo?" chiese. “Perché ho appena visto Ellington scortato fuori dall'edificio con i suoi effetti personali in una scatola?"
"Perché è stato sollevato dal suo incarico."
La semplicità di quella dichiarazione non la rese più semplice da ascoltare. Una parte di lei si chiedeva ancora se non si trattasse di un madornale errore. O se fosse una specie di elaborato scherzo.
"Per quale motivo?"
A quel punto vide qualcosa a cui non aveva mai assistito prima: McGrath distolse lo sguardo, palesemente a disagio. “È una questione privata", disse. “Mi rendo conto che voi due avete una relazione, ma questa è un'informazione che per legge non posso divulgare, a causa delle circostanze."
Per tutto il tempo in cui aveva lavorato per McGrath, non aveva mai sentito così tante cazzate legali uscire dalla sua bocca in una volta sola. Riuscì a placare la sua rabbia. Allora non si trattava di lei. Apparentemente Ellington era coinvolto in qualcosa di cui lei non sapeva nulla.
"Va tutto bene?" chiese lei. “Almeno può dirmi questo?"
"Temo che non stia a me darle questa risposta" disse Mcgrath. “Ora, se mi vuole scusare, sono davvero piuttosto impegnato."
Mackenzie si congedò con un breve cenno del capo e si chiuse la porta alle spalle. La segretaria le lanciò un’occhiata in tralice da dietro la scrivania, che Mackenzie ignorò completamente. Tornò nel suo ufficio e controllò la posta, solo per avere conferma che il resto della sua giornata era un abisso di nulla.
Quindi si precipitò fuori dall'edificio, facendo del suo meglio per non dare a vedere quanto fosse preoccupata. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era che metà dell'edificio fosse consapevole del fatto che Ellington se n'era andato e che si stava precipitando dietro di lui. Era appena riuscita a lasciarsi alle spalle gli sguardi indiscreti e le voci quasi leggendarie del suo passato sul posto di lavoro... non aveva nessuna intenzione di fornire un pretesto per far ripartire le voci.
***
Era sicura che Ellington fosse semplicemente tornato al loro appartamento. Quando lo aveva incontrato per la prima volta, era il tipo di uomo che sarebbe potuto andare direttamente in un bar nel tentativo di affogare i suoi dispiaceri. Ma era cambiato nell'ultimo anno, esattamente come lei. Una volta lì, aprì la porta del suo appartamento (il loro appartamento, ricordò a se stessa), sperando di trovarlo dentro.
E infatti era nella seconda camera da letto, che usavano come ufficio. Stava togliendo gli oggetti contenuti nello scatolone, gettandoli a casaccio sulla scrivania che condividevano. Alzò lo sguardo quando la vide, per poi distoglierlo rapidamente.
"Scusa”, disse con la testa voltata. “Oggi non è esattamente il mio giorno migliore."
Lei gli si avvicinò ma resistette all’impulso toccargli la spalla o un cingerlo con un braccio. Non l'aveva mai visto tanto giù di morale. Questo la allarmò un po’ ma, più di ogni altra cosa, le fece provare il desiderio di aiutarlo.
"Che cosa è successo?" chiese.
"Mi sembra abbastanza ovvio, no?" replicò lui. “Sono stato sospeso a tempo indeterminato."
"E perché mai?" Mackenzie ripensò a McGrath e a quanto si sentisse a disagio quando gli aveva posto quella stessa domanda.
Alla fine Ellington si girò verso di lei e, quando lo fece, poté leggere dell’imbarazzo sul suo viso. Quando le rispose, la voce gli tremava.
"Molestie sessuali."
Per un istante, quelle parole erano prive di senso. Mackenzie aspettò che lui le sorridesse e le dicesse che stava solo scherzando, ma non fu quello che accadde. Invece, i suoi occhi si fissarono su quelli di lei, in attesa della sua reazione.
"Cosa?" chiese lei. “Quando sarebbe successo?"
"Circa tre anni fa" disse. “Ma la donna si è appena fatta avanti con le accuse tre giorni fa."
"E sono fondate?" chiese.
Annuì, sedendosi alla scrivania. “Mackenzie, mi dispiace. Allora ero un tipo diverso, sai?”
Per un momento provò rabbia, ma non era sicura se nei confronti di Ellington o della donna. “Come l’avresti molestata?" chiese.
"Era una giovane agente che stavo addestrando tre anni fa" iniziò a raccontare. “Stava andando davvero bene, così una notte insieme ad alcuni colleghi l'abbiamo portata fuori per festeggiare. Abbiamo bevuto tutti un paio di drink e alla fine restammo soli, io e lei. Non mi era mai passato per la testa di provarci con lei, ma quando uscii dal bagno la trovai lì ad aspettarmi. Mi baciò e stavamo iniziando a spingerci un po’ oltre, allora si ritrasse, forse rendendosi conto che era un errore. A quel punto però io ci riprovai. Mi piace pensare che se non avessi bevuto la cosa sarebbe finita quando lei si era staccata da me. Invece non mi fermai. Tentai di baciarla di nuovo e non mi resi conto che lei non stava ricambiando il bacio se non quando mi spinse via. Le dissi che mi dispiaceva, ed era vero, ma lei si precipitò fuori. E finì lì. Solo una breve pomiciata nei bagni. Nessuno dei due si era imposto sull’altro e non c’era stato niente di più grave. Il giorno dopo, quando arrivai al lavoro, scoprii che aveva chiesto di essere trasferita sotto un altro agente. Nel giro di due mesi se n'era andata, trasferita a Seattle, credo.”
"E perché ha deciso di denunciare tutto adesso?" chiese Mackenzie.
"Perché di questi tempi va di moda”, scattò Ellington, quindi scosse la testa e sospirò. “Scusa. Era una cosa pessima da dire.”
"Sì, in effetti. Mi stai raccontando tutta la storia? È tutto quello che è successo?”
"Questo è tutto”, disse. “Lo giuro."
"Eri sposato, vero? Quando è successo, intendo."
Annuì. “Non è certo uno degli episodi di cui vado più fiero."
Mackenzie ripensò alla prima volta in cui aveva trascorso parecchio tempo insieme a Ellington. Era stato durante il caso dello Spaventapasseri, in Nebraska. Gli si era praticamente buttata addosso, presa com’era dai suoi drammi personali. Aveva capito che lui era interessato, ma alla fine aveva rifiutato le sue avances.
Si chiese quanto l'incontro con quella donna avesse influenzato le sue azioni quella notte in cui si era offerta a lui.
"Quanto durerà la sospensione?" chiese.
Ellington si strinse nelle spalle. “Dipende. Se decide di non sollevare un polverone, potrebbe trattarsi di un mese. Ma se le cose sfuggono di mano, potrebbe essere molto di più. Potrebbe addirittura portare al mio licenziamento.”
Stavolta fu Mackenzie a distogliere lo sguardo. Non poteva fare a meno di sentirsi un po’ egoista. Certo, era sconvolta dal fatto che l’uomo a cui teneva profondamente stesse passando una cosa del genere, ma alla base di tutto era più preoccupata di perdere il proprio partner. Detestava il fatto che le sue priorità fossero così distorte, ma era quello che sentiva in quel momento. Oltre ad una intensa gelosia, che odiava. Non una donna gelosa... quindi perché era così gelosa della donna che aveva denunciato le presunte molestie? Non aveva mai pensato alla moglie di Ellington con gelosia, quindi perché questa donna?
Perché sta facendo cambiare tutto, pensò. Quella noiosa routine in cui stavo cadendo e a cui mi stavo abituando comincia a sgretolarsi.
"A che stai pensando?" chiese Ellington.
Mackenzie scosse la testa e guardò l'orologio. Era solo l'una del pomeriggio. Molto presto, si sarebbero accorti della sua assenza al lavoro.
"Sto pensando che devo tornare al lavoro" disse, quindi si voltò e uscì dalla stanza.
"Mackenzie" le gridò dietro Ellington. “Ehi, torna qui."
"Va tutto bene" rispose. “Ci vediamo dopo."
Se ne andò così, senza salutarlo con un bacio o un abbraccio. Perché, nonostante le sue parole, le cose non andavano affatto bene.
Altrimenti non si sarebbe ritrovata a tentare di scacciare le lacrime, spuntate dal nulla. Altrimenti non si sarebbe ritrovata a soffocare una rabbia che continuava a cercare di emergere, sussurrandole che era stata una sciocca a pensare che la vita sarebbe andata bene d’ora in poi, che finalmente avrebbe potuto avere una vita normale, libera dai fantasmi del passato.
Quando raggiunse la sua auto, era riuscita a fermare le lacrime. Il suo cellulare squillò, sul display campeggiava il nome di Ellington. Lei lo ignorò, accese la macchina e tornò al lavoro.
CAPITOLO TRE
Il lavoro le offrì solo qualche ora di distacco. Nonostante Mackenzie si fosse trattenuta oltre l’orario per aiutare Harrison con un caso di frode azionaria a cui stava lavorando, alle sei era fuori dall'edificio. Quando arrivò all'appartamento alle 6:20, trovò Ellington ai fornelli. Non cucinava spesso e quando lo faceva, di solito era perché aveva non aveva niente di meglio da fare.
"Ehi”, disse, alzando lo sguardo da una pentola che conteneva delle verdure saltate.
"Ehi”, disse lei di rimando, posando la borsa del portatile sul divano e andando in cucina. “Scusa se me ne sono andata a quel modo."
"Non c'è bisogno di scusarti."
"Invece sì. È stato immaturo da parte mia. E ad essere sincera non so perché mi faccia arrabbiare tanto. Sono più preoccupata di perderti come partner di quanto non lo sia per le possibili conseguenze sul tuo curriculum professionale. Ti rendi conto?"
Ellington si strinse nelle spalle. “Ha senso."
"Dovrebbe, ma non è così" ribatté lei. “Non riesco a pensare a te che baci un'altra donna, soprattutto non in quel modo. Anche se tu eri ubriaco e anche se è stata lei a iniziare, non ti ci vedo proprio. E mi fa venir voglia di uccidere quella donna, lo sai?”
"Mi dispiace da morire”, disse. “È una di quelle cose nella vita che vorrei poter cancellare. Una di quelle cose che pensavo fosse ormai archiviata nel passato.”
Mackenzie gli si avvicinò da dietro e con esitazione gli avvolse le braccia intorno alla vita. “Stai bene?" gli chiese.
"Sono solo incazzato. E imbarazzato.”
Una parte di Mackenzie temeva che non le stesse raccontando tutta la verità. C'era qualcosa nella sua postura, qualcosa nel modo in cui non riusciva a guardarla negli occhi quando ne parlava. Voleva pensare che fosse semplicemente perché non era facile essere accusati di qualcosa del genere, dover ricordare qualcosa di stupido che hai fatto in passato.
Onestamente, non era sicura di cosa credere. Da quando lo aveva visto passare davanti alla porta dell'ufficio con lo scatolone tra le mani, i suoi pensieri verso di lui erano confusi più che mai.
Fece per offrirsi di aiutarlo a cucinare, nella speranza che un po’ di normalità potesse aiutarli a rimettersi in carreggiata; ma prima che le parole le uscissero di bocca, il suo cellulare squillò. Constatò con sorpresa e un po’ di preoccupazione che era McGrath.
"Scusa”, disse a Ellington, mostrandogli il display. “Probabilmente è meglio se rispondo."
"Forse vuole chiederti se ti sei mai sentita molestata sessualmente da me" commentò in tono pungente.
"Ne ha già avuto l’occasione, oggi" replicò lei prima di allontanarsi dai rumori sfrigolanti della cucina per rispondere al telefono.
"Pronto, qui White”, disse parlando in modo quasi meccanico, come tendeva a fare quando rispondeva a una chiamata di McGrath.
"White", disse. “È già a casa?"
"Sì, signore."
"Ho bisogno che torni qui. Devo parlarle in privato. Sarò nel parcheggio. Livello due, fila D.”
"Signore, si tratta di Ellington?"
"Agente White, mi raggiunga il più velocemente possibile.”
Concluse la chiamata, lasciando il cellulare di Mackenzie muto. Lei lo mise in tasca lentamente, guardando di nuovo verso Ellington. Stava togliendo la padella dal fornello, dirigendosi verso il tavolo nella piccola sala da pranzo.