IL KILLER DELL’OROLOGIO
(UN MISTERO DI RILEY PAIGE—LIBRO 4)
B L A K E P I E R C E
TRADUZIONE ITALIANA
A CURA
DI
IMMACOLATA SCIPLINI
Blake Pierce
Blake Pierce è l’autore della serie di successo I misteri di RILEY PAIGE, composta da gialli ricchi di suspense: IL KILLER DELLA ROSA (libro #1), IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (libro #2), OSCURITA’ PERVERSA (#3) e IL KILLER DELL’OROLOGIO (#4). Blake Pierce è anche l’autore della serie I misteri di MACKENZIE WHITE.
Avido lettore, e da sempre ammiratore, dei romanzi gialli e dei thriller, Blake apprezza i vostri commenti: pertanto siete invitati a visitare www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l'autore.
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LIBRI DI BLAKE PIERCE
I MISTERI DI RILEY PAIGE
IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)
IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)
OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)
IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)
I MISTERI DI MACKENZIE WHITE
PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)
I MISTERI DI AVERY BLACK
IL KILLER DI COLLEGIALI (Libro #1)
INDICE
PROLOGO
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRE
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO TRENTATRE'
CAPITOLO TRENTAQUATTRO
CAPITOLO TRENTACINQUE
CAPITOLO TRENTASEI
CAPITOLO TRENTASETTE
CAPITOLO TRENTOTTO
CAPITOLO TRENTANOVE
CAPITOLO QUARANTA
CAPITOLO QUARANTUNO
CAPITOLO QUARANTADUE
CAPITOLO QUARANTATRE’
CAPITOLO QUARANTAQUATTRO
CAPITOLI QUARANTACINQUE
CAPITOLO QUARANTASEI
CAPITOLO QUARANTASETTE
CAPITOLO QUARANTOTTO
PROLOGO
L’uomo sedeva nella propria auto, in preda alla preoccupazione. Sapeva di dover fare presto. Quella notte era importante mantenere tutto sotto controllo. Ma la donna sarebbe comparsa lungo quella strada alla sua solita ora?
Erano le undici di sera e gli rimaneva poco tempo.
Ricordò la voce che aveva sentito rimbombare nella testa, prima di arrivare lì. Era quella del nonno.
“Sarà meglio che non ti sia sbagliato sui suoi piani, Scratch.”
Scratch. All’uomo nell’auto non piaceva quel nomignolo. Non era il suo vero nome. Era quello dato al diavolo, secondo un racconto popolare. Per il nonno, lui era sempre stato un “seme cattivo.”
L’uomo l’aveva chiamato Scratch più a lungo di quanto riuscisse a ricordare. Sebbene tutti gli altri lo chiamassero col suo vero nome, Scratch era rimasto impresso nella sua mente. Odiava suo nonno. Ma non riusciva a scacciarlo dalla propria testa.
Scratch si allungò e si schiaffeggiò il cranio per diverse volte, provando a cancellare quella voce.
Alla fine si fece male e, per un istante, riuscì a provare un senso di calma.
Poi udì la risata soffocata del nonno riecheggiare lì da qualche parte. Ora era un po’ più debole, quantomeno.
L'uomo tornò a guardare ansiosamente l'orologio: le undici erano passate da pochi minuti. Sarebbe stata in ritardo stasera? Sarebbe andata altrove? No, non era affatto da lei. Aveva registrato i suoi movimenti per giorni. Era sempre stata una donna puntuale, molto legata alla propria routine.
Se solo lei avesse compreso quanto ci fosse in ballo. Il nonno lo avrebbe punito in caso di fallimento. Ma c’era molto di più. Per il mondo intero stava scadendo il tempo e lui aveva un’enorme responsabilità, che gli pesava enormemente.
Apparve la luce dei fari di un'auto, in lontananza, lungo la strada, e l'uomo sospirò di sollievo. Era certamente lei.
Quella strada di campagna conduceva soltanto a poche abitazioni. Era spesso deserta a quell’ora, fatta eccezione per la donna che tornava dal lavoro alla casa, in cui era in affitto.
Scratch aveva fatto inversione con l’auto, per trovarsi di fronte a quella della donna, e si era fermato proprio nel bel mezzo di quella piccola strada sterrata. Era fuori, con mani tremanti, e fingeva di controllare nel cofano dell'auto con una torcia, sperando che l'inganno funzionasse.
Il cuore batté forte, mentre l’altro veicolo incrociava il suo.
Fermati! implorò silenziosamente. Per favore, fermati!
Pochi istanti dopo l’altra auto si arrestò a breve distanza.
Trattenne un sorriso.
Scratch si voltò e guardò verso le luci. Sì, era la sua piccola auto trasandata, proprio come aveva sperato.
Ora, doveva soltanto attirarla verso di lui.
La donna abbassò il finestrino; l'uomo guardò nella sua direzione, sfoggiando il suo sorriso più gradevole.
“Credo di essere rimasto bloccato” esclamò.
Puntò brevemente i fari sul volto dell'interlocutore. Sì, era senz’altro lei.
Scratch notò che la donna aveva un'espressione aperta e ricca di fascino. Ma soprattutto, era molto magra, il che si sposava alla perfezione con il suo scopo.
Era un peccato, quello che stava per farle. Ma come il nonno diceva sempre: “E’ per un bene più grande.”
Era vero, e Scratch lo sapeva. Se solo la donna avesse potuto comprendere, forse si sarebbe persino sacrificata. Dopotutto, il sacrificio era una delle migliori caratteristiche della natura umana. Lei doveva essere contenta di servire a tale scopo.
Ma l’uomo sapeva che non poteva attendersi tanto. Le cose sarebbero diventate violente e caotiche, proprio come accadeva sempre.
“Che problema ha?” la donna chiese.
L'uomo notò qualcosa di affascinante nel suo modo di parlare, senza riuscire ad individuarlo compiutamente.
“Non lo so” rispose laconicamente. “Si è appena spenta.”
La donna sporse la testa fuori dal finestrino, consentendogli di guardarla dritto negli occhi. Il suo volto lentigginoso era incorniciato da riccioli rossi, vivace e sorridente. Non sembrava turbata da quell'imprevisto.
Ma si sarebbe fidata abbastanza da scendere dall’auto? Probabilmente si, almeno stando a come si erano comportate le altre donne.
Il nonno gli ripeteva sempre quanto lui fosse orribilmente brutto ed aveva finito per essere d'accordo. Ma sapeva che gli altri—specialmente le donne—lo trovavano piuttosto gradevole da guardare.
Poi, gesticolò verso il cappuccio aperto. “Non so nulla di auto” gridò.
“Nemmeno io” la donna rispose.
“Ecco, forse insieme possiamo cercare di capire che cosa c’è che non va” le disse. “Le dispiace, se facciamo un tentativo?”
“No, affatto. Ma non si aspetti che io sia di grande aiuto.”
Lei aprì lo sportello, scese dall’auto e si diresse verso di lui. Sì, tutto stava procedendo alla perfezione. L’aveva attirata fuori dalla propria auto. Ma il tempo era ancora un fattore essenziale.
“Diamo un'occhiata” gli disse, avvicinandosi e guardando il motore.
In quell'istante lui capì che cosa apprezzava della sua voce.
“Ha un accento interessante” osservò. “E’ scozzese?”
“Irlandese” fu la gentile risposta. “Sono qui da soltanto due mesi, ho ottenuto la carta verde, così da poter lavorare qui con una famiglia.”
Le sorrise. “Benvenuta in America”.
“Grazie. L’adoro già.”
Lui indicò verso il motore.
“Aspetti un attimo” disse. “Di che cosa pensa si tratti?”
La donna si abbassò per dare un’occhiata più approfondita e l'uomo ne approfittò per lasciare cadere il cofano sulla sua testa con un colpo.
Lo sollevò poi, sperando di non doverla colpire di nuovo. Per fortuna, era svenuta e giaceva inerte distesa sul motore, a faccia in giú.
Si guardò intorno. Non c’era nessuno nei paraggi. Nessuno aveva assistito alla scena.
Tremò per la gioia.
La prese tra le braccia, notando che il volto e la parte anteriore del suo vestito ora erano impregnati di grasso.
La donna era leggera come una piuma.
Girò intorno alla sua auto, aprì lo sportello e la depose sul sedile posteriore.
Era certo che sarebbe ben servita al suo scopo.
*
Non appena Meara cominciò a riprendere conoscenza, si sentì quasi aggredita da dei rumori assordanti; sembrava che intorno a lei rimbombasse ogni sorta di suono che si potesse immaginare: gong, campanelli, cinguettii e melodie assortite, che parevano provenire da una dozzina di carillon. Tutti quei suoni sembravano ostili.
La donna aprì gli occhi, senza però riuscire a concentrare lo sguardo su qualcosa. La testa le scoppiava quasi per il dolore.
Dove mi trovo? si chiese.
Era da qualche parte a Dublino? No, era in grado di ricostruire un po’ di quadro cronologico. Era arrivata lì due mesi fa e aveva subito cominciato a lavorare. Era senz’altro in Delaware. Con uno sforzo, ricordò di essersi fermata ad aiutare un uomo con la sua auto. Poi, qualcosa era accaduto. Qualcosa di brutto.
Ma che cos’era quel posto, con tutti quegli orribili rumori?
Si rese conto consapevole del fatto che era trasportata come un pacco. Sentì la voce dell’uomo che la stava trasportando, che parlava al di sopra del frastuono.
“Non preoccuparti, siamo arrivati qui in tempo.”
Gli occhi cominciarono a mettere a fuoco la zona circostante. Vi era un’incredibile quantità di orologi di ogni grandezza, forma e stile concepibili: c'erano imponenti pendoli, altri orologi più piccoli, alcuni dei quali a cucù; ne notò altri dotati di piccole serie di uomini meccanici. Orologi ancora più piccoli erano stipati su delle mensole.
Tutti stanno scoccando l’ora, comprese.
Ma in tutto quel caos sonoro, non riusciva a decifrare l’esatto numero di gong e campanelli.
Voltò la testa, per vedere chi la stava trasportando. L'uomo la guardò. Sì, era quello che le aveva chiesto aiuto. Era stata una sciocca a fermarsi per lui. Era caduta nella sua trappola. Ma che cosa le avrebbe fatto?
Mentre il suono degli orologi cessava, si accorse che non riusciva a tenere gli occhi aperti. Si sentì svenire.
Devo restare sveglia, pensò.
Avvertì poi un tintinnio metallico, e si accorse di essere stata delicatamente deposta su una superficie rigida e fredda. Ci fu un altro tintinnio, seguito da passi, e infine una porta si aprì e si chiuse. La moltitudine di orologi continuava a ticchettare.
Poi, sentì un paio di voci femminili.
“E’ viva.”
“Male per lei.”
Le voci erano sommesse e roche. Meara riuscì ad aprire di nuovo gli occhi. Vide che il pavimento era solido e grigio. Si voltò dolorosamente, e vide tre forme umane sedute sul pavimento vicino a lei. O almeno, credeva che fossero umane. Sembravano giovani donne, adolescenti, ma erano magrissime, più che scheletriche: le loro ossa s’intravedevano chiaramente sotto la pelle. Una di loro pareva a malapena cosciente, con la testa pendente in avanti e gli occhi fissi sul pavimento grigio. Le rammentavano alcune foto di prigionieri nei campi di concentramento.
Erano ancora vive? Sì, dovevano esserlo. Le aveva appena sentite entrambe parlare.
“Dove siamo?” Meara chiese.
Riuscì a stento ad udire la risposta, debole come un sibilo.
“Benvenuta” una delle ragazze rispose, “all’inferno.”
CAPITOLO UNO
Riley Paige non vide partire il pugno ma i suoi riflessi erano ancora buoni. Sentì il tempo rallentare, mentre il primo colpo si dirigeva verso il suo stomaco. La donna indietreggiò, mandandolo a vuoto. Poi, notò un violento gancio sinistro diretto alla sua testa, saltò di lato e lo scansò. Quando l'avversario si fece più sotto, sferrando un colpo verso il suo volto, Riley si mosse fulminea e bloccò il pugno tra i guantoni.
A quel punto, il tempo riprese il suo normale ritmo. Riley sapeva che quella serie di colpi era durata meno di due secondi.
“Bene” commentò Rudy.
Riley sorrise. Rudy ora si limitava a tenersi in costante movimento, per evitare i colpi, più che pronto al contrattacco della donna. Riley faceva lo stesso, muovendosi, facendo finte e provando a tenerlo sulle spine.
“Non c’è alcuna di fretta” Rudy disse. “Riflettici a fondo. Pensa come se stessi giocando una partita a scacchi.”
Riley si sentì infastidita ma proseguì i suoi movimenti laterali. Ci stava andando piano con lei. Perché?
Ma sapeva che era giusto così. Questa era la prima volta che affrontava un vero avversario sul ring. Fino ad allora, aveva messo alla prova le sue mosse su un sacco pesante. Ricordò a se stessa di essere soltanto una principiante in questo tipo di combattimento. Era davvero un ottimo suggerimento quello di non avere fretta.
Mike Nevins aveva voluto che lei si allenasse. Lo psichiatra forense, che collaborava con l’FBI, era anche un buon amico di Riley. Lei lo aveva spesso consultato, quando aveva affrontato i suoi momenti di crisi.
Di recente, si era lamentata con Mike riguardo alla propria difficoltà a controllare gli impulsi aggressivi. Perdeva la pazienza troppo spesso. Era agitata.
“Prova ad allenarti” Mike aveva suggerito. “E’ un ottimo modo per sfogarsi.”
In quel momento, era sicura che Mike avesse ragione. Era bello trovarsi a prendere decisioni rapide, affrontando vere minacce invece di quelle immaginarie; al tempo stesso era rilassante affrontare minacce non mortali.
Altrettanto valida si era rivelata l'idea di iscriversi in una palestra che l’aveva allontanata dal quartier generale di Quantico, dove aveva trascorso innumerevoli ore. Questo invece era stato un cambiamento gradito.
Si accorse, d'improvviso, di aver indugiato troppo a lungo. E vide negli occhi di Rudy che l’uomo si stava preparando ad un altro attacco.
Lei scelse mentalmente la sua prossima mossa e si lanciò brutalmente contro di lui. Il suo primo pugno fu un diretto sinistro, che l’altro evitò in meno di un secondo, rispondendo con un destro a incrociare, che sfiorò l'elmetto d'allenamento di Riley, la quale replicò con un diretto destro, bloccato con i guantoni. In un lampo, la donna reagì con un diretto sinistro, che lui evitò spostandosi lateralmente.
“Bene” Rudy ripeté.
Ma non andava bene per Riley. Non aveva messo a segno un solo pugno, mentre lui l’aveva colpita leggermente, pur rimanendo sulla difendeva, e la donna iniziava a sentire l’irritazione crescere dentro di sé. Ma rammentò le parole che Rudy le aveva detto all’inizio dell’allenamento …