In Cerca di Vendetta - Блейк Пирс 4 стр.


“All’inizio, ero un po’ preoccupata” ammise. “Ma è davvero un bravo ragazzo, e noi tutte amiamo averlo in casa.”

Riley fece un momento di pausa. Era davvero un lusso avere qualcuno con cui parlare dei suoi dubbi e preoccupazioni a casa.

“Blaine, non so che cosa farò con Liam nel lungo termine. Non posso proprio rimandarlo da quel bruto alcolizzato di suo padre, e solo Dio sa che cosa ne sia stato di sua madre. Ma non vedo come io possa legalmente adottarlo. Prendere con me Jilly è stato piuttosto complicato, e la procedura di adozione non è ancora stata completata. Non so se posso rifarlo.”

Blaine le sorrise, comprensivo.

“Ti occuperai delle cose una alla volta, immagino” le disse. “E qualunque cosa farai, sarà la scelta migliore per lui.”

Riley scosse la testa un po’ tristemente.

“Vorrei esserne certa” rispose.

Blaine si allungò verso di lei, e le prese la mano.

“Ecco, dammi retta” disse. “Quello che hai già fatto per Liam e Jilly è meraviglioso e generoso. Ti ammiro molto per questo.”

Riley sentì formarsi un nodo alla gola. Quanto spesso accadeva che qualcuno le dicesse una cosa simile? Spesso era elogiata per il lavoro svolto al BAU, e aveva persino ricevuto una Medaglia della Perseveranza recentemente. Ma non era affatto abituata ad essere elogiata per delle semplici attività umane. Sapeva a malapena come prenderla.

Poi, Blaine disse: “Sei una brava donna, Riley Paige.”

Riley sentì le lacrime formarsi nei suoi occhi. Rise nervosamente, mentre le asciugava.

“Oh, guarda che cos’hai fatto” disse. “Mi hai fatto piangere.”

Blaine alzò le spalle, e il suo sorriso divenne persino più caloroso.

“Scusa. Stavo solo provando ad essere brutalmente sincero. La verità a volte fa male, immagino.”

Scoppiarono entrambi a ridere per alcuni istanti.

Infine, Riley disse: “Ma non ti ho chiesto di tua figlia. Come sta Crystal?”

Blaine distolse lo sguardo con un sorriso dolceamaro.

“Crystal sta alla grande, ha buoni voti, è felice e contenta. Ora è al mare con i cugini e mia sorella, per le vacanze di primavera.”

Blaine sospirò leggermente. “E’ solo per un paio di giorni, ma è incredibile quanto in fretta cominci a sentirne la mancanza.”

Riley fece un grande sforzo per non ricominciare di nuovo a piangere. Aveva sempre saputo che Blaine era un padre meraviglioso. Come sarebbe stato avere una relazione più permanente con lui?

Attenta, si disse. Non affrettare le cose.

Nel frattempo, aveva quasi terminato la sua cheesecake ai lamponi.

“Grazie, Blaine” gli disse. “E’ stata davvero una piacevole serata.”

Guardandolo negli occhi, aggiunse: “Odio che debba finire.”

Ricambiando lo sguardo, Blaine le strinse la mano.

“Chi dice che debba finire?” le domandò.

Riley sorrise. Sapeva che il suo sorriso era sufficiente per rispondere a quella domanda.

Dopotutto, perché la loro serata doveva concludersi? L’FBI vegliava sulla sua famiglia, e nessun killer stava richiedendo la sua attenzione.

Forse era ora che lei si divertisse.

CAPITOLO CINQUE

A George Tully non piaceva l’aspetto di un mucchio di terra sulla strada. Ma non sapeva esattamente il perché.

Nulla di cui preoccuparsi, si disse. La luce del mattino gli stava giocando, probabilmente, un brutto scherzo.

Inspirò aria fresca. Poi, si abbassò e raccolse una manciata di terra. Come sempre, sembrava morbida e ricca. Aveva anche un buon odore, era arricchita dai residui delle precedenti colture di grano, da foglie e spighe mescolate nella terra.

Buona vecchia terra nera dell’Iowa, pensò, mentre sbriciolava frammenti di terra tra le dita.

La famiglia di George aveva vissuto lì per anni, perciò da tutta la vita conosceva quel buon terreno. Ma non se n’era mai stancato, e il suo orgoglio nel coltivare la terra più ricca del mondo non era mai svanito.

Alzò lo sguardo sui campi che si estendevano fin dove l’occhio potesse vedere. La terra era stata arata negli ultimi due giorni. Era pronta e in attesa che i semi di grano, spruzzati con insetticida, fossero gettati dove ogni nuovo stelo di granturco presto sarebbe apparso.

Aveva tenuto ritardato la semina fino a quel momento per essere sicuro del tempo. Naturalmente, non era possibile escludere in assoluto che si verificasse una gelata, particolarmente tardiva, e rovinasse il raccolto. Riuscì a ricordare un bizzarro aprile degli anni ’70, che aveva colto il padre di sorpresa. Ma quando George percepì un soffio di aria calda e sollevò lo sguardo, dirigendolo verso le nuvole in alto, che popolavano il cielo, si sentì tanto sicuro quanto poteva sperare di esserlo.

Oggi è il giorno, pensò.

Mentre George restava fermo ad osservare, il suo dipendente Duke Russo giunse alla guida di un trattore, con seminatrice che trattava circa dodici metri di terra. Quella macchina avrebbe seminato ben sedici file per volta, divise da settantasei centimetri, un seme alla volta, depositando il fertilizzante in cima ad ognuno di essi, coprendo il seme e passando poi oltre.

I figli di George, Roland e Jasper, rimasti nel campo ad attendere l’arrivo del trattore, si mossero nella direzione del veicolo, che era diretto ad un lato del campo. George sorrise. Duke ed i ragazzi facevano una buona squadra. Non c’era alcun bisogno che George fosse presente durante la semina. Fece loro tre cenni di saluto, poi si voltò e tornò al suo camion.

Ma quello strano mucchio di terra accumulato vicino alla strada attrasse ancora la sua attenzione. Che cosa c’era che non andava? Il dissodatore se ne era dimenticato? Non riusciva ad immaginare come poteva essere accaduto.

Forse una marmotta aveva scavato proprio lì.

Ma, mentre si recava verso il punto, vide che non era stata opera di alcuna marmotta. Non c’era alcuna apertura, e il suolo era normale.

Sembrava che qualcosa fosse stato sepolto lì.

George ringhiò sottovoce. Talvolta, vandali e teppisti gli davano dei problemi. Un paio di anni prima, alcuni ragazzi della vicina Angier avevano rubato un trattore, e l’avevano utilizzato per demolire un capanno per gli attrezzi. Più recentemente, altri invece avevano spruzzato oscenità con vernice su recinzioni e pareti e persino sul bestiame.

Era stato irritante ed offensivo.

George non aveva alcuna idea del perché i ragazzi sbucassero fuori dal nulla per procurargli dei guai. Non aveva mai fatto loro del male, per quanto ne sapesse. Aveva riportato gli incidenti a Joe Sinard, il capo della polizia di Angier, ma nulla era  mai stato fatto a riguardo.

“Che cos’hanno fatto quei bastardi stavolta?” disse ad alta voce, calpestando il terreno.

Immaginò che avrebbe fatto meglio a scoprirlo. Qualunque cosa ci fosse sepolta, avrebbe potuto rompere la sua attrezzatura.

Si voltò verso la squadra e fece cenno a Duke di fermare il trattore. Quando il motore fu spento, George gridò ai figli.

“Jasper, Roland, portatemi quella pala nella cabina del trattore.”

“Cosa c’è, papà?” Jasper gridò al genitore.

“Non lo so. Fallo e basta.”

Un istante dopo, Duke ed i ragazzi lo raggiunsero. Jasper diede la pala al padre.

Mentre il gruppo osservava curioso, George scavò nella terra con la pala. Immediatamente, uno strano e acido odore penetrò nelle sue narici.

Fu colpito da un timore istintivo.

Che cosa diavolo c’è qua sotto?

Spalò un po’ di volte, eliminando terra, finché non colpì qualcosa di concreto ma morbido.

Spalò più attentamente, provando a scoprire qualunque cosa ci fosse. Presto, apparve qualcosa di pallido.

A George occorsero alcuni istanti per assorbire che cosa fosse.

“Oh, Signore!” sussultò, con lo stomaco che si contorceva per l’orrore.

Era una mano, la mano di una ragazza.

CAPITOLO SEI

Il mattino seguente, Riley osservò Blaine preparare la colazione a base di uova alla Benedict, una spremuta di arance fresche e un ricco caffè nero. Pensò che fare l’amore in modo appassionato non si limitasse agli ex-mariti. E si rese conto che svegliarsi, in tutto confort, con un uomo fosse una novità per lei.

Fu grata per quella mattina, e grata per Gabriela, che le aveva assicurato che si sarebbe occupata di tutto, quando Riley le aveva telefonato la sera precedente. Ma non riusciva a smettere di chiedersi se una relazione come quella potesse sopravvivere, date le varie complicazioni della sua vita.

Riley decise di ignorare quella domanda, e concentrarsi sul pasto delizioso. Ma, mentre mangiavano, notò subito che Blaine sembrava essere altrove con la mente.

“Che cosa c’è?” gli chiese.

Blaine non rispose. I suoi occhi sembravano esprimere disagio.

Fu colta dalla preoccupazione. Quale era il problema?

Era per caso pentito per la notte precedente? Era meno soddisfatto di lei?

“Blaine, che cosa c’è che non va?” Riley chiese, con la voce leggermente tremante.

Dopo una pausa, Blaine disse: “Riley, è solo che non mi sento … al sicuro.”

Riley faticò a comprendere il significato di quelle parole. Tutto il calore e l’affetto che avevano condiviso fin dal loro appuntamento la sera precedente erano improvvisamente spariti? Che cos’era accaduto tra loro che avesse cambiato tutto?

“Io, io non capisco” lei balbettò. “Che cosa vuol dire che non ti senti al sicuro?”

Blaine esitò, per poi rispondere: “Penso di dover comprare una pistola. Per protezione a casa.”

Quelle parole colpirono Riley. Non se l’aspettava affatto.

Ma forse avrei dovuto, pensò.

Era seduta di fronte a lui, dall’altro lato del tavolo, e il suo sguardo cadde su una cicatrice sulla sua guancia destra. Se l’era procurata il novembre precedente, nella stessa casa di Riley, provando a proteggere April e Gabriela da un killer in cerca di vendetta.

Riley ricordò il terribile senso di colpa che aveva provato, vedendo Blaine privo di sensi in un letto d’ospedale, dopo la conclusione della vicenda.

E ora, fu investita di nuovo da quel senso di colpa.

Blaine si sarebbe mai sentito al sicuro con Riley nella sua vita? Avrebbe mai pensato che sua figlia sarebbe stata al sicuro?

Ed era davvero una pistola quello di cui lui aveva bisogno per sentirsi più al sicuro?

Riley scosse la testa.

“Non lo so, Blaine” lei disse. “Non sono una grande sostenitrice dei civili in possesso di armi in casa.”

Non appena quelle parole furono pronunciate, Riley realizzò quanto paternalistiche dovevano essere suonate.

Non riuscì a capire dall’espressione di Blaine se fosse offeso oppure no. Sembrava essere in attesa che lei aggiungesse qualcosa.

Riley consumò il suo caffè, raccogliendo le idee.

Infine riprese: “Sapevi che statisticamente, le armi possedute da civili hanno maggiore possibilità di causare omicidi, suicidi e morti accidentali che quella di difendere? In effetti, i possessori di armi corrono in genere un rischio maggiore di diventare vittime di omicidi, rispetto alle persone che non possiedono armi.”

Blaine annuì.

“Sì, ne sono a conoscenza” disse lui. “Ho svolto qualche ricerca. So anche delle leggi sull’autodifesa in Virginia. E che questo stato approva il possesso di armi.”

Riley inclinò la testa con approvazione.

“A dire il vero, sei già meglio preparato della maggior parte delle persone che decidono di acquistare un’arma. Tuttavia …”

Poi, la donna si bloccò. Era riluttante a dire ciò che aveva in mente.

“Dimmi.” Blaine la incitò.

Riley fece un lungo respiro profondo.

“Blaine, compreresti una pistola se non facessi parte della tua vita?”

“Oh, Riley …”

“Dimmi la verità. Ti prego.”

Blaine restò seduto, col gli occhi fissi sul suo caffè per un momento.

“No, non lo farei” rispose infine.

Riley si allungò dall’altra parte del tavolo e prese la mano di Blaine.

“E’ quello che pensavo. E sono certa che tu possa capire come la cosa mi fa sentire. Ci tengo molto a te, Blaine. E’ terribile sapere che la tua vita è più pericolosa per colpa mia.”

“Lo capisco” Blaine disse. “Ma voglio che tu mi dica la verità su una cosa. E ti prego di non prenderla nel verso sbagliato.”

Riley si preparò silenziosamente per qualsiasi cosa Blaine avesse intenzione di chiederle.

“I tuoi sentimenti sono davvero un buon argomento contro il fatto che voglia comprarmi un’arma? Voglio dire, non è vero che io sia più in pericolo di un cittadino medio, e che pensi che dovrei essere in grado di difendere me e Crystal, e forse persino te?”

Riley alzò leggermente le spalle. Era triste ammetterlo a se stessa, ma Blaine aveva ragione.

Se una pistola lo avesse fatto sentire più sicuro, allora avrebbe dovuto averne una.

Era anche sicura che sarebbe stato perfettamente responsabile, come possessore d’arma.

“OK” lei esclamò. “Finiamo la colazione e andiamo a fare acquisti.”

*

Più tardi, quella stessa mattina, Blaine entrò in un negozio di armi con Riley. In quel medesimo istante, si domandò se stesse per commettere un errore. Il numero di armi tremende, esposte alle pareti e nelle teche di vetro, superava la sua immaginazione. Non aveva mai utilizzato una pistola prima d’ora, ad eccezione di quella ad aria compressa che aveva avuto quando era bambino.

In che cosa mi sto cacciando? si chiese.

Un grosso uomo barbuto, che indossava una camicia a quadri, si spostava tra gli articoli.

“Come posso aiutarvi?” domandò.

Riley rispose: “Stiamo cercando un po’ di protezione per la casa per il mio amico.”

“Dunque, sono certo che ci sia qualcosa qui che faccia al caso vostro” l’uomo replicò.

Blaine si sentì impacciato sotto lo sguardo del venditore. Immaginava che non accadesse tutti i giorni che una bella donna portasse il suo ragazzo lì per aiutarlo a scegliere un’arma.

Non riusciva a fare a meno di sentirsi in imbarazzo. E si sentiva imbarazzato per il sentirsi così. Non aveva mai pensato a se stesso come il tipo d’uomo insicuro della propria mascolinità.

Mentre Blaine provava a uscire dal suo stato di goffaggine, il venditore osservò l’arma che Riley portava al fianco con approvazione.

“Quella Glock Modello 22 che ha lì è una bell’arma, signora” disse. “E’ un membro delle Forze dell’Ordine, vero?”

Riley sorrise e gli mostrò il distintivo.

L’uomo indicò una fila di armi simili in una teca di vetro.

“Ci sono delle Glock laggiù. Sono delle buone scelte, secondo me.”

Riley guardò le pistole, poi guardò Blaine, come per chiedere la sua opinione.

Blaine non fece altro che alzare le spalle ed arrossire. Avrebbe voluto aver dedicato lo stesso tempo che aveva impiegato a fare ricerche su statistiche e leggi in una ricerca sulle armi.

Riley scosse la testa.

“Non sono certa che una semiautomatica sia quello che stiamo cercando” osservò.

L’uomo annuì.

“Sì, sono piuttosto complicate, specialmente per qualcuno che si approccia per la prima volta alle armi. Le cose possono andare male.”

Riley annuì, d’accordo, aggiungendo: “Sì, cose come incepparsi, canne bloccate, doppia carica, mancata emissione.”

L’uomo disse: “Naturalmente, quelli non sono veri problemi per un’esperta agente dell’FBI come lei. Ma per questo principiante, forse, una revolver è più adeguata.”

L’uomo li accompagnò verso una teca di vetro piena di revolver.

Gli occhi di Blaine puntarono alcune pistole con la canna più corta.

Almeno apparivano meno intimidatorie.

“Che cosa ne pensate di quella?” il venditore disse, indicando una pistola.

L’uomo aprì la teca, estrasse l’arma e la porse a Blaine. La pistola sembrava strana nella mano di Blaine. Non riusciva a stabilire se fosse più pesante o più leggera di quanto si aspettasse.

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