Prima Che Brami - Блейк Пирс 2 стр.


“Sono fuori” gridò Shawn, rivolgendo a Mackenzie un’occhiataccia.

Si era appena incamminato verso il margine del parcheggio per raggiungere Cousins, che Mackenzie vide un movimento alla propria sinistra.

Astuta carogna, pensò.

Si abbassò, accucciandosi dietro il pilastro di cemento. La luce splendeva intensa sopra la sua testa, come un faro. Però sapeva che poteva giocare a suo favore quando il suo assalitore era in ombra. La luce sarebbe stata per lui troppo intensa, facendogli sbagliare leggermente mira.

Appena poggiò la schiena al cemento, sentì un proiettile di vernice colpire il pilastro, dal lato opposto. Nel silenzio che seguì, sentì Cousins e Shawn sghignazzare dalla panchina.

“Sarà uno spettacolo divertente” commentò Cousins.

“Più che divertente” disse Shawn, “io direi doloroso.”

Mackenzie non riuscì a trattenere un sorriso per quella situazione. Sapeva che Harry non avrebbe esitato a spararle; tra loro non c’era una relazione del tipo che lui scodinzolava per lei e l’avrebbe lasciata vincere. Erano entrambi nella stessa barca: il giorno seguente si sarebbero diplomati e sarebbero diventati agenti.

Tuttavia, avevano passato molto tempo insieme, sia in situazioni accademiche che in ambiti più amichevoli. Mackenzie lo conosceva bene e sapeva cosa doveva fare per beccarlo. Sentendosi quasi in colpa, Mackenzie si sporse lentamente e sparò, colpendo la ruota dell’auto dietro la quale si nascondeva.

Lui emerse subito dal riparo, balzando sul tettuccio. Lei fece una finta verso destra, come per tornare dietro il pilastro. Come era prevedibile, Harry sparò in quel punto. Mackenzie allora cambiò direzione e rotolò verso sinistra. Si mise a pancia sotto, sollevò la pistola e fece fuoco.

Il proiettile colpì Harry sul lato destro del petto. La vernice gialla spiccava come un sole se paragonata alle ombre in cui si nascondeva.

Harry abbassò le spalle e lanciò la pistola a terra. Uscì da dietro la macchina e scosse la testa, stupito.

“Sono fuori.”

Mackenzie si rialzò e inclinò il capo, guardandolo accigliata.

“Arrabbiato?” lo stuzzicò.

“Affatto. È stata una bella mossa.”

Dietro di loro, Cousins e Shawn applaudivano. Dietro loro, Bryers uscì dall’auto per unirsi a loro. Mackenzie sapeva che si era preoccupato per lei ma che era anche onorato di averla accompagnata. Parte della tradizione di quell’esercitazione prevedeva la presenza di un agente esperto, nel caso in cui qualcosa andasse storto. A volte accadeva. A quello che aveva sentito Mackenzie, un ragazzo era stato colpito dietro al ginocchio nel ’99 e si era dovuto diplomare in stampelle.

Bryers si unì a loro mentre si radunavano alla panchina. Poi mise la mano in tasca ed estrasse i cinquecento dollari, di cui ognuno aveva versato una parte. Li consegnò a Mackenzie e disse:

“Avevate per caso dei dubbi, ragazzi?”

“Bel lavoro, Mac” disse Cousins. “Avrei preferito essere eliminato da te piuttosto che da uno di questi idioti.”

“Grazie, credo” disse Mackenzie.

“Odio sembrare un vecchio” disse Bryers, “ma è quasi l’una di notte. Andatevene a casa e riposatevi. Tutti quanti. Non osate presentarvi alla cerimonia del diploma esausti.”

Quella bizzarra sensazione di felicità si diffuse di nuovo in Mackenzie. Questo era il suo gruppo di amici – un gruppo di amici che aveva imparato a conoscere bene da quando era tornata a una vita più o meno normale, dopo il piccolo esperimento di McGrath nove settimane prima.

L’indomani, tutti loro si sarebbero diplomati dall’accademia e, se tutto fosse andato come doveva, sarebbero diventati agenti la settimana seguente. Mentre Harry, Cousins e Shawn non si illudevano di iniziare la carriera con casi eclatanti, Mackenzie aveva qualcosa di meglio che la aspettava... ovvero, il gruppo di agenti speciali cui McGrath le aveva accennato nei giorni dopo l’ultimo caso. Non aveva ancora idea di cosa ciò comportasse, ma era comunque eccitata.

Mentre il gruppetto si scioglieva e ognuno andava per la sua strada, Mackenzie avvertì qualcos’altro che non provava da tempo. La sensazione di avere ancora davanti il suo futuro, alla sua portata. E per la prima volta da molto tempo, sentì di avere su di esso un controllo quasi totale.

*

Mackenzie guardò il livido sul petto di Harry e, anche se sapeva che la sua prima emozione avrebbe dovuto essere la compassione, non riuscì a trattenersi dal ridere. Il punto in cui l’aveva colpito era rosso fuoco, e l’irritazione si allargava di circa cinque centimetri in ogni direzione. Sembrava proprio una puntura di ape, e sapeva che doveva fare anche più male.

Erano nella cucina di Mackenzie, che gli stava avvolgendo del ghiaccio in un panno. Glielo passò e lui lo tenne sul petto, comicamente. Era chiaramente in imbarazzo, ma anche colpito che lo avesse invitato da lei per controllare che stesse bene.

“Mi dispiace” gli disse sincera. “Però magari ti posso offrire un caffè, dato che ho vinto.”

“Che sia un caffè dannatamente buono” disse Harry. Allontanò il ghiaccio dal petto e fece una smorfia quando abbassò lo sguardo.

Mentre Mackenzie lo osservava, si rese conto che anche se Harry era stato nel suo appartamento più di una decina di volte e si erano baciati in diverse occasioni, quella era la prima volta che era lì a torso nudo. Ed era anche la prima volta, dopo Zack, che vedeva un uomo seminudo così da vicino. Forse era l’adrenalina scatenata dalla vittoria, oppure per il diploma che la attendeva, ma si sentiva attratta da lui.

Fece un passo verso di lui e gli poggiò una mano sul lato non ferito del petto, sul cuore.

“Ti fa ancora male?” gli chiese, avvicinandosi ancora di più.

“Non in questo momento” disse lui, sorridendo nervoso.

Lentamente spostò la mano sul segno e lo toccò con attenzione. Poi, seguendo soltanto il suo istinto femminile, che aveva ormai soffocato e rimpiazzato con obbligo e noia, si avvicinò e lo baciò. Subito sentì Harry farsi teso. Con la mano gli cinse il fianco, avvicinandolo. Gli baciò la clavicola, poi la spalla, poi il collo. Lui sospirò e la strinse di più.

Come succedeva spesso, si ritrovarono a baciarsi prima ancora di accorgersene. Fino ad allora era successo soltanto altre quattro volte, ma tutte le volte era stata come una forza della natura, qualcosa di non pianificato e senza aspettative.

Dopo meno di dieci secondi, Harry la stava spingendo leggermente contro il bancone della cucina. Lei gli esplorò il petto con le mani, mentre Harry le infilò una mano su per la maglietta. Il cuore le martellava in petto e ogni muscolo del suo corpo le diceva che lo voleva, che era pronta.

Ci erano andati vicini già una volta – anzi, due. In entrambe le occasioni, però, si erano interrotti. In realtà era stata lei a interrompere. La prima volta aveva smesso proprio quando lui aveva iniziato ad armeggiare col bottone dei pantaloni. La seconda volta, lui era quasi ubriaco, e lei fin troppo sobria. Nessuno dei due l’aveva detto apertamente, ma l’esitazione di andare a letto insieme era dovuta al reciproco rispetto che provavano l’uno per l’altra e all’incertezza del futuro. Inoltre, teneva troppo a Harry per usarlo come sfogo sessuale. Si sentiva sempre più attratta da lui, ma il sesso era sempre stata una questione molto privata. Prima di Zack c’erano stati soltanto due ragazzi, e con uno dei due si era trattato più di un’aggressione che di sesso.

Mentre baciava Harry ripensando a tutto questo, si accorse che le sue mani erano scese molto più in basso del petto. Anche lui se ne era accorto, infatti si fece di nuovo teso e inspirò bruscamente.

Mackenzie tirò indietro le mani improvvisamente, interrompendo il bacio. Abbassò lo sguardo sul pavimento, temendo di scorgere la delusione nei suoi occhi.

“Aspetta” gli disse. “Harry... scusa... non posso...”

“Lo so” disse lui, chiaramente frustrato e un po’ giù di morale. “Lo so che...”

Mackenzie fece un profondo respiro poi si allontanò da lui. Si voltò, incapace di sostenere la confusione e il dolore nei suoi occhi. “Non possiamo. Non ci riesco. Scusa.”

“Va tutto bene” disse lui, ancora accaldato. “Domani è un gran giorno ed è già tardi. Adesso me ne vado, prima di avere tempo di rimuginare ancora sul fatto di essere stato colpito da te.”

Lei si voltò e annuì. Non le dispiacevano le frecciatine. Se le meritava.

“Sì, penso che sarebbe meglio” disse.

Harry si rinfilò la maglietta, ancora macchiata di vernice, e lentamente si diresse verso la porta. “Stasera hai fatto un bel lavoro” disse andandosene. “Non c’erano dubbi che la vincitrice saresti stata tu.”

“Grazie” disse Mackenzie senza molto trasporto. “E, Harry... davvero, mi dispiace. Non so cos’è che mi blocca.”

Lui si strinse nelle spalle aprendo la porta. “Non fa niente” disse. “Però... non ce la farò ancora a lungo così.”

“Lo so” disse lei, triste.

“Buonanotte, Mac.”

Chiuse la pota e Mackenzie rimase da sola. Rimase in piedi in cucina, osservando l’orologio. Era l’una e un quarto e non era nemmeno lontanamente stanca. Forse la piccola esercitazione nella Hogan’s Alley aveva immesso troppa adrenalina nelle sue vene.

Tentò ugualmente di mettersi a letto, ma passò tutta la notte a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola. In uno stato di semi-coscienza, fece dei sogni che ricordava a malapena, ma la costante in ognuno di essi era il volto sorridente di suo padre, orgoglioso che ce l’avesse fatta fino a lì, che l’indomani si sarebbe diplomata dall’accademia.

Eppure, nonostante quel sorriso, c’era un’altra costante nei sogni, qualcosa a cui si era abituata da tempo, che la perseguitava ogni volta che le luci si spegnevano e sopraggiungeva il sonno: lo sguardo morto nei suoi occhi e tantissimo sangue.

CAPITOLO DUE

Nonostante avesse puntato la sveglia alle otto, Mackenzie fu destata dalla vibrazione del suo cellulare alle 6:45. Si svegliò lamentandosi. Se questo è Harry che si scusa per qualcosa che non ha nemmeno fatto, lo uccido, pensò. Ancora mezza addormentata, afferrò il cellulare e lesse il display con gli occhi annebbiati.

Fu sollevata nel vedere che non si trattava di Harry, bensì di Colby.

Perplessa, rispose. Colby non era tradizionalmente una tipa mattiniera ed era da più di una settimana che non si sentivano. Rompipalle fino al midollo, Colby probabilmente stava dando di matto per il diploma e per l’incertezza del futuro. Colby era l’unica amicizia femminile che Mackenzie aveva lì a Quantico, perciò aveva fatto tutto quello che poteva per accertarsi che l’amicizia reggesse – anche se questo significava rispondere a una telefonata all’alba il giorno del diploma, dopo che Mackenzie era riuscita a farsi soltanto quattro ore e mezza di sonno la notte prima.

“Ehi, Colby” disse. “Che succede?”

“Stavi dormendo?” chiese Colby.

“Già.”

“Oddio, scusa. Credevo che fossi in piedi all’alba stamattina, con tutto quello che sta succedendo.”

“È solo il diploma” disse Mackenzie.

“Ah! Magari fosse solo quello” disse Colby con voce leggermente isterica.

“È tutto a posto?” chiese Mackenzie, mettendosi lentamente a sedere sul letto.

“Lo sarà” disse Colby. “Senti... credi che ci potremmo incontrare allo Starbucks in Fifth Street?”

“Quando?”

“Prima che puoi. Io sto uscendo in questo momento.”

Mackenzie non voleva andarci – in realtà non voleva nemmeno scendere dal letto. Però non aveva mai sentito Colby in quello stato. E in una giornata importante come quella, pensò che avrebbe dovuto sforzarsi per la sua amica.

“Dammi una ventina di minuti” disse Mackenzie.

Con un sospiro, scese dal letto e si preparò facendo solo le cose essenziali. Si lavò i denti, infilò una felpa con cappuccio e pantaloni da tuta, legò i capelli in una coda e uscì di casa.

Mentre percorreva a piedi i sei isolati che la separavano da Fifth Street, iniziò a percepire il peso di quella giornata. Quel giorno si sarebbe diplomata dall’accademia dell’FBI, appena prima di mezzogiorno, piazzandosi nel cinque percento dei migliori della sua classe. Al contrario della maggior parte dei compagni che aveva conosciuto nelle ultime venti settimane, per lei non ci sarebbe stato nessun famigliare ad attenderla per celebrare insieme quel traguardo. Sarebbe stata sola, come lo era stata per quasi tutta la sua vita, da quando aveva sedici anni. Cercava disperatamente di convincersi che non le importasse, invece le importava eccome. Non le provocava tristezza, ma una strana sorta di angoscia, così antica che aveva gli angoli smussati.

Mentre raggiungeva lo Starbucks, notò che anche il traffico era più intenso del solito – probabilmente a causa di famigliari e amici dei diplomati. Cercò di lasciarsi scivolare tutto addosso. Aveva passato gli ultimi dieci anni della sua vita cercando di fregarsene di quello che sua madre e sua sorella pensavano di lei, quindi perché iniziare ora?

Quando entrò da Starbucks, vide che Colby era già arrivata. Stava sorseggiando da una tazza, osservando pensierosa fuori dalla vetrina. Davanti a lei c’era un’altra tazza; Mackenzie immaginò che fosse per lei. Prese posto di fronte a lei e non nascose quanto fosse stanca, stringendo gli occhi in un’espressione scontrosa mentre si accomodava.

“Questa è mia?” chiese Mackenzie, afferrando la seconda tazza.

“Sì” disse Colby. Aveva l’aria stanca, triste e scontrosa.

“Allora, che c’è che non va?” chiese Mackenzie, troncando ogni possibile tentativo di Colby di girare intorno alla questione.

“Io non mi diplomo” disse Colby.

“Che?” chiese Mackenzie, sinceramente sorpresa. “Credevo che avessi superato tutti i test a pieni voti.”

“È così. Solo che... non so. Stare in accademia mi ha consumato.”

“Colby... non puoi dire sul serio.”

Il tono di voce le era uscito un po’ forte, ma non ci badò. Quella non era la solita Colby. Quella decisione era arrivata dopo una profonda introspezione. Non era una farsa, non era la messinscena melodrammatica di una donna sull’orlo di una crisi di nervi.

Come può lasciar perdere?

“Sono seria, invece” disse Colby. “Sono almeno tre settimane che non ci metto più passione. Certi giorni me ne andavo a casa a piangere da sola perché mi sentivo in trappola. Non ne posso più.”

Mackenzie era attonita; non sapeva proprio cosa dire.

“Be’, prendere una decisione del genere il giorno del diploma è da pazzi.”

Colby si strinse nelle spalle e guardò fuori dalla vetrina. Sembrava abbattuta. Sconfitta.

“Colby... non puoi ritirarti. Non farlo.” Quello che era sulla punta della lingua ma che non disse era: Se ti ritiri adesso, le ultime venti settimane non avranno alcun significato. Diventerai una perdente.

“In realtà non mi ritirerò” disse Colby. “Oggi verrò alla cerimonia di diploma. Devo farlo. I miei genitori arrivano dalla Florida, quindi sono obbligata, in un certo senso. Ma dopo oggi, basta.”

Quando Mackenzie aveva iniziato l’accademia, gli istruttori li avevano avvisati che la percentuale di abbandono tra i potenziali agenti durante la sessione dell’accademia di venti settimane era circa del venti percento – e in passato era arrivata anche al trenta. Ma pensare che Colby facesse parte di quella percentuale non aveva senso.

Colby era troppo forte – troppo determinata. Come accidenti poteva prendere una decisione del genere così alla leggera?”

“E cosa farai?” chiese Mackenzie. “Se ti lasci tutto questo alle spalle, che lavoro pensi di fare?”

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